C’è stato un tempo in cui Merano città, Maia Bassa, Maia Alta e Quarazze erano quattro comuni distinti, ciascuno con il proprio Municipio. Di questi sono rimasti i segni evidenti soprattutto a Maia Alta e Maia Bassa, dove i due edifici municipali ancora esistono e sono attivi. Quello di Maia Bassa era ed è in via Matteotti, una via storica, oggi un po’ meno vivace, ma un tempo in grado di rappresentare un’epoca, oseremmo dire un’epopea.
// Di Enzo Coco
Nel periodo post-bellico e perlomeno fino agli anni Ottanta del secolo scorso, via Matteotti era dal punto di vista dei servizi il centro di tutto.
Attorno al Municipio e lungo la sua strada c’erano alberghi, ristoranti e bar, negozi di alimentari, fruttivendoli, macellai, panettieri, tabaccai, la farmacia, l’ambulatorio medico, una rosticceria, il cinema, il pulisecco, il gelataio, il calzolaio, barbiere e parrucchiere, la cartolibreria, la merceria, un bazar, il meccanico, il gommista, la ferramenta, il materassaio, i Carabinieri, la Guardia Forestale e, ultima ma non ultima, la banca.
Insomma: chi viveva a Maia Bassa non aveva bisogno di arrivare in centro città quasi per nulla.
In questa specie di villaggio e in un clima ancora di paesone, dove tutti conoscono tutti, è nato o ha trascorso parte della sua infanzia e adolescenza, un gran bel numero di persone in un clima davvero irripetiile.
La “via pal” di merano
Ma dietro alle case che si affacciano su via Matteotti c’erano due strade, che ancora ci sono, ovvero la via Magazzini e la via Armonia. Erano la via Pal “de noantri”, il “cortile” dei bambini e dei ragazzi di allora.
Si tornava da scuola, dalla vicina via Vigneti, si mangiava al volo e poi giù tutti in cortile e non si tornava a casa fino a quando faceva buio e le mamme si sgolavano dalle finestre per richiamare i propri figli che dovevano fare ancora i compiti e soprattutto lavarsi.
Enormi piste con muretti e curve alla Vigorelli, salite e discese, venivano costruite per giocare al “Giro d’Italia” con vere e proprie tappe che si sviluppavano di giorno in giorno. I ciclisti? Tappi a corona delle bottiglie con dentro una figurina ritagliata, magari da un giornale, del proprio ciclista preferito. Anquetil, Van Looy, Coppi, Bahamontes, Tacconi, Gaul, Baldini, Altig, Poulidor e poi Motta, Gimondi, Baronchelli, Merckx, Battaglin, Maertens: erano tutti lì nei tappini delle bottiglie.
Stiamo parlando di battaglie epiche di ore e ore, precedute da sonori litigi perché se uno aveva Anquetil, non poteva essere che l’avesse un altro: “No Anquetil è mio e tu prenditi Gaul”.
E poi le scorribande, quelle tra cowboys e indiani, armati di improbabili pistole di legno, archi e frecce posticci. Anche qualche fionda, ma l’elastico era quasi sempre sfilacciato.
C’era poi lo scontro vero e proprio tra via Magazzini e via Armonia: la battaglia tra “raber e poli” come si diceva allora, mutuandolo dall’inglese “rubber and poly”, il nostro guardie e ladri. Si attraversavano gli androni dei palazzi per passare da un cortile all’altro (da via Magazzini attraverso via Matteotti, in via Armonia e viceversa) all’inseguimento dell’avversario per catturarlo, e con le urla e proteste immancabili degli inquilini che volevano la loro quiete.
E spesso andava a finire che i ragazzi si prendevano delle secchiate d’acqua dalle finestre delle esasperate famiglie alle quali impedivamo il sonnellino pomeridiano. C’era anche il burbero grossista di profumi che stava in via Magazzini, il Signor Niederwieser, che veniva fuori a cacciarci perché non riusciva a lavorare, ma quando arrivava Natale ci faceva i regalini: tra questi un campioncino di profumi, una saponetta, un detersivo da dare alla mamma.
Tutto ciò era bello e nessun genitore andava a protestare col vicino che ci aveva sgridato o ci aveva bagnati, anzi era più facile che ti arrivasse uno scappellotto perchè “non lo dovevi fare”.
I nomi dei protagonisti
Ricordare i nomi di tutti è impossibile, ma molti sono ancora nella nostra mente, alcuni purtroppo già andati avanti, altri non più a Merano, ma ognuno sicuramente si riconoscerà.
C’era Mario con suo fratello Umberto e la piccola sorellina Silvana, c’era Gabriella col fratello Roberto, c’era Ferruccio. E ancora Emanuela col fratello Gianni e il piccolo Mario, Renatino che chiamavamo così perché era secco secco, c’erano Luizio ed Ezio, c’era Uta (una pertica che non a caso divenne una forte saltatrice in alto), c’era Edy e c’erano i fratelli Di Liello.
E poi altri nomi persi nelle nebbie della memoria ma presenti ancora nelle immagini stampate nella mente.
E c’era lei, quella di cui tutti eravamo un po’ innamorati e, forse, è proprio lì che abbiamo sentito le prime pulsioni di innocenti ragazzini attorno ai 10 anni o giù di li. Si chiamava Laura e veniva da Milano, che per noi era la metropoli lontana. Veniva a passare le vacanze scolastiche a casa di certi parenti. Con quel suo accento dalle “e” aperte talvolta ci raccontava di cosa c’era a Milano che qui da noi non c’era.
Ma soprattutto giocava con noi e a sera andava a casa tutta scalmanata e impolverata, perché in via Magazzini non c’era l’asfalto come oggi, ma solo la nuda terra.
Noi capivamo che lei si divertiva un mondo perchè là, nella metropoli dove viveva, un cortile dove giocare non ce l’aveva, perché… “là dove c’era l’erba ora c’è una città”.