Incontriamo la passione artistica di Renata Odorico

Renata Odorico è un’artista bolzanina che esprime la sua creatività attraverso la pittura. Le sue opere nascono e vengono esposte nel suo atelier personale in via dei Cappuccini e i suoi lavori si ispirano ai grandi personaggi della cultura e dell’attualità.

La sua passione nasce già dalle scuole elementari, momento in cui riceve quello che lei stessa definisce “il regalo di Natale più bello in assoluto”, ovvero una scatoletta di 6 colori a matita. Fin da subito si sbizzarrisce con questi colori e il suo talento viene notato già in tenera età.

La sua passione non si affievolisce, anzi, cresce col tempo. Arrivata al liceo usa i soldi del suo primo lavoro per comprare colori ad olio e inizia la sua formazione da autodidatta come pittrice. I temi da lei prediletti sono l’amore, la famiglia di suo padre e la sua personale visione del mondo.

Dopo un periodo di pausa dall’attività artistica, in età adulta decide di riprendere in mano matite e colori e si dedica a quelli che lei chiama “lampi”, ispirazioni fulminee che le arrivano a seguito di esperienze come l’ascolto di una canzone o la scoperta di un fatto di cronaca. Tra gli argomenti trattati dall’artista ci sono temi più leggeri come quelli ispirati alle canzoni di Franco Battiato “Centro di gravità permanente” e “Lode all’inviolato”, ma anche il balletto classico e vicende legate alla sua infanzia, per poi arrivare ad affrontare argomenti più impegnativi, come la politica e i diritti umani. Renata di ispira a figure come Mahsa Amini, la ragazza uccisa dal regime iraniano per aver indossato in modo “scorretto” il velo. Ed è proprio questa opera ad essere la prima esposta nel suo atelier.

Esplorando i temi della libertà, democrazia e diritti umani, approfondisce figure come Aleksej Naval’nyi, Julian Assange, Aung San Suu Kyi, per poi concentrarsi sui grandi artisti musicali come Jimi Hendrix, David Bowie, Madonna e Django Reinhardt. Inoltre all’interno della sua collezione non mancano tributi a grandi artisti quali: Tamara de Lempicka, Klimt, Botticelli, Van Gogh, Gauguin, Caravaggio, Guido Reni e Vermeer, tutti sotto forma di copie di loro opere. Per Renata l’arte è “sacra” perché quando dipinge è la sua anima che parla, e improvvisamente il tempo non esiste più.

Autore: Martin Bonaccio COOLtour

I progetti del Servizio Civile Provinciale

Con Daniel Valentini facciamo il punto su una delle esperienze più interessanti e formative che vengono proposte ai giovani in provincia di Bolzano. Il volontariato giovanile è in grado anche di dare nuova linfa alle associazioni altoatesine.

Cos’è il Servizio Civile?

Il Servizio Civile è un’opportunità per i ragazzi tra i 18 e i 28 anni di fare volontariato per 8-12 mesi in un’associazione del territorio. Tante realtà del privato sociale partecipano ogni anno con i loro progetti. Chi aderisce riceve un rimborso spese di 450 euro netti e può utilizzare gratuitamente i mezzi di trasporto pubblici provinciali. È utile per la comunità ed è un primo passo verso il mondo del lavoro nel terzo settore.
Il servizio civile può essere svolto in vari ambiti: assistenza sanitaria e sociale; reinserimento sociale e altri interventi di emergenza; educazione, servizio giovani e promozione culturale; tutela del patrimonio ambientale e artistico; protezione civile; tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti; educazione allo sviluppo; attività di tempo libero e sport.

Oggi segui i progetti del servizio civile per l’associazione La Strada-Der Weg Onlus, ma come hai iniziato? 

Dopo due anni di università, ho capito che non era la mia strada e ho deciso di fermarmi per decidere cosa fare. Navigando sul Web, ho trovato la pagina del servizio civile provinciale, attività che non conoscevo. Ho visto che potevo farlo presso l’associazione La Strada-der Weg Onlus e ho deciso di inviare la candidatura per concedermi un anno per pensare a cosa fare della mia vita. Ho fatto varie attività, tra cui una radio in bici, articoli sui giornali, organizzazione di eventi e ho lavorato con i bambini del quartiere Europa-Novacella. Ho scoperto che mi piaceva stare a contatto con le persone. Finito il servizio civile, ho deciso di studiare per diventare educatore sociale e culturale e sono stato assunto dall’associazione come operatore.

Lo consiglieresti? 

Certo che sì. Soprattutto a chi, come me, vuole fare un’esperienza di volontariato e mettersi al servizio della comunità, oltre che provare a trovare la propria strada.

Quali opportunità ci sono? 

Tutte le associazioni del territorio offrono opportunità in vari ambiti. Personalmente, per l’associazione, seguo quattro progetti: uno di lavoro educativo con i bambini (aiuto compiti, doposcuola, attività ricreative e sportive), un altro di lavoro di prossimità con i giovani adulti, e gli ultimi due di lavoro nell’ambito della salute mentale e dell’inclusione sociale.

Com’è possibile iscriversi? 

Sul sito della provincia del servizio civile provinciale è possibile trovare tutte le informazioni utili e le modalità di iscrizione. Per le attività proposte dalla nostra associazione, è possibile inviare una mail a serviziocivile@lastrada-derweg.org e richiedere le informazioni necessarie.

Autrice: Sanaa El Abidi COOLtour

“Intimità sociale”: il teatro punto di riferimento vitale della comunità

INSERZIONE PUBBLICITARIA – Giuliana De Sio, Paolo Fresu, Toni Servillo, Sergio Rubini, Valeria Solarino, Paolo Calabresi, Valerio Binasco, Marco Paolini, Filippo Dini, Pippo Delbono, Stefano Massini e Manuel Agnelli, tra i protagonisti della nuova stagione del Teatro Stabile di Bolzano (TSB).

13 appuntamenti con l’eccellenza del teatro, nati dall’incontro tra testi e artisti/e di altissima caratura: questa la stagione 2024/2025 disegnata dal TSB al Comunale di Bolzano. 

In scena otto produzioni firmate TSB: spettacoli ideati, progettati e allestiti assieme ai principali teatri italiani ed europei che portano in scena testi e spartiti nuovi di artisti di caratura internazionale e riletture di grandi classici, interpretate dalle personalità più carismatiche della scena. 

LE PRODUZIONI

Paolo Fresu è autore e interprete di “Miles!”, un omaggio a Miles Davis, artista mitico per antonomasia, che nasce dalle musiche composte dal fuoriclasse del jazz ed eseguite dal vivo assieme ai musicisti di altissimo profilo. Diretto da Andrea Bernard, bolzanino recentemente insignito del Premio Franco Abbiati, l’omaggio di Fresu a Miles Davis debutterà in prima assoluta al Comunale di Bolzano il 24 ottobre (repliche fino al 27).

Ad aprire la stagione bolzanina dal 2 al 6 ottobre sarà l’anteprima di “Mein Kampf”, il nuovo spettacolo di Stefano Massini, artista legato a doppio filo a Bolzano e al suo Stabile. Tratto dall’omonimo libro di Massini pubblicato in aprile scorso per Einaudi, questo monologo ci consegna la biopsia del testo maledetto, un feroce distillato in cui la religione nazista di rabbia e paura, il culto dell’io e l’esaltazione della massa, ci appaiono in tutta la loro forza di potentissimo déjà-vu. 

Dal 4 al 16 marzo Marco Bernardi torna alla regia con “Risveglio di primavera” di Franz Wedekind, emblema delle condizioni giovanili di ogni tempo, testo che ha ispirato innumerevoli riscritture e film memorabili come L’attimo fuggente di Peter Weir nel 1989. Dal 14 al 17 novembre il TSB porta in scena “Cose che so essere vere” di Andrew Bovel. La commedia, diretta e interpretata da Valerio Binasco affiancato da Giuliana De Sio, racconta con coraggio i meccanismi della famiglia. Un altro spaccato crudele della famiglia e della società è “I parenti terribili”, l’opera teatrale più riuscita di Jean Cocteau. Dal 19 al 22 dicembre Filippo Dini dirige e interpreta questa commedia, confrontandosi con il grande drammaturgo francese.

Prima collaborazione tra TSB e Sergio Rubini, autore, regista e interprete de “Il caso Jekyll”. Dal 9 al 12 gennaio Rubini dà vita a una lettura psicanalitica del celebre romanzo “Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde” con cui Robert Louis Stevenson porta alla luce il doppio che alberga in ognuno di noi. 

Bolzano e il suo Stabile sono parte attiva anche di numerosi progetti teatrali internazionali. Dal 12 al 15 dicembre il TSB ospiterà “Il Risveglio”, nuovo spettacolo di e con Pippo Delbono, il talento più folle e visionario del teatro. 

Al Charles R. Darwin più segreto, scoperto nei taccuini della trasmutazione scritti tra il 1838 e il 1842, è dedicato invece “Darwin, Nevada” il nuovo spettacolo interpretato da Marco Paolini dal 27 febbraio al 2 marzo e scritto assieme a Francesco Niccolini in collaborazione con Telmo Pievani. La regia è affidata allo scozzese Matthew Lenton.

GLI SPETTACOLI IN OSPITALITÀ

Monumentali, inediti e di culto: gli spettacoli che completano il cartellone bolzanino rappresentano gli esempi più luminosi e ambiziosi di allestimenti teatrali che si confrontano con testi contemporanei. Dal 5 all’8 dicembre Toni Servillo accompagna il pubblico nel reading “Tre modi per non morire” di Giuseppe Montesano, un viaggio teatrale attraverso tre momenti culminanti in cui alcuni poeti hanno messo in pratica l’arte di non morire, e ci hanno insegnato a cercare la vita: Baudelaire, Dante e i Greci.  Dal 30 gennaio al 2 febbraio Paolo Genovese firma la sua prima regia teatrale con l’adattamento di “Perfetti Sconosciuti”, suo clamoroso successo cinematografico. Una commedia brillante sull’amicizia, interpretata da Dino Abbrescia, Marco Bonini, Paolo Calabresi, Massimo De Lorenzo, Anna Ferzetti e Valeria Solarino, nella quale quattro coppie di amici scopriranno di non conoscersi per nulla. 

Dal 9 al 13 aprile giunge nella Stagione del TSB “Lazarus”, l’opera rock di David Bowie, il testamento creativo del musicista che, secondo la rivista Rolling Stone, è stata la più grande rock star di sempre. Un evento speciale, presentato per cinque recite al Comunale di Bolzano, che vede Valter Malosti firmare la regia e la versione italiana del testo e il rocker Manuel Agnelli nei panni del tormentato protagonista di quest’opera, ricca di numerosi brani storici di Bowie e altri scritti appositamente per l’occasione.

Anche quest’anno la stagione in abbonamento si impreziosisce di due appuntamenti con la danza contemporanea internazionale. Dal 28 novembre all’1 dicembre Opus Ballet presenta “Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare con le coreografie di Davide Bombana, mentre dal 27 al 30 marzo Kidd Pivot, compagnia canadese, punto di riferimento del teatro-danza, firma il suggestivo spettacolo “Assembly Hall”.

ABBONAMENTI

I prezzi degli abbonamenti rimangono invariati rispetto alle passate stagioni e si confermano tra i più vantaggiosi del panorama italiano. 

I turni degli abbonamenti alla Stagione di Bolzano sono quattro. Turno A giovedì h. 20.30; TURNO B venerdì h. 19; TURNO C sabato h. 19; TURNO D domenica h. 16. 

RINNOVI ABBONAMENTI

Fino a sabato 15 giugno è possibile confermare l’abbonamento (turno e posto) della passata stagione. 

NuOVI ABBONAMENTI

Da martedì 18 giugno al 6 ottobre sarà possibile acquistare i nuovi abbonamenti. 

LA BIGLIETTERIA

del Teatro Comunale di Bolzano è aperta da martedì a venerdì dalle 14.30 alle 19 e sabato dalle 15.30 alle 19. 

Infoticket + 39 0471 053800 

Agrumi: un viaggio tra storia e tradizione

La città di Bolzano, nota per i suoi paesaggi montani e la sua storia ricca di cultura, cela un passato inaspettato legato agli agrumi. In un’epoca in cui il commercio e la coltivazione degli agrumi erano considerati un settore redditizio, Bolzano ospitava diversi giardini rigogliosi e serre dedicate alla coltivazione di limoni e aranci. Questa affascinante storia è al centro della mostra temporanea “Agrumi a Bolzano”, organizzata in alcune sale del Museo Mercantile e curata dalla sua direttrice, la dottoressa Elisabetta Carnielli. Attraverso documenti storici, oggetti d’epoca e testimonianze architettoniche, la mostra offre uno spaccato della Bolzano di un tempo, dove il commercio degli agrumi giocava un ruolo cruciale nell’economia locale.

Dottoressa Carnielli, com’è nata l’idea di questa mostra?

La mostra è nata per caso, leggendo alcuni dati sulle relazioni economiche del 1800 della Camera di Commercio di Bolzano. Tra le varie produzioni, oltre a mele, pere e uva, apparivano anche gli agrumi. Da questa piccola informazione si è aperto un mondo bellissimo, dove abbiamo scoperto l’esistenza di numerosissimi giardini nel centro storico di Bolzano, dotati di “Orangerien”, un termine tedesco che identifica delle costruzioni agricole simili alle limonaie del Lago di Garda. Non sappiamo esattamente quando i bolzanini hanno adottato questa idea, ma siamo certi che l’importanza economica sia stata la motivazione principale.

È interessante perché la mostra racconta anche come avveniva il commercio degli agrumi dal Lago di Garda fino a Bolzano e nel resto d’Europa…

La maggior parte delle limonaie si trovava a Gargnano, sulla sponda occidentale del Lago di Garda. Gli alberi di limoni raggiungevano altezze di otto metri e i frutti venivano venduti a pezzo, non a cassa o al chilo. Il trasporto iniziava via acqua da Gargnano fino a Torbole, poi proseguiva con carri attraverso il Passo San Giovanni fino a Borgo Sacco. Da lì, i limoni venivano trasportati su zattere trainate da animali risalendo il fiume Adige fino a Bronzolo, dove si trovava il porto fluviale di Bolzano. Da Bolzano, i limoni proseguivano verso le fiere dove venivano scambiati con i mercanti del nord Europa.

Come erano costruite le limonaie a Bolzano? Abbiamo ancora tracce di queste strutture?

L’unica traccia visibile si trova nelle immediate vicinanze di Castel Klebenstein, alla fine della Passeggiata Lungotalvera, dove si può intravedere un pezzo di muratura da dove poi partivano le colonne che sorreggevano la limonaia, che era costruita da tre lati in muratura. La parte frontale invece era composta da colonne che reggevano un’intelaiatura di legno sulla quale poi venivano poste le tavole di legno per costruire il tetto. La parte frontale veniva chiusa con delle vetrate che permettevano al sole di entrare. Le piante erano poste in piena terra. E – allo stato attuale degli studi in materia – Bolzano era il luogo più a nord dove ciò poteva avvenire. 

Autore: Till Antonio Mola

Ricordando Giacomo Matteotti, 100 anni dopo

In occasione del centenario dall’assassinio ricordiamo la figura di Giacomo Matteotti. Nel tentativo di togliere la patina che ricopre il ricordo di tutti i grandi martiri, in dialogo con Guido Margheri – presidente ANPI Alto Adige Südtirol – scopriamo il Matteotti politico per i diritti e per la pace. E anche amico di questo territorio che, con il Comune di Bolzano, lo celebrerà nei prossimi mesi. 

Perché Matteotti è ancora importante? 

Perché non solo denunciò la violenza del fascismo e ne fu ucciso, diventando uno dei primi e più noti martiri, ma perché oggi può dire tante cose, soprattutto indagando tra ciò che normalmente di lui si cerca di dimenticare. Ad esempio, che arrivò al discorso del 30 maggio 1924 attraverso un percorso di vita, di impegno politico e civile importante. E che fu uno dei pochi a rendersi conto dei grandi pericoli che stavano correndo l’Italia e l’Europa, insieme alla crisi scoppiata dopo la guerra: quello dell’avvento del fascismo (e dei fascismi). Il delitto Matteotti è politico ed è essenziale affinché il fascismo diventi regime. L’antifascismo nasce in quel momento: prima c’erano vittime e oppositori, dopo è diventato un progetto, una scelta consapevole. Ma Matteotti è molto altro. 

Ad esempio?

Un politico che si impegna in maniera intransigente contro la guerra, anche se in alcune caricature è dipinto come moderato. Poi è uomo di popolo: si batte fortemente per la costruzione delle cooperative, per il riconoscimento delle leghe contadine e dei braccianti come soggetti nelle trattative con gli agrari, e per l’imponibile di manodopera, per il diritto a un lavoro dignitoso sia in termini di fatica, sia in termini di retribuzione. 

Era anche legato all’Alto Adige…

Subito dopo la fine della guerra cercò di dare una risposta positiva al problema di un’autonomia rispettosa dei diritti della popolazione. Ci sono tracce di suoi viaggi e frequentazioni con i socialdemocratici sudtirolesi. In particolare, dopo una visita in cui raccolse le richieste contenute nel programma dei socialdemocratici, pronunciò un discorso in parlamento – molto avanzato e che si è realizzato tanto tempo dopo – che trattava i temi dell’autonomia, l’uso della lingua, le attività economiche, lo sviluppo, il rispetto per le tradizioni. La moglie ricevette lettere di condoglianze molto affettuose da vari esponenti del Deutscher Verband, che lo consideravano un amico. 

E cento anni dopo? 

Rappresenta un patrimonio scomodo per tutti, perché costringe a fare i conti con il passato, ma soprattutto perché costringe a pensare che, anche oggi, vi sono dei pericoli. La memoria deve costruire libertà. E Matteotti ce lo ricorda ogni giorno.

Ana Andros COOLtour

Duo Danz: ridere e far ridere per passione

DUO DANZ è un duo di cabaret composto da Dario Volani e Francesco Sebastiani, formatosi nel 1988 e che, nel 2001 ha dato vita a un’associazione che organizza eventi culturali principalmente a Laives. Ne parliamo con Francesco Sebastiani.

Come vi siete conosciuti?

Da piccoli io e Dario abitavamo vicini, ad un centinaio di metri in linea d’aria. Erano anni bellissimi, in cui si stava a giocare liberi fino a tarda sera. Ci siamo conosciuti lì, in quel gruppone di bambini spensierati e felici. Io e Dario ci siamo subito “capiti al volo” e abbiamo riconosciuto ognuno l’imbecillità dell’altro in men che non si dica. L’ingresso nel coro Schola Cantorum del prof. Sergio Maccagnan è stato per noi il periodo nel quale ci siamo avvicinati molto anche a livello di amicizia e che ci ha dato la possibilità di esibirci in numerose scenette comiche durante le feste o le varie esibizioni del coro.

Come e quando è nata l’idea di formare un duo comico?

L’idea di formare un “duo” tutto nostro è stata del professor Sergio Maccagnan. Gli servivano due idioti che presentassero in maniera ironica il prestigioso concorso “Il microfono d’argento” che era un concorso per dilettanti allo sbaraglio. Quegli idioti eravamo noi, abbiamo dovuto trovarci in fretta un nome ed è così che è nato il “Duo DANZ” (duo perché siamo in due e DANZ perché mezzo Dario e mezzo Franz). Da lì la nostra storia è iniziata ufficialmente. Sono 37 anni che continua ed è stato un viaggio bellissimo.

Cosa avete provato durante la prima esibizione?

Io mi ricordo tantissima agitazione, ma anche una felicità che non posso spiegare. Ogni volta la storia si ripete, ne abbiamo fatte tante, ma ancora oggi prima di ogni esibizione, per me è come se fosse la prima. Mi metto dietro al sipario chiuso e ascolto il rumore del pubblico in sala, mi piace sentire l’odore del palco e adoro quella sensazione di agitazione interna che ho nello stomaco. Dario invece è decisamente più freddo e assorbe meglio la tensione. È per questo che lo stresso con ripetute domande e lo assillo con i vari: “mi raccomando… occhio… ricordati…”. So che non serve a niente, perché fa comunque ciò che vuole, ma a me serve per calmarmi. Successivamente, una volta salito sul palco, dopo la prima risata del pubblico l’agitazione se ne va e io mi sento come se fossi a casa mia, nel mio elemento.

Qual è il vostro processo di preparazione a uno spettacolo?

Siamo l’unico Duo comico al mondo che non ha un processo di preparazione, raramente proviamo in maniera seria e “professionale” a scrivere qualcosa su carta; lo facciamo in maniera molto essenziale e approssimativa. Chi ha recitato con noi ci ha sempre detto che siamo due pazzi incoscienti. Penso che abbiano ragione loro, ma Dario dice che va bene così.

Qual è il vostro sketch preferito?

Devo dire che tutte le nostre scenette ci sono sempre piaciute, proprio perché le abbiamo quasi tutte completamente ideate e inventate noi. Ci siamo sempre divertiti molto nel crearle e a volte ci siamo sbellicati dalle risate fino a star male. Secondo me proprio per questo siamo riusciti a trasmetterle al pubblico, perché piacevano in primis a noi. A me personalmente è sempre piaciuta moltissimo la scenetta della “Sigla” con la quale apriamo spesso gli spettacoli, perché racconta molto di noi… Dario (che è il capo) e io (lo scemo che rovina tutto). Devo dire però che ce ne sono molte altre bellissime che ci hanno dato tanta soddisfazione. 

Qual è lo spettacolo a cui siete più affezionati? 

Forse il punto massimo di soddisfazione è stata la commedia molto divertente “No l’è farina da far ostie” al concorso nazionale “Stefano Fait” dove ci siamo classificati secondi e che abbiamo portato in giro per un bel po’ facendo numerose repliche. Veramente una bellissima esperienza.

Quali sono i vostri programmi per il futuro?

Spero che in futuro si possa dare continuità a questa avventura, sempre insieme a Dario, sempre così spensierati e divertenti, cercando di far dimenticare alle persone che verranno a vederci tutti i problemi che ci sono fuori, almeno per due ore. 

Autore: Martin Bonaccio Redazione COOLtour

Baseball a Bolzano: ne parliamo con Luca Bellinazzi 

Tutto cominciò nel 1955, quando alcuni studenti dell’ITI e dell’ITC guardando un gruppo di americani che giocavano con guanti e palline sul greto del Talvera si incuriosirono e iniziarono a farsi una prima idea di cosa fosse il baseball. Da allora ne è passata di acqua sotto il ponte Talvera…  Ad oggi il Bolzano gioca nel campionato italiano di serie B, con l’obiettivo di entrare in A, oltre a quello di formare i giovani atleti bolzanini per mantenere ciò che è stato conquistato fino ad oggi. Oggi andremo ad intervistare Luca Bellinazzi, capitano della prima squadra del Bolzano, per conoscere meglio il mondo del baseball.

Ciao, raccontaci in breve chi sei… 

Mi chiamo Luca, ho 30 anni e sono nato e cresciuto a Bolzano. Le mie più grandi passioni sono lo sport in generale e l’informatica, settore nel quale lavoro da diversi anni. Mi sono avvicinato al mondo del baseball per la prima volta nel lontano 2004, in maniera del tutto casuale…

Com’è successo?

Come detto, è stato un “incontro” assolutamente casuale. Tutto ebbe inizio durante una di quelle giornate organizzate dalle scuole presso i vari campi lungo le passeggiate del Talvera; alla mia classe toccava fare visita al campo da baseball. Provai da subito un forte interesse verso questo sport molto particolare, e da lì ebbe inizio la mia avventura.

C’è un bel movimento nel baseball a Bolzano?

Il movimento del baseball bolzanino ha sicuramente raggiunto il suo picco negli ultimi dieci anni, conquistando diversi titoli sia a livello giovanile che a livello seniores, tra cui la promozione e la permanenza nella massima serie italiana per diversi anni. Di recente stiamo un po’ soffrendo in termini di numeri di giocatori, ma riusciamo comunque a mantenere un buon livello ed a partecipare a diverse competizioni.

Quali sono le caratteristiche per essere un bravo giocatore di baseball?

Sicuramente il baseball è uno sport molto complesso che richiede molto impegno, sia dal punto di vista fisico che da quello mentale. Per chi non lo sapesse, il baseball è per eccellenza lo sport in cui il fallimento è all’ordine del giorno, per cui bisogna essere in grado di tenere botta e continuare ad impegnarsi con costanza e disciplina per migliorarsi ogni giorno.

Perché consiglieresti ad un ragazzo di iniziare a giocare?

Innanzitutto, consiglio a tutti i giovani di provare diversi sport, in modo da poter mettersi alla prova e capire veramente quale sia la propria passione. Il baseball purtroppo è ancora poco conosciuto, fatta eccezione per alcune regioni in Italia, ma se praticato con dedizione è uno sport che ti porti con te per molto tempo, capace di farti crescere dentro e fuori dal campo.

Che aria c’è tra voi ragazzi?

Tra noi ragazzi c’è un clima estremamente positivo. Quest’anno abbiamo un gruppo molto eterogeneo, costituito da un gruppo di giocatori un po’ più esperti e molti ragazzi giovani che hanno tanta voglia di mettersi alla prova. L’obiettivo principale resta sempre quello di divertirsi insieme e competere per raggiungere un buon risultato.

In cosa può migliorare Bolzano?

Negli ultimi anni stiamo cercando di ricostruire un gruppo vincente, che possa essere in grado di competere in pianta stabile in serie B ed al momento opportuno provare a riportare il Bolzano in serie A. Il focus è soprattutto far crescere i tanti giovani che abbiamo incluso sempre di più in prima squadra. C’è sicuramente ancora molto lavoro da fare, ma la voglia è tanta e c’è ottimismo per il futuro.

Autore: Niccolò Dametto

Osservando le stelle

Presso le scuole medie Filzi di Laives è presente un piccolo osservatorio astronomico, gestito da un pool di allievi e professori della scuola. Non si tratta solo di attività didattiche: si possono osservare pianeti extrasolari ma anche individuare stelle variabili e contribuire a definire la fisionomia degli asteroidi, anche di quelli più lontani. 

I professionisti delle osservazioni astronomiche sono naturalmente gli astronomi che, di norma, possono disporre  di un tot di ore riservate sui grandi telescopi presenti sulla terra o in orbita terrestre. Ma non molti sanno che anche i milioni di appassionati “astrofili” attivi nel mondo, possono di fatto dare un grande contributo in numerosissimi progetti di ricerca. Ebbene: all’interno di questa rete globale ci sono gli astrofili altoatesini e anche un gruppo di allievi delle scuole medie Filzi di Laives, dove si trova da qualche anno un osservatorio di tutti rispetto, coordinato dal prof. G.B. Casalnuovo. Un piccolo pool di insegnanti, alcuni in pensione e altri ancora in attività, si incontrano ogni settimana con i ragazzi per coordinare e proseguire numerose attività, didattiche e anche di ricerca. Qualche esempio? Beh, l’anno scorso dall’osservatorio delle Filzi è stato possibile osservare il passaggio davanti alla propria stella di un pianeta extrasolare. Ma forse uno dei lavori più interessanti recentemente realizzati è stato il contributo dato alla definizione della fisionomia di un asteroide “transnettuniano”, ovvero presente oltre all’orbita di Nettuno, ai confini del sistema solare. Com’è noto tutti gli asteroidi fanno parte della nube primordiale, e la loro conoscenza ci aiuta a capire meglio come e quando si è formato il sistema solare e a prevedere quale potrà essere la sua evoluzione. Per capire meglio come è fatto l’osservatorio delle Filzi e come viene utilizzato assieme ai ragazzi, abbiamo intervistato il prof. G.B. Casalnuovo.

L’INTERVISTA

Com’è nato l’osservatorio delle Filzi di Laives?

Fin da quando ero piccolo coltivo una grande passione per l’astronomia, che mi ha portato col tempo ad installare nel cortiletto di casa, a Bolzano, un telescopio, col quale ho scoperto una trentina di stelle variabili, pubblicate dalla associazione americana AAVSO, successivamente alle scuole Filzi di Laives, la scuola in cui ho insegnato per anni educazione tecnica ho insistito fortemente affinché venisse allestito un piccolo osservatorio. Così quando ad un certo punto si è dovuta coprire con una tettoia la scala d’emergenza che dalla palestra va verso il cortile, è stato possibile individuare un piccolo spazio di 2 metri per 2 e mezzo, in cui è stato posto il telescopio. 

La collocazione riesce ad evitare il problema dell’inquinamento luminoso contro il quale combattono tutti gli astrofili?

Purtroppo l’inquinamento a Laives c’è, però per i lavori che facciamo noi – riguardanti asteroidi, stelle variabili e analisi di spettri – ne risentiamo molto meno rispetto ad esempio alle foto di cielo profondo, dedicate a galassie e nebulose. In ogni caso tutto l’osservatorio è stato “remotizzato” in maniera artigianale.

Vuol dire che può essere gestito a distanza?

Sì, da casa oppure da altre scuole. Le Filzi in Italia sono le uniche scuole medie che dispongono di un piccolo osservatorio remotizzato. 

A gestire l’osservatorio delle Filzi siete in quattro. Tutti insegnanti o ex insegnanti della scuola? 

Sì. C’è Roberto Chinaglia che è in pensione come me, e che fin dall’inizio, assieme a me, si è occupato dell’assemblaggio e della remotizzazione. Poi ci sono gli insegnanti  Samuel Volani, e Vittorio D’Apice, un professore di matematica. 

Che tipo di telescopio avete installato?

Non è professionale, ma si potrebbe definire “più che amatoriale”. Il diametro è di 35 centimetri. Avremmo potuto prenderne uno anche più grande , ma lo spazio dell’osservatorio e’ troppo ristretto e sarebbe stato impossibile manovrarlo. 

Gli astrofili come sono organizzati a livello locale?

C’è un grosso gruppo di lingua tedesca che fa capo all’osservatorio Max Valier di Collepietra. Noi siamo invece consociati con la Uai, l’Unione Astrofili Italiani. 

Sono tanti gli appassionati, anche nella nostra realtà locale?

Ultimamente un po’ meno. L’avvento di internet con la possibilità di reperire le immagini in rete, anche di grande qualità, ha un po’ diminuito le motivazioni, soprattutto nei giovani. 

Sono di meno gli appassionati che scelgono di dotarsi un telescopio personale?

Proprio così. Anche perché va detto, è un po’ una delusione quando guardi con l’oculare del tuo telescopio un oggetto che magari avevi prima visto su una rivista. Per avere immagini così belle devi fare tante foto, trattarle, sommarle con un software e, soprattutto, devi osservare da un luogo senza inquinamento luminoso. In ogni caso, come detto, con un piccolo telescopio si possono fare anche molte altre cose interessanti. 

Con un osservatorio come il vostro si può fare didattica ma, abbiamo visto, anche ricerca. I ragazzi delle medie, però, non sono ancora un po’ “piccoli” per queste cose?

La risposta è una sola: bisogna appassionarli trasmettendo loro la tua, di passione. Ci vuole un entusiasmo contagioso. Certo non si può andare molto a fondo con le formule matematiche. Ma devo dire che lo scorso mese di novembre in occasione della giornata delle scienze che si e’ svolta all’Universita’ di Bolzano, i ragazzi hanno fatto un ottimo lavoro sugli spettri della costellazione della Lira. In remoto abbiamo ripreso gli spettri delle sei stelle principali della costellazione e li abbiamo elaborati.

Cosa sono gli spettri, in astronomia?

Ogni sorgente luminosa può essere scomposta nei suoi colori. Il primo è stato Newton con il suo prisma, noi invece usiamo un reticolo di diffrazione. Nello spettro si rilevano anche delle righe, di assorbimento e/o di emissione, ed in base a come sono disposte queste righe si può anche stabilire caratteristiche importanti della stella osservata. 

Insomma: partite dalla pratica per poi eventualmente arrivare, anche, alla teoria. 

Certo. Con questi sistemi si può addirittura calcolare la temperatura di una stella, e i ragazzi l’hanno fatto. 

Immagino voi possiate contare su una dirigente particolarmente disponibile.

Esatto, la Dott.ssa Emanuela Scicchitano è molto sensibile a questo tipo di iniziative. Nel logo delle Filzi è stato messo un piccolo telescopio, come a significare l’importanza dell’osservatorio per tutta la scuola. 

Dicevamo: voi fate didattica ma anche ricerca. Ed è in questo secondo caso che la cosa si fa particolarmente interessate.

Sì. Ad esempio nella primavera del 2023 abbiamo ripreso un asteroide e abbiamo determinato la sua curva di rotazione. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Minor Planet Bulletin e sono stati menzionati anche i nomi dei ragazzi che hanno collaborato. Erano fieri e felicissimi di esserci. 

Come siete riusciti a fare questa cosa?

Va detto che per compiere delle ricerche volte a determinare le caratteristiche fisiche di un asteroide si possono percorrere diverse strade. Tra esse ci sono l’analisi di immagini riprese da un radar e le riprese con telescopi posti al di fuori dall’orbita terrestre. Ma si tratta di metodi non a portata degli astrofili e – in ogni caso – utilizzabili solo per asteroidi che intersecano l’orbita terrestre e quando sono molto vicini a noi, come ad esempio i pericolosi NEA (Near Earth Asteroids). 

Qual’e’ il sistema che avete utilizzato voi per contribuire alla misurazione delle dimensioni di un asteroide transnettuniano? 

Questo lavoro l’ho realizzato io da solo, utilizzando un metodo che normalmente si applica per l’analisi degli asteroidi nella Main-belt, ovvero la fascia principale di asteroidi che si trova tra Marte e Giove. In quella zona ci sono circa 1 milione e seicento mila asteroidi conosciuti. Il sistema si basa sulle cosiddette occultazioni stellari, ovvero delle eclissi di stelle. Praticamente consiste nel cronometrare il calo di luminosità, totale o parziale, di una stella nel momento in cui l’asteroide passa (prospetticamente) davanti ad essa. Se l’evento viene registrato da molti osservatori, dell’oggetto si può calcolare, oltre al diametro, anche la forma. Ed è quello che abbiamo fatto a partire dall’osservatorio delle  Filzi di Laives, comunicando le esatte coordinate del luogo di osservazione, oltre al tempo di inizio e di fine dell’occultazione, e questo con la maggiore precisione possibile. L’analisi dei dati, inviati da una quarantina di osservatori compreso il nostro e raccolti dall’astrofisica F. Rommel, sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Astronomy & Astrophisics. 

Com’è fatto e quanto è grande l’asteroide del quale, con l’aiuto dell’osservatorio di Laives, avete contribuito a definire la… “carta di identità”?  

Ha forma ellissoidale, con un asse maggiore di 824 e asse minore di 700 chilometri. Sulla superficie si sono evidenziate anche delle depressioni, ovvero dei crateri, dalla grandezza piuttosto significativa. 

L’osservatorio delle Filzi è riservato agli studenti della scuola?

No. A richiesta è a disposizione degli studenti delle scuole superiori che volessero produrre tesine di carattere astronomico. Per contatti e notizie sui lavori finora da noi effettuati basta raggiungere questo indirizzo breve urly.it/3a3z0 che rimanda ad una specifica sezione del sito web della scuola. 

Autore: Luca Sticcotti

“Fratellanza e accoglienza ci giungono dalle radici cristiane”

VALORI

La nostra “storia di copertina” dello scorso numero, dedicata all’esclusività o meno delle radici cristiane dell’Europa, ha sollecitato alcuni lettori a contattarci, con messaggi e telefonate, per esprimere la loro opinione. Tra queste reazioni vi è quella di Teresa Finetto, che abbiamo deciso di pubblicare anche perché ci consente di aggiungere tutta una serie di elementi che ci era stato impossibile evidenziare con il prof. Sarri, soprattutto per motivi di spazio. Ringraziamo la nostra lettrice, un’insegnante in pensione, per aver segnalato diversi aspetti positivi del contributo dato dal Cristianesimo nel tentativo di “creare comunità” nel continente europeo, attraverso i secoli. Richiamando in questo modo lo spirito di fratellanza e accoglienza che però, ahinoi, oggi come oggi, molti cattolici praticanti sembrano poi dimenticare quando si accostano alle urne elettorali. 

Luca Sticcotti

Egregio Direttore, ho letto sullo scorso numero della rivista l’articolo dal titolo “Radici cristiane?” scritto [assieme al] professor Andrea Sarri, che conosco e stimo. Tuttavia non posso fare a meno di dissentire su alcuni aspetti della sua interpretazione, soprattutto sulla definizione di “mito delle radici cristiane” dell’Europa. Se per “mito” si intende una visione del passato idealizzata a nostalgica, non posso che concordare con lui. “Guerra, peste, carestia” sono i flagelli, conditi da un bel po’ di ingiustizia, da cui, da sempre, si è pregato di essere preservati. E il nostro tempo non ne è immune, anzi!
Ma riconoscere questo non significa negare, di conseguenza, che il cristianesimo abbia portato nella società una nuova antropologia, una nuova mentalità, un nuovo modo di associarsi e risolvere i problemi. Paolo VI ha proclamato san Benedetto patrono d’Europa perchè, alla luce dei fatti, il monachesimo è il movimento che pazientemente, in tempi durissimi, ha creato una comunità di popoli animati dallo stesso ideale, con una fede, una liturgia, una lingua, una mentalità comune, pur nelle specificità locali, dalla Spagna alla Polonia, dalla Gran Bretagna alla penisola italica.
I monasteri per secoli sono stati centri propulsori di vita spirituale, ma anche materiale a tutti i livelli: la lavorazione del formaggio (compreso il grana padano), della birra, del vino, dell’olio, le bonifiche, i terrazzamenti nei paesi mediterranaei, le dighe per difendersi dal mare nei paesi del Nord e molto altro sono nati dallo sperimentalismo dei monaci. Senza dimenticare gli orti botanici e la farmacologia naturale ora così di moda. Sorprende scoprire che persino le note musicali siano state inventate da un monaco, Guido d’Arezzo, utilizzando un inno dedicato a san Giovanni.
Tutto ciò è documentato nella bellissima mostra Il gusto del quotidiano recentemente esposta nella chiesa parrocchiale di Don Bosco.
Certamente non vanno dimenticate le altre radici, felicemente accolte nella cultura cristiana, in particolare quella latina, letteralmente salvata e trasmessa dai monasteri, e quella germanica, convertita, umanizzata e indirizzata a finalità nobili dall’istituzione della cavalleria. Un tentativo, naturalmente, non sempre riuscito ma affascinante, tanto che ha generato un nuovo genere letterario.
Mi preme, per interesse personale che mi ha spinto a studiarlo in modo particolare, accennare al fenomeno delle vie di pellegrinaggio che hanno unificato la cristianità sia nello spirito penitenziale, anche qui un tentativo ben riuscito di convertire il male, personale e collettivo, sia nello spirito di accoglienza che ha generato gli hospitales, da cui sono scaturiti gli ospedali o ospizi medioevali gestiti da confraternite laiche o congregazioni religiose e attivi fino almeno al XIX secolo. La Chiesa, intesa come popolo cristiano, nei secoli ha coltivato, con caratteristiche adeguate all’epoca, le opere di misericordia: gli studenti dovrebbero esserne informati, ci sarebbe così tanto da scoprire e, soprattutto, riprendere! Come già accade per molti gruppi di laici impegnati nel sociale.
Concludo questo inevitabilmente limitato excursus con una osservazione: a mio parere Paolo VI ha proclamato san Benedetto patrono d’Europa non per anticomunismo, ma per ricordare una eredità che, almeno fino alla Rivoluzione francese, non era necessario ricordare in quanto patrimonio comune riconosciuto universalmente. Se i papi recenti, compreso Francesco, hanno richiamato l’Europa a ritrovere la sua anima è perché, non inserendo il richiamo alle radici cristiane nella propria Costituzione, l’Unione Europea ha consapevolmente rimosso la propria storia, tradendo lo spirito dei suoi padri fondatori, Adenauer, De Gasperi e Schumann, gli ultimi due già proclamati “servi di Dio”. Si è aperta così la strada ad una rimozione che è sfociata nel relativismo, nel nichilismo, nell’individualismo e nel materialismo che caratterizzano, purtroppo, la cultura europea. Penso sia questo il vero problema dell’Europa. E penso che, se si vorrà portare avanti il sogno di un’Europa unita (già presente nell’ideale della Res publica christiana) non si potrà prescindere da un serio ripensamento su ciò che davvero può unirci. Un’Europa pragmatica, astrattamente ideologica ma senz’anima potrà procurare molti vantaggi materiali alle generazioni future, ma non potrà generare quello spirito di fratellanza e di accoglienza di cui tutti abbiamo bisogno.

Autrice: Teresa Finetto

Il teatro come strumento sociale

Da anni ormai il teatro è un linguaggio utilizzato anche fuori dagli spazi entro cui è nato; da forma di intrattenimento è passato a divenire un potente strumento sociale che può educare, ispirare e unire le persone. Attraverso la rappresentazione delle storie umane, il teatro stimola la riflessione critica e favorisce il dialogo, contribuendo a costruire una comunità più coesa e consapevole. Oggi abbiamo il piacere di presentare un’ intervista con Sara Pantaleo e Gianluca Bazzoli, che rappresentano due terzi dell’associazione di promozione sociale (APS) Sagapò.  Fondata con l’obiettivo di promuovere il teatro e la lettura, questa realtà è diventata un punto di riferimento per la comunità locale.

Com’è nata la vostra associazione?

Sara Pantaleo – Sagapò nasce come associazione che si occupa di attività culturali, tra cui teatro, promozione alla lettura e formazione su larga scala. Ci interessa da sempre lo scambio culturale con uno sguardo all’arte come mezzo per creare dialogo, uno spazio di comunicazione e di espressività. Da poco ho preso il testimone da Chiara Visca e da ottobre sono la nuova presidentessa di Sagapò, con cui, in una linea di continuità, mi e ci interessa portare avanti il tipo di attività che hanno caratterizzato finora l’associazione.

In che zona proponete le vostre attività?

Sara Pantaleo – Principalmente a Bolzano e provincia; da alcuni mesi abbiamo una sede in via Roen 12A, per cui questo spazio è reso vivo anche da un corso di teatro, che seguo io, che è iniziato ad ottobre e si concluderà a giugno. Si tratta di un percorso annuale per adulti, che poi riprenderà a settembre.

Ma voi siete presenti con le vostre attività anche in altri spazi…

Gianlunca Bazzoli – Sagapò è un’associazione che si occupa di un ventaglio di proposte sotto il cappello artistico culturale. Tra queste abbiamo le letture che vengono fatte in biblioteche e anche in spazi all’aperto. Nella nostra sede stiamo anche organizzando delle letture per bambini e famiglie per insegnare l’interazione tra libro e bambino ai genitori. 
Ci occupiamo anche di storytelling. Se c’è bisogno di raccontare una storia anche in spazi non convenzionali, questa tecnica è molto snella, quindi riusciamo ad allestire spettacoli, ovunque! 
E poi ci occupiamo di teatro, ma non solo nella scatola teatrale, perché il teatro si può portare veramente ovunque. Ho notato che ogni volta che noi portiamo un’iniziativa fuori da degli spazi convenzionali, c’è sempre molta curiosità. Il pubblico, soprattutto dopo il covid. ha voglia di tornare ad aggregarsi, ha voglia dell’esperienza diretta.

Avete altri progetti?

Sara Pantaleo – Con Federica Carrubba Toscano abbiamo fondato un collettivo artistico e ci occupiamo di teatro di ricerca e di indagine sociale.
Sagapò è stata continuatrice di questi progetti, nati dal 2020 in poi, proprio periodo pre-pandemia.
Quindi ora che siamo subentrati nella gestione di Sagapò, continuiamo a seguire i progetti da qui, per una associazione che comunque ci ha sempre sostenuto come coproduzione. È molto bello, è un viaggio che continua…
Gianluca Bazzoli – Per ora ci interessa continuare a sostenere delle iniziative che fino adesso hanno funzionato bene e che il territorio ha sempre apprezzato. Poi l’arte non si ferma mai e noi siamo curiosi di lasciarci sorprendere da quello che Bolzano può offrire, aiutandoci a creare ogni volta qualcosa di nuovo.

Autore: Till Antonio Mola