Bokashi

Bokashi è un termine giapponese che significa “tutto dentro”. Il metodo fu sviluppato nei primi anni 70 da Teruo Higa, professore dell’Università di Ryukyus (Okinawa); esso consiste nell’inserire scarti alimentari – con l’aggiunta di un accelerante – in un contenitore ermetico. Assistiamo quindi a una fermentazione anaerobica dei residui, senza l’aiuto di ossigeno, che in brevissimo tempo ci offrirà un fertilizzante liquido molto concentrato, ammesso in agricoltura biologica. La sostanza accelerante utilizzata è il germe o la crusca di cereali, combinata con melassa organica e batteri della fotosintesi, dell’acido lattico e dei lieviti, nota col nome di microrganismi effettivi (EM). Questa miscela funge da nutrimento per i microrganismi, che sono tra l’altro molti di quelli che si trovano naturalmente nel suolo, e velocizza, all’interno del nostro contenitore, il processo di decomposizione. Il secchio per bokashi si compone nella parte superiore di un coperchio a chiusura ermetica, mentre nella parte inferiore presenta un setaccio e un rubinetto (On-OFF) per il drenaggio del bokashi liquido e di un misurino dove raccoglierlo. Il bidoncino si può collocare all’ombra sul terrazzo, ma anche in casa: state tranquilli, niente insetti indesiderati, niente olezzi maleodoranti! Bisogna avere però l’accortezza di sminuzzare bene gli scarti domestici, di compattarli con lo spianatore in dotazione e cospargere uniformemente 20ml di microrganismi ogni 4-5cm di materiale riposto nel cestello. Ci vogliono circa 2 settimane per la prima raccolta. Una volta pieno e terminata la percolazione il secchio andrà ben lavato per ricominciare il processo, mentre i residui dovranno essere smaltiti come umido: chi invece dispone di un giardino, di un terreno o di un orto può conferirli nella classica compostiera per ricavare dell’ottimo compost o lombricompost. Il kit bokashi da 16L si trova sui soliti siti di vendita on-line, nei garden specializzati, ma può essere realizzato da sé con un po’ di ingegno. Anche gli EM si possono autoprodurre, ma consiglio di approfondire l’argomento attraverso letture e manuali ad hoc. Il bokashi liquido puro è adatto alla manutenzione degli scarichi puliti e all’igienizzazione dei pozzi neri; diluito in acqua è un potente fertilizzante per tutte le piante. Rapporti: 1dl in 10L di acqua per innaffiare ogni dieci giorni, 1dl in 20L per annaffiature più frequenti, senza esagerare. Gli EM hanno, inoltre, la facoltà di decomporre anche i residui di alcuni pesticidi e altri elementi nocivi in sostanze biocompatibili.
Gli ultimi dieci anni sono stati un vero boom planetario per il bokashi, divenuto oggetto di speculazioni commerciali, tese alla vendita di specifiche compostiere e attivatori. Il Naturalismo, d’altro canto, non è di certo stato fermo a guardare. Anime nobili hanno stravolto, apportato nuove tecniche o semplicemente delle varianti al minuzioso lavoro del prof. Higa e del suo bokashi, come ad esempio Emile Jacquet e Jairo Restrepo River.

Autore: Donatello Vallotta

Il risveglio #2

Aforisma: Vorrei fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi. (Pablo Neruda)

La primavera è l’ispirazione, la luce benevola che ci prende per mano e ci accompagna, la manna miracolosa che sprigiona nuove prospettive e armonizza il nostro animo verso sponde sicure. Dopo il freddo inverno percepiamo il tepore del clima che cambia, talvolta con giornate soleggiate che vanno aldilà della primavera; alberi, fiori, semi e piante sono le risorse, come mattoncini imperfetti di memoria storica, dai quali imbastire e costruire le nostre piccole gioie di gemme e di pensieri positivi, come malta naturale per tenerli insieme. Il giardino che ognuno coltiva è sì fatto di certezze e di insegnamenti di nonni e genitori, ma soprattutto anche di nuovi tentativi e di velleità; di tepori e di relax, ma anche di colpi di coda invernali; di capricci dal cielo che disegnano cadenti virghe nevose sulle cime e subito dopo di squarci giganti di blu porpora come i petali dell’Hepatica nobilis o erba trinità, vera maglia rosa a tappezzare i fondovalle; di sorrisi e di ghiribizzi dei millennial, di nubi polverose inquietarsi – qua e là – come rampolli della generazione Z, tutti costretti ancora a casa; dei primi afidi e delle colonne regolari di formiche inseguite sui muri con lo sguardo; di giallo di forsizie e di narcisi, di frastuoni e dispetti del vento e nuvole levigate, mentre il sole cala già sui riflessi dei navigli; di voglia di mare increspato dal maestrale; di pulizia dei locali e del cambio degli armadi, di letti sfatti lasciati lì a respirare e di orchidee sui davanzali; di aria buona a corroborare, di api solitarie a bottinare; dei primi piatti freddi e di profumo di pane che invade gli ambienti e di beige paglierino dei nocciòli coi loro amenti; di lillà delle magnolie e dei primi tuoni e dei primi lampi e, nel tempo che avanza, delle prime spine sottopelle che non sono mai abbastanza; di legni e di pioli, che se potessimo farci una scala, forse, poi, visiteremmo anche le stelle per quei volti che abbiamo perso o mai incontrato; del bianco candido degli alissi non abbiam parlato, un paradiso in terra per osmie e coccinelle; di propositi e di ferme intenzioni che solo la primavera è capace di risvegliare: la nostra opera d’arte chiusa in un cassetto come un desiderio abbozzato, un freno tirato, un treno troppo lanciato, un bancale rialzato che è sempre lì che ci aspetta, con un pugno di terra in mano; e che dire delle rose, un campionario di colori come la sequenza che fa l’arcobaleno. Da lontano si odon rintoccare la campane con interi filari di meli ricoperti di ghiaccio, al quale basta un raggio per tornare acqua che scorre verso il mare. Con facelie, lunarie, cosmee e papaveri non s’è dopotutto così poveri. Toh, guarda! Ora anche i cavoli s’affaccian dal terreno per capire di che pasta siamo fatti per davvero.

Autore: Donatello Vallotta

Risveglio

[…] oggi dico sempre quando mi incontro coi ragazzi: voi magari aspirate ad avere un impiego in banca, ma ricordatevi che fare il contadino per bene è più intellettuale che non fare il cassiere di banca. Perché un contadino deve sapere di genetica, di meteorologia, di chimica, di astronomia persino. E allora tutti questi lavori che noi consideriamo magari lavori così, magari con un certo disprezzo, sono lavori invece intellettuali. […]
Da “Ritratti: Mario Rigoni Stern” di Carlo Mazzacurati, 1999

Rinascita, fertilità, resurrezione: la primavera non è solo una stagione, è una struttura archetipica colma di significati millenari e ubiqui, spesso legati al mito della rigenerazione dopo il lungo inverno arido, con una natura nuovamente rigogliosa che torna a essere madre benevola e non matrigna. Anche gli appassionati del BalconORTO sanno che a breve dovranno dosare la loro maestria per preparare la nuova stagione. Dai salotti, dalle verande, dai poggioli o da qualche vaso, dimenticato in un angolo, avvolto dal tessuto non tessuto le piante ci mostrano dei chiari segnali di risveglio. Basta un goccio d’acqua durante le ore più calde delle giornate più miti per vedere spuntare nuove minute gemme o i primordi dei narcisi fare capolino dal terriccio. Poi primule, falsi mughetti, tulipani, fresie, tarassachi, margherite, begonie, petunie e surfinie, come il perenne alisso, ricolmeranno di colori e di profumi la nostra anima. Le prime operazioni da effettuare consistono, innanzitutto, nel controllare bene i vasi: quelli vuoti saranno da pulire e da lavare con acqua e aceto per rimuovere le incrostazioni di calcare, lo sporco e gli inquinanti. Quelli con vecchio terriccio, ma privi di semi e/o bulbi dovranno essere rigenerati con nuovo terriccio, humus di lombrico, compost ed eventualmente del concime a lenta cessione. Se invece è nostra intenzione coltivare delle orticole è bene riempire i vasi a 2 cm dal bordo e unire gli stessi ingredienti menzionati con qualche manciata di terra da orto, sabbia e agriperlite per aumentarne il drenaggio e alleggerirne il peso. E dell’argilla espansa sul fondo di ogni vaso/fioriera per evitare ristagni. Le piante da orto hanno bisogno di più energia per fruttificare ed è indispensabile ricorrere ai concimi liquidi, da somministrare almeno una/due volta al mese e con metà delle dosi consigliate. Nei semenzai di gennaio e di febbraio le prime varietà da seminare saranno peperoncini e melanzane. Per i pomodorini, alle nostre latitudini, possiamo aspettare metà/fine marzo prima della semina in ambiente protetto.Ricordiamoci delle consociazioni favorevoli! Impariamo a far coabitare sia piante da fiori, che richiameranno tante belle api, coccinelle e insetti pronubi, sia piante aromatiche e sia più varietà di piante da orto nello stesso vaso. Insieme si faranno compagnia, sostegno, ombra, scambiandosi azoto, protezione contro alcuni parassiti e migliorando il sapore del nostro raccolto. Dopotutto, la biodiversità che sta tanto a cuore all’ecologista che è in noi inizia sempre dai nostri balconi.

Autore: Donatello Vallotta

L’oziorrinco

L’oziorrinco è un genere di coleotteri curculionidi, fitofagi notturni, che comprende oltre 1500 specie, diffuse nella zone dell’Europa meridionale, dell’Africa settentrionale e dell’Asia a nord dell’Himalaya. Sebbene l’appellativo ne richiami una certa ironia, in virtù dell’accezione ‘ozio’ e dell’aggettivo ‘rinco’, questo coleottero è tutt’altro che innocuo. La sua presenza si riscontra dalla forma dentellata che acquisisce il fogliame dopo il suo passaggio.
In Trentino-Alto Adige ne esistono 11 specie. Le varie specie si differenziano soprattutto per dimensioni, sottigliezze di colore, lucentezza, orari di attività e dal tipo di piante di cui, larve e adulti, hanno deciso di cibarsi. L’esemplare adulto è caratterizzato da una testa allungata con antenne prolungate in avanti, l’addome e il torace di forma sferica con finale dolcemente appuntito e sei zampe. Cammina sui rami, sugli steli, sui fusti e si arrampica sui sostegni, ma è un pessimo volatore. I danni dei coleotteri adulti sono generalmente piuttosto marginali, a meno di gravi infestazioni. L’oziorrinco compie di norma una sola generazione l’anno. Sono le larve il vero tallone d’Achille! Esse vivono nel terreno, penetrano nell’apparato radicale scavando vere e proprie gallerie, si cibano dei tuberi, erodono le radici fino ai colletti: le piante colpite presentano un accrescimento stentato, appassiscono, avvizziscono fino a soccombere. L’attacco arriva subdolamente dal sottosuolo, quindi non si vedono arrivare né bruchi, né farfalline. Il danno delle larve è tipicamente estivo, nel BalconORTO di luglio, agosto e settembre. Al pari della temibile cimice asiatica, l’oziorrinco si rivela un nemico arduo da debellare, a causa della sua corazza esterna, nonché dal fatto che le larve stazionino nel terreno ad un profondità tale che nemmeno l’impiego di insetticidi chimici ci garantisca il successo nella lotta. Colpisce fragola, lampone, cavolo, pomodoro, peperone, patata, lattuga, mais, topinambur, zucchina, zucca, pesco, albicocco, ulivo, vite, ginepro, alloro, agrifoglio e piante ornamentali e forestali.
Rimedi: 1) cattura manuale, tramite battiture serali delle piante; 2) galline nell’orto; 3) frequenti zappettature e sarchiature del terreno, per prevenire l’insediamento delle uova; 4) insetticida biologico Botanigard 22wp a base di spore di Beauveria bassiana; 5) uso specifico di nematodi entomopatogeni: A) Heterorhabditis megidis o bacteriophora: attivo con una T° del terreno > ai 10° C e T° max di 25° C; ha bisogno di un velo d’acqua per muoversi, ma è in grado di ricercare attivamente la preda; B) Steinernema kraussei: attivo con una T° del terreno > ai 6° C e aspetta la preda senza il bisogno di un velo d’acqua (fonte: Notiziario tecnico Iasma del Centro Trasferimento Tecnologico della Fondazione Edmund Mach – Istituto Agrario di S. Michele all’Adige).

Autore: Donatello Vallotta

Malattie fungine: curare l’oidio

L’oidio, detto anche mal bianco, è una grave patologia che può avere un impatto significativo sulle rese. Segnalato per la prima volta nel 1847 a Parigi, l’oidio si diffuse rapidamente in tutta Europa e giunse in Italia nel 1851. È una malattia causata da funghi Ascomycota della famiglia delle Erysiphaceae: si presenta con macchie miceliche polverulente, ovvero patine di colore bianco-grigiastre, a contorni indefiniti, simili alla farina, che ricoprono foglie, germogli, fiori e frutti. Le foglie colpite arrestano lo sviluppo, si accartocciano, ingialliscono e cadono, mentre i germogli hanno una crescita stentata e i bottoni fiorali originano fiori piccoli e malformati. I frutti attaccati da muffe e funghi non sono utilizzabili e il loro odore diventa sgradevole. L’oidio manifesta 1) infezioni primarie: avvengono in primavera con determinate condizioni climatiche (10°C e in presenza di piogge leggere – almeno 2,5 mm – con 15/20 ore di bagnatura fogliare, e sulle cui lesioni si producono dei conidi (spore) 2) infezioni secondarie: tipiche della stagione estiva e autunnale sono prodotte dalle spore del micelio svernante, che da quello sviluppatosi nelle infezioni primarie con determinate condizioni meteo (siccità 6/8 giorni, assenza precipitazioni > 25 mm, temperature medie 18/30° C con umidità relativa > del 40 %). Attacca salvia, zucchine, zucche, pomodori, bietole, cetrioli, radicchio, indivia, carote, sedano, prezzemolo, finocchio e anche i cereali come il grano saraceno e l’orzo, oltre che gli alberi da frutta, melo, pero, vite, pesco, fico, albicocco e piante ornamentali quali rose, begonie, dalie, calendule, alloro e ortensie.

Rimedi: 1) evitare ristagni umidi intorno alle piante; 2) evitare innaffiature sulle foglie; 3) rimuovere il fogliame verde in eccesso per favorire la circolazione dell’aria ed eliminare quello ormai secco o colpito; 4) macerato di equiseto, nel terreno; 5) infuso di tanaceto, nel terreno; 6) nebulizzatori fogliari con acqua, aceto di mele e bicarbonato di sodio, oppure con bicarbonato di potassio con olio di neem e cannella, la mattina presto; 7) acido lattico: cambia il pH sulla superficie delle foglie e ne contrasta la diffusione. Per la preparazione è consigliato usare 1 parte di latte in 2 di acqua. Il trattamento è da eseguirsi con uno spruzzino, al mattino presto, prima che il sole possa farlo evaporare velocemente. Effettuate questa operazione almeno 2 volte a settimana. È consigliabile, entro qualche ora dal trattamento, risciacquare con acqua le zone trattate; 8) fungo antagonista (Ampelomyces quisqualis), che invece di attaccare la piante si nutre del suo simile. Si miscela con olio minerale e si somministra preferibilmente in autunno, quando i resti dell’oidio cominciano la loro azione parassitaria sulla pianta.

Autore: Donatello Vallotta

I parassiti #6

Farfalla Cavolaia: sono una minaccia le larve di questo lepidottero, leggiadro come una farfalla in fase adulta! Le larve, costituite da bruchi verde pallido, riccamente punteggiati di macchie nere, con bande gialle lungo il dorso e i fianchi, raggiungono i 6 cm. Generalmente la cavolaia fa 2/3 generazioni all’anno, con voli a partire da marzo: settembre può diventare un vero disastro nell’orto, vista l’abbondanza di brassicacee. Rovina cavoli, verze, bietole, broccoli, cavolfiori, cavolo cinese, cavoletti, ma anche spinaci. Le uova si schiudono in due settimane e i bruchi cominciano a nutrirsi del fusto e delle foglie giovani e provocano gravi danni alle piante. Agiscono in gruppi numerosi e mettono a rischio interi raccolti. Erodono le foglie, rosicchiando persino le porzioni interne. La cavolaia minore, i cui bruchi sono di colore verde scuro, danneggia il cavolo rapa, il cavolo nero, la rapa e le cime di rapa.
Rimedi: 1. rimozione manuale; 2. rete anti-insetti e polvere di roccia (zeolite) per grandi colture; 3. macerato di ortica e di foglie di pomodoro; 4. decotto di assenzio; 5. Olio di Neem (Azadirachta indica): un cucchiaino da diluire in 500 ml di acqua e irrorare di sera tramite spruzzino – Carenza 3/6 gg; 6. Bacillus thuringiensis (varietà kurstaki), insetticida biologico a base di batteri sporigeni estremamente selettivi. È totalmente innocuo per gli insetti pronubi e le coccinelle. Carenza: 3 gg; 7. l’antagonista oofago Trichogramma evanescens; 8. Apanteles glomeratus e il Phryxe vulgaris (uccidono le larve).

Nottue: sono una ventina di specie di lepidotteri, in prevalenza notturni, le cui larve, cioè i bruchi, si cibano di piante orticole, arbustive e ornamentali. Si presentano di diversi colori, dal rosa al nero, ma per lo più di verde brillante. Rodono colletti, fusti, foglie, fiori, boccioli e persino i frutti. Possono defogliare una pianta da orto in una notte. La presenza dei bruchi va da maggio a novembre in zona alpina. Colpiscono mais, peperoni, erbe aromatiche, gerani, melograno, rose, ma soprattutto i pomodori. John Orrock e i biologi dell’Università del Winsconsin nel 2017 hanno fatto una scoperta sorprendente: una pianta di pomodoro, se massicciamente aggredita, è in grado di emettere una sostanza chimica volatile, lo jasmonato di metile che avvisa le sue simili del pericolo. Le piante allarmate dal segnale chimico reagiscono, rendendo le loro foglie meno nutritive, che così crescono più lentamente, e producendo una sostanza neuro attiva che induce i bruchi al cannibalismo. Fino a quando il loro numero non ritorna a essere a un livello sopportabile per la pianta: ce lo conferma Stefano Mancuso. Anche le vespe assetate sono ottime alleate.
Rimedi: 1. rimozione manuale; 2. trappole a feromoni (nelle serre); 3. biotrappole a base di vino dolcificato e speziato; 4. estratto puro di cannella 1 ml in 500 ml; 5. Bacillus thuringiensis (varietà kurstaki), insetticida biologico a base di batteri sporigeni estremamente selettivi – Carenza: 3 gg; 6. Olio di Neem (Azadirachta indica): un cucchiaino da diluire in 500 ml – Carenza 3/6 gg; 7. geodisinfestante biologico a base di nematodi entomoparassiti del genere Steinernema da impiegare nel terreno.

Autore: Donatello Vallotta

I Parassiti #5: la dorifora

Il mito della dorifora paracadutata dagli Americani sui territori nemici è la reputazione di questo coleottero, divenuto famoso durante il secondo conflitto mondiale, soprattutto per essere la causa primaria dei danni all’agricoltura subiti della Germania. Addirittura, anche dopo la fine della guerra continuarono paure, speculazioni, congetture e supposizioni, più o meno fantasiose, da parte di alcuni Stati dell’Europa dell’Est nei confronti della mano che aveva diffuso questo flagello. Nelle scuole, nelle stazioni, negli uffici postali furono affissi proclami di mobilitazione generale; fu ingaggiata anche “La formica Ferda”, popolare eroina dei fumetti! Nei campi, schiere di studenti guidati da adulti catturavano la dorifora tra le file di patate gettandola in una bottiglia contenente petrolio. Anche il socialismo premiava chi ne raccoglieva di più, mentre puniva coloro che si opponevano alla collettivizzazione dei campi e tradivano la patria infischiandosene della lotta all’ultima patata. A metà degli anni Cinquanta, a un certo punto, gli Usa dovettero intervenire. L’ambasciata americana a Praga inviò al ministro dell’agricoltura una nota dove, ironicamente, smentiva le presunte responsabilità americane nella diffusione della piaga: “L’ambasciata dubita che la dorifora, anche nella forma più vorace, possa consumare l’amicizia che lega i nostri due paesi.” Originaria del Messico e del Colorado, in realtà, la dorifora era presente in Inghilterra già dalla seconda metà del 1800. In Europa si diffuse rapidamente durante il secondo conflitto mondiale, nascosta tra gli approvvigionamenti militari. In Italia giunse nel 1944. Facilmente riconoscibile anche da un occhio inesperto per via delle strisce nere sul corpo di colore giallo ocra è un defogliatore naturale. Presenta tre generazioni all’anno e quattro stadi di sviluppo: A) uovo (giallo/arancio) B) larva (capo e zampe nere e due file laterali di placche nere lungo l’addome arancio) C) pupa D) adulto. Già le larve rovinano le colture. I danni riguardano l’apparato fogliare. Colpisce le solanacee, patate in primis, ma anche melanzane e più raramente pomodori e peperoni.
Rimedi: 1. Rimozione manuale. 2. Olio di Neem (Azadirachta indica): un cucchiaino da diluire in 500 ml di acqua ed irrorare di sera tramite spruzzino – Carenza 3/6 giorni. 3. Bacillus thuringiensis (varietà kurstaki e tenebrionis), insetticida biologico a base di batteri sporigeni estremamente selettivi in grado di uccidere le larve di lepidotteri. È totalmente innocuo per gli impollinatori e anche per le coccinelle. Carenza: 3 giorni. 4. Piretro naturale: 2 ml da diluire in 500 ml di acqua con l’aggiunta di un cucchiaino di aceto, irrorare la sera tramite spruzzino. Carenza: 3 giorni. 5. L’imenottero parassitoide oofago Edovum puttleri. 6. L’antagonista predatore Zicrona caerulea.

Autore: Donatello Vallotta

I parassiti #4

Ragnetto rosso: aracnide fitofago molto pericoloso con elevato potenziale infestante, visto che è in grado di riprodursi rapidamente. È piccolissimo (300/500 micrometri), col corpo colorato di rosso nello stadio adulto, di giallo o arancione nello stadio giovanile. Il suo apparato boccale è appuntito e consente di pungere le parti vegetali per succhiarne la linfa. Si manifesta principalmente sulle foglie, che si decolorano improvvisamente sul margine superiore assumendo una colorazione bronzea. Questo stadio porta al loro disseccamento e alla conseguente caduta. Sul margine inferiore si può assistere alla necrosi del tessuto vegetale o alla comparsa di macchioline biancastre pulverulente dovute ai residui e agli escrementi della larve. Dopo qualche giorno, sui margini fogliari e sui germogli, compaiono fitte e sottili ragnatele con minuscoli puntini rossi in movimento: uno sguardo attento è determinante per salvare le piante colpite. Le infestazioni sono favorite da climi caldi e asciutti, ventosi e con assenza di umidità. NB: Il ragnetto rosso non si deve confondere col ragnetto rosso del travertino, presente su muretti e pietraie, innocuo per uomo e piante!
Rimedi: 1) lavaggio completo della pianta con acqua molto fredda con l’aggiunta di 5 g di sapone di Marsiglia a scaglie in 500 ml; 2) acaricida biologico a base di estratto puro di cannella: 1 ml in 500 ml; 3) insetticida biologico Botanigard 22wp a base di spore di Beauveria bassiana; 4) coccinella Stethorus punctillum; 5) l’acaro predatore Phytoseiulus persimilis.
Aleurocanthus spiniferus: aleurodide tropicale, originario di Africa, Asia e Australia. In Italia le prime segnalazioni risalgono al 2008 nel Leccese. Da allora quest’insetto polifago ha raggiunto l’Emilia Romagna e a causa del riscaldamento globale si sposterà ancora più a Nord. Vista la sua pericolosità, è considerato parassita da quarantena e inserito nell’elenco A2 dell’EPPO, in tutto il territorio della comunità Europea. Questo vuol dire che se dovessimo scovarlo fra le nostre colture è necessario segnalarlo ai servizi fitosanitari provinciali/regionali. Gli adulti hanno l’aspetto di piccole mosche, ali lunghe e affusolate quasi trasparenti tra il grigio e il blu metallizzato. L’adulto è lungo tra 1,3 e 1,7 mm. Le uova sono reniformi, piccolissime (200 micrometri) e vengono deposte a spirale nella pagine inferiori delle foglie. I quattro stadi ninfali presentano colori cangianti, filamenti spinosi laterali, forma ovale e la superficie dorsale di colore nero lucido circondato da un anello di cera bianca. Colpisce soprattutto gli agrumi, ma sono stati segnalati casi anche su vite, guava, kako, pero e rose. I danni solo molti simili a quelli della cocciniglia.
Rimedi: 1) potatura dei rami colpiti e bruciatura degli stessi; 2) olio di Neem (Azadirachta indica): 3-5 g da diluire in 500 ml di acqua ed irrorare la sera – Carenza 3/6 giorni; 3) sapone potassico molle, 8-15 g x 500 ml di acqua aggiungendo al composto 5-15 g di farina fossile di terra diatomacea, in base al grado di infestazione; 4) olio bianco minerale durante il riposo vegetativo, che agisce per soffocamento solo sugli adulti: diluire 5-10 ml di olio minerale in 500 ml di acqua, agitare bene e vaporizzare tramite spruzzino – Carenza: minimo 20 giorni; 5) coccinella Delphastus catalinae; 6) insetti antagonisti: Encarsia smithi e Amitus hesperidum.

Autore: Donatello Vallotta

I parassiti #2

1. Cocciniglie: insetti fitofagi. Hanno dimensioni ridotte, da pochi millimetri fino al centimetro. Una delle loro caratteristiche è la diversità tra i due sessi e la presenza di numerose ghiandole che secernono seta, cera, lacca con le quali ricoprono il loro corpo col caratteristico scudo, che funge nelle femmine perfino da riparo per le uova. La funzione dei maschi si limita alla fecondazione. In coincidenza della maturazione sessuale le femmine emettono dei potenti feromoni per attirare i maschi. Esse sono sprovviste di occhi, ma presentano un apparato boccale ben sviluppato, che permette loro di restare attaccate alle piante e succhiarne la linfa per l’intero arco della loro vita. Prediligono climi caldi e asciutti, inverni miti, tutti elementi fin troppo evidenti a causa del riscaldamento globale. Il loro attacco determina maculature, decolorazioni, accartocciamenti, deformazioni e riduzioni nello sviluppo di foglie e rami. Massicce infestazioni sono il preludio della fumaggine, malattia fungina che colpisce i frutti. Come gli afidi le cocciniglie trasudano melata e la presenza della formiche è un indizio da non sottovalutare. Ne esistono numerose specie: fioccosa, cotonosa, farinosa, mezzo grano di pepe, a scudetto. Colpiscono prevalentemente agrumi, vite, fico d’india, piante ornamentali, alberi da frutto, olivo, olmo, il prunus, ribes, lampone, mirtillo.
Rimedi: 1) Rimozione manuale; 2) batuffolo di cotone imbevuto di alcool: strofinare fusti e foglie colpite, la sera; 3) olio bianco invernale e olio minerale bianco estivo, che agisce per soffocamento: diluire 5 ml di olio minerale in 500 ml di acqua, agitare bene e vaporizzare tramite spruzzino esclusivamente la sera, dopo il tramonto, lontano dagli insetti impollinatori – Carenza per l’uomo: minimo 20 giorni. Fondamentale: non utilizzare il prodotto su piante in fiore!

2. Cicaline o cicadelle: insetti fitomizi. Esiste oltre un centinaio di specie altamente dannose per le nostre colture. Si presentano come minuscole farfalline salterine, specie se agitiamo le piante aromatiche. Le dimensioni oscillano tra 1-2 mm fino a 1,5 cm. Hanno un corpo affusolato, slanciato, colori sgargianti e adottano il mimetismo, pertanto ce ne accorgiamo solo dai danni sulle pagine superiori delle foglie, che presentano puntini decolorati e depigmentati, con maculature gialle chiare-argentee. Forti attacchi provocano il disseccamento e l’accartocciamento completo. Come per la cimice asiatica esiste un predatore oofago naturale: l’Anagrus sp.
Rimedi: 1) Rimozione manuale, difficile; 2) cattura strategica: collocare vicino alle piante colpite una ciotolina di colore giallo, con acqua e un cucchiaino di aceto. Riempire a metà e ripetere l’operazione ogni due giorni; 3) frullare 4/5 spicchi di aglio in 500 ml di acqua, poi filtrare. Inserire il contenuto con l’aggiunta di 5 g di sapone di Marsiglia in uno spruzzino. Irrorare la sera e risciacquare la mattina presto solo con acqua; 4) piretro naturale: un cucchiaino da diluire in 500 ml di acqua con l’aggiunta di un cucchiaino di aceto, irrorare la sera tramite spruzzino – Carenza 3 giorni – Attenzione: il piretro non è sistemico, né citotropico, ma uccide anche insetti utili, come api e coccinelle.

Autore: Donatello Vallotta

I parassiti #3

Aleurodidi (farfalline bianche o mosche bianche): insetti di 1-3 mm. Il loro corpo è ricoperto da un sottile strato di pruina cerosa simile alla farina. Si annidano, solitamente, nella pagina inferiore delle foglie nutrendosi della linfa. Causano ingiallimenti e indeboliscono le piante fino a farle morire. Colpiscono cavoli, melanzane, pomodori, angurie, meloni e cetrioli, ma anche piante ornamentali. Le farfalline compiono parecchie generazioni all’anno, con cicli variabili in base alle temperature. Sono molto aggressive per le piante ospiti. Difficile difendersi per il susseguirsi delle nascite e per l’accavallamento dei vari stadi di sviluppo. Producono la melata, che ricopre le foglie di una pellicola appiccicosa, che non fa respirare i tessuti. I macerati ed il piretro naturale sono del tutto inutili. Sconsiglio tuttavia di ricorrere al piretro chimico a base di piretroidi, deltametrine, cipermetrine, pymetrozine e imidacloprid o ad altri insetticidi sistemici.
Rimedi: 1) La contromisura naturale si attua con l’impiego di parassitoidi oofagi specifici, come l’imenottero Encarsia formosa (anche fuori serra); 2) Insetticida biologico Botanigard 22wp a base di spore di Beauveria bassiana; 3) Olio bianco invernale e olio minerale bianco estivo, che agisce per soffocamento: diluire 5 ml di olio minerale in 500 ml di acqua, agitare bene e vaporizzare tramite spruzzino esclusivamente la sera, dopo il tramonto, lontano dagli insetti impollinatori – Carenza per l’uomo: minimo 20 giorni. Fondamentale: non utilizzare il prodotto su piante in fiore!
Tuta Absoluta (minatrice o tignola fogliare), approdata in Spagna nel 2006. Questo lepidottero si insinua abilmente tra le pagine della foglie, creando delle vere e proprie gallerie molto lunghe chiamate “mine”. Compie sette/otto generazioni all’anno, specie nel sud Italia, ma è presente su tutto il territorio. I danni sulle pagine superiori sono visibili a occhio nudo, mente le larve si rintanano nei lati inferiori e sempre all’interno delle foglie.
Questa caratteristica rende difficile ogni tipo di controllo tramite macerati e insetticidi (sistemici esclusi). Sui balconi la tuta si limita a colpire le foglie, mentre in serre e campi coltivati è già capitato che le larve più mature si concentrino sui frutti, determinando blocchi di crescita e di invaiatura, marciumi e malattie fungine. Colpisce soprattutto pomodori, agrumi, ulivi e viti.
Rimedi: 1) rimozione manuale delle foglie colpite; 2) rete anti insetti, a maglie strette; 3) confusione sessuale tramite appositi feromoni (nelle serre); 4) trappole cromotropiche di colore nero (nelle serre); 5) trappole a elettroluminescenza, che però non sono selettive e che uccidono anche insetti utili; 6) Bacillus thuringiensis (varietà kurstaki e aizawai), un insetticida biologico a base di batteri sporigeni estremamente selettivi in grado di uccidere esclusivamente le larve di lepidotteri, non quelli adulti. È totalmente innocuo per gli impollinatori e anche per le coccinelle. Carenza per l’uomo: 3 giorni.

Autore: Donatello Vallotta