Il tema dell’identità e delle radici torna, periodicamente, a caratterizzare il dibattito pubblico, soprattutto in corrispondenza con gli appuntamenti elettorali. In merito all’importanza delle radici cristiane che, per molti, ci accomunano, abbiamo scelto di parlarne con il prof. Andrea Sarri, esperto di storia della chiesa locale e non solo.
Le radici cristiane dell’Europa sono un mito. Ad affermarlo nei giorni scorsi con un articolo sul quotidiano Alto Adige è stato il professore Andrea Sarri, da anni insegnante presso il Liceo Carducci di Bolzano ed uno dei più autorevoli esperti locali nell’ambito della storia religiosa nell’età contemporanea, con particolare attenzione al rapporto chiesa-società nelle diocesi del Trentino-Alto Adige/Südtirol.
Il tema è molto attuale perché, a poche settimane dal voto europeo, alcuni partiti sono tornati ad insistere sulle questioni identitarie e sui simboli ad esse collegati. D’altronde è stata l’attuale premier Giorgia Meloni ad affermare, nella sua autobiografia uscita nel 2021, che il crocifisso appeso a scuola “non sta ad indicare l’imposizione di una religione”, essendo esso “semplicemente un segno che caratterizza la nostra civiltà”.
Le radici cristiane, però – come ci conferma Sarri – sarebbero però solo un mito, di forte impatto sull’immaginario collettivo.
Forse non tutti hanno le idee chiare su cosa sia, di fatto, un mito. Ricorriamo allora all’enciclopedia Treccani per ricordare che, nella sua declinazione più moderna, questo termine sta ad indicare una “rappresentazione ideale o ideologica della realtà che, proposta in genere da una élite intellettuale o politica, viene accolta con fede quasi mistica da un popolo o da un gruppo sociale”. Dunque le radici cristiane, seppur significative, secondo Sarri, non sono l’aspetto largamente prevalente né tantomeno esclusivo della nostra “civilità”.
“Nello studio della storia della chiesa e del suo rapporto con la società questo rapporto tra mito e realtà, è stato evidenziato in primis dal più grande storico del Novecento, ovvero Marc Bloch”, ricorda Sarri. Aggiungendo che quando si studia la civiltà europea la si può immaginare come una torta a più strati, dove il cristianesimo in tutte le sue forme è senz’altro un elemento cruciale, anche se naturalmente non esclusivo. “Va poi ricordato che anche il cristianesimo man mano si è trasformato. Prima dell’anno mille non era quello di papa Gregorio VII (1073-1085) che rivendicò la superiorità del papato sul potere temporale dell’imperatore, ad esempio. Così come un altro cristianesimo è quello che si afferma con il Concilio di Trento che reagisce alla riforma luterana”.
L’INTERVISTA
Prof. Sarri, quali sono le altre componenti della civiltà europea che non vengono considerate, quando vengono rivendicate in maniera esclusiva le radici cristiane?
Le fonti classiche, innanzitutto. Quella greca e quella romana. Oppure, secondo alcuni, solo quella greca, anche se i Romani come sappiamo hanno dato un grande contributo sul piano del diritto e della tecnica. Poi c’è la componente islamica che ha caratterizzato diverse zone del sud e dell’est Europa fino a quasi l’età moderna. Poi ci sono componenti germaniche e scandinave. E nel primo millennio non vanno dimenticate le componenti bizantine, relative all’Impero Romano d’Oriente che si occupò di conservare la cultura greca che in Occidente era scomparsa. E poi l’Umanesimo, il Rinascimento, la Scienza moderna, l’Illuminismo…
In effetti si tratta di componenti molto importanti. Molte hanno avuto un rapporto con il cristianesimo, ma senz’altro la maggior parte di esse hanno avuto un ruolo fondamentale anche a prescindere da questo rapporto. In ogni caso è la Rivoluzione Francese che – di fatto – segna una cesura tra il passato e la contemporaneità.
Sì. I diritti, le libertà, l’idea moderna di democrazia basata su un patto sociale in cui i cittadini hanno pari dignità, nascono proprio in quel momento sulla scia dell’Illuminismo e della Rivoluzione Francese. L’idea dello stato laico le cui leggi sono indipendenti dalla dottrina religiosa cristiana e cattolica è davvero rivoluzionaria. Ed è da questo shock che nasce il mito delle radici cristiane dell’Europa. L’idea che possa esserci un approccio irreligioso alla realtà e nella società porta autori come Novalis e Chateaubriand a sostenere che l’idea satanica della “laicità” sarebbe nata già ai tempi di Lutero agli inizi del ‘500 e che per evitare che la civiltà scivoli nella barbarie occorra ritornare appunto ad un medioevo, anche questo mitizzato, in cui il papa deteneva sia il potere spirituale che quello temporale.
La chiesa come si è posta, durante la Rivoluzione Francese e negli anni della Restaurazione rispetto a questo dibattito sulle radici cristiane, rivendicate da una serie di intellettuali europei?
Il papato in realtà rimase a lungo estraneo all’elaborazione del mito delle radici cristiane. Ci arrivò solo nel Novecento tra le due guerre mondiali, per poi farlo suo nell’ottica anticomunista dopo la fine del secondo conflitto. Lo fece papa Pio XII per sollecitare le nascenti istituzioni europee affinché “riconoscessero la legge di Dio e della sua Chiesa”. Ma già Giovanni XXIII scelse di declinare il ruolo della Chiesa non più come sovrana, ma invece “madre” dei popoli europei. Se Paolo VI nominò San Benedetto patrono d’Europa con lo scopo di “cristianizzare il processo di integrazione europea”, poi Giovanni Paolo II cercò di proseguire il percorso nell’ottica di neo-cristianità. Benedetto XVI dal canto suo cercò di proseguire nel solco del suo predecessore, mentre invece l’attuale pontefice Francesco se prima ha sollecitato l’Europa a “non perdere la sua anima”, successivamente ha invece significativamente definito l’identità europea “dinamica e interculturale”. Per poi passare addirittura a definire l’azione della chiesa del terzo millennio “semplicemente misericordiosa”, ovvero pronta ad accogliere e a venire in soccorso alle persone che le si rivolgono in cerca di aiuto.
I principali partiti che rivendicano la necessità dei simboli delle radici cristiane negli spazi pubblici sono però spesso gli stessi che rivendicano anche il valore fondante della libertà individuale nella società. Quest’ultimo valore però, di per sé, non è stato esattamente fondante durante secoli e secoli di storia di storia della chiesa. A lungo la chiesa non ha visto di buon occhio lo sviluppo della libertà individuale e della coscienza critica dei suoi fedeli…
In questo senso nel corso dell’800 la chiesa ha compiuto un suo percorso, lento, ma comunque significativo. Va anche detto che al mito delle radici cristiane dell’Europa in quel secolo si richiamarono anche i cattolici liberali, che sostenevano che in realtà le radici della modernità stavano nel Cristianesimo e nell’azione del papato romano nella civiltà europea. Sono temi che vennero ripresi negli anni ’30 del novecento anche da Benedetto Croce, in un ottica antifascista. In ogni caso oggi i richiami alle radici cristiane dell’Europa e la difesa dei suoi simboli hanno soprattutto una funzione anti islamica. Viene proposta l’idea di un’Europa guerriera, che si pone a difesa dei sui confini. Poi rimane sottotraccia il pericolo comunista. Il mito delle radici cristiane in ogni caso è stato declinato in diversi modi, come abbiamo visto.
Nella destra politica esiste un dibattito su questi temi. Esiste una destra che, invece, sceglie di appoggiarsi comunque sulla laicità?
Bisognerebbe andare a leggere gli intellettuali di riferimento di quest’area, per capire se hanno ancora spazio voci liberali classiche. Da quello che capisco prevale l’argomento paura e quindi il ricorso al mito come difesa di identità. Sul piano inconscio scatta un riflesso condizionato basato sull’emotività.
Sul piano locale, in Alto Adige, esiste ancora una destra laica e, anzi, anticlericale? Il Sudtirolo è fortemente secolarizzato, è sotto gli occhi di tutti. Una serie di cose non possono più essere date per scontate. La chiesa altoatesina è identitaria solo per una minoranza dei residenti e, forse, anche nella parte di lingua tedesca.
Credo che il vescovo Muser già ai tempi del Covid abbia capito che le dimensioni stesse della comunità ecclesiale, in provincia di Bolzano, ormai rappresenti una minoranza. E la sua insistenza su nuove forme di fare chiesa, come la chiesa “domestica” sorta durante il Covid sta a dimostrarlo. Lui queste forme nuove le ha presentate, nelle sue lettere pastorali, come “segni dei tempi”. Si è usciti, in sostanza, dalla dimensione della solidità pubblica del culto. Una parte rimane, perché ha anche un aspetto di convivialità, ma certo le cose sono cambiate di molto.
Anche all’interno del clero c’è una grande presenza, oggi, di preti di origine straniera e, anzi extracomunitaria.
Sì, e alcuni anche con ruoli importanti. Una cosa impensabile anche solo 10 anni fa. Quindi non si tratta solo di vedere all’esterno una secolarizzazione, ma anche di consapevolezza che lo stesso clero non è più quello di una volta. E le stesse dinamiche ci sono, naturalmente, anche nella vicina diocesi di Trento.
Quindi all’interno della chiesa la tentazione di insistere sulla rivendicazione delle radici cristiane è minore rispetto a quanto avviene in politica?
Sono nelle condizioni e forse hanno anche la capacità di guardare oltre, con una prospettiva che va al di là delle prossime elezioni.
Autore: Luca Sticcotti