Di giorno sotto l’influsso di correnti settentrionali artiche ammiriamo cieli particolarmente luminosi di un azzurro elettrico, mentre innocui cumuli di nuvole solcano in rapido movimento verso sud; il vento è dispettoso, teso a tutte le quote e una marea di foglie volteggiano per aria a ricoprire ogni cosa e ci ricordano che, a breve, l’inverno meteorologico busserà alla soglia. Alziamo lo sguardo sulle creste imbiancate nottetempo e notiamo che, lassù, il vento spinge ancor con più veemenza, carico di una rabbia disumana, a sollevare la neve caduta ed a trasportarla letteralmente nel cielo. Lei si libra nell’aria, edulcora per un breve spazio l’azzurro elettrico con tonalità più tenui, in cui il pittore dovrebbe usare del bianco per dare movimento all’immagine e farci intuire cosa sta realmente accadendo; la neve sospinta è destinata a dissiparsi e ad evaporare, e dunque il paesaggista è libero di tornare allo schema iniziale che riempirà poi con altri elementi e colori, magari più ravvicinati e prediligendo quelli primari, per la prospettiva di profondità e per catturare i nostri occhi. Fintantoché le perturbazioni da nord incocciano contro le Alpi avremo aria salubre, frizzante e secca e gli amanti della dama bianca dovranno raggiungere i luoghi di confine per tuffarsi dentro un manto accettabile. Al mattino, appena svegli, avremo un gran senso di sete e le fauci seccagne, la pelle delle mani e le labbra screpolate, nel momento della colazione troveremo il pane fresco del giorno precedente già quasi croccante e non vedremo brina o strati di ghiaccio sui tetti delle case e della auto parcheggiate. Tutto per effetto di un’umidità relativa molto bassa, dovuta alla compressione adiabatica del vento (+1°C ogni 100m di caduta), che si scalda scendendo lungo i versanti meridionali. Esauritasi la spinta delle raffiche, è sufficiente una nottata stellata, quindi di un forte irraggiamento notturno, per farci imbattere il mattino seguente dentro l’inverno. La calda stagione non è una spiaggia così remota, eppure ormai l’anticiclone ha generalmente colonizzato una buona parte dell’autunno che quest’ultimo è diventato una stagione sfuggente per come eravamo abituati a ricordarcela ed il suo seguace conosciuto, l’inverno, tende ad assumere sempre di più caratteristiche autunnali, al netto di stravolgimenti clamorosi. Sarà che noi si invecchia, e che vedere calare già il sole alle 15.30 ci deprime, ma il profumo del te e delle castagne ci fa rinnamorare. Gli alberi caducifoglie si spogliano velocemente, come gli aceri, i tigli, i pioppi, i liquidambar, i platani ed è gradevole constatare come, proprio dall’altra parte della strada, un leccio sempreverde resti indifferente, esteticamente, al cambio di passo stagionale. Gli aceri palmati, perlomeno gli esemplari più riparati, resisteranno ancora qualche giorno prima di avvizzire completamente e rievocheranno alla mente, come una sorta di ultimi baluardi, i nastrini, le sedie, le scarpe, gli indumenti e le panchine di rosso vestite per quelle vite di donne prematuramente strappate. In attesa che la dama ricopra ogni cosa.
Autore: Donatello Vallotta