A leggerne i nomi della presidente e del vicepresidente, il Consiglio di Quartiere Centro-Piani-Rencio appare da subito molto particolare. La Presidente è Sylvia Hofer, una donna forte espressione del suo partito, la SVP, con 15 anni di presenza in consiglio comunale e già presidente della Commissione consiliare alla Cultura. Per l’ultima tornata elettorale Hofer si è candidata solo per la circoscrizione del centro ed ha ricevuto ben 600 voti di preferenza. Il vicepresidente invece è Salvatore Falcomatà, con alle spalle una lunga storia di militanza politica di sinistra iniziata ancora negli anni ’70, con una esperienza di decenni nel sindacato e nel volontariato. Si tratta di una coppia decisamente ben assortita.
Chi è Salvatore Falcomatà e come è finito a fare il Vicepresidente di circoscrizione?
Politicamente dal 1974 al 1980 ho militato nel PdUP, il Partito di Unità Proletaria per il Comunismo, poi sono stato nel PCI e poi Rifondazione Comunista con cui nel 2005 sono stato presidente della Circoscrizione di Oltrisarco. Ma vanto anche una esperienza pluridecennale nel volontariato laico. Per le ultime elezioni è stato Caramaschi a chiedermi di candidarmi nei quartieri per la sua lista civica. Tra di noi c’è un rapporto di stima reciproca. Sono stato eletto ad Oltrisarco e ai Piani, ma su invito del sindaco ho scelto di andare ai Piani, sia per coprire una assenza (se non fossi andato, la lista avrebbe perso un seggio), sia per la mia esperienza, utile per una circoscrizione dalle difficili e complicate tematiche…
Come valuta la Sua esperienza fino a questo momento e come si trova a lavorare con la Presidente del Consiglio di Quartiere? Pur essendo un organo per molte questioni solo consultivo, io ritengo che i consigli di circoscrizione siano il vero collante tra cittadinanza e Comune. A me questa possibilità di dialogo con la cittadinanza piace molto. Per quanto riguarda il rapporto con Sylvia Hofer, devo dire che ci troviamo bene a lavorare insieme, certo le discussioni sono accese, ma abbiamo entrambi un approccio molto pratico alle questioni. Si tratta di un aspetto confermato anche da Sylvia Hofer: “Non conoscevo Salvatore. Ci capiamo bene, entrambi siamo molto pratici, ritengo che siamo molto compatibili.”
Sylvia Hofer prosegue quindi con le sue valutazioni.
“Il consiglio è molto variegato, degli 11 consiglieri, 8 sono di liste di maggioranza anche se le dinamiche in consiglio di circoscrizione sono diverse rispetto al consiglio comunale. Affrontiamo più situazioni pratiche e auspichiamo di trovare soluzioni ampiamente condivise.”
Come valuta fino a qui la sua esperienza da Presidente? Una delle prime misure che da me adottate, oltre a fissare da subito tutte le riunioni fino a giugno, è stato il passaggio dalle riunioni in presenza a quelle online. La mia circoscrizione in questo senso ha fatto da apripista.
Quali sono i prossimi temi all’ordine del giorno? Nelle future riunioni affronteremo questioni spinose come la gestione dei rifiuti – un tema molto dibattuto è il pessimo stato in cui versano molte isole ecologiche. Poi c’è il tema della mobilità, che comprende la variante sotto Monte Tondo, ma anche Rencio, dove l’abitato sorge praticamente lungo la strada, e quindi il traffico lì andrebbe alleggerito. Un altro tema caldo riguarda l’ARBO, il piano di recupero dell’areale ferroviario. Anticipo qui che ci batteremo anche per la riapertura dell’ufficio postale di via Brennero, chiuso in occasione del primo lockdown e non più riaperto.
La meranese Valeria Crivellari, giovane mamma, blogger, influencer con la passione per la scrittura ha pubblicato un libro intitolato “MammaRaccontati”, in collaborazione con la sua amica Francesca Ferragina. Si tratta di una raccolta di testimonianze al femminile per parlare senza veli di maternità, sessualità, lavoro, adozioni, mobbing e burn out in gravidanza. è lavoro cooperativo che nasce dal confronto con esperienze reali, con lo scopo di aiutare anche chi non ce la fa da sola.
Chi è Valeria? In realtà nel mondo social (instagram) sono conosciuta come maman0nmama. Ho 36 anni, sono laureata in arti visive e nello specifico nel campo moda. Dopo la maternità mi sono specializzata in Copywriting e Social Media. Ho aperto un blog e ho iniziato a collaborare con alcuni brand, faccio consulenze per chi vuole migliorare la propria comunicazione e scrivo testi per il web.
Ha sempre avuto la passione per la scrittura? Direi di sì, quando ero piccola divoravo libri su libri e ho sempre detto che da grande avrei fatto la scrittrice. A otto anni, per Natale, mi regalarono una macchina da scrivere e da allora non ho mai smesso di sognare e ovviamente di scrivere.
Come si intitola il suo ultimo lavoro editoriale? E di che cosa parla? Il titolo è “MammaRaccontati – Quello di cui le mamme non parlano”. Si tratta di 36 testimonianze raccolte su un social, Instagram, in cui le mamme raccontano come è cambiata la loro vita dopo la maternità, chi ha perso il lavoro o ha subito mobbing, chi ha scelto di diventare mamma da giovane e ha dovuto reinventarsi o attraversare mille ostacoli per poter diventare madre.
Come nasce l’idea di un libro dedicato alle mamme? Nasce dall’esigenza di restituire un’idea reale della maternità. Da quando mi sono avvicinata al mondo dei social media l’immagine di famiglie da Mulino Bianco e di mamme all’apparenza perfette mi hanno spesso provocato sensazioni di inadeguatezza.Il mio secondo post parto, inoltre, è stato difficile e il confronto con altre mamme diventa ancora più forte nei momenti di fragilità. Ho capito che, attraverso la condivisione di storie vere, avrei potuto aiutare molte mamme che in quelle storie si sarebbero ritrovate.
Come è riuscita a raccogliere le testimonianze di cui racconta? Come è riuscita ad avvicinare le mamme? Su Instagram ho un seguito di 14 mila followers e si tratta perlopiù di mamme e donne. È stato sufficiente chiedere nelle mie stories come fosse cambiata la vita dopo la maternità per ricevere le prime testimonianze.
È stato più facile raccontarsi come mamma o come donna? Le due cose non si possono separare. Una mamma è la stessa donna di prima, solo con qualcosa in più da incastrare nel suo percorso. Raccontarsi come mamma significa parlare anche dei sogni, delle ambizioni e progetti che fanno parte di noi come donne.
Quali sono le difficoltà maggiori che incontrano le donne-mamme? Purtroppo le difficoltà maggiori oggi riguardano il reintegro nella società. Viviamo in un mondo che va a cento all’ora e inevitabilmente diventare madre significa rallentare, fermarsi. Soprattutto nel mondo del lavoro spesso c’è una totale mancanza di empatia e le mamme diventano lavoratrici di serie B di cui doversi sbarazzare.
Il libro è legato ad un progetto. Ce ne vuole parlare? Le vendite del libro servono a raccogliere fondi per Elena, una bimba di Genova. È portatrice di una malattia molto rara, si tratta dell’unico caso in Italia, e servono finanziamenti per la ricerca. Insomma, non è un semplice libro, ma un forte simbolo di collaborazione tra donne: una rete di mamme che, donando le loro storie, aiutano un’altra mamma.Potete acquistare “MammaRaccontati” su Amazon in formato ebook oppure cartaceo.
Il libro si divide in 4 sezioni. Qual è la parte che l’ ha maggiormente intrigato? Sicuramente l’ultima sulla difficoltà di diventare madre. In questo capitolo si trova la storia di Silvia sul loro percorso di adozione, mi commuovo ogni volta che la leggo. È un messaggio bello e forte: diventare madre significa soltanto avere amore da dare, non si diventa mamma solo di pancia ma anche di cuore.
Dalle testimonianze che ha raccolto, crede che la maternità resti un momento esclusivo delle donne? Credo proprio che in Italia sia ancora così. Siamo un paese con tradizioni molto radicate e, nonostante oggi ci siano padri più presenti, resta molto lavoro da fare. Mancano leggi e cambiamenti forti per disegnare una nuova idea di famiglia.
Quali sono i suoi progetti futuri? Insieme a Francesca Ferragina, autrice della prefazione di “MammaRaccontati”, abbiamo aperto una pagina Facebook per spiegare meglio il progetto. Mi piacerebbe continuare a raccogliere testimonianze attraverso i canali social e magari trasformarle in podcast e/o in un progetto teatrale. A breve uscirà anche il libro illustrato “Otto sotto il mare”, di cui ho scritto i testi. Attraverso la favola di un pesciolino adottato da una mamma polpo ho voluto spiegare ai bambini l’idea di famiglia: un semplice luogo d’amore senza nessuna distinzione o regola matematica che la definisca.
Da poco hai aperto un nuovo profilo Instagram vipervaleria, quali sono i temi trattati? Qui tratto temi un po’ più forti partendo dal mio percorso di rinascita. Affronto la sfera della sessualità, problemi di coppia, psicoterapia e self confidence. Ho sentito l’esigenza di creare questo nuovo spazio per raccogliere una community di donne che troppo spesso si vergognano di tirare fuori determinate problematiche, che a causa della pandemia sono divenuti disagi ancora più profondi.
Un altro pezzo della nostra memoria storica se n’è andato, un altro personaggio che ha contribuito alla nascita del nostro Paese ci ha lasciato.
Lo ha fatto in silenzio, improvvisamente, alla soglia del secolo di vita, quella vita che aveva amato fino all’ultimo, con le sue difficoltà e le sue tante gioie, dettate in primis dalla presenza costante della sua amata moglie Maria.
Bruno Zito avrebbe compiuto 99 anni il prossimo 9 marzo, era un meranese, ed è stato un partigiano, uno di quelli che nel 2016 era stato insignito assieme ad altri compagni (fra cui Lidia Menapace) di una grande onorificienza: la Medaglia della Liberazione della Repubblica Italiana.
Come racconta il professor Antonio Testini nel suo libro “Petto in fuori, pancia in dentro” (reperibile anche sul sito della Biblioteca provinciale Claudia Augusta), durante la Seconda guerra mondiale, l’alpino Zito faceva parte del “Battaglione Bolzano”, 11esimo Reggimento, divisione Pusteria, ed era stato mandato in Provenza per fornire supporto agli invasori. Il 9 settembre del 1943, il giorno dopo l’armistizio, Zito aveva appena 19 anni, quando i tedeschi circondarono la caserma dove si trovava con gli altri alpini; assieme a tre amici (Carlo Delugan, Gino Vecchi e Bruno Filippi), venne fatto prigioniero e portato all’Ente Fiera di Grenoble. Pochi giorni dopo venne trasferito in Germania , ma lungo il tragitto lui e i tre amici riuscirono a darsi alla fuga grazie a uno zainetto che conteneva gli attrezzi di un calzolaio: subito dopo aver varcato il confine tra Francia e Germania, i quattro riuscirono ad aprire le sicure che chiudevano il vagone sul quale stavano viaggiando e saltarono giù dal treno. Filippi e Delugan si fermarono in Svizzera, mentre Vecchi e Zito continuarono il loro percorso verso l’Italia.
Il primo si fermò a Bolzano, il secondo proseguì alla volta della Valsugana, dove si trovava la sua famiglia. E qui entrò nelle fila dei partigiani che organizzavano gli attacchi ai convogli che rifornivano i tedeschi.
Autore: Luca Masiello
Il ricordo dell’Anpi
A dare per primi la triste notizia della dipartita del partigiano Bruno Zito sono stati i suoi amici della sezione altoatesina dell’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), che hanno voluto salutarlo con un post commovente sulla loro pagina Facebook. “È un giorno di grande tristezza. Un abbraccio alla sua amatissima Maria e a tutta la sua famiglia. Avevamo incontrato Bruno e Maria pochi mesi fa per la consegna della tessera Anpi e con il loro solito spirito avevano voluto che, nonostante il Covid, l’incontro fosse conviviale accompagnato da un buon bicchiere e biscotti. Bruno amava la vita e ne era orgoglioso, così come lo era della sua famiglia. Ci teneva sempre a raccontare tutto in modo semplice, spontaneo e divertente. E nel racconto non mancava mai di riferirsi alla sua esperienza di Partigiano, per ribadire come l’Italia fosse ben diversa da quella che avevano sognato durante la Resistenza, ma che non bisognava mai disperare, mai abbassare la guardia nella difesa della democrazia e della libertà e mai abbandonare la lotta per attuare i valori della Resistenza incardinati nella Costituzione. Ciao Bruno. Grazie! Ci mancherai, ma cercheremo di far camminare quegli ideali nel mondo di oggi. Partigiani per sempre! Alla memoria di Bruno dedicheremo le iniziative per il giorno della Memoria e ci auguriamo che la sua Città sappia ricordarlo come merita”.
La stazione di Salorno è stata rinnovata ed è pronta a ospitare anche alcune realtà associative. Grazie a un più ampio progetto di mobilità sostenibile ha poi guadagnato il titolo di “Stazione dell’anno 2021”, un motivo di orgoglio per il sindaco Roland Lazzeri e tutto il paese.
Come tante altre stazioni altoatesine, anche la stazione di Salorno ha avuto modo di essere sostenuta dalla provincia di Bolzano, che favorisce l’implementazione di progetti riguardanti la mobilità sostenibile sul territorio. Con il contributo della Provincia e insieme alla Rete Ferroviaria Italiana, il Comune ha avviato i lavori di ristrutturazione della struttura ferroviaria della Bassa Atesina nel 2019. Quella di Salorno è una stazione che ha una grande storia alle sue spalle: progettata nel 1859 dall’ingegnere Luigi Negrelli, lo stesso che progettò il Canale di Suez, rappresenta per tutti gli abitanti del paese un punto fondamentale per la mobilità in regione.
“Tutti i locali, come la sala d’attesa, sono stati rimessi a nuovo per dare nuova vita alla stazione”, racconta il sindaco. La struttura è stata ampliata e alla stazione storica è stato aggiunto un nuovo complesso. “C’è un evidente distacco tra le due parti, ma sono in perfetta sintonia dal punto di vista architettonico”. La stazione è poi diventata più funzionale e accessibile con l’aggiunta di un ascensore che possa agevolare i passaggi al suo interno. La più grande novità del progetto di ristrutturazione riguarda proprio le realtà associative che hanno potuto usufruire degli spazi messi a disposizione. “CAI e Alpini hanno spostato la loro sede al primo piano della stazione. In questo caso si è trattato di una scelta necessaria, poiché entrambe le realtà avevano prima sede nella Caserma dei Vigili del Fuoco, che quindi iniziava a essere affollata. Inoltre, sono stati concessi dei luoghi ad altre tre associazioni per depositare i loro materiali. All’inizio c’è stata un po’ di titubanza, cancellata subito dal fatto che la stazione rimane un punto facilmente raggiungibile e centrale. Per ora le sedi sono in fase di arredamento, quindi per testare la funzionalità c’è ancora bisogno di tempo, ma siamo fiduciosi”, spiega il sindaco.
Il titolo di “Stazione dell’anno” è stato accolto con gioia da tutti, perché quella di Salorno è la prima stazione della Bassa Atesina a cui è stato assegnato. “Il merito è stato sicuramente degli architetti, Franz Kosta e Matthias Trebo, del progetto in sé, ma soprattutto del concetto di mobilità sostenibile di cui è parte”. Il progetto di mobilità sostenibile di Salorno include infatti più interventi, uno dei quali è l’allargamento della ciclabile che porta alla stazione, per sollecitare gli abitanti a raggiungere la struttura in bicicletta. “La consegna del premio è prevista per il 29 maggio, e ci auguriamo di poter festeggiare tutti insieme”, conclude Lazzeri.
Il Neumarkt Volley di Egna, come ogni realtà sportiva, si è trovato ad affrontare molte difficoltà dovute all’emergenza sanitaria: dall’osservare con scrupolosa attenzione i DPCM, le ordinanze provinciali e i protocolli statali, al mantenere attive le proprie atlete in sicurezza. Da maggio, gli allenamenti si sono alternati tra campi da beach volley, campi sintetici o in taraflex e in palestra. L’associazione Neumarkt Volley conta molte iscritte di varie età, dalle bambine alle adolescenti. Per sapere capire meglio quale sia la loro situazione attuale, ci siamo rivolti alla presidentessa Mariapia Faccincani.
Avete ripreso gli allenamenti dopo una breve sospensione. Come sono stati i periodi di blocco dalle attività causa Covid? La nostra realtà è rimasta inattiva solo per brevi periodi di interruzione grazie alla doppia affiliazione al CSI (centro sportivo italiano) e la FIPAV (federazione italiana pallavolo), e nei momenti di apertura ci si è allenati sempre nella massima sicurezza e in osservanza delle diverse restrizioni che si sono susseguite.
Quali precauzioni avete adottato contro il Covid? I due enti sportivi ai quali siamo affiliati hanno diramato diversi protocolli con buone pratiche volte a evitare la diffusione del virus. Per esempio, per ogni turno di allenamento si devono ritirare le autocertificazioni delle atlete, misurare la temperatura all’arrivo, igienizzare più volte le mani, registrare le presenze, igienizzare le superfici di contatto e i palloni molte volte, e usare le mascherine quando la distanza tra le persone fosse inferiore al metro. Per dirigenti e allenatori si tratta di un gran lavoro, e per questo li ringrazio.
Come hanno risposto le atlete? Le atlete hanno risposto con entusiasmo al richiamo degli allenamenti nonostante le novità, e continuano ad allenarsi con costanza e piene di energia. Non vedono l’ora che ricomincino i campionati.
Cosa vi aspettate da questa stagione? Il nostro obiettivo è far divertire le ragazze, usando il loro sport preferito come mezzo di svago e aggregazione, e cercando di dare loro un po’ di normalità. Ci auguriamo inoltre di poter riportare in palestra anche le bambine più piccole, le quali sono ancora ferme a casa in attesa di riprendere gli allenamenti.
Per chi fosse interessato a iscrivere bambini nati nel 2010 e nel 2011, è ancora possibile farlo (con obbligo di visita sportiva medica agonistica). Per ulteriori informazioni, contattare i numeri 3471582680 o 3316484414.
Classe 1983, Luca Le Pera ha festeggiato nel 2020 il suo diciottesimo anno come volontario al Centro Giovani Strike Up. Ogni giorno dal lontano 2002 lavora a titolo gratuito presso il centro e si occupa di tantissime cose: accompagna i ragazzi nelle attività ludiche, aiuta gli educatori nella piccola manutenzione del centro, si mette a disposizione dei ragazzi ed insegna loro il gioco del biliardo e del calcetto. Nel corso del tempo è diventato una presenza costante, affidabile, generosa e sempre sorridente. Un aiuto insostituibile per tutti gli educatori.
La cosa che mi piace di me stesso.
Riuscire a vedere le altre persone felici
Il mio principale difetto.
Essere troppo buono.
La persona che ammiro…
Un mio grande amico, che frequento da oltre vent’anni.
L’occupazione preferita.
Fare il volontario al centro giovani Strike Up.
Il paese dove vorrei vivere.
A New York.
Il mio piatto preferito.
La pizza.
Non sopporto.
Tutte quelle persone invidiose e gelose.
Per un giorno vorrei essere.
Un supereroe.
La mia paura maggiore.
Perdere gli amici.
Nel mio frigo non manca.
La birra.
Se fossi un animale sarei…
Un uccello per volare e guardare il mondo dall’alto.
Il capriccio che non mi sono mai tolto.
Diventare pompiere.
Il giocattolo che ho amato di più.
Il Lego.
La qualità che preferisco in una donna…
La semplicità.
…e in un uomo.
La semplicità e la diplomazia.
Dico bugie solo…
Ne ho dette tante in passato, ora molto meno.
Dove mi vedo fra dieci anni.
Qui, esattamente dove mi trovo adesso.
Il colore che preferisco.
Il giallo.
L’ultima volta che ho perso la calma.
Raramente perdo la calma, sono una persona pacifica.
Da bambino sognavo…
Sognavo la felicità delle persone che mi circondavano.
La promozione della mobilità ciclabile come alternativa all’auto comprende una rete di piste ciclabili e parcheggi sicuri per le bici, che devono soddisfare numerosi criteri e sono purtroppo spesso trascurati nella pianificazione della mobilità ciclabile. Appena le temperature permetteranno di eseguire i necessari scavi e di predisporre i basamenti in cemento, verranno installate in città 366 nuove rastrelliere. L’unità speciale Mobilità ha scelto le cosiddette “rastrelliere da appoggio”, che si integrano bene nel contesto urbano e svolgono tutte le funzioni necessarie. Con una distanza di un metro e 20 tra una e l’altra, si possono parcheggiare due biciclette per ogni rastrelliera. Porta-biciclette simili sono già stati installati presso la stazione di Maia Bassa, Piazza Fontana e Piazza Parrocchia a Maia Bassa. In una prima fase i parcheggi saranno allestiti in centro: nel cortile interno del municipio, in via Galilei (davanti all’anagrafe), in piazza della Rena, presso il Ponte della Posta, alle Terme, in piazza Duomo, in via Carducci e in corso Libertà (nei pressi dello Stadt Centrum). Questi siti sono stati scelti perché vicini alle zone pedonali, in modo che l’utente possa poi proseguire a piedi.
Anna Mattiuzzo è nata a Bolzano il 20 luglio 1990. Oggi è mamma, insegnante di danza, educatrice e si sta specializzando in scienze pedagogiche. Vive a Pineta di Laives. È attiva nel sociale e nella beneficenza, e con l’amica Valentina Furegato ha organizzato alcuni spettacoli di beneficenza. Le piace essere sempre impegnata, ma sa anche fermarsi per riprendere fiato.
La cosa che mi piace di più di me.
La spontaneità.
Il mio principale difetto.
La spontaneità.
La volta che sono stata più felice.
Il giorno della mia laurea.
La volta che sono stata più infelice.
Non so, ma sicuramente pioveva.
Da bambina sognavo di diventare…
Una performer.
L’errore che non rifarei.
Perdere di vista la mia migliore amica per anni, solo per una stupida discussione.
La persona che ammiro di più.
Se dico Kompatscher, dici che ci fa aprire le scuole di danza?
In foto: sulla sinistra le sorelle Giovanna e Maria Rossi, 77 e 73 anni. Sulla destra Gino Rossi, 93 anni.
Un Natale diverso dagli altri, ma che l’iniziativa “C’era una volta il Natale…” ha trasformato in un’occasione per chiedersi quanto sia cambiato il nostro modo di vivere questa festa. Come veniva vissuto il Natale cinquanta, settanta o, perché no, novant’anni fa? ACLI e VKE hanno raccolto le memorie di chi era bambino allora e le ha condivise con chi, invece, è bambino oggi. Cos’è cambiato, dunque?
Due associazioni di Egna, ACLI e VKE, hanno pensato di creare una particolare atmosfera natalizia in questo periodo di pandemia. L’idea, ispirata da un altro progetto simile, è stata chiamata “C’era una volta il Natale…”, e sono stati coinvolti parecchi “nonni” di Egna, che hanno condiviso i ricordi dei Natali passati. Storie toccanti e semplici, capaci di trasportare in altri tempi. Ricordi e fotografie sono stati pubblicati su Facebook e su un quotidiano, ma il “passaggio di testimone” più bello di quest’iniziativa è stata la condivisione di queste interviste con le bambine e i bambini delle scuole primarie e materne in lingua italiana e tedesca di Egna, così da fare conoscere le realtà di una volta ai bambini di oggi. “C’era una volta il Natale…” è stata una bella esperienza anche per gli stessi anziani, protagonisti e narratori dei racconti.
Si incontrano così storie come quella di Giovanna e Maria Rossi, due sorelle di 77 e 73 anni. La loro era una famiglia numerosa e povera. L’inverno, all’epoca, era freddissimo e c’era tanta neve. Raccontano che “per l’arrivo del Natale noi bambini eravamo bravissimi perché aspettavamo Gesù Bambino e gli adulti ci dicevano che Lui avrebbe visto chi era stato il più bravo! La sera di Natale nostra mamma addobbava l’albero, mentre noi bambini dormivamo, e preparava un cesto pieno di mandarini, nocciole e pantofole; le avremmo trovate come sorpresa il mattino di Natale”.
C’è poi il ricordo del signor Gino Rossi, che di anni ne ha 95. La sua famiglia era di estrazione contadina e non poteva permettersi lussi. Anche lui ricorda la rigidità di quegli inverni, la neve e l’abitudine a divertirsi con poco. Il Natale lo festeggiavano in famiglia, senza albero né presepe, date le poche possibilità. Il regalo che ricorda Gino Rossi è un piatto di nespole.
Il racconto di nonno Isidoro Carlotto è semplice e risale a molto tempo fa, dal momento che Carlotto, oggi, ha 101 anni. Con le due sorelle e i due fratelli, il giorno di Natale purtroppo non lo festeggiavano: non potevano permetterselo. Festeggiavano, però, la festa della Befana, e poiché lavoravano come gli altri giorni, tra bestiame e campi, si svegliavano presto e trovavano appese nel camino delle calze rotte con dentro mandarini e noci: “Eravamo i bambini più felici al mondo, perché non potevamo mangiarli ogni giorno”.
Mario, 80 anni, ricorda che invece festeggiavano il Natale ogni anno. I suoi genitori facevano trovare a lui e ai suoi 8 fratelli l’albero addobbato con i biscotti e sotto i mandarini, le caramelle e i vestiti fatti dalla mamma. Un ricordo molto simile a quello della novantenne Ida, che racconta di come anche ai suoi tempi non ci fossero tanti soldi, eppure “il Natale lo si festeggiava tutti assieme, sotto l’albero c’era sempre qualcosa di dolce o da vestire, quando si poteva”.
Sono molti i ricordi natalizi che questi nonni, più e meno giovani, avrebbero da raccontare, ma facendo attenzione c’è qualcosa che li accomuna tutti: le poche possibilità, la mancanza di soldi, il duro lavoro; eppure, c’era sempre il tempo e la voglia di festeggiare il Natale con i propri cari, anche con poco e con cibo semplice. Se c’è una cosa che arriva, chiara, al lettore dopo aver letto questo ricordi, è senz’altro l’importanza di saper trovare la gioia e la felicità nelle piccole cose.
Li si vede spesso danzare in via Cassa di Risparmio a Merano: leggiadri ma potenti, e sopratutto innamorati. Irene Cannata, meranese di nascita, e Niccolò Gaggio hanno realizzato un sogno: ballare nelle piazze e raccontare il loro amore per questa disciplina attraverso coreografie romantiche e sensuali. Il loro senso di libertà li ha portati a diventare artisti di strada per rapire attraverso la musica e il ballo lo sguardo dei passanti. E ci riescono, sotto il nome di “Famiglia danzante”: mamma, papà e due figli.
Chi è la famiglia danzante e da quale formazione proviene? La famiglia danzante siamo io, Irene Cannata, Niccolò Gaggio e i nostri figli Angelo e Agnes. Viviamo a Tirrenia, un paesino sul mare in provincia di Pisa. Spesso siamo a Merano perché sono nata qui (anche nostro figlio Angelo). Proveniamo da due formazioni artistiche differenti; io ho studiato dall’età di 6 anni fino ai 14 anni presso la scuola di danza Arabesque di Merano con Irmtraud Filippi e Sabine Raffeiner, poi ho superato l’audizione e mi sono trasferita a Torino dove ho frequentato con lode l’Accademia di danza al Teatro Nuovo di Torino, per poi approfondire la danza moderna e contemporanea con l’Adriana Cava Jazz ballet e con l’E.D.A.(European dance Allience), mentre mio marito Niccolò ha iniziato gli studi presso la Max ballet Academy di Firenze all’età di 17 anni per poi proseguire gli studi classici al Centro studi danza e movimento con Eugenio Scigliano e poi dedicarsi alla danza contemporanea con la Kaos Balletto di Firenze di Roberto Sartori.
Perché l’idea di portare spettacoli di danza nelle piazze? Abbiamo deciso di portare la nostra danza nelle piazze per avvicinare un pubblico più vasto alla nostra arte raccontando storie in cui ognuno potesse immedesimarsi. La danza per strada è qualcosa che non si vede normalmente, vederci danzare anche con l’utilizzo delle punte è qualcosa che stupisce chi guarda. La strada è un modo per sentirci liberi, senza dipendere da qualcuno.
Da quando esiste la vostra formazione in formato famiglia? Io e Niccolò abbiamo improvvisato il nostro primo passo a due nel 2009 durante un workshop nella magnifica cornice dell’abbazia di San Galgano, vicino Siena; ci siamo guardati negli occhi e ci siamo ritrovati a danzare in perfetta sintonia, come se l’avessimo sempre fatto. Da quel momento non ci siamo più separati e siamo diventati una coppia nella danza e nella vita. In questa perfetta armonia nel 2011 si è inserito Angelo che è nato a Merano e ci accompagna in tutti i nostri spettacoli. Non a caso ci siamo ribattezzati la “Famiglia Danzante”.
Quanto tempo dedicate agli allenamenti? Per noi è molto importante mantenere il nostro fisico sempre allenato, anche perchè danzare per strada richiede abilità atletiche ancora maggiori rispetto al teatro; ogni giorno facciamo la nostra lezione di danza classica, che è la disciplina che più di tutte allinea il nostro corpo e ci imposta per le prove delle nostre coreografie. A Niccolò piace integrare la lezione di danza con allenamenti sulla spiaggia utilizzando tronchi da sollevare, strutture a cui appendersi e esercizi con le Kettlebell. Iinsieme armonizziamo il nostro corpo con lezioni di Yoga, mobilità e stretching; spesso, facendo lo stesso lavoro, ci troviamo anche a danzare e allenarci fuori orario.
Chi crea le coreografie? Una parte che a noi piace moltissimo è anche quella creativa e coreografica. Le coreografie che portiamo in scena sono firmate Famiglia Danzante sia per quanto riguarda la creazione dei passi, la scelta dei costumi e quella delle musiche. Non è sempre rose e fiori, spesso creando nuovi balletti, prima di entrare in sintonia, dobbiamo passare attraverso un momento di scontro (che ormai sappiamo far parte della fase creativa). All’inizio il nostro disaccordo lo sentivamo con dispiacere, pian piano abbiamo capito che ci serve per entrare in un mood diverso. Ora lo accettiamo come parte del percorso.
Che cosa fate nella vita? Vivete di arte di strada? Oltre agli spettacoli per strada e per diversi eventi e Festival, abbiamo anche una scuola di danza a Marina di Pisa, la scuola di danza Amarindance e durante l’anno facciamo diversi eventi e spettacoli.
È stato difficile coinvolgere i vostri figli in questa avventura? Angelo ha assistito al nostro lavoro fin da quando aveva tre settimane, prima nell’ovetto, poi gattonando intorno a noi e infine partecipando attivamente alla danza. La piccola Agnes ci copia durante il riscaldamento e spesso si intrufola in alcune coreografie obbligandoci a improvvisare. Ormai quando andiamo a fare delle esibizioni anche lei vuole mettersi il tutù mentre Angelo aiuta nella sistemazione di cappelli e impianto audio; ognuno ha i suoi compiti.
Nelle vostre performance si ballano l’amore e i sentimenti, qual è il messaggio che volete regalare a chi vi guarda? Con le nostre performance vogliamo creare un momento di stacco dalla routine di chi guarda, un momento in cui riflettere, in cui dare spazio alla speranza, far nascere un’emozione e toccare l’animo delle persone. Vogliamo essere poeti e con i nostri corpi raccontare storie attraverso l’immedesimazione e la sintonia che si crea con il pubblico. Ogni spettacolo è un viaggio a passo di danza e il pubblico è parte della nostra performance, anche se non è attivo la sua energia condiziona il nostro modo di danzare.
In quali altre piazze vi siete già esibiti? Oltre che a Merano ci siamo esibiti nelle piazze di Certaldo durante il Festival Mercantia, a Veroli e a Falvaterra entrambe in provincia di Frosinone, a Trieste e a Biograd in Croazia.
Come vivete questo momento di blocco delle attività artistico-culturali? Non è sicuramente un buon momento per chi come noi vive d’arte, stiamo cercando di trovare soluzioni alternative al solito modo di lavorare. Con la scuola ci siamo spostati nuovamente online, stiamo tenendo lezioni di danza classica, moderna e Yoga-mobility utilizzando il programma Zoom inoltre stiamo approfittando per creare nuove coreografie da portare anche per strada e, se dovesse continuare il blocco, ci ingegneremo per poter creare dei video-spettacoli per chi ci segue.
Quali sono i vostri progetti futuri? Stiamo creando un nuovo spettacolo a tema, atmosfera e costume natalizio da poter presentare (sperando che sia possibile) durante le festività, vogliamo creare qualcosa di particolare che scaldi il cuore degli spettatori e li porti subito nell’atmosfera della gioia natalizia. Inoltre stiamo realizzando il calendario 2021 della Famiglia Danzante, 12 mesi di amore, danza e famiglia. Come ogni anno sarà possibile acquistarlo sia dal vivo che online.
Quando tornerete a Merano? Appena si potrà tornare a spostarsi tra regioni torneremo a esibirci a Merano, non vediamo l’ora.
Qual è il vostro target di pubblico? Il nostro target sono tutte le persone che amano la danza; siamo stati contattati anche per rendere speciali eventi come matrimoni. Durante i matrimoni, una coreografia molto richiesta è “Il Bacio”,una danza romantica dove le nostre labbra non si staccano mani come volere augurare un’unione passionale e duratura agli sposi. Sia a castel Pienzenau che a Lagundo abbiamo raccontato la storia degli sposi attraverso la danza.