Inverno cercasi

Il 2023 è già entrato nella storia della meteorologia!
Siamo di fronte ad un’anomalia che qualche settimana ha frantumato record su record; a Rovereto sono stati registrati +8,3° C di temperatura minima equivalente alla normalità di Palermo, mentre a Trento Roncafort +6,9°C come se ci trovassimo sulle colline laziali (Meteo Trentino Alto Adige). Al Passo Croce Arcana (MO) a 1.750m di quota sono stati i superati di 10°C di massima e a Canevare di Fanano sono stati sfiorati i 14°C a 1300m (Emilia Romagna Meteo). Nel Piacentino, al 6 gennaio, sono stati contati appena quattro giorni di gelo rispetto alla media di 26 giornate (NIMBUS). Nella città di Torino si chiude l’anno più caldo e siccitoso degli ultimi due secoli, con un’anomalia di temperatura +1,6°C ed un deficit di pioggia/neve pari al 66%, il tutto confrontato con la media climatologica di riferimento del trentennio 1991-2020 (Arpa Piemonte). E pensare che negli inverni degli anni ’30 si poteva pattinare sul Po, che diveniva un’enorme distesa ghiacciata. Ad Aosta abbiamo avuto 19°C, 13°C a Gressoney, 10°C a Chamois a quasi 1900m (Meteo Tornado). Il 31 gennaio sono stati registrati 20°C a Monaco di Baviera, 19°C a Stoccarda, 18°C a Berlino e a Colonia, 16°C a Parigi (Kachelmannwetter). Dopo l’ondata di gelo epocale (-40°C) di due settimane fa, nell’area di Buffalo, con tormente di neve che hanno scaricato due metri di neve, in cui negli USA sono perite all’incirca duecento persone, ora ci sono +18°C di massima. Tanti laghi, specie in Trentino Alto Adige, sono completamente sghiacciati. A Marlengo, nel 2022, ci sono state settantaquattro giornate con una temperatura superiore ai 30 gradi (Florian Wetterseite).
In questi giorni numerose piante da frutto sono in fioritura anticipata e le api nelle ore soleggiate ne approfittano subitaneamente. A Merano, durante la tombola dell’Epifania, ho notato le prime coccinelle sugli infissi esterni in cerca del tepore del sole. In Irpinia, in collina, le rose sono in fiore.
Dal BalconORTO si sentono gli uccellini cantare come se fossimo in primavera. Le autostrade, con il loro carico di veleni e aria insalubre, scoppiano di traffico e di code e ciò ci fa capire che non c’è ancora un piano strategico dei trasporti, né la benché minima idea di come regolamentare gli spostamenti turistici.
3160 µg/m3 (microgrammi al metro cubo) è il valore di PM10 registrato dopo i botti di San Silvestro a Napoli, sessanta volte oltre il limite per la salute umana; limiti superati in tutti i grandi centri urbani, per non parlare di quello cronico nella Pianura Padana.
Buon rovente 2023 a tutti.

Autore: Donatello Vallotta

Ultimi colori

Finalmente le temperature si stanno accostando alle medie stagionali e sia sulle alture, sia nei fondovalle le prime gelate rimarcano questo cambiamento stagionale. I prati, nelle prime ore del giorno, sono ricoperti di un sottile strato di ghiaccio ed il classico tappeto verde lascia spazio al giallo aranciato; in assenza di nuvole basta un risoluto irraggiamento mattutino per farci svegliare dall’illusione che l’estate si sia definitivamente accomiatata e che anche l’autunno, presto, andrà in soffitta. Ma procediamo con calma, l’aria è sì decisamente pungente tantoché per evitare di soffrire il freddo è meglio vestirsi a strati ed avere con sé una berretta di lana ed un paio di guanti belli caldi. Il cuscinetto freddo che respiriamo, in cui l’inquinamento antropico bivacca imprigionato col suo color grigio/bluastro, è ben visibile nelle giornate con scarsa ventilazione; al contrario, in parecchie vie, quelle più esposte alle intemperie, gli alberi e le piante hanno perso gran parte delle loro foglie, ne restano attaccate le più temerarie, oramai prossime al marrone spento. Sfrontati procedono gli aceri coi riflessi e le sfumature di rosso rubino al tramonto, sebbene “cadrà l’inverno anche sopra il loro viso”. In questo quadretto permangono la palma, l’alloro, l’ulivo ed il leccio che per connotazione sono sempreverdi e le fantasie, non solo mie, le vedrebbero bene ammantate di un bianco candido: ma ciò che produrranno il vortice polare e la fucina Atlantica, ad oggi, non è dato saperlo. Possiamo guardare davanti solo al nostro naso e incominciare a proteggere le nostre amate piante sul balcone. Per quel che mi riguarda ho ancora da finire di raccogliere gli ultimi peperoni dolci, contesto che francamente, a queste latitudini, mi ha davvero stupito; al momento essi si godono sole e cieli tersi e vivono in un frigorifero naturale. Entro una decina di giorni, comunque, le piante orticole annuali saranno sradicate, puliti sommariamente all’esterno i vasi saranno poi spostati verso la parte interna del BalconORTO, in cui la colonnina di mercurio dovrebbe essere un grado o poco sopra più magnanima nelle nottate stellate. Il terriccio sarà rigirato, monitorato e filtrato dai sassolini, vecchie radici, foglie secche e plastiche e microplastiche visibili a occhio nudo. I vasi verranno coperti con panni di tnt (tessuto non tessuto) per evitare che alcuni insetti dannosi, come cimici asiatiche, oziorrinchi e maggiolini possano svernare ed ovodeporre per cibarsi successivamente delle nostre future piantine in tarda primavera.

Autore: Donatello Vallotta

L’Autunno

Ci sono storie che ci segnano nel profondo, ci sono stagioni, come l’autunno, che ci appartengono più di altre: è un legame indissolubile, una carezza discreta, un silenzio ritrovato. Finalmente piove. Mai così tanto invocata, la pioggia, scroscia a rimpinguare le falde e a bagnare i boschi e le case, a dilavare rocce e strade; è il dolce tintinnio di tettoie e grondaie, di albe nebbiose e mattinate di coperte di nuvole.  Per la gioia dei fungaioli, dopo questa ultima parentesi perturbata, tornerà il caldo, almeno dicono i meteorologi; e così anche l’ottantaquattresimo giorno di agosto – e chi ne ha più ne metta – potrà continuare imperituro. Se non esistono più le stagioni di una volta – o meglio – se esistono ancora, ma non come noi le conosciamo, giacché le anomalie climatiche rimarcano il cambiamento globale in atto, il foliage è sempre lì, pronto ad aspettare la nostra creatività nel dipingerlo e nel saperlo catturare in uno scatto e nella memoria. 

L’autunno è stagione di camminate, di scoprire o riscoprire nuove mete e città e magari di vedere nel quotidiano le stesse cose, ma con occhi diversi; è la voglia di scorgere la prima neve a imbiancare le cime. La Terra è pronta con il suo asse inclinato a continuare la sua orbita, il sole a chinarsi e a flettersi avvicinandola. Come per i popoli cacciatori-raccoglitori e coltivatori-agricoltori, ai quali oramai – purtroppo o per fortuna – si ergono quelli economici-tecnologici, l’autunno è la stagione della raccolta: di zucche negli orti, degli ultimi peperoni e pomodorini sui BalconORTI e di castagne sotto le foglie cadenti e croccanti, tra gli alberi di latifoglie diretti verso il bruno, ovvero il riposo vegetativo; è la tentazione di cambiare colori senza una tavolozza ed un pennello in mano, è prestare attenzione quando si procede su sentieri, sampietrini o lastricati di letti di foglie bagnate e, di nuovo, permettere ai bambini di giocare a terra e acqua e di schizzarsi nelle pozzanghere. è il periodo in cui negli ambienti domestici fa più freddo che fuori, ma il riscaldamento tuttora non parte. Basilico, origano e maggiorana stanno ancora bene sul terrazzo. I cavoli crescono; è tempo di riscoprire casa, del cambio degli armadi, di tè caldo e melograni, di plaid e calzettoni, di farinate e strudel, di caldarroste e di torroni e di sperimentare nuove ricette dietro ai fornelli, gas ed elettricità permettendo. 

Autore: Donatello Vallotta

Zucca #2: la trombetta di Albenga

La varietà di zucca che tratteremo in questa puntata è la zucchina trombetta di Albenga, chiamata zucca trombetta o più semplicemente trombetta e riconosciuta localmente col nome di Sûcca da Reginn-a. Il termine esatto della specie è Cucurbita moschata ed è una delle varietà di zucche provenienti dalle Americhe. Di questa varietà fanno parte la zucca lunga napoletana, la zucca violina, la zucca torta o zucca pepona, la Butternut o zucca gramma. Si tratta di una specie macroterma ovvero che predilige climi caldi e temperati ed è tipica della Liguria di Ponente, ma nel tempo si è adattata perfettamente anche a minori esigenze termiche. In Liguria si trova ovunque, dagli orti familiari ai supermercati, da XXmiglia a Genova, mentre nel resto dello Stivale è pressoché assente, perché rispetto a grandi zucche come la delica o la hokkaido, è molto suscettibile agli urti e agli strofinamenti col rischio di restare invenduta se non perfettamente integra o in parte rovinata esteticamente. La pianta ha ciclo brevissimo e precoce e si può quindi seminare più volte durante la stagione primaverile/estiva. Viene coltivata in pergola, in serra, in verticale o lasciandola “correre” orizzontalmente. Tutto dipende dallo spazio che abbiamo e da quale forma desideriamo dare ai frutti, che sono allungati oppure ritorti in base appunto alla scelta di coltivazione. L’apice del frutto ingrossato e ampolloso (in esso ha sede l’ovario ) ci consente di prelevare, alla fine del ciclo vitale, i semi per coltivarla anche l’anno successivo. Nel BalconORTO è consigliabile seminarla ad aprile/maggio e metterla a dimora dopo le prime 2/3 foglie vere in un vaso molto grande e profondo (50/60 cm). Ha bisogno di spazio, di sole, di compost e di un luogo riparato dal vento. Da anni la coltivo in Alto Adige con ottimi risultati viste anche le mutate condizioni climatologiche. I suoi frutti, di colore verde chiaro, possono essere consumati prematuri oppure essere lasciati sulla pianta a maturare – diverranno color mattone – per poi venire conservati in luoghi freschi e asciutti in previsione delle zuppe invernali.  Di sapore dolce e delizioso, di gran lunga superiore ai tradizioni zucchini ha uso poliedrico in cucina: nel misto al forno alla julienne, semplicemente in casseruola con il pomodoro, oppure solo con la cipolla per condire la pasta, nei risotti, ma è ottima anche consumata da sola con aglio e aceto alla capece, col polpo anche cruda tagliata finemente. La si utilizza inoltre in pietanze come frittate e torte salate. Eccellente per le creme o vellutate. E che dire poi dei fiori di zucca sulla pizza o in pastella?

Autore: Donatello Vallotta

La zucca #1

Prima di fare un focus su una varietà di zucca in particolare alla quale sono molto affezionato, torniamo indietro nel tempo e parliamo della zucca. La sua provenienza è piuttosto incerta e controversa. C’è chi dice siano stati i popoli antichi di Romani e Arabi ad importarla dall’Asia meridionale, precisamente dall’India; secondo altre fonti l’origine si collocherebbe nel Messico, ma stando ad altri ritrovamenti semi di zucca sono stati rinvenuti in alcuni siti dell’Africa tropicale a sud dell’Equatore, semi che, grazie al metodo del radiocarbonio, gli archeologi hanno datato a quasi 10.000 anni fa. Altri semi compaiono nelle tombe egizie a partire dal 3500 a.C., mentre in Perù hanno rinvenuto zucche decorate risalenti intorno al 1000 a.C.
Fu “Balsamo dei guai per l’essere umano” secondo Plinio il vecchio, il primo a nomenclarla col termine cucurbita nel ‘Naturalis Historia’, il trattato naturalistico sotto forma enciclopedica, conservato oggi presso la Biblioteca nazionale Marciana di Venezia. Inizialmente non fu impiegata in cucina, ma la sua coltivazione aveva finalità ornamentali. Svuotata della polpa ed essiccata venne utilizzata come contenitore o suppellettile per la conservazione di vini, latte e cereali o per realizzare, grazie alla sua corteccia spessa e coriacea, piatti, cucchiai e ciotole.
La classica zucca a forma di bottiglia (lagenaria), venne chiamata comunemente “bottiglia del Pellegrino”, perché accompagnava il Pecten Jacobeus, la capasanta o conchiglia di San Giacomo, sul bastone del viaggiatore che si recava a Santiago de Compostela già a partire dalla metà del IX sec.
Sorvoliamo per un attimo su Halloween e sulla zucca intagliata e illuminata dall’interno che nell’immaginario collettivo associamo ai film e alle tradizioni americane o alla leggenda celtica che racconta l’incontro fra uomo e diavolo e le sue tentazioni.
Certo tante altre varietà arrivarono in Europa intorno ai primissimi del XV secolo, insieme a patate, pomodori e mais dai viaggi di Cristoforo Colombo.
La zucca trova ampia visibilità alla corte partenopea di Ferdinando IV di Borbone tramite il cuciniere, di nobili ed intellettuali, Vincenzo Corrado autore del famoso ricettario “del cibo pitagorico ovvero erbaceo”.
Verosimilmente la zucca ha impreziosito tavole, esasperato contrasti in tempi di carestia, solleticato palati raffinati e rinfrancato focolai indigenti; senza dubbio, ha accompagnato vicende, epoche e persone comuni, in quel vasto ventaglio di impercettibilità e di anonimato, che la storia degli uomini e delle donne consegna ai posteri tramite le ricette. Così, quindi – come un po’ per tante cose, che avevano preminenza elitaria, anche la zucca si è diffusa trasversalmente in ogni ambito sociale.

Autore: Donatello Vallotta

La cuscuta

La cuscuta è una pianta erbacea di origine nordamericana, parente del convolvolo e ormai presente in quasi in tutto il globo con oltre 200 specie. Gli antichi Arabi la chiamavano kúshuth e la usavano per le proprietà colagoghe, lassative, diuretiche e di maturazione dei foruncoli; essa era conosciuta dai Romani e dal Medioevo prese il nome di “rete del diavolo” e di “ragno malefico”; in Italia, in relazione ai luoghi, si può riconoscere dagli epiteti comuni quali strozzalino, epitimo, granchiarella e pittima.
Si presenta come un ammasso filiforme di colore giallo paglierino/arancio/rosso, è priva – se non allo stadio primordiale – di clorofilla e si sviluppa da maggio a settembre con l’unico intento di parassitare le altre piante. Predilige i climi caldi e umidi. Il suo seme, interrato o in balia degli agenti atmosferici, resiste anche dieci anni prima di germinare e non appena la cuscuta è in grado, per così dire, di mantenersi a sbafo da sola la piccola radice muore e la pianta abbandona il terreno per iniziare la sua storia di opportunismo. La sua ragnatela filosa è composta da austori, veri e propri organi sensoriali, che si avvinghiano a spirale grazie a chemorecettori, che “annusano” le piante vicine e sanno precisamente dove orientarsi per penetrare tessuti e floemi e succhiare dunque linfa e acqua. La si potrebbe paragonare al vischio, ma la cuscuta è una fuoriclasse. è talmente intelligente, anche senza foglie ricordiamocelo, che dalle vittime percepisce persino le proteine delle fioritura e le sottrae al momento giusto per portare a termine la sua fioritura e produrre i semi che le garantiranno la sopravvivenza.
Ha però un tallone d’Achille pure lei: le piante attaccate comunicano tra loro e possono mettere in atto processi chimici di difesa per contrastarla.
Si trova negli incolti, negli orti, ma non è rara nel BalconORTO, visto che i semi sono trasportati dal vento.
Ha uno sviluppo antiorario e di circa quattro/cinque metri all’anno, ma dipende da quanta clorofilla intercetterà lungo il suo percorso. Attacca tutte le piante senza distinzioni; le uniche indenni sono i gigli.
Eliminarla è difficile, non esistono macerati o alchimie magiche, se non prodotti altamente tossici per la natura e per l’uomo: l’unico rimedio è la rimozione manuale sradicando tutte le piante colpite dalla sue spire e stando molto attenti a non dimenticarne parti sulle piante o adagiati sul terreno, perché la cuscuta si rigenererebbe ricominciando il suo ciclo vitale. Gli scarti poi non dovranno essere conferiti nell’umido o nel compost, bensì nell’indifferenziato.

Autore: Donatello Vallotta

La zeolite

La zeolite o zeolite cubana è un minerale, una roccia sedimentaria, formatosi milioni di anni fa e di origine vulcanica. La zeolite è dotata di una struttura cristallina e microporosa a base di alluminosilicato e può essere sia di origine naturale che sintetica. Essa si presenta come una polvere sottilissima di colore bianco. Grazie alla sua versatilità trova largo impiego in molti settori, dall’industria petrolchimica alla produzione di detergenti (contro il calcare), all’addolcimento delle acque e alla depurazione delle acqua nere, dall’asfaltatura a freddo alla medicina (ghiaccio secco) e alla zootecnia (mangimi e lettiere per animali); è stata impiegata, inoltre, per estrarre sostanze radioattive dopo il disastro di Fukushima in Giappone.
Da qualche anno la zeolite naturale (clinoptilolite) spopola anche nel BalconORTO e più in generale in agricoltura come corroborante e potenziatore delle difese delle piante. Miscelata alla terra nei vasi in primavera e aggiunta nell’innaffiatoio aumenta la ritenzione idrica, rivitalizza e combina i microelementi del terriccio e riduce sensibilmente la frequenza delle annaffiature. La zeolite nebulizzata per via fogliare ha l’effetto di asciugare l’umidità sulle foglie, di prevenire le malattie fungine – oidio e peronospora in primis – di creare una barriera contro i parassiti (afidi e acari), di cicatrizzare ferite da taglio o dovute alle intemperie, di stimolare la fotosintesi, di proteggere le piante dalla luce solare e dalle scottature, di abbassarne la temperatura, e, di far assorbire, grazie alle sue qualità di ottimo scambiatore di ioni, elementi minerali secondari indispensabili, come il calcio; nel caso dei pomodori di evitarci il famoso marciume apicale dei frutti. Abbinata al bokashi liquido ed al guano ci libererà finalmente dall’uso abitudinario dei noti concimi NPK (azoto/fosforo e potassio) che così tanto bene alla natura non fanno. La zeolite è un’ottima strategia anche per abbandonare il verderame o poltiglia bordolese per gli stessi motivi.
NB: questa farina di roccia vulcanica dalle molteplici proprietà è basica! Quindi per chi ha grandi superfici coltivabili è essenziale, prima di farne uso, richiedere un’analisi del terreno per capire se esso tenda all’acido o al calcareo per orientarsi nelle dosi. Lo stesso discorso vale anche per chi ama le piante acidofile. Come tutte le cose che fanno bene è opportuno non eccedere ed in caso di vaporizzazione tramite soffietti si consiglia l’uso di una mascherina a protezione delle vie respiratorie.

Autore: Donatello Vallotta

Risparmio di acqua

Finalmente piove… e il governo non c’entra! Le perturbazioni del 30 aprile e del 1 maggio non hanno apportato quantità rilevanti di precipitazioni, specie nelle zone nord-occidentali massacrate dalla siccità, ma per fortuna, dopo cento giorni, hanno ridato un po’ di respiro ad una situazione davvero grave. Meno male che le piogge non sono state violente, perché con i terreni gravati da tanto seccume ci sarebbe infatti stato il forte rischio di alluvioni, dissesti idrogeologici, colate detritiche ed esondazioni in un territorio, quello italiano, ancora deficitario sul fronte della cura e della prevenzione. Tutti questi fenomeni sono da imputare e sono riconducibili ai cambiamenti climatici, ma noi abbiamo l’obbligo morale di farci trovare pronti e preparati e di mettere in pratica, nel nostro incedere quotidiano, piccole strategie come, per esempio, il risparmio dell’acqua.
Per gli appassionati del BalconORTO e per chi coltiva in giardino, vuoi per necessità, vuoi per virtù è doveroso escogitare dei rimedi per sperperare meno acqua possibile. Io da anni ho intrapreso questa strada, ricorrendo ad alcuni stratagemmi e vi racconto la mia esperienza: per iniziare ho comprato quattro secchi (capienza da 11 litri) e poi un serbatoio della capacità di 120 litri – che non occupa più di mezzo metro quadrato – collocato nel punto più fresco del balcone di nord est, in modo tale da avere sempre una scorta sufficiente di acqua dolce con la quale innaffiare le piante. Sulla credenza della cucina tengo una brocca che riempio con l’acqua che avanza dal bollitore, quella che resta nei bicchieri, quella con la quale si cuociono le verdure al vapore (mi raccomando, l’importante che non sia salata) e quella con cui vengono lavate frutta e verdure; acqua che poi dalla brocca finisce nei secchi. NB L’acqua dei cavolfiori al vapore, tuttavia, una volta raffreddatasi, è meglio darla subito alla piante sul balcone – non da interno – per evitare sgradevoli odori negli ambienti domestici!
Ci sono poi i tantissimi litri di acqua della doccia, in attesa che diventi calda; anche loro vengono raccolti quotidianamente nei secchi posteggiati in bagno. Non sarei in grado di fare una media, perché dipende dalla stagione, dall’orario, dalla caldaia e dal piano in cui si trova l’appartamento, ma per una famiglia di due persone si va da un minimo di 8-10, se non addirittura ad un massimo di 15 litri di acqua al giorno, che se opportunamente raccolti può permetterci di innaffiare tutte le piante (da interno e da esterno) e per tutta la stagione. È bene rammentare che l’acqua del rubinetto è troppo dura e fredda se impiegata immediatamente e che almeno due giorni di riposo nei secchi consentono al cloro in parte di evaporare e alla sua temperatura di stemperarsi in modo da essere più gradita dalle piante.
Prima dell’arrivo della stagione invernale il serbatoio da 120 litri dovrà essere svuotato e quindi procedo al contrario riempiendo di nuovo i secchi; quell’acqua viene usata come sciacquone per bisogni veloci.

Autore: Donatello Vallotta

Ecco i narcisi!

A pochi chilometri da Merano c’è un posto davvero incantevole, una nicchia fiorita assolutamente imperdibile. Dalla città del Passirio la si può raggiungere con l’autobus 201, quello diretto a Bolzano, o viceversa dal capoluogo altoatesino verso Merano, scendendo a Postal, alla fermata dell’Associazione Turistica, proprio in prossimità dell’Hotel/Ristorante Muchele. Da lì si imbocca la stradina che sale verso la montagna, vicolo Maier; percorsa interamente, si incrocia via della Chiesa e si gira a sinistra; si prosegue per poco meno di 500m fino a raggiungere la parrocchia Santa Croce; subito dopo gli alti cipressi che la delimitano si gira ancora a destra e ci si mantiene su via della Chiesa per altri 45-50 minuti circa di cammino fino a raggiungere il Wieslerhof.
Naturalmente, si può anche salire in auto, perché la strada, seppur stretta e piuttosto ripida in certi tratti, è asfaltata: ma giunti alla meta ci accorgeremmo che i posti auto sono limitati, pertanto sarebbe opportuno scegliere un mezzo di trasporto alternativo e più ecologico come le nostre gambe. Questo è davvero il periodo ideale per progettare ed organizzare questo giretto e presto… saprete il perché!
Per chi ama la natura, i colori caldi, i profumi e l’irrefrenabile gioia che la primavera sa regalarci – e non solo per chi è appassionato di cromoterapia – resterà sbalordito dal mare di onde gialle, proprio in prossimità del maso Wiesler. La storia – reperibile su internet – narra che il proprietario Johann Laimer, ex giardiniere, dal 1999 gestisce e cura circa 200 castagni sparpagliati su 3 ettari di terreno adiacenti al maso e vicini ad alcuni filari di viti ; ma quello che non si legge fra le righe è che non si è accontentato delle castagne; è andato oltre, con sensibilità verso la natura, creatività ed ingegno di un’anima nobile. In un mondo ormai dalla deriva, in cui anche gli insetti impollinatori sono a rischio di estinzione, è davvero incredibile imbattersi in 18000 bulbi di narcisi, che sono approssimativamente centoquarantamila fiori, posti a dimora sotto ai suoi castagni. Bulbi che proprio in questo periodo sono all’apice della fioritura. Si tratta di narcisi della varietà Dutch master ovvero narciso a trombetta. Per non parlare poi che tutto il materiale di scarto degli alberi, quali rami, foglie e ricci vengono trinciati e sparpagliati nel sottobosco lungo le varie stradine di questo angolo fiorito, come i contadini fanno con le andane nei campi, e mentre si cammina, attratti dal giallo dilagante, i nostri passi accarezzano un terreno soffice e morbido; quindi niente più bruciature di scarti vegetali che appestano l’aria, che producono co2 e alimentano l’inesorabile riscaldamento climatico ormai irreversibile. Per innaffiare cotanta bellezza ci sono degli irrigatori a pioggia posti nel castagneto e qua e là si incontrano api e soprattutto bombi visitare le antere di ogni fiore e caricarsi di polline. Il luogo è apprezzato anche da fotografi, semplici curiosi, ciclisti e amanti della natura e della cucina tradizionale sudtirolese.

Autore: Donatello Vallotta

Primavera

Finito febbraio, è terminato un altro inverno meteorologico secco e mite. I dati finali di questa catastrofe climatica sono disponibili presso l’Ufficio Meteorologico della Provincia e sono ben visibili se osserviamo attentamente i versanti esposti a sud della Val Venosta, della Val d’Ultimo, Wipptal e del Burgraviato, zone, queste, sotto l’influenza costante del foehn e avare di precipitazioni durante quasi l’intero arco della stagione invernale, fatta eccezione per quelle dorsali favorevoli agli sfondamenti da NW. Per non parlare dei ghiacciai, gli anfitrioni per eccellenza dell’alta quota, sempre più ridotti all’osso; il livello dei laghi, di Monticolo, ma soprattutto di Caldaro, con le passerelle di legno sorprendentemente sporgenti dal pelo dell’acqua è l’immagine più eloquente di questo periodo; questa grande siccità la si avverte anche nel colore dei boschi di latifoglie e di larici dall’aspetto rosso marziano. Nel mio ultimo giretto, rigorosamente a piedi da casa fino all’imbocco della Val di Nova, in compagnia del fotografo Paolo Tosi dell’AFNI (Associazione Fotografi Naturalisti Italiani) abbiamo notato flebili sentori del risveglio della natura. Tanta polvere sulle scarpe e foglie secche attaccate ovunque; nel tepore dei vigneti assolati per ritrarre gli Occhi della Madonna, simpatici fiorellini blu già bottinati dalle prime api in cerca di polline; nel silenzio del sottobosco, interrotto da correnti impetuose, che dalle Alpi rincorrevano la bassa pressione presente sul Centro Italia (responsabile delle abbondanti nevicate in Abruzzo) non sono mancate esclamazioni del tipo “ahia”, a causa dei ricci dei castagni che pungevano braccia e gambe dopo ogni tentativo di realizzare una fotografia macro completamente sdraiati. Presenti, seppur in misura meno numerosa del solito, gli esemplari di Hepatica nobilis (fegatelle o erba trinità) e qualche sporadico falso bucaneve, i famosi campanellini.
Nei dintorni, più precisamente sulla collina di Tarces, ma in quasi l’intera Val Venosta, come conclusione del carnevale i residenti hanno celebrato lo “Scheibenschlagen”, antichissima tradizione già presente in Assia ed in Austria a partire dal XI secolo. Il rituale del lancio dei dischi ardenti, accompagnato da una preghiera, è una sfida contro l’oscurità per liberarsi dai demoni ed arridersi la fortuna. I dischi di legno realizzati a mano hanno un piccolo foro al centro e vengono infilzati da un lungo ramo; lasciati tra i tizzoni ardenti vengono ripresi e fatti roteare, infine sbattuti contro una pedana per essere liberati nel vuoto. Con il fieno si assembla e tramite dei cavi si issa la Strega, un totem alto una decina di metri a cui, alla fine della cerimonia dei dischi, si darà fuoco per dare il benvenuto alla primavera.

Autore: Donatello Vallotta