I Semenzai

Mese febbrile per i custodi di semi, febbraio. Confinati, sparpagliati in bustine, vasetti, sacchettini o riposti e catalogati ordinatamente per specie e varietà, i semi sono quasi pronti… a toccare terra! Vaschette, piccole serre improvvisate, contenitori alveolari, semenzai riscaldati e apposite strutture con illuminazioni artificiali a led sono gli strumenti pratici per la germinazione. Nelle immediate adiacenze all’interno del nostro appartamento – se non disponiamo di uno spazio all’uopo – è già partita la colonizzazione di porzioni di stanze, davanzali, tavoli, ripiani che diventeranno zone off-limits in cui però ci sarà un angolo di primavera a portata di sguardo. Certo, sì, c’è anche un po’ di disordine tra il profumo di terriccio, la gioia incontenibile nel vedere spuntare i primi cotiledoni ed il brulicare di etichette, bastoncini, cartellini, guanti, post-it, stuzzicadenti, striscioline di carta colorate e scotch, per non dimenticarsi la data di seminagione o quali promemoria nell’aiutarci ad identificarne esattamente la varietà.
Peperoni, peperoncini e melanzane, che fanno parte delle solanacee, sono i primi protagonisti di queste settimane; considerata, infatti, la proverbiale lentezza di crescita i loro semi sono i primi che avranno bisogno delle nostre amorevoli cure. C’è chi li mette in ammollo in un sottile strato d’acqua, avvolti in uno scottex, come il sottoscritto, chi invece preferisce una soluzione più “morbida” come la camomilla, chi invece opta per il cotone imbevuto, altri per un involucro ermetico – ma bucherellato – per un minimo di ricircolo d’aria quale camera di germogliazione. Non ci sono metodi sbagliati, ma ci sono semi e semi, alcuni più pimpanti, altri più sonnolenti, altri ancora inadatti o più semplicemente sterili. Ad ogni buon conto sono loro che decidono quando dischiudersi! Fanno eccezione i semi di piselli e cavoli, che possono essere interrati direttamente nei vasi o in piena terra monitorando le varie fasi di sviluppo.
Fervono i preparativi anche per chi ha la fortuna di godere di un balcone, meglio se esposto a sud est ovvero a sud ovest. Anche i vasi sul balcone posso essere utilizzati come superficie per collocarci i recipienti con i nostri semenzai. L’importante è mantenere umido il primo strato umifero del terriccio in modo costante e prestare particolare attenzione al vento e al sole diretto, che nonostante sia inverno, sono già potenzialmente capaci di seccare in breve tempo le piccole piantine, come del resto il gelo notturno, reo di bruciare queste ultime se non opportunamente riparate o ricoverate in casa durante l’oscurità.

Autore: Donatello Vallotta

Il merlo dispettoso

“Papà, sembra estate!” Esclamava una bambina appena imboccato il Tappeinerweg, domenica scorsa. La mole del monte San Viglio soggiogava il sole e dipingeva già il tramonto sulla città del Passirio. Mentre camminavo ormai dal primo pomeriggio avevo la stessa sensazione: fa troppo caldo per essere appena la seconda decade di gennaio. Tanto piacevole goderselo, fare il pieno di vitamina D tra muretti, vigne, capre, polvere e profumi di fieno quanto assistere ad una primavera sontuosa che mostra i muscoli e una mancanza di timidezza quasi surreale. In cielo neanche una nuvola. La qualità dell’aria con quegli strati densi di smog, perennemente ammantati e ben visibili da ogni dove non mi hanno mai fatto così tanto apprezzare la mascherina. Perché chissà cosa c’è lì dentro, in quell’aria di polveri sottili, di fumi di comignoli, di gas di scarico: se a Seul e nelle più grandi metropoli planetarie questo scenario si ripete spesso durante l’anno, in cui ogni cittadino dimostra l’apprezzabile senso civico di indossarla, qui da noi fra le conche, le pareti e i dolci declivi non lo è affatto; a quando il prossimo cambio di circolazione per poter ritornare a respirare l’inverno? Nei boschi arsi, esposti a sud ovest, habitat di pini silvestre, cipressi, edera e dove i bozzi di processionaria iniziano a svilupparsi, in cui il bambù piantato da qualche proprietario sprovveduto ha oramai colonizzato l’equilibrio arborio di alcune fasce si sentono rumori tra le foglie secche del sottobosco: è un gatto bianco, sporcato di qualche macchia nerastra nella sua livrea, che va appostandosi sopra un lungo tronco caduto in cerca di una preda, un’arvicola probabilmente. In cielo volteggiano due poiane a cerchi concentrici fino a scomparire dietro Castel Tirolo.
In questo quadretto vi racconto la battaglia che ha messo a dura prova la mia pazienza e l’ordine nel BalconORTO. Ogni mattina trovavo sempre il balcone tutto sporco di terra; pensavo al favonio che le correnti settentrionali portano con sé, ma dopo il ripetersi di questa situazione, l’assenza notturna di forti raffiche e le deiezioni sulle piastrelle ho capito che si trattava di un merlo che aveva preso di mira il mio balcone. È iniziato l’appostamento, per dare un volto a questo volatile dispettoso: sicuramente un maschio visto il disordine che si trascinava dietro, bello panciuto e tozzo, nero come la pece e con un becco dal colore inusuale, più rossastro rispetto al vivido arancione: l’ho chiamato Rutilio. Dopo una accurata pulizia, ho coperto i vasi col tnt, in altri ho infilato degli stecchi di legno a mo’ di spuntoni e per ora, pare, che la tregua regga.

Autore: Donatello Vallotta

E’ arrivato il letargo

Mi sono affezionata all’inverno perché sento che è vero, non come l’estate che vola via e sembra così divertente e allegra ma non lo è, perché il sole è sempre di corsa e lascia tutti con l’amaro in bocca. L’inverno non pretende di confortare, ma in fin dei conti sento che è consolante, perché una si raggomitola su se stessa e si protegge e osserva e riflette, e credo che soltanto in questa stagione si possa pensare per davvero. 
Marcela Serrano

Capisco che per qualcuno l’inverno sia lungo e paia non finire mai; che debba resistere fino a febbraio e poi tutto tornerà alla “normalità”. Così come i semi, che ho raccolto qualche giorno fa, che ho messo ad asciugare sui canovacci da cucina e che già attendono i tepori cosmici per germinare.  Ma io adoro anche l’inverno: la neve con la sua smisurata poesia; la neve senza pioggia o pioggia mista a neve, che vorrei imbiancasse sempre le pianure – e il mio cortile immaginario – e non si concedesse solo alle alture. Gli inverni sono sempre più miti e purtroppo uno come quello del 1985 non tornerà più a farci visita. Ricordo la neve alta oltre mezzo metro in città, i viali alberati e le auto parcheggiate completamente sommersi, i bambini felici trainati sulle slitte o quelli che giocavano a battaglie di neve, le scuole chiuse e il silenzio ovattato che è proprio della neve e che tutti conosciamo, i bianchi cumuli rimasti per mesi ai bordi delle strade. Per questo motivo ogni volta, nelle notti potenzialmente nevose, attendo elettrizzato davanti alla finestra il cadere lento delle prime virghe che andranno lemme lemme ad imbiancare il paesaggio attorno a me e persino i ciclamini che ho sui davanzali esterni.

Il BalconORTO, invece, è in pausa: durante le ultime settimane ho rimosso tutte le piante annuali come pomodori, peperoni, zucchine ed erbe aromatiche ormai spoglie e giunte a fine ciclo produttivo e che, a queste latitudini, non riusciranno a svernare; in un angolo riparato sopravvivrà solamente il cavolo nero toscano e la cipolla egiziana ligure, che impiego spesso in cucina per preparare i minestroni e la farinata di ceci. Con dei nastrini colorati avevo marcato i rametti secchi ed i succhioni del melograno e dell’albicocco nano che ho poi potato, irrorando sui tagli e sull’intera pianta tramite uno spruzzino zeolite disciolta in acqua per aiutare la pianta a cicatrizzare le ferite e per apportare potassio; anche il tessuto non tessuto (TNT) è pronto per avvolgere le piante e per riparlarle prima delle gelate invernali. Gli altri vasi resteranno parcheggiati sul lato interno del balcone dove c’è qualche grado celsius in più rispetto al parapetto, per permettere il mantenimento vitale alle zampe degli asparagi e alla scorzobianca che resteranno interrate: anche qui un paio di giri di tessuto non tessuto intorno al vaso potrebbero aumentare le possibilità di sopravvivenza alle nostre piante. Sconsiglio eventuali pacciamature a base di paglia sopra il terriccio dei vasi, luoghi preferiti di svernamento di acari e cimici asiatiche.

Autore: Donatello Vallotta

Occhi di bosco #2

Il sole si è abbassato, tanto che da mezzogiorno fino al primo pomeriggio la luce entra di traverso dalle finestre e regala un tepore piacevole, quasi più che in estate, ora che i muri esterni si raffreddano velocemente. Occhi di bosco sta raccogliendo gli ultimi pomodorini e friggitelli dalle piante in vaso nel BalconORTO, quando riceve la chiamata di Mirella, che gli chiede se ha funghi da regalarle, perché quest’anno non li ha ancora assaggiati. Occhi di bosco le risponde di esserci andato in settimana nel bosco, ma che era tutto secco; le ha promesso che entro la fine della stagione le avrebbe sicuramente raccolto un sacchettino. Terminata la telefonata occhi di bosco sente una voce “scusi, signore!” provenire dalla facciata delle casa e si sporge per capire la situazione: è il vicino del piano di sotto che gli chiede se c’entri qualcosa con la caduta di una polvere gialla che gli sta sporcando tutto il balcone. Occhi di bosco è abbastanza ordinato con le colture sul balcone, non innaffia eccessivamente per rischiare percolazioni ai piani sottostanti e rimuove anche le foglie secche; occhi di bosco spiega al sig. Rezzonico che si tratta del polline del cedro, una conifera molto diffusa in ambiente antropico, la cui fioritura avviene proprio in questo periodo (a differenza del cugino abete rosso, la cui pollinazione si verifica in primavera); trovarsi davanzali, biancheria stesa, piante, vasi e fughe delle piastrelle ricoperte di una pruina gialla è normalissimo in questi giorni, specie se nelle vicinanze vive un cedro del Libano: niente che una passata con secchio, stracci e acqua non riesca a rimuovere! Occhi di bosco ama la fotografia e segue con molta attenzione il foliage, sia in città che in montagna, perché i colori ed i riflessi delle foglie illuminate dal sole gli regalano una piacevole sensazione di bellezza e di benessere e trasformano in positivo anche gli angoli più anonimi o dove il cemento ha il sopravvento; tuttavia, non c’è da perdere tempo, perché la luce cala in fretta, come anche la resistenza delle foglie aggrappate alle piante, il vento è sempre in agguato e trovare giornate limpide con una luce adatta non è sempre così semplice. Per chi ama faticare con un cambio di vestiario, un sacco di stoffa, panini e acqua nello zaino; per chi parte senza itinerario e non sa dove arrivare o semplicemente si ferma ad ammirare i giochi di ombra e di luce sopra un letto di foglie a crepitare; per chi cerca l’armonia e sa che basta poco, ma che quel poco, oggi più che mai, venga preservato; per i solitari ed i timidi introversi, che nel grembo di muschi e licheni, di aghi e di foglie trovano sempre una strada, una fronda cui sostenersi, la montagna da ottobre si colora con le felci di giallo-arancione nel sottobosco, prosegue con le latifoglie fino alla doratura dei larici. Occhi di bosco, nel frattempo, è riuscito a raccogliere Cantharellus e Craterellus da donare a Mirella per una cenetta a base di funghi, nell’ultima uscita si è aggregato anche l’amico Nicholas per immortalare i colori autunnali.

Autore: Donatello Vallotta

Occhi di bosco

Occhi di bosco è un bambino che trascorre ore alla finestra e sul balcone ad ammirare la natura, curioso osserva fulmini e saette illuminare il cielo e impaurito dai tuoni si nasconde quando sente vibrare i vetri dopo ogni boato. Occhi di bosco è un adolescente che conta i secondi tra lampi e tuoni, intuendone la distanza dalla sua testa. Occhi di bosco è un ragazzo intento a legare pomodori e girasoli contro il vento, mentre tende l’orecchio al rumore secco della grandine sui coppi. Occhi di bosco è un adulto che consulta l’evoluzione radar per capire il dove e il quando, l’intensità e i mm caduti. Occhi di bosco è felice quando c’è il temporale: sia esso locale di calore, stazionario per lo stau innescato dal libeccio e dall’ostro, sia quello cattivo, provocato da irruzioni fredde da nord ovest. Occhi di bosco ora appallottola carta di giornale da infilare nei plantari degli scarponcini da montagna per asciugarli dall’umidità della recente escursione. Poi, tornato il sole, la surrene di occhi di bosco pompa così tanta adrenalina da inculcargli il desiderio di cercare funghi immerso nei boschi.
Luglio, agosto e settembre sono un copione di speranze e migliaia di passi su pareti boschive impervie, con finferli grandi protagonisti nella prima parte estiva in cui Russole, Tylopilus felleus e Rozites caperatus hanno fruttificato abbondanti. Nonostante le piogge, forse troppe, il vento, le basse temperature e qualche periodo di siccità la stagione dei porcini non è invece mai partita sulle Alpi. Pochissime crescite e concentrate solo in alcuni punti, alle quote alte dove i pecci si diradano e lasciano spazio prima ai rododendri e poi alle radure prative. Anche adesso che la stagione volge al termine spuntano Amanite, Craterellus, Armillarie, Macrolepiote, Gymnopilus, Cortinarius e Clitocybe nebularis; ma porcini… nemmeno l’ombra! Arvicole, animali selvatici, gasteropodi hanno pasteggiato coi pochi carpofori superstiti facendoci trovare solo gambi privi del cappello o addirittura solo brandelli di porcino, a rimarcarne ancor più la penuria. Per carità, un anno storto ci può stare. Occhi di bosco è un esploratore che sa che i boschi ed i loro habitat sono minacciati – non dai lupi e dagli orsi – ma dall’uomo e dalla sue manie di cementificazione e dal bostrico tipografo, un coleottero, che dopo la tempesta Vaia ha iniziato ad attaccare anche alberi sani portandoli in breve tempo alla morte. Quegli occhi sanno che dove hanno potuto il legname inerte è stato rimosso, ma non dappertutto: ci sono peccete troppo ripide e difficilmente accessibili in cui è difficile andare a recuperare il materiale. Zone senza strade forestali e prive di sicurezza per operatori e mezzi, per non parlare dei costi, che la renderebbero un’operazione insostenibile. Basta guardarlo il bosco, attentamente, per vedere alberi ancora in piedi completamente rinsecchiti, interi versanti sradicati e pani radicali sollevati. Quegli occhi sanno che al momento non si può procedere a nuove piantumazioni fintantoché non si riuscirà a ridimensionare il bostrico. Speriamo che chi di dovere provveda ad arginare queste criticità.

Autore: Donatello Vallotta

Le bombe di semi di Fukuoka

Era il 27 aprile 2018, mi trovavo a Firenze nel Giardino dell’Orticoltura per l’evento “Libera Semina”, un altro appuntamento organizzato da Seed Vicious. A pochi passi dallo splendido Tepidarium del Roster, la serra di vetro e acciaio, allestimmo un laboratorio per i bambini. Con pazienza e leggerezza, alla presenza di genitori curiosi, imparammo e insegnammo questa pratica, quella dei proiettili di semi. Lì, per la prima volta, ho sentito parlare delle bombe di semi di Fukuoka. Ma cosa sono le bombe di semi? Le bombe di semi sono una pratica arcaica nata nell’Antico Egitto dei Faraoni dopo le inondazioni primaverili del Nilo. Una tecnica presente anche in Giappone con l’antica conoscenza “tsuchi dango” ovvero gnocco di terra, ripresa da Fukuoka. L’idea rivoluzionaria si basa sull’assecondare la natura, ridurre al minimo l’intervento umano e salvaguardare la biodiversità. Masanobu Fukuoka, botanico e filosofo giapponese, è stato il pioniere dell’agricoltura naturale o del non fare, il padre della permacultura, un modo di coltivare senza lavorare il terreno e senza mai lasciare scoperto il suolo. è colui che si è avvicinato maggiormente alle rese industriali senza mai ricorrere alla chimica. In tempi più recenti le bombe di semi sono diventate una pratica adottata perfino da guerrilla gardening: nato negli anni 70 a New York e diffusosi rapidamente in tutto il mondo è un movimento di persone attivamente impegnate nell’utopica – ma concreta – missione di strappare le loro città dal grigiore e dal degrado. Potremmo definirli anche dei moderni Robin Hood, che, stanchi di aspettare che aiuole e parchi trascurati tornino a rifiorire da soli o che qualcuno intervenga per riqualificarli, si rimboccano le maniche e, zappe in spalla, scendono in strada, di giorno o di notte, per piantumare o prendersi cura del verde pubblico.
Non ci sono quantità fisse di ingredienti per creare le bombe di semi, l’importante è che l’argilla inglobi terriccio, compost, semi e acqua. Dopo averle fatte asciugare e compattare possiamo lanciarle o adagiarle semplicemente sul terreno, aspettando che la natura faccia il suo corso. Gli ingredienti necessari allo sviluppo delle bombe sono terriccio, compost, semi e argilla che le aiuteranno a svilupparsi e ad essere protette dallo strato di argilla appunto.
Possiamo testarle nel BalconORTO e finanche nel giardino di casa. Si tratta di un esperimento pedagogico -botanico molto interessante, che in futuro potrebbe essere ripreso anche da enti istituzionali, quale programma scolastico. Con qualche accorgimento potrebbe essere la chiave di volta di arboricoltori e tecnici del verde per rimboschire impervie aree boschive completamente andate perdute a causa di maledetti piromani o per opera di elementi naturali, come i fulmini nelle foreste siberiane e Vaia, bostrico tipografo permettendo.

Autore: Donatello Vallotta

Seed vicious #2

Mantenere attiva e salda un’associazione in continua espansione è un grande impegno, specie per chi si oppone a quel sistema agricolo tradizionale, che sta agli antipodi e che sfrutta la terra piuttosto che cercarne un equilibrio. Prendersi cura della biodiversità, arricchirla, con un patrimonio genetico di semi antichi e riproducibili è un unicum, un lascito alle future generazioni, che entro la fine del secolo dovranno preoccuparsi degli effetti del riscaldamento globale e della sovrappopolazione. La si può indubbiamente chiamare una storia di resistenza sostenibile e di agroecologia senza veleni, all’interno della quale tante anime, i soci, come formiche, si prodigano a fare fronte comune contro i pericoli per la colonia. Si tratta di singoli comportamenti, di gocce nel mare, di granelli di sabbia, del fare quello che si può, ma con testa e cuore, empatia e con estrema naturalezza qualunque siano le risorse che si hanno a disposizione. A testimonianza di queste righe posso elencarvi i semi che in questi anni – tra balconorto e orto – sono riuscito a far pervenire alla banca sociale di Firenze: cavolo nero precoce, girasoli, lunaria annua, trombetta d’Albenga, cipolla egiziana ligure, calendula.
Negli ultimi anni Seed Vicious ha stretto contatti e sinergie anche con gli apicoltori per dare vita al progetto “Bee-Side / Dalla parte delle api” per contrastare la diminuzione delle popolazioni di insetti impollinatori e promuovere dunque – sia sul balcone, sia in pieno campo – l’utilizzo di piante mellifere per sostentare api domestiche, selvatiche (bombi), solitarie (osmie), api tagliafoglie, terricole, legnaiole e anche le farfalle. L’azienda agricola “Canonica ai Borri” (Incisa V.no – FI), produttrice di miele biologico certificato e l’azienda agricola “Il Cavolo a Merenda” (Colle Val d’Elsa – SI), che produce ortaggi e fiori eduli tramite agricoltura naturale, sperimenteranno l’utilizzo di miscugli di semi di piante mellifere per valutare quelli che possono garantire la migliore resa sia in termini di attrazione per gli impollinatori e sia di durata del periodo di fioritura. Il progetto “Bee-Side / Dalla parte delle api” permette quindi ai soci di trovare molte varietà di semi di piante floreali.
Inoltre Seed Vicious ha recentemente dato vita ad una sezione di formazione (al momento solo on-line), che prevede corsi, lezioni e approfondimenti con agronomi e docenti del settore agricolo tramite collegamenti via web. Schede tecniche, slide e materiale informativo delle lezioni calendarizzate sono a disposizione dei soci. Per informazioni: seedvicious.mail@gmail.com

Autore: Donatello Vallotta

Seed Vicious #1

Dopo un 2020 costellato di decreti, chiusure e lockdown finalmente torniamo a mettere la testa fuori dall’uscio. L’11 luglio, infatti, per il circuito sociale “LiberaSemina” si è tenuta a Reggello (FI) la giornata dedicata al libero scambio di semi riproducibili. Organizzatori e anfitrioni dell’evento le ragazze ed i ragazzi dell’associazione aps Seed Vicious, associazione di promozione sociale, della quale faccio parte anch’io dai tempi della sua nascita. A questa giornata di scambio sono state invitate numerose associazioni e gruppi di seedsavers (custodi di semi), quali: CiviltàContadina, ColtivarCondividendo, ErbaCanta, A.Di.Pa., Scagnammoce ‘a semmenta, ReteSemiRurali, ContoOrto, SeMiScambi, MondeggiBeneComune, MandilloDeiSemi e tante altre ancora. L’emancipazione dell’uomo dal suo stato brado è iniziata con la conoscenza del seme, della sua conservazione e della sua propagazione. La libertà di scegliere cosa coltivare, cosa mangiare, come vivere, ha dato vita alla biodiversità che conosciamo; da anni ormai questa biodiversità è minacciata – se non già impoverita – dall’industria, dai suoi monopoli, dai pesticidi e la libertà del contadino e dell’uomo comune di scegliere cosa coltivare e cosa mangiare si è ridotta notevolmente a favore di una pericolosa omologazione planetaria. Il Seme è vita, cibo e biodiversità, è libertà!
Ma chi è Seed Vicious?
Seed Vicious è un’associazione no profit di custodi di semi, i suoi soci sono sparpagliati un po’ in tutto il mondo. Il gruppo è nato e si coordina su internet, ma è radicato alla terra e alle sue tradizioni locali. Produce i semi di varietà orticole e floreali di tutto il pianeta, ne salvaguardia le peculiarità e le biodiversità, mette in condivisione le sementi della propria banca sociale e promulga la formula della condivisione con chi vuole iniziare la carriera di custode di semi. Sfrutta la velocità dei media moderni in sinergia alla posta “analogica” ormai in disuso, spedendo buste di semi autoprodotti nei cinque continenti. Il gruppo in poco tempo è cresciuto tanto e si sta sviluppando esponenzialmente coinvolgendo contadini e cittadini, anziani e giovani di tutto il mondo. Seed Vicious è un mezzo per opporsi alla frenesia del mercato e alle scelte delle grandi distribuzioni, un’idea di resistenza attiva basata sul seme, fulcro della vita sulla terra.
Per informazioni, chiarimenti ed informazioni scrivete a seedvicious.mail@gmail.com oppure consultate la pagina internet www.seedvicious.org/wordpress

Autore: Donatello Vallotta

Peronospora #2

Era il 1761 quando si scoprì che semi di granaglie, immersi in una soluzione diluita di solfato di rame, erano liberi da funghi. Fu Millardet nel 1885 che portò alla nascita della poltiglia bordolese. Da lì a poco si svilupparono altri composti, tra i quali gli ossicloruri di rame e calcio, quelli tetrameici, le ossichinoline, gli ossiduli, il carbonato e l’idrossido di rame. Oggi come allora, tuttavia, emergono aspetti negativi sull’uso dei composti cuprici, legato soprattutto ai rischi tossicologici per l’uomo e l’ambiente. La concentrazione di rame totale nel suolo pari a 100 – 150 mg/kg è convenzionalmente riconosciuta come la soglia di tossicità di rame per piante e microorganismi del suolo, superata la quale si riduce la diversità batterica inducendo la predominanza di alcune specie da un lato ed evidenti sintomi di tossicità, sia a livello radicale che fogliare, associati a chiari squilibri nutrizionali dall’altro. Provoca parimenti gravi irritazioni alla pelle e agli occhi, mentre è tossico se ingerito, influendo persino sulla fertilità (studio ECHA).

La lotta alla peronospora in pieno campo si basa principalmente sulla sua prevenzione, durante il riposo vegetativo, tramite l’utilizzo di prodotti rameici e a base di zolfo. Nel BalconORTO vi consiglio caldamente di evitare prodotti così nocivi per la salute, che vi porterete poi nel piatto. Contro la peronospora, che, ricordo, si sviluppa in ambiente acido, è consigliato l’uso del bicarbonato di sodio diluito in acqua con l’aggiunta di un po’ di olio d’oliva o, in alternativa della zeolite.  Evitiamo terricci troppo argillosi, nel pomodoro rimuoviamo le femminelle e in generale teniamo ben areate le piante, recidendo i rametti troppo aggrovigliati. 

Il D.M. n. 33 del 22 gennaio 2018, entrato poi in vigore dal 2 maggio 2020 recita: “tutti i prodotti non classificati come prodotti da utilizzare esclusivamente per la difesa fitosanitaria di piante ornamentali (Pfn-PO) o prodotti per la difesa fitosanitaria di piante edibili (PFnPE) saranno a disposizione esclusivamente di utenti in possesso del certificato di abilitazione all’acquisto e all’utilizzo dei prodotti fitosanitari”. Tradotto in soldoni:  si introduce il patentino quale certificato di abilitazione all’acquisto e all’utilizzo di prodotti fitosanitari e si pongono forti limiti al loro impiego per tutti gli usi non professionali; difatti, dei 365 prodotti presenti sul mercato, solo 7 saranno acquistabili da hobbisti e appassionati del verde sprovvisti del patentino. 

Autore: Donatello Vallotta

Peronospora #1

“Credevo fosse amore, invece era una calesse”: questa pazza primavera non decolla! Le temperature si mantengono leggermente sotto la media, sistemi più o meno organizzati continuano ad interagire nel Mediterraneo, quelli che la meteorologia – in gergo – chiama treno di perturbazioni. Il sole, che si nota solo per brevi tratti, è davvero l’assenza più eclatante. Ai bordi di questo quadro maggese, che ai fotografi comporta soggetti con pochissime ombre, la vita scorre trepida e la storia ripete i conflitti e le ingiustizie con scenari tumultuosi e recrudescenti. Luoghi dove, se si è nati dalla parte sfortunata, non esistono prati di tarassachi dove correre scalzi e scivoli in cui i bambini scendono entusiasti; ma di speranze infrante, piuttosto: le stesse, che a migliaia di chilometri di distanza e in tempo di pace, fanno imprecare agricoltori e contadini contro la peronospora. 
La peronospora è una malattia fungina che colpisce lattughe, cicorie e carciofi, bietole, tutte le crucifere, vite, meloni, cetrioli, angurie, zucche e zucchine, pomodori, patate, melanzane, alchechengi e tabacco, sedani, fragole, rose, cipolle, agli, porri, scalogni, gerani, ornamentali, meli e persino il basilico. Arrivata in Europa nel corso del 1800 coi vitigni americani, portatori asintomatici, può distruggere interi raccolti e comprometterne pesantemente le rese. Ne esistono vari ceppi, che colpiscono di solito piante della stessa varietà senza diffondersi sulle altre, ma che richiamano altre patologie, come oidio, ragnetto rosso, alternaria e muffa grigia. Le spore sopravvivono anche tutto l’inverno nel terreno, mentre le proliferazioni avvengono in periodi che presentano la regola dei tre 10: germogli di 10cm, pioggia di 10mm in 24/48h, temperatura minima di 10°C.
I segnali che le nostre colture sono state attaccate da questo fungo si differenziano a seconda delle specie. Generalmente sulla pagina superiore delle foglie compaiono aree tondeggianti prima di color verde chiaro e quasi trasparenti. In breve tempo il margine di queste macchie si farà irregolare (raggiungeranno un diametro di 2-3cm) tendendo prima verso il giallo e poi verso il marrone scuro fino a necrotizzare.
La pagina inferiore presenterà una muffa grigiastra. Infine le foglie si accartocceranno e cadranno. Parti ipogee, steli e fusti non saranno risparmiati, disseccandosi fino a marcire. 
Il classico filo di rame, privato della sua sottilissima pellicola, infilzato alla base della pianta che ne farebbe assorbire piccole quantità per osmosi non è un rimedio scientifico, bensì una credenza empirica.
(continua)

Autore: Donatello Vallotta