“Bolzano può essere un riferimento per tecnologia e ricerca”


Con la nuova Facoltà di Ingegneria, unibz è sempre più vicina al mondo delle aziende e delle start-up e diventa il principale attore del NOI Techpark. Tra i focus della Facoltà: automazione, robotica e intelligenza artificiale. 850 giovani studieranno, faranno ricerca e si formeranno a un passo dall’ecosistema dell‘innovazione.

Una facoltà universitaria che è nata con l’obiettivo di trasformare l’Alto Adige – territorio che è delizia dei milioni di turisti che lo visitano ogni anno per le sue bellezze paesaggistiche e naturalistiche – in una sorta di Silicon Valley della tecnologia, bilingue e a cavallo tra mondo culturale e produttivo mediterraneo e dell’Europa centrale. “Vogliamo che l’Alto Adige sia riconosciuto come un punto di riferimento a livello nazionale non solo per qualità della vita e dei servizi turistici ma anche per l’innovazione tecnologica e la ricerca al servizio di questo valori. La nuova collocazione della Facoltà nel Parco Tecnologico è la premessa ideale”, afferma il preside della Facoltà di Ingegneria, prof. Andrea Gasparella. Lo abbiamo intervistato per conoscere meglio le ambizioni della comunità scientifica che da poche settimane ha iniziato a lavorare nella nuova struttura didattica e di ricerca a Bolzano Sud. 

Preside Gasparella, la Facoltà di Ingegneria ora avrà sede in un nuovo campus a Bolzano Sud. Cosa rappresenta questo passo per la Facoltà stessa, per l’università di Bolzano e anche per il territorio?

La Facoltà, che già era un interlocutore per il territorio sia dal punto di vista dell’offerta formativa, sia dal punto di vista delle attività di ricerca e di terza missione (le attività di trasferimento del sapere accademico alla popolazione e al tessuto economico del territorio di riferimento, ndr.), ora è immediatamente e fisicamente associabile a un luogo e a un edificio “iconico”, se così possiamo definire l’avveniristica costruzione che ci ha accolto. Ci aspettiamo che adesso l’interazione con i portatori di interesse sia più facile perché il campus aiuterà la percezione che ci sia un interlocutore in grado di occuparsi di tutte le tematiche in ambito ingegneristico. 

I vostri portatori di interesse sono solo le aziende o anche l’amministrazione pubblica?

Abbiamo percepito una grande attenzione da parte dell’amministrazione pubblica che ha voluto e  stimolato l’istituzione di questa Facoltà. Lo si comprende anche dalla dotazione infrastrutturale e di risorse economiche messe a disposizione. Ovviamente le aziende, in primis quelle del territorio che chiedono di essere accompagnate e avviare progetti per restare competitive, così come tutti i soggetti coinvolti a vario titolo nello sviluppo tecnologico, rappresentano il partner naturale per una Facoltà di Ingegneria. 

Ci può fornire alcuni esempi?

Ce ne sarebbero tanti ma sicuramente le collaborazioni con il Covision Lab – che si occupa di computer vision e machine learning – o quelle con la rete di imprese associate nella Automotive Excellence Südtirol o, ancora, con Alperia o con l’Azienda Sanitaria per restare in ambito pubblico, sono emblematiche della natura delle interazioni che stiamo ricercando. Infatti queste ed altre forme di collaborazione hanno reso possibile l’istituzione e il finanziamento di alcune cattedre straordinarie, oppure hanno il potenziale per sviluppare iniziative di ricerca di lungo termine a servizio del territorio. Assoimprenditori e le associazioni di categoria (Artigiani) o delle professioni (Ingegneri, ma anche architetti, periti e geometri) sono partner importanti che hanno seguito e sostenuto le nostre iniziative e ai quali vorremmo poter restituire ancora molto. 

Nell’Euregio, esistevano già la Facoltà di Scienze tecniche a Innsbruck e quella di Ingegneria a Trento che garantivano un’ottima formazione. Perché i figli delle famiglie altoatesine interessati alle materie tecniche dovrebbero iscriversi alla locale Facoltà di Ingegneria?

Siamo fortemente convinti che la formazione trilingue sia un valore aggiunto per ogni laureato e lo renda, assieme alle competenze tecniche accumulate, assolutamente competitivo su un mercato del lavoro che si estende, praticamente, dal confine con la Danimarca al Mediterraneo. Molti dei docenti di unibz vengono da altre università e quindi hanno portato qui anche l’esperienza maturata altrove, ma esiste anche una generazione di ricercatori e docenti cresciuti accademicamente qui, che in parte ci faranno conoscere altrove, in parte continueranno a rafforzarci. Ci stiamo sviluppando in direzioni diverse dalle università vicine specializzandoci in settori che ci caratterizzano andando a coprire ambiti di competenza che non sono rappresentati vicino a noi. Ma stiamo anche investendo su formati didattici esperienziali, anche grazie a infrastrutture di laboratorio uniche per dotazioni e varietà, che prepareranno in maniera molto più efficace e versatile i nostri laureati alle sfide che li aspettano. Siamo certi che saranno i protagonisti del futuro della regione e non solo. 

Quali sono le “anime” della nuova Facoltà?

Sono quella informatica, con un focus significativo sugli sviluppi dell’intelligenza artificiale, quella dell’ingegneria elettronica e dell’informazione, con un focus sulle tecnologie digitali e le applicazioni dell’AI, e quella dell’ingegneria industriale ed energetica, con un focus sui processi industriali e sull’efficienza nell’uso delle risorse e sulle rinnovabili, e quindi sulla sostenibilità. In queste aree cerchiamo di definire una nostra connotazione, perché siamo convinti che ciò che possiamo offrire sia diverso da quello che si trova nelle università vicine.

Il nuovo edificio quali opportunità in più offrirà agli studenti?

Il campus riunisce tanti laboratori sotto uno stesso tetto e ciò facilità le collaborazioni tra discipline diverse oltre al fatto che questi laboratori non vengono usati solo per la ricerca ma anche dagli studenti. Contiamo di proseguire nello sviluppo di un’offerta didattica sempre più orientata alla formazione di tipo esperienziale, organizzando l’attività educativa in maniera tale che la parte di apprendimento teorico e quella di applicazione pratica convivano e confluiscano in un percorso coerente e ciclico fatto non solo di “sapere”, ma anche di “saper fare”.

Che spinta può dare l’integrazione del campus nel parco tecnologico agli studenti e ai laureati?

Per una Facoltà come la nostra, la collocazione nel NOI è un’opportunità davvero unica perché avvicina le attività di ricerca e le attività didattiche con gli studenti alle aziende. Credo che poi costituisca un impulso anche allo sviluppo del parco tecnologico stesso perché gli studenti possono collaborare con le startup e, una volta terminati gli studi, diventare loro stessi fondatori di nuove iniziative e, così, essere protagonisti del futuro imprenditoriale del territorio. La sinergia farà bene ad entrambe le comunità: quella di unibz e quella del NOI Techpark. 

Ci sarà spazio anche per iniziative di formazione continua e di diffusione della cultura scientifica tra la popolazione?

Sì, ci sono alcune iniziative che ci vedono già attivi. Sul versante della formazione, i master universitari orientati ai professionisti, come quello in Fire Safety Engineering, che riscuotono un ottimo successo. Riteniamo che la Facoltà possa diventare un riferimento non solo per chi inizia l’università ma anche per chi, una volta laureato, ha bisogno di aggiornare e perfezionare le proprie competenze e quindi può ritornare all’università portando già un certo bagaglio di esperienze e, al tempo stesso, acquisirne di nuove, più specialistiche. Sabato 11 gennaio, infine, prevediamo una mattinata di porte aperte per la cittadinanza per scoprire il nuovo edificio e le aree di ricerca della Facoltà.

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“Peripherica”: il lato nascosto dell’Alto Adige 

Il titolo è “Peripherica”, e si annuncia come un viaggio alla scoperta dello spazio suburbano: è la mostra d’arte organizzata nella sala espositiva di via Pietralba 29 a Laives dai centri giovanili Fly di Laives e Aslago di Bolzano, che porta i visitatori da Bronzolo a Laives passando per Pineta San Giacomo fino ad Aslago, rivelando un agglomerato urbano caratterizzato da fascino industriale, architettura urbana, un’intensa rete di trasporti e una società multiculturale. 

// Di Luca Masiello

L’esposizione è il risultato di una collaborazione tra i due centri giovanili ed è stata promossa da Andreas Bertagnoll (centro giovanile Fly) e coordinata insieme a Peter Holzknecht (centro giovanile e culturale Bunker) e Francesca Cantele (Hospiz). 

“Peripherica” si concentra sulla città satellite di Laives e sui suoi dintorni comprendendo l’intero bacino d’utenza periferico a sud di Bolzano. 

L’obiettivo è quello di creare un’immagine non convenzionale dell’Alto Adige, lontana dal verde dei prati alpini, dai laghi turchesi, dalle colline ondulate e dalle pareti calcaree verticali. 

Otto artisti visivi utilizzano varie forme espressive come la fotografia, la pittura, il disegno, il video, il suono, l’installazione e la letteratura ed esplorano nelle loro opere lo spazio abitativo suburbano. I visitatori possono aspettarsi una performance, un’installazione sonora e una lettura che completeranno l’esperienza dell’esibizione in modo speciale.

Il finissage avrà luogo il 23 novembre, giorno in cui sarà possibile vivere la mostra un’ultima volta. Si aprirà con una passeggiata urbana ad anello intorno alla galleria e si concluderà con un evento di serigrafia dal vivo. Quest’ultimo evento produrrà dei souvenir che i visitatori potranno  portare con loro come ricordo. Nella serata dello stesso giorno, il collettivo “Urbanospective”, proporrà una serata di musica elettronica nel centro giovanile Fly, situato di fronte: qui, arte, musica e comunità si fonderanno insieme. La mostra “Peripherica” promette dunque un esame multistrato e sfaccettato dei cambiamenti dinamici e delle sfide dello spazio suburbano di Laives e dintorni. Il tema sarà presentato e interpretato in modi diversi, particolari, non certo consueti. Tutti gli interessati all’arte e i visitatori curiosi sono caldamente benvenuti ad intraprendere questo viaggio artistico di scoperta. Per farlo, possono recarsi alla sala espositiva di via Pietralba 29 il mercoledì ed il venerdì dalle ore 16 alle 19, ed il sabato dalle ore 10 alle 12 e dalle ore 16 alle 19. L’entrata è libera.

Ecco i nomi degli artisti che prendono parte alla esposizione “Peripherica”:
Moritz Brunner (serigrafia – pittura di paesaggio);
Francesca Cantele – Sir Gulliver (installazione video interattiva);
Peter “Kompripiotr” Holzknecht (viaggio audio interattivo);
Silvestro Geier (pittura);
Sophie Morelli (fotografia);
Max Silbernagl (letteratura);
Jörg Zemmler (installazione letteraria).

Autore: Luca Masiello

Davide e le acrobazie in monopattino

Davide Marasca, diciannovenne di Bolzano, è uno dei rider emergenti nel monopattino freestyle. Sebbene abbia iniziato a praticare questo sport solo a quattordici anni, in poco tempo è riuscito a farsi notare, partecipando ai Campionati Mondiali di monopattino freestyle a Roma nel settembre 2024. Con una passione in continua crescita, Davide sta portando il nome di Bolzano sulla scena internazionale.

L’avventura di Davide nel monopattino freestyle è iniziata quasi per caso. “Ho visto alcuni ragazzi fare acrobazie nello skatepark di Bolzano e ho deciso di provarci anch’io”, racconta. Quella che inizialmente era una curiosità è diventata una vera passione. Partecipare alle prime gare locali è stato il suo primo passo, ma è stato con competizioni più impegnative che ha davvero iniziato a mettersi alla prova.

Oggi Davide si allena regolarmente allo skatepark di Bolzano, il suo punto di riferimento per allenamenti e sfide con altri rider. Le sue sessioni durano dalle due alle tre ore, durante le quali si concentra sul perfezionamento dei trick e sul miglioramento della tecnica. “Mi alleno duramente per migliorare la mia tecnica e superare i miei limiti. Lo skatepark è il posto dove posso davvero esprimermi”, afferma.

Settembre 2024 è stato un mese cruciale per Davide, che ha partecipato ai Campionati Mondiali di monopattino freestyle a Roma. Nonostante non sia riuscito a salire sul podio, l’esperienza è stata fondamentale. “Confrontarsi con i migliori rider del mondo è stato un sogno che si è avverato. Anche se non ho vinto, ho imparato tantissimo e mi ha dato la spinta per migliorare ancora di più”, dice con entusiasmo.

Nel monopattino freestyle, la concentrazione è essenziale. Ogni errore può compromettere l’intera performance, quindi la capacità di mantenere calma e focalizzarsi sui trick è fondamentale. Il “Barspin”, una rotazione del monopattino a trecentosessanta gradi durante un salto, è uno dei trick più complessi e appaganti per Davide. “Quando riesco a fare un Barspin perfetto, mi sento soddisfatto del mio progresso”, racconta con un sorriso.

Davide Marasca ha le idee chiare sul suo futuro nel monopattino freestyle. Il suo obiettivo principale è partecipare a competizioni internazionali e conquistare un posto sul podio dei Campionati Mondiali. Oltre alla carriera agonistica, Davide aspira a entrare nel mondo del marketing sportivo, con l’intenzione di collaborare con marchi di monopattini per contribuire alla crescita di questo sport che tanto ama.

Per lui, il monopattino freestyle è molto più di un semplice sport: è una forma di espressione personale e creativa. Ogni acrobazia rappresenta una sfida contro sé stesso, e ogni trick che riesce a eseguire con successo è una conquista tecnica e emotiva.

Anche se Bolzano non è ancora un punto di riferimento per il monopattino freestyle in Italia, Davide è ottimista riguardo al futuro. Lo skatepark della città è già un ottimo punto di partenza, ma crede che ci sia un grande potenziale per far crescere questo sport anche in città. Il suo sogno è coinvolgere sempre più giovani e contribuire a dare maggiore visibilità al freestyle a Bolzano, con l’obiettivo di fare della città un centro di riferimento per gli appassionati di monopattino.

Con talento, determinazione e una visione chiara del futuro, Davide Marasca ha tutte le carte in regola per diventare una delle stelle del monopattino freestyle. Il suo percorso è appena iniziato e, con i suoi sogni e la sua passione, la strada verso il successo è senz’altro segnata.

Autore: Niccolò Dametto

Volontari cercansi per aiutare i neogenitori

Un aiuto concreto ai neo genitori, una sostegno concreto alle famiglie nei l primo periodo dopo la nascita del bimbo: si chiama “Una mano nei primi 1000 giorni”, ed è un progetto dell’associazione il Melograno, che però è alla ricerca di volontari.

L’antico proverbio africano per cui “per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio” racchiude una grande verità, tanto più evidente quando invece, nella società moderna, le famiglie si ritrovano completamente sole di fronte al grande impegno di crescere un figlio.

In Alto Adige sono partiti negli anni passati alcuni progetti di sostegno concreto alle famiglie in questo senso, ma finora nessuno nel territorio di Laives, Bronzolo e Vadena. È quindi con grande aspettativa che viene accolto il progetto “Una mano nei primi 1000 giorni” del Melograno – Centro Informazione maternità e nascita – che proprio in questo periodo ha lanciato la campagna di ricerca di volontari. Ne abbiamo parlato con Daniela Radicchi, operatrice del Melograno e da quasi quattro anni volontaria dello stesso.

Daniela, in cosa consiste questo progetto? 

Si tratta di un progetto in stretta collaborazione con il distretto sanitario operante sul territorio di Laives, Bronzolo e Vadena e sostenuto dall’Ufficio famiglia della Provincia che, in sostanza, mira a fornire assistenza pratica e quotidiana alle famiglie con bambini fino ai 3 anni di età, attraverso gruppi di volontari e volontarie appositamente formati.

Qual è il tuo ruolo in questo progetto? 

Come operatrice del Melograno mi occuperò della coordinazione tra i volontari, il Centro, il distretto e le famiglie.

Quindi in pratica come funziona? 

In pratica, la famiglia che ha bisogno contatta il distretto, oppure è il distretto stesso, che magari segue già la famiglia per altre necessità, a fare la proposta, e mi contatta spiegandomi i bisogni di quella particolare famiglia. A quel punto io mi occupo di cercare tra i volontari la persona che possa prendersi cura delle esigenze di quella famiglia. Poi, dopo 3 mesi, facciamo una valutazione per capire se la famiglia ha ancora delle necessità o se il percorso si può concludere.

Che tipo di aiuto verrà dato dai volontari e, di conseguenza, che tipo di genitori/famiglie si rivolgono al progetto? 

Si tratta veramente di un aiuto pratico, che però non va confuso con un servizio di babysitting o di domestica. Si va dalla mamma straniera arrivata da poco nella comunità che cerca aiuto per integrarsi o anche solo per sapere dove può trovare determinati bisogni o servizi, al genitore bloccato magari da un infortunio o una malattia che non sa come prendere e portare il figlio all’asilo o, ancora, anche solo fare compagnia a una neomamma che cerca un po’ di conforto in una chiacchierata. Si tratta di compiti semplici e soprattutto, come detto, pratici per cui i volontari non devono avere una formazione specifica nel settore della cura e della salute ma semplicemente seguire una piccola formazione che fornisce il Melograno oltre – naturalmente – a possedere empatia, attitudine all’ascolto e, non da ultimo, tempo sufficiente a disposizione con il desiderio di donarlo agli altri. Il primo appuntamento di formazione sarà il 29 novembre e, al momento, le persone che si sono offerte volontarie sono tre, ma contiamo di ricevere altre chiamate.

Quindi, chi volesse proporsi volontario o almeno ricevere informazioni in merito, cosa deve fare? 

Può contattare direttamente me al numero 339 8186197 o inviare una mail a: info@melogranoaltoadige.org. Speriamo che i volontari siano numerosi, proprio per provare a riportare in vita una rete di sostegno e aiuto che ricordi un po’ quella che c’era nelle comunità di un tempo.

Autrice: Raffaella Trimarchi

Prisca, la “mamma” del mercatino

La settimana scorsa si è registrato in incredibile boom di iscritti alle vendite e di compratori da ogni angolo della regione, per l’edizione invernale dell’ormai famoso e attesissimo “Mercatino delle Mamme” di Laives, un evento nato solo due anni fa dalla fantasia di Prisca Schievenin, che ci parla della genesi di questa fortunata iniziativa.

È un mercatino dell’usato dedicato agli articoli per bambini e ragazzi, ma è ormai conosciuto ovunque come il “Mercatino delle Mamme”. Già, perché quello che ormai va in scena regolarmente due volte l’anno negli spazi del Centro Don Bosco di Laives è un mercatino che soprattutto nasce dall’idea di una mamma. 
Ed è proprio a lei, Prisca Schievenin, che abbiamo voluto fare qualche domanda per saperne di più di quello che è ormai a tutti gli effetti uno degli appuntamenti più attesi dalle famiglie nel calendario laivesotto.

Prisca, innanzitutto: come è andata l’ultima edizione, che si è svolta nel week end del 12 e 13 ottobre appena trascorsi, dedicata in particolare agli articoli per l’inverno?

È stato un successone, con ben 180 iscritti alle vendite e addirittura una lista d’attesa per ottenere uno spazio. E, al sabato, perfino alla cassa si è formata una fila costante. Il fatto che più ci ha stupiti e soddisfatti, però, è stata la provenienza dei compratori: sono arrivati acquirenti da Renon, Val d’Ega, Merano, e addirittura da Vipiteno e Trento.

Si tratta di un successo che, a distanza di due anni dalla prima edizione targata ottobre 2022, forse nemmeno lei e gli altri collaboratori si aspettavano. Ma da dove è partita l’idea di questo fortunato mercatino? 

A dire il vero io frequentavo da anni altri mercatini, come quello di Ora, per esempio. E a un certo punto ho pensato: ma perché non provarci a Laives? Così un giorno ne ho parlato con Giancarlo Schiavon, l’attuale presidente del Don Bosco, allora membro del direttivo, e lui ha da subito appoggiato l’idea. Così, grazie al patrocinio del Centro Don Bosco, abbiamo anche da subito ottenuto degli spazi adeguati al progetto. All’inizio le idee non erano molto chiare e infatti la prima edizione – che aveva comunque registrato un successo con 150 venditori – è stata una faticaccia, perché il mercatino durò tre giorni in cui i volontari, pochi, erano sempre gli stessi, senza possibilità di darsi il cambio. Inoltre avevo grandi idee, come la proposta di lasciare l’invenduto per fare beneficenza, ma senza tenere conto degli spazi che richiedeva stivare tutta quella merce ingombrante fino allo smaltimento. Ma l’esperienza è servita a capire dove migliorare, e infatti già dall’edizione successiva il cammino è stato in discesa.

Oggi c’è una folta schiera di collaboratori che permettono che tutto fili liscio: dal gruppo di uomini che si occupa di montare e smontare tavoli e stand, fino al banco del mercato di Bolzano che ad ogni edizione fornisce i supporti necessari a esporre la merce. E’ un team affiatato, che consente a Prisca e tutto il gruppo di valutare importanti progetti per il futuro.

Ogni volta cerchiamo di trovare spunti e migliorare. La nostra speranza è quella di poter rimanere a Laives, e nello specifico al Don Bosco, dove ci sentiamo a casa. Qui conosciamo gli spazi, le persone, e questo ci consente di fare progetti di miglioramento.

Quali sono questi progetti per l’edizione primavera – estate prevista per il week end del 29 e 30 marzo del prossimo anno?

In effetti sto cercando di mettere in piedi uno spazio sorvegliato da persone qualificate per poter lasciare i bambini a giocare e permettere ai genitori di fare shopping in tranquillità o di fare la fila alla cassa senza lo stress di bimbi annoiati dall’attesa. Questa idea spero di poterla concretizzare per la prossima edizione. E poi ci sono altre idee che ronzano in testa, come un mercatino dell’usato dedicato agli adulti, oppure solo ai costumi di carnevale. Insomma, carne al fuoco ce n’è, e l’interesse e la partecipazione delle persone ci stimola a portare avanti questi progetti.

Autrice: Raffaella Trimarchi

Johanna: una donna impegnata a fianco delle donne e dei minori

Johanna Herbst è nativa di Nova Ponente, ha studiato Legge a Trento e Innsbruck e nel 2004 ha aperto il suo studio legale a Egna. Con tenacia ha cercato e trovato la sua strada ed è riuscita ad affermarsi. Si batte per i diritti delle donne e dei minori, svolge anche attività di volontariato riguardanti i diritti delle donne, come ad esempio la consulenza legale per l’Ufficio Donne. 

Quando nacque in lei l’aspirazione di diventare avvocata?

In realtà, fin dall’inizio avevo un chiaro desiderio di studiare legge e, come molti altri, durante il percorso di studi avevo desiderato di diventare giudice. Dopo la laurea, però si conosce per la prima volta la realtà, cioè si inizia in piccolo, ci si rende conto che bisogna aspettare che vengano banditi i concorsi, ma nel frattempo si vuole/deve fare esperienza pratica e guadagnare allo stesso tempo. Così ho iniziato con un tirocinio presso un legale, poi ho insegnato diritto nelle classi quarta e quinta della scuola professionale Kaiserhof di Merano. Poi ho ricoperto l’incarico di giudice onorario presso il Tribunale di Bolzano, Sezione Distaccata di Merano, per poi rendermi conto col tempo che mi sentivo più a mio agio nella professione legale.  

Quale il caso che la scosse e la tenne in ansia?

I casi peggiori per me sono quelli che riguardano abusi e violenze. Di recente sono rimasta sconvolta dagli abusi sessuali su bambini minorenni da parte dei loro stessi zii e nonni, così come dagli abusi sui bambini da parte dei loro stessi genitori e parenti. In casi come questi, ci si interroga sulla specie umana.

Quando respirò per la prima volta il senso di aver contribuito a che giustizia fosse fatta?

È una domanda molto difficile e delicata, perché “avere ragione” e “ottenere la ragione” sono due aspetti diversi. Per esempio, posso avere ragione ma non ottenere giustizia perché non ci sono prove sufficienti. Il nostro sistema giuridico non ha nulla a che fare con la giustizia. Le leggi sono fatte dai politici. Esistono quindi principi, regole e norme giuridiche che devono essere attuate e applicate dal giudice secondo un ordine procedurale definito e nel modo già stabilito. In questo sistema, l’avvocato cerca di aiutare il cliente a realizzare le sue richieste scegliendo le opzioni migliori, spiegando il sistema e la legislazione e valutando i rischi e gli effetti collaterali. Ciò significa che, a prescindere dal fatto che si ritenga una cosa giusta o ingiusta, il senso di giustizia non gioca alcun ruolo nel procedimento. Così si impara rapidamente che l’atteggiamento idealistico nei confronti della giustizia con cui si è iniziato a studiare deve essere riconsiderato nella pratica.  Solo nel migliore dei casi si ha la sensazione di aver non solo vinto la causa, ma anche di aver assicurato la giustizia. 

Se non sbaglio lei ricopre un ruolo nel tribunale minorile… 

Un ruolo non è forse il termine giusto. Lavoro come curatrice speciale per i minori e sono iscritta in un apposito registro. Il curatore speciale può essere nominato dal Tribunale per i minori, ma anche dal Tribunale ordinario, quando il minore è in conflitto con i propri genitori o i suoi interessi non coincidono con quelli dei genitori. In altre parole, ogni volta che il minore ha bisogno di far sentire la propria voce e cioè di propria rappresentanza legale. Sono quindi, per così dire, l’avvocato del minore e rappresento solo il minore, indipendentemente da ciò che i genitori vogliono o non vogliono.

Come donna come si trova nel mondo dell’avvocatura altoatesina?

Nel frattempo, ho lavorato a lungo, sono stata accettata, integrata, e affermata. Con il passare degli anni, se non ti arrendi, trovi la tua strada e il tuo stile personale. Ma come donna, devi ancora superare più di un ostacolo, e aspettarti tempi di avviamento più lunghi. La parità di diritti non è ancora stata raggiunta.      

Come donna cosa vorrebbe fosse migliorato nel suo ambiente professionale?

Migliore compatibilità della professione con la vita familiare. Inoltre, le donne avvocato non possono sempre scegliere i settori in cui lavorare. In quanto donna, devi occuparti dei casi che ti vengono sottoposti o che ti vengono affidati e, a causa dei casi che devi trattare, cresci in una specializzazione. Ecco perché molte colleghe lavorano nel Diritto di famiglia, ad esempio, perché in quanto donna è più probabile che venga loro affidato questo settore. Se per esempio, come avvocato donna, volessi specializzarmi in Diritto societario, ma non riuscissi a trovare un impiego in uno studio legale e quindi diventassi una libera professionista senza però essere incaricata di trattare casi di questo tipo, non avrei scelta. Purtroppo in alcuni settori, i clienti credono ancora che un avvocato uomo possa gestire meglio il caso. Questi settori sono ancora dominati dagli uomini, cioè le grandi e importanti aziende sono ancora prevalentemente o esclusivamente gestite da maschi a livello decisionale, e per questo si rivolgono ad avvocati uomini. Secondo un recente studio commissionato dall’Ordine degli Avvocati di Bolzano, esistono ancora forti differenze di reddito. In media le donne avvocato guadagnano meno dei loro colleghi uomini. C’è ancora molto da fare.

Autrice: Rosanna Pruccoli

Melissa: “ecco cos’è l’emigrazione”

Questa è la storia di Melissa De la Caridad Rodriguez Ortiz, donna che è dovuta scappare da Cuba a ventitré anni con il piccolo bambino, verso l’Italia. Dalla Russia alla rotta Balcanica con il pensiero costante di dover portare suo figlio al sicuro e con la paura di non riuscire a sopravvivere, lasciando dietro di sé le persone care senza sapere se un giorno le potrà rivedere.

Quando si parla di emigrazione e immigrazione a livello di opinione pubblica spesso ci si ferma alle problematiche relative alla sicurezza e all’impossibilità di gestire questi flussi che diventano incontrollati nella maggior parte dei casi solo a causa di precise scelte (o non scelte) politiche.
Abbiamo dunque pensato che potesse essere interessante raccontare la storia vera di una giovane donna che lavora come badante in Alto Adige e che è arrivata qui in maniera a dir poco rocambolesca (e pericolosa) assieme a suo figlio di tre anni. Interessante è anche la sua provenienza: non si tratta né di Africa né di Medio Oriente, ma del Centro America.

L’INTERVISTA

Melissa, ci dice in breve la sua origine?
Sono di L’Avana. Io e mio figlio Adriano siamo in Italia da due anni. A Cuba mi sono laureata in infermieristica e lavoravo in terapia intensiva pediatrica. Qui invece, a causa di problemi di equiparazione dei titoli, faccio la badante.

Perché è scappata da Cuba?
A Cuba mancava quasi tutto, ma dopo la pandemia anche beni di prima necessità, come medicine e alimenti per i bambini che sono diventati introvabili. L’11 luglio 2021 le persone hanno iniziato a manifestare prendendo di mira tutto ciò che potesse far pressione sullo Stato. In ospedale sentivamo le persone che lanciavano i sassi alle finestre e sono iniziati ad arrivare molti bambini feriti. Il governo ha attuato una repressione violenta. Ho smesso di sentirmi sicura, ho iniziato a pensare a mio figlio che doveva crescere e, in novembre, ho deciso di andare via. Ho venduto tutto per comprare i biglietti aerei per la Russia: l’unico Paese per il quale non avremmo dovuto aspettare costosi visti. Sono partita con il mio allora marito e Adriano.

Com’è arrivata in Italia?
Ho viaggiato per sette mesi. Come detto la prima tappa è stata la Russia. Da lì abbiamo preso un aereo per la Serbia. In seguito siamo arrivati in Bosnia pagando 300€ a persona per un trasporto in barca. Arrivati lì, ci siamo spostati nella capitale Sarajevo, nel centro di accoglienza Ušival, che si trova sulla rotta Balcanica. Lì le persone sono state bravissime con noi. Poi abbiamo preso un bus per il confine croato da cui abbiamo continuato a piedi in montagna lungo la rotta che molti conoscono perché su di essa è stato creato il videogioco “The Game”. Mi ricordo benissimo, siamo partiti alle 23 e siamo arrivati alle 6 di mattina. Mio figlio per tutto quel tempo non ha potuto mangiare o bere ed era impaurito dal buio totale. Non potevamo farci vedere mentre attraversavamo il confine: c’erano i poliziotti con i cani. In Croazia un’associazione ha mandato un minivan per portarci in un hotel a Zagabria, dove ho dovuto richiedere Protezione Internazionale per poter restare. Per arrivare al confine sloveno abbiamo quindi preso un bus. Alle 18 abbiamo iniziato a camminare e abbiamo dormito in un bosco fino alle 6 del mattino. Sentivamo i lupi e vedevamo le impronte degli orsi. Avevamo molta paura. Abbiamo dormito in un buco con delle pietre appuntite sperando che avrebbero tenuto lontani gli animali. La mattina abbiamo iniziato a scendere da una collina. Era così ripida che scivolavamo e l’unico freno erano gli alberi. Il bambino mi preoccupava tantissimo, ma mi ripetevo che eravamo lì per il suo bene. In Slovenia eravamo finalmente nell’Unione Europea e allora abbiamo chiamato i poliziotti che ci hanno portato in un centro di accoglienza dove siamo rimasti in attesa di un documento per poter uscire. Una volta ottenuto il documento abbiamo raggiunto il confine italiano e mio fratello è venuto a prenderci per portarci a Bolzano. Mi ha fatto sentire benissimo vedere il confine italo-sloveno: c’era solo un binario, lo passavi ed eri arrivata.

Qual è stato il momento più difficile?
In Russia. È un Paese molto freddo, le persone sono denigranti e razziste. Un giorno mi è stato richiesto di pagare per dormire la notte: sono andata a un bancomat, ma al ritorno mi sono persa e mi si è spento il cellulare. Due poliziotti allora mi hanno fermata e chiesto cosa stessi facendo; non parlando la lingua ho risposto in spagnolo dicendo che mi ero persa. Allora loro hanno utilizzato il telefono per usare il traduttore e così ho potuto spiegare chi ero e che mi ero persa. Loro si sono messi a ridere e a prendermi in giro, si sono accesi una sigaretta e mi hanno ordinato di spogliarmi. La temperatura segnava -28°. Mi hanno anche fatto togliere le scarpe e mettere i piedi nella neve. È stata una delle esperienze più traumatiche della mia vita. Ma ora tutto è passato, mi sento meglio. Tutto ciò che sono riuscita a fare, anche da sola, mi rende orgogliosa: ho iniziato a lavorare, ho sempre lavorato senza sosta, ho trovato casa e mio figlio va a scuola.

Qual è stato il suo pensiero più costante?
Il mio pensiero più costante è stato se sarei arrivata e se sarei arrivata viva. Anche perché scendendo dalla collina in Slovenia ho visto alcune mamme che si buttavano con i figli e che quindi morivano. Con mio figlio sulle spalle vedevo questo e mi chiedevo se, invece, io ce l’avrei fatta.

L’accoglienza a Bolzano com’è stata?
Negli uffici dove sono dovuta andare non sono riuscita a ricevere tutte le informazioni necessarie e mi sono sentita emarginata. Nel centro di accoglienza i bagni non erano divisi e le persone aprivano la tenda quando mi lavavo, è stato traumatico. La Caritas invece mi ha aiutato tantissimo. Così come l’associazione GEA che quando sono stata vittima di violenza domestica mi ha fornito supporto psicologico, un appartamento e assistenza legale nel caso avessi voluto denunciare. Tra le persone “comuni” invece ho incontrato sia persone razziste che persone molto belle.

Suo figlio Andriano come ha vissuto tutte queste cose?
Adriano è stato bravissimo, ogni tanto mi chiedeva dove fossimo e quanto mancava alla destinazione, ma in generale non mi chiedeva niente di più di quanto non gli dessi. Aveva molta paura del buio, non mangiava e non beveva come avrebbe dovuto, io mi preoccupavo, ma lui mi abbracciava. Per tutta quella strada lui mi ha sempre abbracciato. Non so se gli sia rimasto qualcosa di indelebile nella sua memoria. La paura di stare da solo gli è passata, ma quella di dover “tornare lì in montagna” ancora torna. Ciò che mi ha fatto soffrire di più è stato fargli attraversare queste difficoltà, ma so che l’ho fatto per lui. Non avevo altra scelta.

Autrice: Anna Michelazzi

Un piano in più verso l’indipendenza

Se fossimo in Avvento sarebbe una bella storia di Natale. Ma in fondo quella casa a San Giacomo è sempre addobbata a festa, è un luogo dove l’amore tinge le pareti, e non solo. Sabato scorso se ne sono aggiunte altre, di pareti, nella sede dell’Associazione “Aias Laives – Archimede”. Stiamo parlando della casa (privata) di Nelda Bigolin e Paolo Kerschbaumer, una coppia che ha fatto dell’inclusione la propria missione di vita: il piano rialzato è stato ristrutturato in modo da poter costruire al piano superiore appartamenti destinati ad accogliere ragazzi diversamente abili.

C’era il pubblico delle grandi occasioni, al civico 159 di San Giacomo di Laives: le autorità, gli associati, tanti amici e i “padroni di casa”, i quattordici  ragazzi diversamente abili che rendono viva quella casa: “Qui nessuno sta con le mani in mano, i nostri ragazzi sono sempre impegnati. D’altronde sono una ex insegnante, non posso cambiare la mia natura”, spiega con il sorriso Nelda Bigolin. 

È lei che anni fa aveva ricevuto in eredità la metà di quello stabile. Ed è sempre lei che, assieme a suo marito Paolo Kerschbaumer, quattro anni fa ha deciso di rilevarne anche l’altra metà, ristrutturandolo a spese proprie con lo scopo di  utilizzarlo per quei nobili scopi. Sabato scorso, poi, c’è stata la festa per l’ulteriore miglioramento. 

Signora Nelda, la sede si sta decisamente evolvendo…

È un passo avanti verso il coronamento di un sogno, adesso abbiamo molti più spazi per il nostro progetto. Quello che abbiamo inaugurato sabato, poi, è bel salto di qualità per tutti noi. Abbiamo salutato la ristrutturazione del piano rialzato in previsione del risanamento di altri due piani: un piano più un attico destinati ad accogliere ragazzi che potranno convivere tutti assieme in camere grandi, tutte con bagno nell’ambito di quel progetto che chiamiamo il “dopo di noi”.

“Dopo di noi”?

Eh sì. Anche se speriamo tutti di poter restare il più possibile su questa Terra, prima o poi sia io che mio marito non ci saremo più, tutti i genitori di questi ragazzi non ci saranno più. Quindi dobbiamo pensare al loro futuro, ora che siamo ancora in vita. Nel ristrutturare questa casa che ha più di sessant’anni, mio marito ed io abbiamo utilizzato materiale di alta qualità perché abbiamo pensato che questi appartamenti dovranno durare almeno altri 35 – 40 anni, proprio per assicurare un tetto sopra la testa dei nostri giovani.

Quanti sono i vostri ragazzi?

In tutto ospitiamo 14 ragazzi, abbiamo 55 associati e contiamo su 15 volontari. 

Quindici volontari non sono pochi…

Invece purtroppo lo sono. E purtroppo mancano i giovani. La casa è grande, i progetti sono tanti, tutti improntati a guidare gli utenti al raggiungimento di una maggiore autonomia nella quotidianità, far raggiungere loro i primi passi verso una vita autonoma. C’è il laboratorio di pittura, il laboratorio di cavallo, abbiamo anche un pollaio, un orto e un campo di patate: nei giorni scorsi ne abbiamo raccolte ben 7 quintali, e le abbiamo vendute tutte. Ci stiamo dando da fare anche per cercare di autofinanziarci, come quando abbiamo fatto i biscotti di Natale. Il primo anno ne abbiamo fatti 20 chili  e sono andati a ruba, tanto che l’anno successivo ce ne hanno chiesti 30; l’anno scorso abbiamo ne abbiamo preparato 50 chili e per quest’anno ce ne hanno chiesti altri 80, ma non ce la facciamo, non possiamo accettare. È per questo che avremmo bisogno di volontari. Ma nessuno qui sta mai con le mani in mano, noi ci divertiamo: organizziamo una media di sei soggiorni all’anno, siamo stati a Firenze, Milano, Ferrara, in un agriturismo. Abbiamo fatto esperienze interessanti. Se qualcuno avesse intenzione di aggregarsi basta che visiti il sito www.archimedelaives.it

Ma non vi sentite stanchi, ogni tanto?

A volte sì: la casa è grande e a tratti difficile da gestire, le attività sono tante. Ma ce la facciamo, anche quando sembra tutto difficile: è il nostro progetto da sempre, la nostra passione. Non la sentiamo la fatica, perché – senza usare alcuna retorica – facciamo tutto volentieri, sentiamo che stiamo realizzando qualcosa di importante, e la soddisfazione di vedere la gioia negli occhi dei ragazzi ci ripaga di ogni sforzo.

Autore: Luca Masiello

Tombola e coccole per la festa dei nonni

Per la giornata del 2 ottobre, anche quest’anno l’oratorio Santiago ha dedicato una giornata a tutti i nonni, tra racconti, giochi e tante coccole.

Sono la colonna portante della famiglia, ancor più oggi rispetto a un tempo, visto che i genitori sono stretti tra le necessità dei figli e quella di portare a casa due stipendi. Veri serbatoi di esperienza, saggezza, racconti e memoria, sono i nonni a venire in soccorso.  E ai nonni il 2 ottobre – in occasione del ricordo liturgico degli angeli custodi nel calendario dei Santi cattolico, oltre che come festa istituita come ricorrenza civile con la legge n. 159 del 31 luglio 2005 – si dedica loro una giornata speciale. Anche quest’anno l’Oratorio Santiago di San Giacomo ha voluto proporre un pomeriggio – il successivo 3 ottobre – dedicato a loro e al loro rapporto con i nipoti e più in generale coi bambini. Appuntamento quindi presso la sala grande dell’oratorio, dove si sono ritrovati molti nonni del paese in compagnia dei loro nipoti e non solo. Anche per questa occasione è stato scelto un tema della giornata: mentre nel 2023 il tema è stato quello dei giochi di una volta, l’attenzione di quest’anno si è invece concentrata sulla scuola dei nostri nonni, tanto diversa da quella frequentata oggi dai nipoti. Moltissimi quindi sono stati gli aneddoti usciti dalla memoria dei nonni presenti, che hanno incuriosito e affascinato i bambini, in particolare i racconti di Nonna Pierina, che ha fatto rivivere nella fantasia dei bimbi presenti il ricordo della scuola di San Giacomo ai suoi tempi. Un racconto quanto mai attuale, in vista della consegna del nuovo edificio scolastico, con quello abbattuto che rimarrà ormai nella memoria di chi – appunto – lo ha vissuto nella propria infanzia. I bimbi hanno potuto anche toccare con mano questa scuola del passato, grazie al tavolo allestito con alcuni oggetti tanto familiari ai loro nonni. Durante la giornata, accompagnata dai volontari dell’Oratorio e da Don Walther, un momento che non poteva mancare e che ha appassionato grandi e piccoli, coi nipotini a dare supporto attivo ai nonni, è stata la consueta tombolata. Quindi massima concentrazione ai tavoli per non farsi scappare neppure un numero, ma il “premio” finale non è andato solo a qualcuno; dopo una bella merenda ancora condita dai racconti dei nonni, ognuno dei presenti ha infatti ricevuto la “marmellata di coccole”, un barattolo tutto fatto a mano dai bambini durante i laboratori pomeridiani, utilizzando thè, caramelle e teneri bigliettini, per addolcire anche le giornate meno belle dei nostri nonnetti.

La ricorrenza come altre spesso si tramuta in occasione commerciale, am invece all’Oratorio Santiago è sentita profondamentre come un modo per celebrare l’importanza dei nostri anziani, stretti in un mondo che corre alla velocità della luce rispetto ai loro ricordi ma che, proprio per questo, rende la loro presenza ancor più indispensabile per figli, nipoti e per la società tutta. Appuntamento quindi, sicuramente, al prossimo anno per continuare a celebrare la festa dei nonni.

Autrice: Raffaella Trimarchi

La grande danza e il teatro nella proposta di spettacolo in regione


INSERZIONE PUBBLICITARIA – La proposta del Circuito Danza del Trentino-Alto Adige curato dal Centro Servizi Culturali S. Chiara di Trento approda anche quest’anno in Alto Adige con un denso calendario di appuntamenti che partirà da Bolzano, tra il Teatro Cristallo e il Teatro Comunale, arrivando a toccare anche i comuni di Bressanone, Merano e Vipiteno.

Particolarmente ricca la proposta al Teatro Comunale di Bolzano, che vedrà in scena la Compagnia Zappalà Danza Après-midi d’un faune| Bolero| Le Sacre du printemps (12 novembre), la trilogia dell’estasi firmata da Roberto Zappalà, mentre il 22 novembre toccherà al Balletto di Milano con il Gran Gala del Balletto, un viaggio nel mondo della danza che spazia dai grandi classici al repertorio neoclassico della compagnia. A seguire, il 24 novembre (Teatro Studio-Teatro Comunale), spazio alla Compagnia Abbondanza/Bertoni, una tra le realtà più prolifiche del panorama italiano, con lo spettacolo Viro, mentre dal 28 novembre all’1 dicembre arriverà a Bolzano la Compagnia Opus Ballet con Sogno di una notte di mezza estate, una produzione che celebra William Shakespeare, racchiudendo musica classica, drammaturgia e danza contemporanea. Il 4 gennaio salirà sul palco del Comunale il Russian Classical Ballet con un classico del balletto come il Lago dei cigni (con le coreografie di Marius Petipa), che lascerà successivamente spazio a Silvia Gribaudi e alla MM Contemporary Dance Company e al loro Grand Jetè (18 gennaio), un progetto coreografico che esplora la fine come fonte di nuovi inizi. Il 25 febbraio andrà in scena C’era una volta Cenerentola, una delle produzioni di maggior successo firmate dal Balletto di Roma (con la coreografia di Fabrizio Monteverde), mentre il mese di marzo vedrà infine protagonista il Balletto dell’Opera Nazionale di Bucarest con il celebre balletto Romeo e Giulietta nella versione firmata da Renato Zanella (4 marzo). Ultimo appuntamento al Teatro Comunale, dal 27 al 30 marzo, con Assembly Hall, il nuovo lavoro di teatro-danza della compagnia canadese Kidd Pivot che esplora il bisogno umano di comunità e appartenenza, tra movimento e linguaggio, umorismo e creatività. E al Teatro Comunale di Gries, il 14 febbraio, ci sarà spazio anche per il lavoro del Balletto Civile dal titolo Davidson, liberamente tratto dalla sceneggiatura Il Padre Selvaggio di Pier Paolo Pasolini.

Dopo il successo della scorsa stagione, il Teatro Cristallo di Bolzano sarà grande protagonista anche quest’anno con titoli e coreografi di assoluto prestigio: ci sarà la Compagnia Naturalis Labor con una serata dedicata al celebre ballo argentino dal titolo Tango Gala (4 dicembre), il Balletto di Siena con un classico natalizio senza tempo come Lo Schiaccianoci (23 dicembre), RBR Gli illusionisti della Danza con lo spettacolo volto a sensibilizzare il rispetto per l’ambiente e incentrato sull’acqua H₂OMIX (19 febbraio), oltre a Solo Goldberg Variations, manifesto dell’arte coreografica di Virgilio Sieni (14 marzo), e a Amour, acide et noix il 19 marzo, spettacolo firmato dal coreografo canadese Daniel Léveillé che parla di solitudine ma anche e soprattutto dell’infinita tenerezza del tocco, della durezza della vita e del desiderio d evitare o fuggire da questi corpi, spesso così pesanti.

Ma la programmazione del Centro in Alto Adige non si limita a Bolzano e andrà a toccare i comuni di Bressanone, Vipiteno e Merano, con tre compagnie di caratura internazionale: la Evolution Dance Theater con Blu Infinito, la MM Contemporary Dance Company con Ballade, e il Balletto di Siena con The great pas de deux. 

La Stagione Regionale Contemporanea

Un’unica Stagione tra Bolzano e Trento

Parallela alla tradizionale stagione, si snoda da novembre a marzo la terza edizione della Stagione Regionale Contemporanea realizzata in collaborazione tra il Centro S. Chiara e il Teatro Stabile di Bolzano, con un ricco cartellone di spettacoli tra Trento e Bolzano. 

Tra i protagonisti in Stagione quest’anno è possibile trovare la compagnia ravennate ErosAntEros, Babilonia Teatri (vincitrice del Leone d’Argento alla Biennale di Venezia 2016), la Compagnia Abbondanza/Bertoni, i coreografi canadesi Clara Furey e Daniel Léveillé, i promettenti artisti italiani Leonardo Manzan e Rocco Placidi, la Compagnia Kepler- 452, i coreografi Aurora Bauzà e Pere Jou, e l’Ensemble Azione_Improvvisa, protagonista del debutto di “Nova Selva Sonora”, progetto che si avvale delle musiche di Mauro Lanza, Andrea Valle e Daniela Fantechi.

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