Viaggia per oltre duemila chilometri fino alla nostra sponda del Mediterraneo, è capace di schermare la luminosità solare, di mostrarci che alcuni luoghi remoti non sono poi così lontani, di rendere inconsueto il giorno, di colorare il paesaggio in ogni sua sfumatura come stessimo ammirando una fotografia tinta di seppia: parliamo del pulviscolo Sahariano, frammenti infinitesimali di rocce millenarie erose dai venti e raccolti dalle grandi tempeste di sabbia fra le dune, che viene letteralmente sospinto in quota dall’alta pressione atmosferica. Merito di queste polveri sospese se, in questi giorni molto caldi, non abbiamo superato i 35°C, ma, a prescindere, credo che ognuno di noi abbia percepito il cambio di rotta meteorologico, coinciso appunto con l’inizio dell’estate astronomica. Il pulviscolo si deposita ovunque, sporca le auto parcheggiate e macchia quella poca neve rimasta sulle cime, e porta con sé persino il fenomeno della fertilizzazione, perché in quella polvere primitiva ci sono il fosforo, l’azoto ed il ferro, nonché altri minerali. La debole saccatura di qualche giovedì fa ha solo temporaneamente rimescolato le masse d’aria, riportando un caldo più secco e sopportabile ed una ventilazione tesa da nord, senza però apportare preziosi millimetri di pioggia alla terra sulle nostre zone.
Con l’anticiclone delle Azzorre a spasso fino a latitudini nordiche e non più come quella costante ben piantata a ovest della penisola Iberica, che ci garantiva le estati fresche e moderate degli anni ’80, adesso ogni risalita del promontorio di alta pressione subtropicale diventa un ospite imprevisto e, almeno per quel che mi riguarda, piuttosto sgradito: zero termico fino a 5000 metri, fusione esponenziale dei ghiacciai, notti tropicali, un caldo fuori scala, eccessiva umidità e, più in generale, tanta, troppa energia in gioco a tutte le quote. Sono condizioni, soprattutto le ultime tre, che non ci appartenevano e che diventano una lama a doppio taglio qualora uno spiffero più fresco in quota busserà alla porta della catena alpina determinando un cedimento della circolazione anticiclonica. Ecco che, quasi per magia, la troposfera diventa un laboratorio a cielo aperto con l’innesco di moti convettivi, imponenti cumulonembi, classici e ad incudine, in rapido sviluppo verticale… che tradotto in soldoni significa temporali cattivi, nubifragi, tempeste di fulmini, downburst (le cosiddette raffiche lineari), tutti fenomeni accompagnati quasi sempre da grandine di medie/grandi dimensioni. Nulla di artificiale, solo poesia che appartiene maestosamente a Madre Natura.
Autore: Donatello Vallotta