La grande danza e il teatro nella proposta di spettacolo in regione


INSERZIONE PUBBLICITARIA – La proposta del Circuito Danza del Trentino-Alto Adige curato dal Centro Servizi Culturali S. Chiara di Trento approda anche quest’anno in Alto Adige con un denso calendario di appuntamenti che partirà da Bolzano, tra il Teatro Cristallo e il Teatro Comunale, arrivando a toccare anche i comuni di Bressanone, Merano e Vipiteno.

Particolarmente ricca la proposta al Teatro Comunale di Bolzano, che vedrà in scena la Compagnia Zappalà Danza Après-midi d’un faune| Bolero| Le Sacre du printemps (12 novembre), la trilogia dell’estasi firmata da Roberto Zappalà, mentre il 22 novembre toccherà al Balletto di Milano con il Gran Gala del Balletto, un viaggio nel mondo della danza che spazia dai grandi classici al repertorio neoclassico della compagnia. A seguire, il 24 novembre (Teatro Studio-Teatro Comunale), spazio alla Compagnia Abbondanza/Bertoni, una tra le realtà più prolifiche del panorama italiano, con lo spettacolo Viro, mentre dal 28 novembre all’1 dicembre arriverà a Bolzano la Compagnia Opus Ballet con Sogno di una notte di mezza estate, una produzione che celebra William Shakespeare, racchiudendo musica classica, drammaturgia e danza contemporanea. Il 4 gennaio salirà sul palco del Comunale il Russian Classical Ballet con un classico del balletto come il Lago dei cigni (con le coreografie di Marius Petipa), che lascerà successivamente spazio a Silvia Gribaudi e alla MM Contemporary Dance Company e al loro Grand Jetè (18 gennaio), un progetto coreografico che esplora la fine come fonte di nuovi inizi. Il 25 febbraio andrà in scena C’era una volta Cenerentola, una delle produzioni di maggior successo firmate dal Balletto di Roma (con la coreografia di Fabrizio Monteverde), mentre il mese di marzo vedrà infine protagonista il Balletto dell’Opera Nazionale di Bucarest con il celebre balletto Romeo e Giulietta nella versione firmata da Renato Zanella (4 marzo). Ultimo appuntamento al Teatro Comunale, dal 27 al 30 marzo, con Assembly Hall, il nuovo lavoro di teatro-danza della compagnia canadese Kidd Pivot che esplora il bisogno umano di comunità e appartenenza, tra movimento e linguaggio, umorismo e creatività. E al Teatro Comunale di Gries, il 14 febbraio, ci sarà spazio anche per il lavoro del Balletto Civile dal titolo Davidson, liberamente tratto dalla sceneggiatura Il Padre Selvaggio di Pier Paolo Pasolini.

Dopo il successo della scorsa stagione, il Teatro Cristallo di Bolzano sarà grande protagonista anche quest’anno con titoli e coreografi di assoluto prestigio: ci sarà la Compagnia Naturalis Labor con una serata dedicata al celebre ballo argentino dal titolo Tango Gala (4 dicembre), il Balletto di Siena con un classico natalizio senza tempo come Lo Schiaccianoci (23 dicembre), RBR Gli illusionisti della Danza con lo spettacolo volto a sensibilizzare il rispetto per l’ambiente e incentrato sull’acqua H₂OMIX (19 febbraio), oltre a Solo Goldberg Variations, manifesto dell’arte coreografica di Virgilio Sieni (14 marzo), e a Amour, acide et noix il 19 marzo, spettacolo firmato dal coreografo canadese Daniel Léveillé che parla di solitudine ma anche e soprattutto dell’infinita tenerezza del tocco, della durezza della vita e del desiderio d evitare o fuggire da questi corpi, spesso così pesanti.

Ma la programmazione del Centro in Alto Adige non si limita a Bolzano e andrà a toccare i comuni di Bressanone, Vipiteno e Merano, con tre compagnie di caratura internazionale: la Evolution Dance Theater con Blu Infinito, la MM Contemporary Dance Company con Ballade, e il Balletto di Siena con The great pas de deux. 

La Stagione Regionale Contemporanea

Un’unica Stagione tra Bolzano e Trento

Parallela alla tradizionale stagione, si snoda da novembre a marzo la terza edizione della Stagione Regionale Contemporanea realizzata in collaborazione tra il Centro S. Chiara e il Teatro Stabile di Bolzano, con un ricco cartellone di spettacoli tra Trento e Bolzano. 

Tra i protagonisti in Stagione quest’anno è possibile trovare la compagnia ravennate ErosAntEros, Babilonia Teatri (vincitrice del Leone d’Argento alla Biennale di Venezia 2016), la Compagnia Abbondanza/Bertoni, i coreografi canadesi Clara Furey e Daniel Léveillé, i promettenti artisti italiani Leonardo Manzan e Rocco Placidi, la Compagnia Kepler- 452, i coreografi Aurora Bauzà e Pere Jou, e l’Ensemble Azione_Improvvisa, protagonista del debutto di “Nova Selva Sonora”, progetto che si avvale delle musiche di Mauro Lanza, Andrea Valle e Daniela Fantechi.

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Una casa di quartiere per ridare vita alla comunità

Kae Sordi, coordinatrice del progetto di sviluppo di comunità di Maso della Pieve di OfficineVispa, riflette sulle problematiche attuali del rione in cui lavora e racconta le iniziative prese dalla cooperativa sociale per affrontarle.

Qual è la tua professione? 

Lavoro in OfficineVispa da dieci anni, coordino la casa di quartiere che offre un servizio di sviluppo di comunità. Seguo inoltre il progetto Liscià: donne che raccontano donne supportato dall’Ufficio Pari Opportunità della Provincia Autonoma di Bolzano e dall’Ufficio famiglie, donne e gioventù del Comune di Bolzano in cui vengono affrontate tematiche di genere. Oltre a questo mi occupo di orto terapia da libera professionista.

Quali sono le principali problematiche del rione Maso della Pieve? 

Le principali problematicità sono la mancanza di spazi pubblici per la socialità, come lo possono essere una piazza o un parco giochi, e dei punti di riferimento per giovani e famiglie come un consultorio. Oltrisarco è l’unico quartiere senza un consultorio familiare e ciò crea problemi a un nucleo familiare o a una persona giovane che vuole fare una visita gratuita o chiedere un aiuto. A questo si aggiunge la mancanza di un centro giovani nel rione. Su Oltrisarco abbiamo L’Orizzonte, su Aslago abbiamo il Bunker e la zona di Maso invece rimane scoperta. 

Queste problematiche come vengono affrontate ad oggi?

Diversi partiti hanno mostrato interesse e hanno iniziato a riflettere su questi problemi e sulle loro eventuali soluzioni. Penso che anche questa intervista possa essere uno spunto di riflessione per la nuova amministrazione che si è già dimostrata interessata ad aprire un dialogo e a riflettere su questi temi.

La comunità, invece, come le affronta? 

Le persone si spostano; le giovani famiglie, di solito, scelgono i parchi gioco di San Giacomo che sono i più vicini. Nel caso dei consultori ci si sposta in altri quartieri della città. I giovani, non avendo luoghi di socializzazione nel rione, prediligono spazi commerciali come il Twenty come luogo di ritrovo.

La casa di quartiere che cos’è? E come funziona? 

È un luogo dove le persone possono avvicinarsi per partecipare alle attività che proponiamo o per proporne a loro volta. Le attività sono principalmente di socializzazione e partecipazione attiva della cittadinanza e hanno come obiettivo primario la costruzione di un welfare. La casa vuole essere uno spazio della comunità per la comunità.

Quali sono i valori alla base delle vostre attività? 

La partecipazione diretta e l’accessibilità. Vogliamo che gli spazi siano accessibili economicamente e liberi da discriminazioni, e il lavoro comunitario si svolge sui beni comuni. 

Quali sono le attività principali che proporrete quest’anno? Come ci si può iscrivere?

Abbiamo uno spazio per genitori con figli adolescenti con una psicoterapeuta e un formatore, che offre supporto alla genitorialità. Abbiamo in partenza anche corsi di cucito, meditazione, ballo di gruppo e tanti altri come, ad esempio, uno spazio per bambini e adolescenti in cui, incentrandosi sul gioco, si accompagnano i partecipanti in un percorso di aumento dell’autostima.

Le informazioni per iscriversi si possono trovare su Instagram sul profilo @vivimasodellapieve

Autrice: Anna Michelazzi

Melanie: una vita fatta di grandi passioni 

Dopo una formazione specialistica approfondita che l’ha portata a frequentare Università importanti con la Bocconi di Milano e la Berkeley di Saint Francisco, Melanie Aukenthaler ha preso nelle proprie mani l’azienda di famiglia ed è una affermata albergatrice. Appassionata di cultura e design è una mecenate generosa nel sostenere le arti visivi con la piattaforma per gli artisti Carte Blanche ma anche la letteratura e la musica. 

Oggi lei è una delle albergatrici più importanti del tessuto ricettivo meranese ma è anche mamma, ed è una curiosa e appassionata mecenate delle arti. Musica, letteratura e arte visiva attraggono la sua attenzione. Come concilia tutto questo?

E’ la passione il comune denominatore. La passione nell’essere mamma, la passione nel gestire l’attività imprenditoriale e la passione per l’arte. Grazie alla dedizione i miei progetti di vita convivono in equilibrio.

Quando nasce la decisione di portare avanti l’albergo fondato 60 anni fa dai suoi genitori?

La decisione di continuare la gestione dell’hotel è stata una naturale evoluzione del mio percorso professionale. Ho compreso e apprezzato la visione dei miei genitori sin dalla giovane età. 

Che tipo di studi aveva compiuto?

Ho studiato Economia Aziendale all’Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano. 

L’arrivo da tutto il mondo dei vostri clienti l’avrà costretta ad imparare le lingue, quali conosce, dove le ha studiate?

Sì, l’internazionalità dei nostri ospiti mi ha spinto ad apprendere diverse lingue. Oltre al tedesco e all’italiano, parlo anche francese e inglese. Ho acquisito queste competenze attraverso il liceo linguistico, soggiorni studio all’estero e una sessione universitaria alla Berkeley University di San Francisco.

Nel vostro albergo quali sono i suoi compiti?

Nel mio ruolo, sono responsabile della direzione strategica e della gestione dell’hotel. Questo include la supervisione delle operazioni quotidiane, la guida del nostro team, la pianificazione e l’attuazione di strategie di marketing, nonché la garanzia di un’esperienza ospite di alta qualità. 

L’albergo è un gioiello di design e architettura d’interno. Lei quindi è cresciuta nel bello, ha sempre amato questi arredi? Ha contribuito anche Lei alle scelte del nuovo allestimento della hall?

Sì, ho sempre avuto una grande passione per il design e l’estetica. La progettazione del nostro hotel è un processo continuo e ho partecipato attivamente alla selezione e all’implementazione dei nuovi concetti di design. Una ristrutturazione è una sfida entusiasmante che mi permette di esprimere la mia visione per creare un ambiente contemporaneo e allo stesso tempo elegante.

Oggi la sala rosa shocking che era sempre stata un gioiello si è notevolmente arricchita diventando lo scrigno adatto a conservare una parte dei sedili del teatro cittadino. Come vi è venuta questa splendida idea?

L’idea di trasformare la sala rosa shocking in uno scrigno per conservare parti dei sedili del teatro cittadino è nata dal nostro desiderio di collegare patrimonio culturale e architettura dell’hotel. Volevamo creare uno spazio che fosse esteticamente affascinante e funzionale, permettendo al tempo stesso di preservare e valorizzare il nostro patrimonio culturale in modo innovativo.

Come è nata la passione per l’arte e la decisione di favorirla a vari livelli e anche con la piattaforma Carte Blanche?

La mia passione per l’arte è nata durante la mia gioventù, quando ho iniziato ad esplorare e ad apprezzare diverse forme artistiche. Questa passione si è approfondita nel tempo e mi ha spinta a sostenere l’arte in molti modi. La piattaforma Carte Blanche è un’estensione di questo impegno e ci consente di promuovere artisti emergenti, offrendo loro una piattaforma per presentare le loro opere a un pubblico più ampio.

Cosa muove la vostra famiglia a spendersi così tanto per sostenere e vivere la cultura?

La nostra famiglia considera il sostegno alla cultura come un investimento nel futuro. La cultura arricchisce le nostre vite e contribuisce allo sviluppo sociale e culturale della comunità. Crediamo che sia nostra responsabilità sostenere e promuovere iniziative culturali per creare una comunità vivace e creativa.

Autrice: Rosanna Pruccoli

(Beep!) Ci stanno prendendo per il (beep)!

C’era da aspettarselo, qualunque fosse il suo contenuto, una fiction ambientata in Alto Adige, soprattutto nel capoluogo, non poteva che destare critiche: critiche per i contenuti, per le gli svarioni della sceneggiatura, per l’immagine che ne esce di Bolzano. L’importante è che tutti possano dire la loro a proposito, a costo di uscirsene con svarioni ancor più grossolani di quelli inseriti nei dialoghi dello sceneggiato “Brennero”, trasmesso in queste settimane da Raiuno.

Inutile dire che i protagonisti di questi commenti provengono quasi tutti dal mondo politico, sembra che nessun cronista si sia preso la briga di andare ad ascoltare – badate bene, ascoltare, non sentire – cosa ne pensa la gente comune, chi si guarda una fiction per il puro piacere di guardarla, di apprezzarne le qualità o disprezzarne i difetti, ma dal punto di vista dell’esserne fuitore/fruitrice e non per cercarne ad ogni costo i punti deboli o le castronerie.

Beninteso, le castronerie non mancano, e sono anche gravi: a partire da quell’inspiegabile (e ripetuta) convinzione che in Alto Adige sia vietato l’uso della lingua tedesca, come se fossimo ancora nel triste ventennio fascista, fino all’incomprensibile capo dei pompieri di origine cosentina che di cognome fa Pedrotti!

Certo, si sa, gli sceneggiatori di fiction vengono pagati un tanto al chilo, ma un po’ di umiltà non guasterebbe, perché non fare rileggere i testi a qualcuno del luogo, giusto per evitare scivoloni del genere.

Del resto, come possiamo pensare di voler insegnare agli altri abitanti della penisola come funziona la nostra regione se siamo noi altoatesini a non sapere ancora bene chi siamo, ad avere la memoria corta sulla storia, recente o meno. La memoria è un cliente scomodo, ma non per questo va trascurato: i bolzanini di lingua tedesca tendevano a dar colpa ai fascisti (e agli italiani in generale) per il fatto di essere stati soggetti all’occupazione nazista tra il 1943 ed il 1945, dimenticando che se fossero rimasti austriaci nel 1918, sarebbero stati nazisti già nel 1938. Per non dire di un recente vicesindaco del capoluogo che dichiarò di preferir festeggiare l’8 settembre (più o meno la data in cui arrivarono i nazisti) piuttosto che il 25 aprile! Per altro non si può non notare come alcuni personaggi di lingua tedesca della fiction abbiano un aspetto da nazisti, tipo la poliziotta Lena Pilcher e il procuratore capo in pensione Gerhard Kofler (ahimè, omonimo del grande poeta bolzanino).

Tornando alla nostra fiction, è apprezzabile come si lasci guardare senza far venire sonno (un bel risultato vista la presenza di un attore sonnolento e dalle scarse doti come Matteo Martari). A chi si lamenta del fatto che l’immagine che ne esce sia di una Bolzano oscura e cupa diremo che così sono un po’ tutte le città del nord che diventano teatro di fiction televisiva (la Milano de “Il clandestino”, la Trieste de “La porta rossa” e Aosta nelle indagini di Rocco Schiavone, ma lì ci sono un attore superlativo e un autore notevole ad elevarne la qualità). Certo le fiction ambientate al Sud quanto a solarità hanno altre chance, anche quando sono tratte da romanzi meno di cassetta rispetto a quelli di Camilleri. A chi ravvisa similitudini tra il killer che uccide solo persone di lingua tedesca e il Florian Gamper faremo solo notare che la perizia psichiatrica sul mostro di Merano diceva che le sue vittime erano persone a cui lui invidiava la felicità, senza implicazioni etniche.

Se comunque qualcuno deve essere additato per le cose che non vanno nella fiction, questo qualcuno è la Film Commission altoatesina che concede allegramente i soldi pubblici senza verificare effettivamente cosa sta sovvenzionando. Non basta difendersi dicendo che il copione lo aveva letto anche la commissione della ripartizione culturale italiana della provincia, troppo comodo. Biasimo comunque anche alla commissione cultura se così fosse.

D’altra parte, proprio quella Film Commission, nel 2013 aveva finanziato “La migliore offerta”, pluripremiata pellicola diretta da Tornatore: ma tutto il film era girato in un magazzino della Bassa Atesina, l’unica ripresa esterna, l’ultima, era stata fatta in Veneto. Il ritorno d’immagine dov’era allora?

La risposta è una sola, ci hanno preso, e continueranno a prenderci per il beep(*).

(*) l’autore lascia ai singoli lettori l’onere di sostituire il beep con  la parola che più ritengono calzante.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Storia illustrata di Malala Yousafzai

Anna Forlati, illustratrice e docente di illustrazione, parla del libro per bambini scritto da Fulvia Degl’Innocenti e illustrato da lei in cui viene raccontata la storia di Malala Yousafzai. Il libro sarà presentato a Bolzano il 12 ottobre alle 11 presso la Nuova Libreria Cappelli.

Com’è nata la collaborazione con Degl’innocenti per il libro Io sono Adila? 

Questo è uno dei primissimi libri che ho realizzato. Fulvia ha proposto all’editrice Settenove, attenta alle questioni di genere, il libro in questione e la casa editrice ha contattato me per illustrarlo.

Perché avete individuato Malala Yousafzai come figura da raccontare?

In quel momento la figura di Malala era molto presente perchè aveva da poco vinto il Nobel; fortunatamente, nonostante gli anni, è rimasta un punto di riferimento per la questione di genere nel Medio Oriente. Inoltre per veicolare certe idee e problematiche non semplici ai bambini, alle scuole e ai genitori, a volte è più facile farlo attraverso figure già conosciute e Malala era perfetta.

Perché è stato scelto di raccontare Malala attraverso la vita di Adila? 

Non essendo l’autrice dò una mia interpretazione: credo che il fatto di vedere l’effetto sulla vita di qualcuno invece che raccontare la sua storia direttamente sia più interessante. Raccontare la vita di una bambina comune, normale e di come questa vita e coscienza siano state influenzate dalla figura di Malala crea un gioco di specchi utile a far immedesimare di più piuttosto che raccontare un personaggio facendolo rimanere lontano dalla nostra quotidianità.

La storia raccontata ha influenzato lo stile che hai scelto per illustrare il libro?

Io sono un’illustratrice che cambia spesso stile a secondo della storia. Nonostante una linea comune che si può notare nelle mie illustrazioni cambio stile e tecnica spesso. “Io sono Adila” ha una sua particolarità rispetto ad altri libri. Per questo ho cercato uno stile con forme semplici e una geometria più semplice, utilizzando anche sproporzioni e linee più pulite. Mi sembrava adatto a un pubblico di bambini più piccoli.

Perché un libro illustrato per bambini? 

Il libro è stato pensato per un pubblico di bambini di età prescolare e scolare. I bambini di questa età sono estremamente ricettivi e riescono a recepire anche problematiche che possono sembrare complesse. Trovo molto valida l’idea che si parli di questi temi a bambini piccoli, perché sono in grado capire quali sono temi forti e capirne il problema; a me sembra che sia quasi più l’adulto ad avere problemi a veicolare determinate tematiche piuttosto che il bambino a comprenderle. Sono assolutamente a favore di questo tipo di operazioni e penso che sia importante per i bambini sapere che ci sono questi problemi di genere.

Quali saranno i prossimi eventi in cui sarai o sarete presenti a presentare il libro?

Il libro è stato pubblicato nel 2015 e l’editoria ha una sindrome del consumo immediato per cui non vengono programmati eventi a distanza di troppi anni, ma so che, fortunatamente, ogni tanto questo libro rispunta e torna fuori anche nelle vetrine delle libri e in qualche evento. Il 12 ottobre avrò modo di parlarne.

Autrice: Anna Michelazzi

Boom di abbonamenti per la stagione 2024/25 del Teatro Stabile di Bolzano


Inserzione pubblicitaria – Giuliana De Sio, Paolo Fresu, Toni Servillo, Sergio Rubini, Valeria Solarino, Paolo Calabresi, Valerio Binasco, Marco Paolini, Filippo Dini, Pippo Delbono, Stefano Massini e Manuel Agnelli tra i protagonisti della nuova Stagione del Teatro Stabile Di Bolzano (Tsb).

“Intimità sociale”: la stagione 2024/2025 del TSB afferma l’importanza vitale del teatro come punto di riferimento della comunità. Il cartellone disegnato per il Teatro Comunale di Bolzano si compone di 13 appuntamenti con l’eccellenza del teatro che nascono dall’incontro tra testi e artisti/e di altissima caratura. Al pubblico bolzanino TSB offre l’occasione di assistere a spettacoli dal respiro internazionale che avranno per protagonisti Giuliana De Sio, Paolo Fresu, Toni Servillo, Sergio Rubini, Valeria Solarino, Paolo Calabresi, Valerio Binasco, Marco Paolini, Filippo Dini, Christian Meyer, Pippo Delbono, Stefano Massini, Marco Bernardi, Andrea Bernard e Manuel Agnelli. 

Ad aprire la stagione bolzanina dal 2 al 6 ottobre sarà l’anteprima di “Mein Kampf”, il nuovo spettacolo di Stefano Massini. A 100 anni dall’uscita del testo maledetto Massini guarda in faccia, senza remore, il delirio hitleriano, perché la conoscenza impedisca il ripetersi della Storia.

Dal 24 al 27 ottobre, Paolo Fresu è autore e interprete di “kind of Miles”, un omaggio a Miles Davis, artista mitico per antonomasia, che nasce dalle musiche composte dal fuoriclasse del jazz ed eseguite dal vivo assieme a musicisti di altissimo profilo: Bebo Ferra (chitarra elettrica), Dino Rubino (pianoforte e Fender Rhodes Eletric Piano), Marco Bardoscia (contrabbasso), Stefano Bagnoli (batteria), Filippo Vignato (trombone, multi-effetti elettronici, keyboard), Federico Malaman (basso elettrico) e Christian Meyer (batteria). La regia è curata da Andrea Bernard, bolzanino dalla carriera internazionale.

Dal 14 al 17 novembre Valerio Binasco porta in scena “Cose che so essere vere” di Andrew Bovell. La commedia – interpretata dallo stesso Binasco affiancato da Giuliana De Sio e da Fabrizio Costella, Giovanni Drago, Giordana Faggiano e Stefania Medri – racconta con coraggio i meccanismi familiari. 

Un altro spaccato crudele della famiglia e della società è “I parenti terribili”, l’opera teatrale più riuscita di Jean Cocteau. Dal 19 al 22 dicembre Filippo Dini dirige e interpreta questa commedia, confrontandosi con il grande drammaturgo francese assieme a Milvia Marigliano, Mariangela Granelli, Filippo Dini, Giulia Briata e Cosimo Grilli. 

Dal 5 all’8 dicembre Toni Servillo accompagna il pubblico nel reading “Tre modi per non morire” di Giuseppe Montesano, un viaggio teatrale attraverso tre momenti culminanti in cui alcuni poeti hanno messo in pratica l’arte di non morire e ci hanno insegnato a cercare la vita: Baudelaire, Dante e i Greci.

Dal 12 al 15 dicembre TSB ospiterà “Il Risveglio” nuovo spettacolo di e con Pippo Delbono, il talento più folle del teatro, apprezzato in tutto il mondo per i suoi spettacoli poetici e visionari, capaci di mescolare autobiografia e storia.

Sergio Rubini apre quindi il nuovo anno di teatro dal 9 al 12 gennaio come autore, regista e interprete de “Il caso Jekyll”. Assieme a Daniele Russo, Rubini dà vita a una lettura psicoanalitica del celebre romanzo “Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde” con cui Robert Louis Stevenson porta alla luce il doppio che alberga in ognuno di noi. 

Dal 30 gennaio al 2 febbraio Paolo Genovese firma la sua prima regia teatrale con l’adattamento di “Perfetti Sconosciuti” suo clamoroso successo cinematografico. Una commedia brillante sull’amicizia, interpretata da Dino Abbrescia, Marco Bonini, Paolo Calabresi, Massimo De Lorenzo, Lorenza Indovina e Valeria Solarino, nella quale quattro coppie di amici scopriranno di non conoscersi per nulla. 

Marco Paolini è poi il protagonista di “Darwin, Nevada” spettacolo scritto con Francesco Niccolini e Telmo Pievani, dedicato al Charles R. Darwin più segreto, scoperto nei taccuini della trasmutazione scritti tra il 1838 e il 1842. Lo spettacolo diretto dallo scozzese Matthew Lenton, è presentato dal 27 febbraio al 2 marzo. 

Dal 4 al 16 marzo Marco Bernardi torna alla regia con “Risveglio di primavera” testo di Franz Wedekind, emblema delle condizioni giovanili di ogni tempo. Questa nuova rilettura, è ispirata al pittore di Ostenda James Ensor con le sue maschere misteriose e grottesche, grande artista contemporaneo di Wedekind. A interpretare lo spettacolo sarà una compagnia capitanata da Patrizia Milani e composta da Giovanni Battaglia, Fabrizio Contri, Giovanna Rossi affiancati da Giacomo Albites Coen, Giovanni Cannata, Bianca Castanini, Pietro Landini, Sebastian Luque Herrera, Sara Manzoni, Max Meraner, Edoardo Rossi, Emma Francesca Savoldi e Giacomo Toccaceli. 

Dal 9 al 13 aprile giunge nella Stagione del TSB “Lazarus”, l’opera rock di David Bowie, il testamento creativo del musicista che, secondo la rivista Rolling Stone, è stata la più grande rock star di sempre. Un evento speciale, presentato per cinque recite che vede Valter Malosti firmare la regia e la versione italiana del testo e il rocker Manuel Agnelli nei panni del tormentato protagonista di quest’opera, ricca di numerosi brani storici di Bowie e altri scritti appositamente per l’occasione.

Anche quest’anno la stagione in abbonamento si impreziosisce di due appuntamenti con la danza contemporanea internazionale. Dal 28 novembre all’1 dicembre Opus Ballet presenta “Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare con le coreografie di Davide Bombana, mentre dal 27 al 30 marzo Kidd Pivot, compagnia canadese, punto di riferimento del teatro-danza, firma il suggestivo spettacolo “Assembly Hall”.

Parallela alla stagione in abbonamento, si snoda la terza edizione della Stagione Regionale Contemporanea realizzata in collaborazione con CSC. Il 19 novembre Bolzano ospita “Santa Giovanna dei Macelli” di Bertolt Brecht riletto dalla compagnia ravennate ErosAntEros confrontandosi con la band cult slovena LAIBACH e con un cast internazionale, composto da attori del teatro Sloveno e del Teatro Nazionale del Lussemburgo, nonché dagli interpreti italiani Danilo Nigrelli e da Agata Tomšič. 

Il 24 novembre la compagnia Abbonadanza/Bertoni porta poi in scena “Viro”, mentre il 16 aprile Jacopo Squizzato dirige e interpreta “Scandisk”, primo testo della trilogia teatrale Wordstar(s), composta da Vitaliano Trevisan. Questa tragicommedia di contemporanea umanità ha per protagonisti alcuni operai ed è interpretata, oltre che da Squizzato anche da Mauro Bernardi e Beppe Casales. 

ABBONAMENTI

Gli abbonamenti alla stagione sono in vendita fino al 26 ottobre presso le Casse del Teatro Comunale di Bolzano. 

I prezzi degli abbonamenti rimangono invariati rispetto alle passate stagioni e si confermano tra i più vantaggiosi del panorama italiano. I turni degli abbonamenti alla Stagione di Bolzano sono quattro. 

Turno A giovedì  ore 20.30; 

TURNO B venerdì ore 19; 

TURNO C sabato ore 19; 

TURNO D domenica ore 16. 

Vendita biglietti singoli per 

“Mein Kampf: dal 24 settembre.

Vendita biglietti per tutti gli spettacoli dal 22 ottobre.

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Lever: una vita per il basket


Il bolzanino Alessandro Lever gioca da qualche anno in A1 e lo scorso 18 febbraio ha vinto la Coppa Italia. Ripercorriamo con lui le origini del suo percorso e la strada che ha seguito per arrivare a diventare un giocatore professionista di pallacanestro.

// Di Till Antonio Mola

In questo numero torniamo a parlare di Alessandro Lever, giocatore di pallacanestro professionista,da poche settimane in forza alla Reyer Venezia.
Nato a Bolzano nel 1998, Alessandro e ha fatto tutta la trafila delle giovanili nella società Basket Piani; nel 2014 approda a Reggio Emilia nella Pallacanestro Reggiana dove, dopo aver disputato qualche campionato nelle giovanili, viene aggregato alla prima squadra, quindi in serie A, nel 2015.
Ma è nel 2017 che Alessandro compie il grande passo che lo porta a studiare negli Stati Uniti, precisamente a Phoenix in Arizona dove gioca per quattro anni nella squadra di basket della Grand Canyon University (GCU), arrivando a partecipare al torneo NCAA che decreta la migliore squadra statunitense di college basketball.
Finita quell’esperienza, il lungo bolzanino (208 cm) è tornato in serie A, dove ha giocato due anni a Trieste e l’ultimo a Napoli, con cui il 18 febbraio scorso ha conquistato la Coppa Italia battendo in finale la Olimpia Milano.

L’INTERVISTA

Alessandro, partiamo dalla conquista della Coppa Italia… 

È stata un’emozione bellissima. Diciamo che neanche noi all’inizio ci credevamo. Siamo entrati nella fase finale delle migliori otto per un pelo. Partivamo da una posizione svantaggiosa, perché vi siamo arrivati reduci da tre sconfitte. In una di queste, in casa, avevamo perso di venti punti giocando malissimo, quindi siamo andati alle finali per giocarcela contro tutti. Poi, dopo la prima partita, abbiamo preso il via e non ci siamo più fermati fino alla vittoria della Coppa Italia.

Sicuramente una grandissima soddisfazione. Anche in serie A vi siete salvati con largo anticipo… 

Ci siamo salvati giocando una seconda parte di stagione sicuramente non al nostro livello. Ma con la conquista della Coppa Italia è salita anche l’ambizione e ci sarebbe piaciuto arrivare ai playoff per giocarcela e per provare a portare a casa qualche vittoria.

Parliamo del tuo successo personale. Sicuramente l’hai raggiunto per gradi. Secondo te quanto è stata importante l’esperienza americana da un punto di vista sportivo?

Sicuramente mi ha permesso di fare un salto di qualità, perché mi ha catapultato nel mondo dei semi professionisti, provenendo comunque da una società di altissimo livello con le giovanili come la Pallacanestro Reggiana. Quindi quei quattro anni mi hanno aiutato a crescere e a prendere più fiducia nei miei mezzi e confidenza col gioco.

Oltretutto sei stato uno dei migliori realizzatori nella storia di GCU…

Sì, sono stato il terzo miglior realizzatore della storia. Diciamo che l’inizio è stato un po’ difficile perché giocavo poco e non bene. Quando l’allenatore mi ha messo in quintetto un paio di partite, è poi scattato qualcosa e sono riuscito a ripagare la fiducia giocando delle buone annate.

A inizio estate di quest’anno hai rescisso il contratto con Napoli e dopo qualche settimana c’è stato l’annuncio del tuo approdo alla Reyer Venezia. Cosa significa per te questa nuova sfida?

Sicuramente la Reyer Venezia punta ad essere tra le prime tre – quattro squadre del campionato. È un club di altissimo livello che partecipa ad una competizione importante come l’Euro Cup, la seconda competizione continentale dopo l’Eurolega. Vogliono far bene, vogliono vincere e sarà una sfida importante che mi permetterà di capire a che punto sono della mia crescita e di competere e giocare contro giocatori di altissimo livello.
Il mio obiettivo è di cercare di aiutare la squadra a vincere le partite, lottando su tutti i palloni.


Alessandro Lever proviene da una famiglia sportiva: la mamma, Annalisa Piccoli, ha giocato in Serie A2 nel Basket Club Bolzano, proveniente dal Montecchio Maggiore e dal vivaio della Primigi Vicenza, squadra campione d’Italia e d’Europa per molti anni. Il papà Franco ha attraversato tutte le categorie del Basket Piani, dove ha anche allenato a lungo. Suo padre, Donato, scomparso nel 2007, è stato uno dei fondatori e dirigenti della società. Anche la sorella di Alessandro, Anna, ha giocato a basket prima di passare alla pallavolo, arrivando a giocare in Serie B con il Neruda, fino a un infortunio che ha concluso la sua carriera sportiva.

Franco Lever, come sono stati gli esordi di Alessandro?

Alessandro ha iniziato a giocare a basket a sei anni. In palestra c’erano Paola Mazzali, Laura Lazzari e mamma Lisa ad allenare. L’anno dopo sono subentrato io, assistito da Matteo Moretti. Ho allenato la squadra fino al primo anno Under 13, poi sono subentrati prima Thomas Minati e poi Gianluca Russo.

Una figura fondamentale nel percorso di crescita di Alessandro a Bolzano è stato Franco Socin. Di tutti gli allenatori, è colui che continua ad informarsi e colui che nella pausa estiva gli dedica il suo tempo per allenamenti individualizzati. Si tratta sicuramente del più grande esperto di basket a Bolzano.

Il tuo papà, Donato – che purtroppo non è riuscito ad assistere all’esplosione, sportivamente parlando, di Alessandro – affermava che suo nipote, seppur alto, non aveva le qualità per ambire al basket che conta… 

La frase che gli attribuisci in realtà è la riformulazione di un concetto espresso da un fisioterapista che visitò Alessandro da piccolo, il quale affermò “È come se avesse il motore di una 500 e la stazza di un TIR.” Alessandro ha avuto uno sviluppo muscolare rallentato rispetto a quello scheletrico, ma in linea con l’età. Per questo motivo, per emergere ha dovuto lavorare molto sulla tecnica, in quanto la forza non bastava.

Oggi, guardando i risultati ottenuti da Alessandro, possiamo dire che quel “motore” ha dimostrato di avere la grinta e la determinazione per guidarlo fino ai vertici del basket che conta, superando ogni ostacolo con il lavoro e la passione.

Autore: Till Antonio Mola

Sola Rinfreschi, e i primi librai in città


Per decenni la famiglia Sola Rinfreschi ha gestito in città bancarelle e negozi di libri, riportando in Alto Adige la vocazione del paese d’origine, il luogo dove nacque – tra l’altro – anche il celebre premio letterario Bancarella. Ripercorriamo questa storia insieme a Lorenzo Sola Rinfreschi, bolzanino depositario di questa memoria. 

Com’è nata la presenza libraria della sua famiglia a Bolzano?

Il tutto è nato con una bancarella  e con mio nonno. Era un banco di libri e giornali e si trovava in vicolo Parrocchia. Stiamo parlando di quasi cent’anni fa, il 1926. Mio nonno era scappato da Padova dove era emigrato da Piacenza e prima ancora dal paese d’origine, ovvero Montereggio di Mulazzo, in provincia di Massa Carrara in Lunigiana. Mio nonno ha continuato questa sua attività in un periodo logicamente molto complicato, ovvero quello dell’inizio del governo fascista anche a Bolzano. Lui era un socialista e – cosa ancora più interessante – per un anno o due ha pubblicato a Bolzano una rivista bilingue che poi è stato costretto a chiudere, perché per i fascisti non era ammissibile l’utilizzo della lingua tedesca, e a maggior traduzione le traduzioni. 

Che tipo di rivista era?

Si occupava di attualità e ovviamente anche di cultura. Di questa rivista non ci è rimasta nemmeno una copia. La notizia, anzi, è scaturita da una ricerca sviluppata a Piacenza dall’università sulle famiglie di Montereggio. 

Il banchetto è rimasto tale o c’è stata un’evoluzione in un vero e proprio negozio?

Mio nonno successivamente dopo la guerra ha aperto un chiosco in piazza del Grano, che forse molti ricorderanno perché è rimasto lì fino a quando è stato chiuso da me. In ogni caso ad un certo punto mio nonno ebbe una paresi e quindi aprì un negozio di libri sotto casa, ovvero in Via Alto Adige (ndr lì lo vediamo ritratto nella foto qui sopra), nel palazzo tutt’ora in piedi all’incrocio con Via Garibaldi. Il chiosco comunque rimase aperto e lì ci lavorava mia zia, la sorella di mio padre. Nel 1969 al chiosco è quindi subentrato mio padre che precedentemente aveva lavorato come bidello in una scuola in Via Cadorna e successivamente alla biblioteca civica.  

Insomma: la passione per i libri scorreva nel sangue della vostra famiglia…

Proprio così! Mio padre dal 1960 al 1966 aveva inoltre aperto un altro chiosco a Ponte Talvera, proprio davanti all’ingresso della biblioteca civica all’inizio e successivamente dalla parte di Theiner. E io mi ricordo da piccolissimo che andavo lì e anche al mercato del sabato, dove la famiglia era presente con un banchetto di libri. 

Il negozio di libri di Via Alto Adige nel 1966 si trasferì in Via Museo, vero?

Sì, nella galleria del Moro che ora non c’è più e che si trovava a due passi dall’attuale museo archeologico. Lì c’erano altri negozi particolari: un negozio di musica e un altro di articoli militari. 

Vendevate sia libri nuovi che usati?

Mio nonno vendeva anche libri nuovi, mentre mio padre libri usati. Facevamo compravendita. E avevamo anche libri in lingua tedesca per i quali c’era un certo mercato e avevamo anche qualche libro d’antiquariato. Facevamo molta più fatica con i libri italiani. All’epoca Bolzano non era una città universitaria ed era frequentata poco anche dai turisti, quindi non era facile… C’era chi, anche in famiglia, diceva a mio padre che era stato pazzo a venire via dal Comune. Ma c’era di mezzo una grande passione…

Facciamo un ulteriore passo indietro. I genitori di suo padre non erano sposati e dunque suo nonno aveva un altro cognome, ovvero Rinfreschi. Prima di venire a Bolzano aveva avuto una casa editrice a Piacenza, seguendo le orme di altri compaesani emigrati dal paese d’origine in Lunigiana. Com’è nata la vocazione libraria di Montereggio di Mulazzo?

In origine i paesani avevano due tipi di attività. Erano boscaioli oppure commercianti ambulanti di pietre per affilare le lame. Ad un certo punto nella prima parte dell’800 ci fu una crisi economica e allora questi ambulanti cominciarono a incontrare i carbonari mazziniani e si diedero anche alla vendita, naturalmente clandestina, dei loro opuscoli. Da lì poi queste famiglie si sono stabilite in quasi tutto il nord Italia, fondando librerie, tipografie e qualcuno – appunto come il mio bisnonno Antonio, il padre di Lorenzo – anche case editrici. 

La memoria della vocazione libraria di Montereggio, ad un certo punto è stata riscoperta anche nel paese, vero?

Altroché, tant’è vero che proprio a Mulazzo nel 1953 è stato fondato il premio Bancarella, all’ombra della torre dei Malaspina dove abitò Dante Alighieri, dopo la fuga da Firenze. Mio nonno Lorenzo fu l’ispiratore del premio che poi venne trasferito nella vicina Pontremoli. Negli ultimi decenni anche a Montereggio sono iniziate le iniziative che hanno riportato alla memoria l’origine della vocazione libraria degli abitanti del paese, e molti loro discendenti hanno ripercorso a ritroso quei passi, riconnettendosi tra loro.

La storia delle bancarelle e delle librerie della famiglia Sola Rinfreschi a Bolzano verrà ripercorsa nell’ambito di un incontro pubblico al Teatro Cristallo di Via Dalmazia 30, che si svolgerà venerdì 22 novembre con inizio alle ore 18. La conferenza, ospitata dalla Sala Giuliani, vedrà la partecipazione di Lorenzo Sola Rinfreschi e Giacomo Maucci, curatore del libro ”La storia di Montereggio Paese dei librai”.

Autore: Luca Sticcotti

Con il beatbox la musicava a colpi di voce


Il beatbox è una disciplina artistica, nata alla fine degli anni ’70 a New York, che consiste nella capacità di riprodurre musica attraverso l’uso della voce. Si tratta di un fenomeno collegato alla cultura hip hop e che sta appassionando sempre più giovani. Matteo Pace, giovane bolzanino, è uno tra questi, più precisamente il migliore d’Italia nel 2024. Oggi andremo a scoprire assieme questa forma d’arte e a conoscere meglio la storia di Matteo.

Ci dici chi sei? 

Sono Matteo Pace, in arte Dynamatt, ho vent’anni e sono nato a Bisceglie in Puglia. Poco dopo mi sono trasferito a Bolzano e da allora vivo e lavoro qui. Il mio percorso scolastico è stato particolare, ho sempre saputo dentro di me che la mia strada sarebbe stata diversa da “scuola-diploma-lavoro” o “scuola-diploma-università” quindi decisi di abbandonare la scuola in quarta superiore, per concentrarmi sul beatbox. All’inizio accompagnavo la mia grande passione ad un lavoro a tempo pieno. Oggi mi occupo principalmente di spettacoli, lezioni private ed eventi in generale, e solo qualche giorno lavoro come dipendente. 

Come ti sei avvicinato al beatbox?

Mi sono avvicinato grazie ai talent shows in televisione. Solo tre anni fa guardavo con grande ammirazione video di beat boxer famosi come Moses e Amir, oggi posso esprimermi sui grandi palchi come loro.

Hai seguito lezioni?

No, tutto ciò che ho imparato è stato grazie a qualche video online messo assieme a tanta pratica. Mi alleno dalle tre alle sei ore al giorno, per imparare nuovi suoni e migliorare quelli che già conosco.

Il ricordo più bello legato al beatbox?

Il ricordo che ho più impresso è sicuramente la partecipazione al festival studentesco; , mi sono esibito davanti a migliaia e migliaia di persone, è stato davvero emozionante.

Che titoli hai vinto?

Per ora ho il titolo di campione italiano sia in singolo che in coppia (vinto quest’anno ai campionati italiani a Marghera) e il titolo di vicecampione italiano e internazionale nel 2023. Dopo il titolo italiano, sto avendo la possibilità di fare almeno un torneo al mese. 

Qual è il tuo cavallo di battaglia che non può mancare in un torneo?

Mio cavallo di battaglia sono le combo, quindi più suoni insieme, tanti fischi diversi in concomitanza a dei bassi, per creare un miscuglio di frequenze davvero impattante. 

Qual è la reazione delle persone che ti ascoltano per la prima volta?

Rimangono inizialmente stupiti, non credendo a ciò che stanno sentendo, poi iniziano ad apprezzare la musica e a ballare. Tutto ciò mi riempie il cuore di gioia. 

Tutti possono fare beatbox?

Tutti possono imparare a fare beatbox, ma tutti abbiamo allo stesso tempo una struttura vocale diversa. Quindi, certi suoni risulteranno più difficili per qualcuno e più facili per altri.

Il tuo prossimo obiettivo?

Far conoscere la magnifica arte del beatbox a più persone possibili, ispirando ragazzi e ragazze, e facendo sempre più spettacoli davanti a sempre più gente. 

Autore: Niccolò Dametto

Una vita da filologo romanzo


Il professor Mattia Cavagna, bolzanino, ma anche parigino e bruxellois, racconta come ha scoperto la filologia romanza, di come ne abbia fatto la sua professione e di come la sua vita si evolva all’insegna della ricerca e della scoperta. Di luoghi, di persone e di nuovi punti di vista.

Da dove nasce la tua passione per la filologia romanza?

Quando mi sono iscritto a lettere non avevo mai sentito il termine “filologia”, poi ho incontrato un professore con un approccio interessante: riusciva ad attualizzare delle problematiche di questa disciplina. Per me la storia di ognuno di noi è una storia d’incontri e con questo professore c’è stato un colpo di fulmine. La filologia è affascinante perché ti permette di analizzare manoscritti mai letti e di scoprire nuove cose; ti insegna inoltre ad attualizzare i problemi, ad esempio, riconoscere le fake news è filologia: è la distinzione tra la copia d’autore e quella del copista, cambia la terminologia, ma le problematiche restano le stesse.

Hai sempre avuto l’obiettivo di insegnare all’università?

Questa volontà è maturata molto presto, quando ho capito che la filologia romanza è una materia grezza in cui c’è moltissimo da scoprire ho compreso che era davvero quello che volevo fare. È stato interessante: mi sono appassionato all’antico francese — la tappa intermedia tra latino e francese moderno, tappa che manca all’italiano e spagnolo — e ho imparato prima quello del francese moderno.

Quanto è stato importante l’Erasmus nella tua carriera?

Importantissimo. L’Erasmus non è un viaggio, è un’esperienza in un’altra realtà che ti forma da moltissimi punti di vista. Lo dico sempre ai miei studenti: l’Erasmus è incontournable (non ci puoi girare attorno). Dopo l’Erasmus sono tornato in Italia a laurearmi, per poi ritornare subito a Parigi dove ho lavorato al Louvre, ho conseguito il Diplôme d’études approfondies, tappa intermedia tra la tesi di laurea e il dottorato che ho vinto a Bologna in cotutela con Parigi. Non sono più tornato in Italia per la differenza dello statuto dei dottorandi, ai miei tempi più considerati in Francia; ora insegno a Bruxelles all’Université catholique de Louvain e lì sono rimasto.

Hai mai pensato di tornare in Italia?

Non mi sono mai sentito esiliato: Bolzano è casa mia come lo sono Parigi e Bruxelles. Sono sempre in Italia. L’Universitas esiste: l’Erasmus c’è anche per gli insegnanti, vengo a insegnare almeno due volte a semestre in Italia, come, spesso, vado anche all’estero; sono stato in Brasile, in Vietnam e prossimamente andrò a Shanghai.

Qual è l’esperienza extraeuropea che ti è dato di più?

Quando esci dall’Europa sei obbligato a varcare i confini della tua ricerca, nel mio caso la filologia romanza stricto sensu, e devi adattarti al pubblico e alle sue istanze: sono nuove esperienze culturali e umane, ma anche scientifiche, ti lanciano nuove sfide con cui anche i tuoi corsi vengono arricchiti. In Brasile ad esempio ho incontrato persone meravigliose che leggono Cicerone attraverso Valla e Bruni e si interrogano sul ruolo dell’umanismo civico nel Rinascimento. Sono rimasto a bocca aperta. Lì ho incontrato persone di una grande umanità ed erudizione, gli studenti capiscono il valore profondo dei libri e dell’approfondire il più possibile.

Autrice: Anna Michelazzi