Siamo tutti stranieri?


In provincia di Bolzano parlare di stranieri non è mai stato né semplice né facile. Per riordinare un po’ le idee e metterci nei panni di coloro che ci hanno raggiunto di recente, per un motivo o per l’altro, abbiamo pensato di farci aiutare da un sociologo: Adel Jabbar.

Adel Jabbar è un appassionato di storia e geografia approdato alla sociologia per comprendere la dinamica dell’agire umano in rapporto allo spazio e al tempo. Questa passione lo ha condotto a fare ricerca nell’ambito dei processi migratori e della comunicazione interculturale. Libero docente e collaboratore di istituzioni accademiche nell’ambito del pluralismo culturale e religioso, ha insegnato in diversi atenei e ha partecipato a diverse ricerche e numerose pubblicazioni nell’ambito dell’immigrazione. Redattore della rivista “Il Cristallo” (BZ) è curatore di molteplici eventi cinematografici e artistico-letterari.

L’INTERVISTA

Spesso tendiamo a pensare socialmente all’Alto Adige come ad un unicum a livello mondiale. Questo come se nel resto del mondo i territori, a differenza che da noi, fossero tutti caratterizzati dalla presenza di un unico popolo e un’unica lingua. Siamo davvero unici? Siamo un’isola?

Ecco: partiamo da qui. Secondo me neanche un’isola è… isolata. è infatti accarezzata dall’acqua, dalle onde, dalle varie tempeste e dai venti. Poi basta che pensiamo a Robinson Crusoe di Defoe: l’isola è un vero e proprio mondo, fatto di tante cose, e poi lui incontra Venerdì; non è solo. Parlando dei movimenti migratori mi capita di fare riferimento spesso alla mia storia: io sono nato infatti a Baghdad, che oggi si trova in Iraq. Noi abbiamo sedimentato nella nostra percezione l’idea che molti eventi della storia più antica dell’uomo si siano svolti proprio lì in quella zona. Poi ci sono Adamo ed Eva, le prime due persone, entrambi migranti, extraterrestri. A ben vedere anche loro sono stati catapultati, da irregolari, nel giardino dell’Eden. Queste storie raccontano quello che è tipico delle specie viventi in grado di camminare, essere umani ma non solo. Siamo il prodotto di processi di trasformazione, di lunghi percorsi e – in definitiva – lunghissime camminate. Il fatto di viaggiare è rimasto nell’indole dell’essere umano, oggi lo facciamo per motivi turistici, di lavoro, di studio, di esplorazione. La nostra passione per cavalli, bici, moto, treni e aerei, auto sportive…, nasce da qui. La nostra indole è nel movimento. Se partiamo dall’idea che il movimento è la sostanza della storia e della nostra esistenza, dove sta allora la nostra famosa unicità?

In provincia di Bolzano da un certo punto di vista gli “italiani” vedono i “tedeschi” come “stranieri”, ma anche i sudtirolesi vedono gli “italiani” allo stesso modo. Poi “italiani” e “tedeschi”, insieme, vedono gli immigrati come “stranieri”. La stessa cosa naturalmente la fanno gli immigrati che – a loro modo e partendo dalla loro esperienza e provenienza – vedono “noi” come stranieri. In sostanza: in un modo o nell’altro qui siamo tutti stranieri…

Sì, e questo è un vantaggio perché in questo modo le persone continuano a interrogarsi. Questo atteggiamento naturalmente può portare sia ad un’apertura che a una chiusura nei confronti degli “altri”. Interrogarsi richiede energie, anche psichiche, in un processo che non tutti sono in grado di affrontare, guardando altri orizzonti e incontrando cambiamenti. Gli essere umani hanno bisogno anche di certezze, che sono legate alle abitudini. E lì nasce un problema esistenziale: da una parte c’è la necessità e il diritto (libertà) di cambiare, dall’altra le certezze da preservare.

Sì, e bisogna riuscire a trovare un equilibrio tra queste due dimensioni. E per fare questo ci vuole anche e soprattutto un lavoro pedagogico. Ma chi lo svolge?

La scuola? La politica? I vari attori e le varie agenzie nella società?

Una volta si parlava soprattutto della scuola e dei suoi educatori. Oggi non credo che sia più così. Una volta si pensava che la scuola avesse anche lo scopo di “formare”, ma anche delimitare lo spazio di manovra della mente. In ogni caso la scuola ha anche sempre fornito degli strumenti. Attraverso letture, conoscenze, una spinta a guardarsi intorno, la scuola è stata senz’altro un’agenzia di socializzazione fondamentale anche nel guidare la trasformazione della società. Ma oggi molte altre realtà competono con la scuola, da questo punto di vista.

In Alto Adige la scuola ha anche la caratteristica peculiare di essere monolingue, a fronte di una popolazione che nasce con due diverse madrelingue d’origine, ma che poi si vorrebbe tutta magicamente plurilingue.

Noi viviamo in un contesto che ha una storia particolare e dove da un certo punto di vista è legittimo che un gruppo che si sente fagocitato, cerchi di tutelare il proprio patrimonio linguistico e culturale. Ma anche qui è una questione di equilibrio tra le certezze da preservare e il cambiamento che è ineluttabile. Gli equilibri vanno mantenuti, ma anche prodotti, e devono comunque essere anche sempre “aggiustati”. Naturalmente in questo senso anche la politica gioca un ruolo fondamentale.

Come vivono gli stranieri in Alto Adige? è una terra amica dei migranti?

Per molti quella di emigrare è una necessità. E sto parlando di motivi di lavoro, non di profughi di guerra o esiliati. La maggior parte della migrazione oggi è spinta da necessità materiali. Si parla di migranti economici, ma spesso le motivazioni possono anche essere ambientali o legate ai diritti. Le motivazioni a volte sono molteplici e coincidono. Ma non tutti quelli che hanno un bisogno poi partono, sono solo alcuni quelli che lo fanno. Questi alcuni sono animati dal desiderio di affermarsi in qualche modo, si tratta di un bisogno personale. Vanno verso una “terra promessa”, ma che in realtà non è stata promessa a nessuno. Arrivare in una terra non promessa implica già in partenza la necessità di fare i conti con le proprie illusioni. La vita del migrante per motivi di lavoro non coincide quasi mai con le proprie aspettative. Quando un immigrato arriva in provincia di Bolzano trova un contesto in cui si parlano due lingue invece che una, entrambe necessarie per sopravvivere e accedere alle varie opportunità disponibili. Quando arrivano in Alto Adige gli immigrati devono rapportarsi con un’area di confine che ha una storia particolare e delle persone che hanno delle sensibilità che partono da memorie storiche diverse tra loro. Al migrante tocca vivere questo e non è mai facile. Dobbiamo ricordarci che, per un migrante, l’approdo non è mai la soluzione del problema, ma solo il primo passo. Di un lungo processo di interazione che possiamo chiamare in tanti modi: integrazione, inserimento, inclusione… Per molti aspetti si vivono rinvii e lunghe attese. E nell’emigrazione isolarsi a volte è anche una forma di protezione, rispetto all’esporsi in un tessuto sociale per il quale spesso non si hanno tutti gli strumenti necessarie per affrontarlo.

Sì. Ad essere vissute ci sono poi due diverse realtà, quella materiale e quella “affettiva”.

Sul piano materiale ovvero del mercato del lavoro direi che la maggior parte dei migranti in Alto Adige trovano una soluzione. Ma, appunto, si tratta solo di un tassello della vita. Per il resto le persone tendono a voler coltivare le certezze che hanno acquisito nel paese d’origine.

Stiamo parlando di un background culturale, della propria storia nel paese d’origine, di una lingua, una religione, aspetti che continuano tutti ad essere coltivatati in qualche modo, individualmente oppure in gruppo… magari annacquando un po’ la cosa con il passare degli anni.

è una dimensione affettiva appresa dalla famiglia e dal vicinato nel paese d’origine. Sono aspetti fondamentali per la vita delle persone che, tra l’altro, è difficile ricostruire in maniera solida nel nuovo luogo in cui si va a vivere. A volte agli immigrati una certa separazione è dunque necessaria, anche per riuscire a gestire il difficile rapporto con l’ignoto. Con il tempo poi la situazione cambia.

Cambia in che modo?

Si instaura un rapporto tra memoria e progetto. La memoria è relativa al bagaglio che si ha dentro, il progetto è invece quello che si deve costruire. C’è quindi un adattamento, che qualcuno chiama aggiustamento identitario. Preferisco non usare il sostantivo “identità”, perché è meglio focalizzarsi sulla strategia che viene messa in atto. L’aggiustamento avviene poi su diversi piani: lavoro, dimensione abitativa, riconoscimento sociale e culturale, ecc.

Probabilmente non siamo consapevoli di queste dinamiche che ogni immigrato in un modo o nell’altro deve attivare. Tendiamo magari invece a vedere solo l’aspetto religioso come preponderante. Da qui l’idea stereotipata dello straniero che in via esclusiva rivendica la sua religione e, magari, vuole anche imporcela…

Il discorso religioso a mio parere viene strumentalizzato. La religione oggi in Alto Adige non viene più vissuta così intensamente, ma questi temi sono ancora in grado di colpire le sensibilità. Se ci sono degli immigrati di religione cattolica, non è che questo li aiuti più di tanto a livello di riconoscimento sociale. E quando gli italiani a suo tempo sono emigrati in Germania non è che lì abbiano ricevuto chissà quale riconoscimento in quanto cattolici. La stessa cosa vale anche in Alto Adige. Qui entrambi i gruppi linguistici sono cattolici, ma questo ha aiutato nella costruzione della convivenza?

Eh già. All’interno della diocesi i due gruppi linguistici vivono divisi quasi al 100%, nella pratica dei riti e nella vita comunitaria.

In giro per il mondo ci sono un sacco di conflitti e spesso la religione non è determinante. Ad esempio oggi gli Ucraini, ortodossi, sono in guerra con i Russi, ortodossi pure loro. E pensare che a suo tempo l’evangelizzazione della Russia partì proprio da Kiev.

Il mondo musulmano viene visto come una cosa unica e in realtà ad essere sotto la lente sono soprattutto una serie di aspetti culturali: il ruolo della donna, una certa idea di famiglia…

I modelli si evolvono, sia nella terra d’origine che nella versione riveduta e corretta nella terra d’emigrazione. Io eviterei le generalizzazioni, perché non aiutano. I modelli di famiglia poi sono molto diversi tra loro, non solo tra le varie comunità che si richiamano all’Islam, ma anche all’interno delle stesse comunità. Il vissuto religioso di per sé è molto diverso tra Marocco e Bangladesh, Senegal e Iran, Afghanistan e Tunisia, Indonesia e Pakistan, solo per fare alcuni esempi. E la cosa vale anche per i cattolici. Tra un cattolico svizzero e uno dell’Uganda, tra uno del Brasile e un altro delle Filippine, ci sono grandi differenze, no? Le regioni poi vengono interpretate dalle singole persone. E le persone non sono clonate. Se fosse così noi a Bolzano saremmo tutti uguali, e invece… I riferimenti valoriali sono diversi e non per nulla c’è una dialettica, che spesso può anche generare contrapposizioni. Quando siamo partiti in questa conversazione il tema era la presunta unicità dell’Alto Adige. Io parlerei invece di specificità. Ecco: quella c’è senz’altro.

Qual è la nostra specificità?

Non siamo molto condizionati dalla concetto di stato/nazione e questo concetto è legato alla specificità di solo alcuni paesi occidentali. Ma in realtà se andiamo a vedere ad esempio la Francia, che noi tendiamo a vedere come uno degli stati più “compatti”, in realtà anche lì ci sono mille

sfumature legate ai territori d’oltremare e ai moltissimi cittadini che provengono dalle colonie.

Dal punto di vista politico gli immigrati quale realtà sentono più vicina?

Probabilmente le istituzioni territoriali più piccole. Tant’è vero che in consiglio comunale a Bolzano sono presenti ben quattro consiglieri con background migratorio. Non è una situazione frequente e tra l’altro nessuno di loro fa riferimento a partiti di sinistra, notoriamente molto più attivi sulle politiche pro immigrati.

Probabilmente hanno costruito il loro consenso anche e soprattutto attraverso i loro rapporti con i non immigrati.

Proprio così. E non dobbiamo dimenticare che anche nelle comunità d’origine ci sono diversi orientamenti politici, che gli immigrati portano con sé nella loro nuova realtà.


Luca Sticcotti

Rita Chiaromonte: l’impegno per la scuola anche oltre la scuola


Maria Rita Chiaromonte è stata insegnante, dirigente scolastica e ispettrice per l’integrazione. Ha collaborato al Nucleo operativo del Comitato di valutazione del sistema scolastico. Per l’Università di Bolzano è stata docente a contratto presso la Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario per l’insegnamento della Didattica Speciale. Dopo il pensionamento, in seno al Soroptimist International d’Italia, è tornata ad occuparsi di scuola e in particolare del dilagante problema del Bullismo e del Cyberbullismo, creando con altre esperte materiali che potessero essere di sostegno alle famiglie oltre che ai docenti.

Come siete arrivate a creare un gruppo di lavoro sul bullismo?

Il Soroptimist ha creato un gruppo di lavoro formato da soggetti della società civile: esperte del settore, psicoterapeute e psicologhe, funzionarie delle forze dell’ordine, genitori, magistrate, dirigenti scolastiche, docenti, studenti.

Il vostro gruppo di lavoro ha creato anche del materiale informativo?

Il Club Soroptimist International si è impegnato a realizzare un’agile guida intitolata Contro il Bullismo e i Cyberbullismo, rivolta essenzialmente a genitori e insegnanti. Nella seconda parte compaiono le domande dei genitori e le risposte delle psicoterapeute. Nella terza parte vi sono le testimonianze toccanti dei ragazzi vittime di bullismo.

Cosa è il bullismo?

Il bullismo è una forma di comportamento aggressivo e prepotente caratterizzato da intenzionalità, sistematicità e asimmetria di potere Il bullismo può essere fisico, verbale

o psicologico.

Che cos’è il cyberbullismo?

Il cyberbullismo o bullismo digitale è una forma di aggressività sociale molto pericolosa perché, sfruttando la tecnologia, internet e i social media può diventare più veloce, pervasiva, diffusa, distruttiva e anonima. Si giunge velocemente alla public shaming, che è l’umiliazione pubblica di un individuo.

Quali sono i ruoli nel bullismo?

Il bullismo è un fenomeno di gruppo e sei sono i ruoli identificati: il bullo/la bulla, l’aiutante del bullo, il sostenitore del bullo, la vittima, il difensore della vittima, l’esterno.

Il bullismo è un comportamento solo maschile?

Da sempre il bullismo è stato trasversale ai generi ma a partire dal 2019 il bullismo al femminile ha avuto un vistoso aumento.

La scuola può contrastare il bullismo e il cyberbullismo? Come interviene?

I doveri dei dirigenti scolastici e degli insegnanti – in quanto Pubblici Ufficiali – sono in primo luogo l’elaborazione e l’utilizzo del “Il Protocollo di prevenzione del bullismo e del cyberbullismo”, documento indispensabile che viene condiviso con i genitori. Molto importante è anche l’istituzione del Team Antibullismo costituito dal dirigente scolastico e dai referenti per il bullismo-cyberbullismo, dall’animatore digitale e da altre professionalità presenti all’interno della scuola (psicologo, pedagogista, operatori).

Se tali risorse non fossero sufficienti?

Il dirigente scolastico, l’insegnante, il genitore, l’educatore devono attivare senza ritardo le autorità competenti: i Servizi minorili, le Forze di Polizia e l’Autorità Giudiziaria attraverso: modalità quali la segnalazione, la denuncia, la querela, l’ammonimento.

Cosa si intende per segnalazione?

La segnalazione è un atto redatto da qualsiasi persona o istituzione che sia venuta a conoscenza di una situazione lesiva o pericolosa per la salute psichica o fisica di un minore con cui si comunica ai Servizi Sociali, a un Ufficiale di Polizia Giudiziaria o all’Autorità Giudiziaria una preoccupazione relativa alla situazione di pericolo per uno studente.

Cos’è la “denuncia”?

È la segnalazione obbligatoria con la quale il Pubblico Ufficiale rende noto all’Ufficiale di Polizia Giudiziaria o all’Autorità Giudiziaria un fatto che può costituire un reato perseguibile.

Cos’è la “querela”?

È uno strumento che prevede un “richiamo” da parte dell’Autorità di Pubblica Sicurezza all’autore di cyberbullismo. Si può presentare al Questore la richiesta di ammonire uno o più minori (di età compresa tra 14 e i 18 anni non compiuti), autori delle condotte sopracitate.

Il Cai di Bolzano, una sezione attiva piena di proposte


La sezione di Bolzano del Cai, noto per la sua lunga tradizione e le sue numerose attività, rappresenta un punto di riferimento per gli appassionati di montagna e cultura alpina. Abbiamo intervistato il suo presidente, Maurizio Veronese, per conoscerne meglio programmi e attività. Veronese ci offre una panoramica completa delle proposte escursionistiche, adatte sia ai principianti che agli esperti, e del significativo impegno del Cainel promuovere la cultura della montagna attraverso mostre, film, conferenze e incontri con autori.

Il Cai di Bolzano si è fatto conoscere per le sue attività culturali – il primo pensiero va alla mostra su Walter Bonatti, in collaborazione con il Museo della Montagna di Torino, lo scorso inverno alla Galleria Civica – ma l’attività principale restano le escursioni…

Assolutamente, si. Offriamo circa una quarantina di escursioni spalmate lungo tutto l’arco dell’anno da gennaio fino a fine ottobre, per cui ogni domenica o quasi – in inverno ne organizziamo una ogni 15 giorni, a seconda del tempo. Proponiamo uscite di un giorno oppure anche trekking di più giorni. Quindi il fenomeno dell’escursionismo per noi è molto importante. È una attività a cui partecipano moltissime persone, non ultimo in quanto i nostri titolati di escursionismo fanno delle proposte che sono obiettivamente interessanti.

La vostra proposta è indirizzata ad escursionisti principianti o a esperti?

Proponiamo sia escursioni “facili”, cioè con un dislivello minimo che può andare dai 300 ai 600 metri, ma anche escursioni per persone che vogliono camminare e impegnarsi, quindi dislivelli superiori ai 1000 metri nell’arco della giornata, per chi cerca una sfida particolare perché si sente predisposto per impegnarsi notevolmente nella salita e non ha paura di arrivare sulla cima. Abbiamo entrambe le proposte: i soci possono scegliere sul libretto (scaricabile anche dal sito internet del CaiBolzano, n.d.r.) le escursioni che ritengono più adatte alle proprie capacità e poi si iscrivono a quelle che preferiscono. A volte succede che proponiamo sia l’escursione difficile, che un percorso alternativo un po’ più semplice: si parte insieme e poi chi se la sente va sulla cima.

La nostra è una proposta forte, che cerchiamo di pubblicizzare anche sulla stampa locale.

Sui giornali spesso si legge della vostra attività culturale…

È un aspetto su cui puntiamo parecchio proprio per farci conoscere, ma anche per far capire che il Cainon è solo arrampicata, speleologia o escursionismo. Il Cai propone anche cultura, intesa come avvicinamento, conoscenza e rispetto della montagna. Sono valori che non trasmettiamo solo con le uscite, ma anche proponendo riflessioni a vario livello, quindi con delle mostre, con dei film, con delle conferenze e degli incontri con autori di libri.

A questo proposito mi preme ricordare che stiamo portando gli autori di libri nelle scuole, non ultimo grazie alla dottoressa Mirca Passarella (ex dirigente scolastica, n.d.r.) che è andata in pensione ed è venuta a darci una mano nella commissione cultura del Cai. Lei è molto stimata e devo dire che ci sta dando un grandissimo aiuto per portare gli autori di libri di montagna e di narrativa per ragazzi nelle scuole. Ciò permette di avviare una riflessione su cosa significa la montagna e su cos’è l’ambiente in generale. Perché uno dei punti forti del Cai, anche essendo associazione ambientalista riconosciuta, è quello di tenere molto alla cultura dell’ambiente.

Till Antonio Mola

Orienteering, in natura e in città

L’orienteering è uno sport che coniuga abilità fisiche e mentali, portando i partecipanti a misurarsi in ambienti naturali e urbani attraverso percorsi studiati nei minimi dettagli. Oggi ci immergiamo in questo mondo, esplorando le attività del Gruppo Orientisti di Bolzano con l’aiuto di Enrico Frego, tecnico federale ed esperto in questo campo. Per chi non conosce l’orienteering, il primo segnale distintivo sono le lanterne colorate disseminate lungo il percorso di gara.

L’INTERVISTA

Enrico Frego, cos’è l’orienteering? E come funziona?

L’orienteering è una disciplina che viene chiamata anche sport dei boschi perché si pratica all’aperto, prevalentemente nel bosco. è nata circa duecento anni fa in Scandinavia. In un certo senso è un gioco adatto a tutti, in cui si utilizzano una carta topografica – realizzata appositamente con segni convenzionali unificati in tutto il mondo – ed una bussola. Si può gareggiare individualmente o in squadra, transitando attraverso diversi punti di controllo posti sul territorio. Quando si raggiunge il punto di controllo, contrassegnato dalle lanterne, ci si registra con il proprio testimone. Vince chi impiega il tempo minore. In questo sport, però, non vince necessariamente il più veloce, ma chi è in grado di orientarsi più rapidamente o chi si organizza meglio, cioè chi fa le scelte di percorso migliori. Si divide in quattro discipline: corsa orientamento, mountain bike, e nella versione invernale, con sci da fondo. La corsa è la regina delle pratiche sportive dell’orientamento, con percorsi molto lunghi, medi e brevi. I percorsi brevi generalmente si tengono nei centri storici delle città. La quarta disciplina è il trail-O detto più semplicemente orientamento di precisione. è nata per dare spazio anche a disabili, ma è praticata insieme a persone normodotate, creando gare interessanti dove tutti sono posti sullo stesso livello; è riconosciuta dal Comitato Paralimpico. Le gare nelle quattro specialità si svolgono su tutto il territorio nazionale ed internazionale, creando un interessante binomio di sport e turismo.

Lei è anche un esperto nel posizionamento dei percorsi, giusto?

Sono tecnico abilitato alla creazione di percorsi agonistici, ma ho una grande propensione nella ideazione di percorsi a titolo divulgativo di questo meraviglioso sport.

Prima accennava al Comitato Paralimpico. L’orienteering è uno sport olimpico?

Questo è un progetto su cui si lavora molto anche grazie anche alle nuove tecnologie, (droni, gps, maxi schermi ecc.), ma ci  sono molte difficoltà logistiche, che rendono difficile l’intento..

Come GOB, Gruppo Orientisti Bolzano, siete molto noti per la vostra accoglienza e specializzazione nella divulgazione di questo sport. Cosa fate esattamente?

Pur essendo la squadra attiva più antica d’Italia, oggi siamo noti più per la nostra attività divulgativa, formativa e ludica che agonistica. Quest’anno, ad esempio, abbiamo coinvolto ragazzi e genitori organizzando dodici incontri utilizzando varie ”arene” bolzanine come il Parco Petrarca, le passeggiate del Guncina, Il Parco Firmian, il Bosco dei Bricconi, la Sport City a Bolzano. Ma ci siamo mossi anche nei dintorni come ad esempio al Colle o a Maso Ronco, ma anche al Grand Hotel di Dobbiaco per una due giorni di immersione nell’orientamento.

Parliamo degli appuntamenti nel centro storico di Bolzano.

Da anni proponiamo percorsi tematici in centro, che uniscono all’orientamento la possibilità di scoprire aspetti della nostra città. Si tratta di temi adatti a tutti, dai più piccoli ai “bambini” di 90 anni. La proposta spazia dalle piccole curiosità a temi legati all’ambiente, come il verde e l’acqua: ma può riguardare sconosciute “opere d’arte” fino a veri e propri percorsi didattico-artistici o storici, molto richiesti dalle numerose scuole che ogni anno raggiungono la nostra città per visitare Oetzi e che “giocando” prospettano una nuova divertente forma di visita ai propri insegnanti e scolari. I percorsi sono frutto di una minuziosa raccolta dati, effettuata ancora nel 2010 – insieme a oltre 2000 fotografie catalogate di particolari punti del centro storico – unitamente al continuo lavoro di aggiornamento della mappa, adattabili di volta in volta alle esigenze del richiedente di turno. I vari punti servono sì a scoprire parti sconosciute o quasi della nostra città, ma soprattutto a far riflettere e a far nascere domande in modo che il partecipante incuriosito possa in autonomia approfondire i temi proposti. Scopriamo spesso che altre realtà utilizzano le nostre mappe. Questo non ci infastidisce, anzi, ci fa piacere, ma gradiremmo che si citassero le fonti o, meglio ancora, che ci interpellassero direttamente, in modo da fornire loro materiale aggiornato. Quando prepariamo delle mappe per i bambini delle elementari, ci assicuriamo di predisporre percorsi sicuri, sempre in accordo con le loro maestre o maestri, evitando attraversamenti pedonali e cantieri. Tuttavia, c’è chi utilizza ancora mappe nostre di qualche anno fa, che segnano elementi architettonici della città, alcuni dei quali, a causa di lavori, non esistono più. Per questo preferiamo essere contattati, non solo per correggere le mappe, ma soprattutto per predisporle in modo tale da non perdere di vista lo scopo ultimo: migliorare la capacità di’orientamento, divertendosi.

Chi è interessato alla vostra attività dove può documentarsi? Come si entra in contatto con voi?

La cosa più facile per trovarci, almeno per chi ha Facebook, è seguire la pagina del Gruppo Orientisti Bolzano, dove pubblichiamo tutte le informazioni relative alle varie attività man mano che vengono svolte. Si può anche scrivere una mail al seguente indirizzo:
gob.bolzano@gmail.com

Autore: Till Antonio Mola

Merano vissuta da primo cittadino

Il sindaco di Merano Dario Del Medico si trova ormai oltre la metà della sua prima legislatura e traccia un bilancio del ruolo che non si aspettava di poter ricoprire ma che oggi vive serenamente, pur non nascondendo le tante difficoltà. Nel suo ufficio nel cuore della città Dal Medico ci ha parlato del futuro della città del Passirio, dei suoi problemi, dei grandi progetti che stanno trovando oggi una realizzazione e di quelli che ancora sono solo tratteggiati sulla carta.

Era l’ottobre del 2021 quando l’avvocato Dario Del Medico varcò per la prima volta il municipio con la fascia tricolore, e lo fece dopo essersi candidato con una lista civica totalmente slegata dai partiti tradizionali; una scelta che – numeri alla mano – venne premiata dagli elettori. Oggi a distanza di tre anni molto è cambiato, sia per lui che per la città.

Sindaco Del Medico, lei è stato eletto in una lista che si poneva oltre le divisioni ideologiche, e pare che questa scelta  si sia rivelata vincente. Qual è la situazione oggi, le sembra che questa spinta civica sia rimasta nei cuori dei cittadini?

Secondo me sì, anche perché gestire una città di queste dimensioni richiede soprattutto uno sforzo amministrativo, per cui non c’è il reale bisogno di un collegamento con la politica nazionale. Avevo accettato di correre per le Comunali, ritenevo la proposta un onore, e avevo detto fin da subito che avrei voluto essere un candidato indipendente fra le civiche. Poi, con mia grande sorpresa, i meranesi hanno deciso di votarmi, evidentemente premiando anche questa scelta, che ritengo vincente ancora oggi: non sono legato a nessuno, mi sento davvero super partes, e sono davvero a mio agio così. 

In questo suo mandato sono stati sciolti molti nodi cruciali dell’amministrazione cittadina. Fra questi la questione dell’areale militare, che potrebbe diventare parte integrante della città… 

Non è una questione semplice, e trovare una soluzione non sarà così agevole come potrebbe sembrare: sta passando piano piano nelle mani della Provincia, e poi potrà passare nelle mani del Comune. Il problema è che il Comune non ha le potenzialità economiche per poter pensare di acquistare quell’areale, perché – lo ricordo – non verrà ceduto a titolo gratuito. In merito però ci sono moltissime idee; un paio di anni fa abbiamo fatto un convegno sul tema, ed ora vorremmo organizzarne un altro per avere una visione più concreta su quello che potrebbe essere lo sviluppo di questa zona. Siamo però consapevoli che qualsiasi idea avrà bisogno di diversi lustri per vedere la luce, per cui dobbiamo essere molto elastici nella pianificazione, rispondendo alla domanda: quali saranno le esigenze della città fra 20 anni?

Ma quale sarebbe il suo sogno in merito?

Merano come centro secondo centro altoatesino non ha ancora un suo palazzetto dello sport: tutte le società sportive che militano tra le serie A di pallamano e altre Serie B e che fanno campionati nazionali, sono sempre dipendenti dalla disponibilità delle scuole, e sono quindi sempre ospiti. È un sogno, ma in realtà assieme alla Provincia sono già in atto dei contatti con “Euregio Plus”, che potrebbe essere utile per investimenti a lungo termine.

E poi c’è la questione dell’ippodromo: siamo finalmente a un vero punto di svolta?

Siamo riusciti a firmare il contratto di permuta, si tratta di un bel passo avanti per il suo rilancio. Abbiamo a disposizione un “gruzzoletto” da investire, e sono molto felice delle persone che sono state nominate nel relativo gruppo di lavoro: la Provincia ha nominato due tecnici,  Daniel Bedin, direttore del Dipartimento opere pubbliche e valorizzazione del patrimonio e Andrea Sega, direttore dell’Ufficio edilizia est, mentre noi abbiamo scelto altri due membri, l’avvocata e vicepresidente di Merano Galoppo Clara Martone e il consulente aziendale Richard Stampfl, grande appassionato di ippica, nonché proprietario di cavalli. Sono persone che se ne intendono, che conoscono le necessità ed i problemi del settore.

Uno dei temi più stretta attualità è quello dell’overturism. Com’è la situazione a Merano?

Merano è una città a vocazione turistica da sempre e di turismo vive, ci guadagnano tutti, non solo gli albergatori, e questo è un particolare che non tutti comprendono davvero. Sono stato in città che un tempo erano dei templi del turismo, e che oggi invece sono in crisi, come Chianciano Terme, per esempio, che oggi è ridotta a città fantasma, e questo lo vorrei davvero evitare a Merano. Proprio in questo periodo stiamo lavorando con l’Azienda di soggiorno per creare un percorso che renda Merano attrattiva prima per i residenti e poi per gli ospiti, facendoli poi naturalmente convivere. 

Il turismo è strettamente legato anche con la mobilità. A Merano in questi ultimi anni sono state fatte opere importanti per gestire il traffico. A che punto siamo?

Siamo a buon punto per quanto riguarda la circonvallazione interrata, speriamo di riuscire a renderla percorribile per i primi mesi del 2026. Con essa, poi, ci sarà un estremo bisogno di riorganizzare la viabilità nella zona della stazione grazie al Centro di mobilità, un progetto che è sul tavolo delle giunte da almeno 13 anni. Nella zona dove ci oggi sono i container vorremmo creare un centro di interscambio, dove i cittadini arrivano in città in treno e si possono poi spostare senza difficoltà in autobus o con la bicicletta. Non è un progetto facile da realizzare, siamo ancora nella fase di elaborazione del Pums, ma è di estrema importanza: nel momento in cui verrà aperta la circonvallazione il problema del traffico verrà trasferito nella zona della stazione ferroviaria. E se lì non si crea uno snodo, il traffico inevitabilmente si ingolfa.

Con i suoi comitati, Merano è un esempio per quanto riguarda la partecipazione nei cittadini all’amministrazione della città nei quartieri. In questo periodo in cui la crisi del volontariato si fa sentire aspramente, sembra un segnale molto positivo…

Lo è, ne siamo tutti affascinati, soprattutto appunto per quanto riguarda i comitati: crescono spontaneamente, creano il loro statuto, si organizzano in autonomia, scelgono i loro rappresentanti e animano i rioni dove le persone dove vivono o lavorano. L’assessora Emanuela Albieri fa da sempre un ottimo lavoro per accompagnarli nei loro servizi e a dare loro voce, e la giunta intera si reca periodicamente a far loro visita per capirne le necessità. I comitati nel prossimo futuro saranno un elemento vitale anche per quanto riguarda la sicurezza: il Controllo di vicinato potrà essere gestito anche da loro.

Autore: Luca Masiello

Una pongista bolzanina a Parigi

Dopo Tokyo ora Parigi. Debora Vivarelli, campionessa bolzanina di tennis da tavolo si è qualificata per la sua seconda Olimpiade; è una delle poche azzurre della disciplina a riuscire in questa impresa. è nata a Caldaro da una famiglia tutta pongista: la madre, ex giocatrice, dirige la società per cui gioca Debora, mentre la sorella maggiore è allenatrice, e il padre e la sorella minore praticano ancora lo sport. Oggi andremo a conoscere assieme questo sport non così conosciuto.

Ciao Debora, raccontaci in breve chi sei…

Ho 31 anni e sono cresciuta a Caldaro dove i miei genitori sono venuti ad abitare da Bolzano 35 anni fa. Ho iniziato a giocare a nove anni proprio grazie ai miei genitori che praticano questo sport da una vita. 

È una questione di famiglia… sono orgogliosi di questo risultato?

Credo siano molto orgogliosi di questo risultato. È proprio un risultato di famiglia, ognuno di loro ha contribuito a modo suo. Purtroppo, a Tokyo non sono potuti venire per via della situazione Covid. Sono davvero contenta di essermi qualificata per una seconda olimpiade, così finalmente la mia famiglia potrà vedermi giocare. 

Queste non saranno le tue prime Olimpiadi, raccontaci qual è la sensazione di esserti riconfermata a questi livelli?

La seconda qualificazione alle Olimpiadi forse è stata più complicata della prima. In questi tre anni ci sono stati numerosi alti e bassi. Ho sempre avuto il mio obiettivo chiaro in testa, ma non nego il fatto che a volte avevo dei dubbi. Sono fortunata ad avere un allenatore che ha creduto in me anche quando io stavo per buttare la spugna. 

Quali sono le tue ambizioni per questa edizione?

Se a Tokyo sono andata per partecipare, a Parigi vorrei andare con la consapevolezza di potermela giocare con tutte, tolte le asiatiche ovviamente. Ho avuto una buona stagione, so che se mantengo questo livello posso fare bene. 

Sei pronta per Parigi? 

Al momento sto facendo una piccola pausa dagli allenamenti al tavolo. È stata una stagione lunghissima. Mi sto godendo un po’ di mare in Portogallo ma sto curando particolarmente la preparazione fisica. A breve riprenderemo la preparazione al tavolo in Italia ed in Svezia, prima di partire per Parigi. 

Quali sono le caratteristiche per essere un bravo pongista? 

Per diventare una buona pongista bisogna essere disposti ad allenarsi 5-8 ore al giorno, soprattutto da giovani. La parte fisica negli anni è diventata sempre più importante. Bisogna essere rapidi, esplosivi e forti. La parte più importante però rimane comunque la testa, rimanere lucidi e forti mentalmente. A me piace descrivere il mio sport così “Correre i 100 metri mentre giochi a scacchi”. Devi essere veloce e nel mentre essere in grado di anticipare le mosse dell’avversario.  

Chi ti aiuta in questo percorso?

Il nostro sport richiede enormi sacrifici in quanto la quantità di allenamenti è enorme e le trasferte in tutto il mondo sono molto impegnative. Ho la fortuna di avere sempre la mia famiglia alle mie spalle ed un marito fantastico. Essendo uno sportivo anche lui, capisce la vita che faccio e tutti i sacrifici che devo fare. Ho imparato tanto anche da lui. Un aiuto fondamentale me lo da anche la mia psicologa, Monika Niederstätter. Ci terrei a ringraziare il Gruppo Sportivo dell’Esercito del quale faccio parte da parecchi anni. Senza di loro tutto questo non sarebbe possibile. Sono veramente orgogliosa di far parte della grande famiglia dell’Esercito e di poterlo rappresentare nelle mie competizioni ad ogni livello. Inoltre, un ultimo ringraziamento va alla Provincia Autonoma di Bolzano. 

Autore: Niccolò Dametto

Il 2 luglio parte la programmazione estiva del Teatro Capovolto in Piazza Battisti

Inserzione pubblicitaria – Arriva l’estate e il Centro Servizi Culturali S. Chiara di Trento presenta al pubblico la programmazione del Teatro Capovolto – La città in scena, la Stagione estiva del Teatro Sociale. 

Martedì 2 luglio prenderà il via il nuovo calendario di appuntamenti che, fino al 31 agosto, colorerà Piazza Cesare Battisti a Trento con un ricco ventaglio di proposte per ogni gusto e per ogni età, tra musica, cinema, spettacoli di prosa, il ritorno del concorso di poetry slam dedicato alla memoria di David Wilkinson, incontri letterari e appuntamenti all’insegna della comicità e, soprattutto, del divertimento.

Un’offerta di appuntamenti decisamente articolata e interessante, distribuita su quarantasei serate, che per il quinto anno consecutivo si svolgeranno all’interno della meravigliosa cornice offerta dal Teatro Sociale di Trento, con il palco rivolto verso Piazza Cesare Battisti. Una veste che negli ultimi anni ha saputo incontrare il gradimento e l’apprezzamento del pubblico trentino e non solo.

La Stagione estiva del Teatro Sociale si inserisce all’interno del contenitore “Trento aperta 2024”, ricco palinsesto coordinato dall’Ufficio Cultura turismo eventi del Comune di Trento, che da maggio a settembre riempirà parchi, piazze e strade della città con tante iniziative dedicate anche al tema del ‘volontariato’, per celebrare nel migliore dei modi la nomina di Trento come Capitale europea del volontariato 2024.

Anche per quest’anno sul palco del Teatro Capovolto verrà dato ampio spazio alla musica, con alcuni grandi nomi del panorama musicale internazionale come l’iconico chitarrista americano Marc Ribot, a Trento con il suo trio The Jazz Bins (formazione che ruota attorno all’organo Hammond di Greg Lewis), o il collettivo internazionale dei C’mon Tigre, oltre al rock del power trio trentino dei The Bastard Sons of Dioniso e all’Eursax 2024, il Congresso Europeo del Saxofono, che quest’anno farà tappa a Trento all’interno del Capovolto con due concerti che vedranno protagonisti i Mac Saxophone Quartet e la New Project Orchestra. Torna, inoltre, la seconda edizione del Beat Festival, una giornata interamente dedicata alla musica e alla cultura underground, mentre la Ziganoff – jazzmer band (composta da musicisti trentini e sudtirolesi) incontrerà il gipsy jazz del leggendario Kalman Balogh per un inedito e imperdibile incrocio musicale. Per gli appassionati di musica, da non perdere il concerto con gli OrcheXtra Terrestre, progetto che parla la lingua delle musiche del mondo (con la direzione artistica di Corrado Bungaro), per poi lasciarsi andare con il divertimento degli Articolo Trentino, la band dialettale più amata del Trentino, che nell’occasione si esibirà insieme alla Banda Sociale di Lavis diretta da Adriano Magagna.

Ma non finisce qui, perché tornerà la Danza Capovolta in collaborazione con la Federazione Trentino Danza, e non poteva di certo mancare un’attenzione particolare alle realtà artistiche territoriali, a cominciare dallo storico Fantasio, il Festival internazionale di regia teatrale organizzato da EstroTeatro e dal Gruppo Teatrale Gianni Corradini – quest’anno in collaborazione proprio con il Centro S. Chiara -, con due serate, il 19 e 20 luglio, dedicate e rivolte ai registi selezionati, che dovranno lavorare tutti sullo stesso testo (1984 di George Orwell), oltre ad ATU – Associazione Teatrale Universitaria, che sarà protagonista di un interessante progetto che cercherà di esplorare l’interazione tra tecnologie IA e pratiche artistiche e di spettacolo. E poi, spazio a volti noti e amati dal pubblico trentino come Loredana Cont, Mario Cagol e Lucio Gardin, agli spettacoli proposti da AriaTeatro di Pergine, TrentoSpettacoli e da Evoè!Teatro di Rovereto, alla performer circense Miriana Nardelli con il suo Dama Koke, uno spettacolo tra danza, coreografia e teatro, realizzato in collaborazione con l’Associazione Aurelio Laino. Senza ovviamente dimenticare i concerti con l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento e il Corpo Musicale Città di Trento, fino agli appuntamenti cinematografici realizzati in collaborazione con Cineworld Trento, pronti anche quest’anno a coprire gran parte dei mesi estivi con un calendario di ben sedici appuntamenti tra i migliori film italiani ed europei usciti di recente in sala e non solo.

Infine, verrà dato nuovamente ampio spazio anche alla poesia con il poetry slam e il ritorno del premio intitolato a David Wilkinson – con giovani poeti e poetesse del territorio pronti a sfidarsi in pubblico recitando poesie originali e inedite -, e al mondo della letteratura con “Prometeo Capovolto”, piccolo festival letterario che indaga le relazioni profonde tra letteratura e teatro attraverso una serie di incontri con alcuni protagonisti della cultura italiana e internazionale, in collaborazione con la Libreria Arcadia di Rovereto.

Tutti gli spettacoli avranno inizio alle ore 21.15.

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I progetti del Servizio Civile Provinciale

Con Daniel Valentini facciamo il punto su una delle esperienze più interessanti e formative che vengono proposte ai giovani in provincia di Bolzano. Il volontariato giovanile è in grado anche di dare nuova linfa alle associazioni altoatesine.

Cos’è il Servizio Civile?

Il Servizio Civile è un’opportunità per i ragazzi tra i 18 e i 28 anni di fare volontariato per 8-12 mesi in un’associazione del territorio. Tante realtà del privato sociale partecipano ogni anno con i loro progetti. Chi aderisce riceve un rimborso spese di 450 euro netti e può utilizzare gratuitamente i mezzi di trasporto pubblici provinciali. È utile per la comunità ed è un primo passo verso il mondo del lavoro nel terzo settore.
Il servizio civile può essere svolto in vari ambiti: assistenza sanitaria e sociale; reinserimento sociale e altri interventi di emergenza; educazione, servizio giovani e promozione culturale; tutela del patrimonio ambientale e artistico; protezione civile; tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti; educazione allo sviluppo; attività di tempo libero e sport.

Oggi segui i progetti del servizio civile per l’associazione La Strada-Der Weg Onlus, ma come hai iniziato? 

Dopo due anni di università, ho capito che non era la mia strada e ho deciso di fermarmi per decidere cosa fare. Navigando sul Web, ho trovato la pagina del servizio civile provinciale, attività che non conoscevo. Ho visto che potevo farlo presso l’associazione La Strada-der Weg Onlus e ho deciso di inviare la candidatura per concedermi un anno per pensare a cosa fare della mia vita. Ho fatto varie attività, tra cui una radio in bici, articoli sui giornali, organizzazione di eventi e ho lavorato con i bambini del quartiere Europa-Novacella. Ho scoperto che mi piaceva stare a contatto con le persone. Finito il servizio civile, ho deciso di studiare per diventare educatore sociale e culturale e sono stato assunto dall’associazione come operatore.

Lo consiglieresti? 

Certo che sì. Soprattutto a chi, come me, vuole fare un’esperienza di volontariato e mettersi al servizio della comunità, oltre che provare a trovare la propria strada.

Quali opportunità ci sono? 

Tutte le associazioni del territorio offrono opportunità in vari ambiti. Personalmente, per l’associazione, seguo quattro progetti: uno di lavoro educativo con i bambini (aiuto compiti, doposcuola, attività ricreative e sportive), un altro di lavoro di prossimità con i giovani adulti, e gli ultimi due di lavoro nell’ambito della salute mentale e dell’inclusione sociale.

Com’è possibile iscriversi? 

Sul sito della provincia del servizio civile provinciale è possibile trovare tutte le informazioni utili e le modalità di iscrizione. Per le attività proposte dalla nostra associazione, è possibile inviare una mail a serviziocivile@lastrada-derweg.org e richiedere le informazioni necessarie.

Autrice: Sanaa El Abidi COOLtour

Jascha: lingue e diplomazia al servizio della ditta di famiglia

Il nostro territorio può contare su un gran numero di imprese private che nonostante siano divenute assai note a livello nazionale e internazionale conservano una sorta di conduzione famigliare. A questo proposito molto interessante è la storia di una di macchine agricole per la raccolta della frutta e significativa per la nostra rubrica dedicata alle donne è la figura di Jascha Babette Bonmassar. 

La storia di questa ditta ha inizio col padre di Jascha, Alfred Bonmassar, che nel 1975 decise di iniziare questa avventura con la creazione di macchine per lo sfalcio dell’erba e con i famosi carri raccolta a nastro Pluk-O-Trak. Oggi è Jascha Babette Bonmassar a proseguire con quotidiano impegno la mission aziendale. Le abbiamo posto una serie di domande per capire meglio la sua quotidianità di donna, imprenditrice e madre. 

Che tipo di percorso di formazione ha avuto per giungere al suo ruolo nella sua azienda?

Dopo il liceo linguistico “Marcelline” mi sono laureata in “Scienze Internazionali e Diplomatiche” e dunque la mia formazione non è strettamente legata al mio lavoro attuale e al mio ruolo in azienda. Ciò nonostante questa formazione mi aiuta in molteplici situazioni quotidiane, soprattutto l’essere “diplomatici”.

Di cosa si occupa nella sua azienda?

Mi occupo dei diversi compiti gestionali, organizzazione, gestione personale, comunicazione etc. Esseno un’azienda piccola a conduzione famigliare non è facile delimitare nettamente i compiti, devo gestire quotidianamente diverse situazioni o problemi nei differenti ambiti dell’azienda.
Il mio ruolo è sia operativo che strategico per gestire l’azienda con l’aiuto dei collaboratori, parecchi dei quali collaborano da tanti anni e dunque sono parte fondamentale dell’azienda.

Quali rinunce implica la sua professione?

Le rinunce sono più che altro quelle legate al tempo, che non è mai abbastanza. Ho 2 figli oramai adolescenti e gli ultimi anni sono stati una sfida per riuscire a coniugare il lavoro, che non ha orari fissi, con la vita di famiglia. Ha richiesto parecchia organizzazione ma i figli comprendono e sono sempre stati collaborativi e hanno acquisito presto un buon grado di autonomia.

Quali difficoltà ha avuto come donna a rapportarsi con i clienti? 

Personalmente non ho mai avuto inconvenienti nel rapportarmi con i clienti. Penso che conti l’atteggiamento, la preparazione, la personalità, più che l’essere donna o uomo. Per quanto attiene invece alle questioni tecniche riguardanti i macchinari spesso coinvolgo i miei colleghi maschi perché in questo campo hanno più conoscenza ed esperienza pratica.

Oggi per le donne ci sono ancora difficoltà a farsi accettare in un ambito considerato prettamente maschile.

Penso che le difficoltà siano molto meno rispetto al passato e caleranno ancora. Soprattutto i giovani non nutrono più tanti pregiudizi. Forse anche perché durante il percorso scolastico ed educativo che i ragazzi e le ragazze condividono, le ragazze sono nella maggior parte dei casi più studiose ed impegnate e dunque anche maggiormente preparate e i ragazzi ne sono coscienti. Noto anche che, soprattutto negli ambiti tradizionalmente maschili, le donne sono molto preparate, spesso più dei colleghi maschi.

Quali passi sono auspicabili nella società per permettere alle donne di affermarsi in ogni campo?

Attualmente sempre più incarichi prevedono una quota di genere, la cosa spesso fa discutere, molte persone non vedono di buon occhio che il sesso venga considerato prima delle capacità e competenze del candidato o della candidata. Penso invece che questa sia una misura lungimirante perché permette la partecipazione femminile in molti ambiti finora prettamente maschili, come nei cda di banche, enti pubblici, società, industrie o in politica. In futuro tutto ciò sarà un automatismo e non si potrà più fare a meno dell’arricchimento che le donne sanno portare all’interno dei vari consigli e organi.  
Un ulteriore passo importante è quello di incoraggiare le ragazze ad intraprendere la propria strada, a compiere gli studi a loro più confacenti senza escludere a priori quelli del gruppo STEM ossia le materie scientifiche e tecnologiche se vi sono portate. E’ importante evitare qualsiasi accenno al “dover” fare qualcosa o al “dover rinunciare” a qualcosa perché donne ma al contrario spingerle a farlo proprio perché sono donne per garantire la parità di condizioni competitive tra i generi.

Autrice: Rosanna Pruccoli

In Alto Adige su due ruote

La mountain bike azzurra, nella specialità olimpica del cross-country, sta scoprendo nuovi talentuosi atleti, che promettono molto bene per il futuro della disciplina. Tra questi, un bolzanino. Oggi andremo a conoscere un ragazzo che si sta facendo strada velocemente sui tracciati di tutto il Bel Paese e d’Europa: Elian Paccagnella.

Ciao Elian, raccontaci in breve chi sei.

Ho diciotto anni, sono nato e cresciuto a Bolzano. Mi sono avvicinato al ciclismo più o meno all’età di nove anni, all’inizio come un gioco, ma dopo qualche gara mi sono subito innamorato di questo sport. Ad oggi faccio parte della squadra junior della nazionale italiana e ho già disputato diverse tappe dalle XCO Junior Series, il circuito fuoristrada internazionale UCI dedicato alla categoria. 

Al momento dove ti trovi e cosa stai facendo?

In questo periodo mi trovo in Svizzera, a Crans Montana, per la quinta prova di coppa del mondo XCO.

Raccontaci alcuni punti salienti della tua carriera sportiva…

Di sicuro il punto più importante della mia carriera finora è stato il mondiale dell’anno scorso a Glasgow, dove sono riuscito ad arrivare secondo. Un altro punto saliente è di sicuro la vittoria del campionato italiano, disputato anche questo l’anno scorso. Se vogliamo possiamo aggiungere anche il terzo posto agli europei di staffetta e il quinto posto europeo nella gara individuale. 

Il tuo prossimo obiettivo?

Sicuramente le olimpiadi di Los Angeles nel 2028. Sto lavorando duramente per far in modo di arrivarci più preparato possibile.

Il posto in cui vivi ti ha aiutato a raggiungere i tuoi obiettivi? 

Assolutamente sì, iol nostro territorio offre moltissime possibilità per allenarsi, trovare il luogo giusto non è così complicato come in altri territori.

Quante volte a settimana ti alleni? Dove? Che tipi di allenamenti fai?

Mi alleno ogni giorno della settimana, alternando la bici ad esercizi di forza e resistenza. In base al periodo della stagione, io e il team decidiamo l’intensità e la frequenza degli allenamenti. Principalmente mi alleno in Alto Adige, ma gareggiando in tutto il mondo spesso capita di allenarmi fuori Bolzano.

Il tuo posto preferito per andare in bici?

In Alto Adige sicuramente uno dei posti più belli per andare in bici a parer mio è in Val Gardena. Ma il luogo più bello in assoluto è Calpe, in Spagna. È bastato andarci una sola volta in bici per farmi innamorare di questa località.

Quali sono le caratteristiche per essere un bravo ciclista?

Ognuno ha delle proprie caratteristiche che lo rendono un buon atleta, in questo sport ci sono tanti punti importanti per riuscire a competere con i migliori. Ma le due caratteristiche fondamentali sono: essere abili nella tecnica ed essere capaci di sostenere ritmi elevati in salita per un lungo periodo.

Perché consiglieresti ad un ragazzo di iniziare ad andare in mountainbike? Cosa ti piace di più di questo sport?

Lo consiglierei perché la mtb non è solo una competizione, ma ci si può anche divertire e soprattutto divertirsi con gli altri. Mi piace perché nonostante ci si debba concentrare per le varie competizioni, non si perde il gusto del divertimento in questo sport.

Autore: Niccolò Dametto