Infinite forme bellissime

Nei giorni scorsi mi è capitato di assistere dal vivo ad una delle tappe di Futuradio, la Festa di Radio 3 Rai, per il secondo anno ospitata dal teatro Comunale di Bolzano. Nel bellissimo teatro studio per un paio d’ore il pubblico presente ha potuto assistere ad un incontro intitolato “Infinite forme bellissime”, una conversazione a più voci per raccontare come la scienza abbia cambiato in profondità la nostra percezione del mondo e di noi stessi nell’ultimo secolo, e quanto sia importante farne un patrimonio culturale sempre più condiviso per guardare al futuro.
Nel corso del dialogo trasmesso in diretta radiofonica nazionale, si è passati dall’infinitamente grande con l’astrofisica e scrittrice Licia Troisi, all’infinitamente piccolo con il fisico del CERN Guido Tonelli, mentre con Telmo Pievani, filosofo della biologia, i fortunati presenti e gli ascoltatori hanno potuto scoprire come, nel bel mezzo di questi due estremi, si siano evolute le “infinite forme bellissime” della vita celebrate da Charles Darwin. In particolare la conversazione con Telmo Pievani è partita dal suo ultimo libro intitolato “Tutti i mondi possibili”, dedicato alla storia vera di una giovane studentessa di ingegneria meccanica che nel 1976 lesse un libro dello scrittore e poeta Jorge Luis Borges e da questa esperienza ne scaturì l’ispirazione che le fece vincere il Nobel per la chimica nel 2018. Dunque l’immaginazione che diventa stimolo per la scienza. Ma sappiamo anche quanto la scienza sia ormai da secoli un veicolo straordinario per la creatività e l’invenzione artistica e letteraria. Un insegnamento, questo, davvero importante per tutti coloro che tendono a mettere in contrapposizione questi due mondi invece intrinsecamente legati.
A fare da collante all’incontro radiofonico, condotto in maniera magnifica dai giornalisti del programma Radio 3 Scienza, naturalmente è stata scelta la musica, e nello specifico quella basata su uno strumento immaginifico come il theremin, affidato a due ottimi interpreti come Vincenzo Vasi e Valeria Sturba.
Personalmente sabato scorso al teatro studio mi sono sentito davvero a casa, essendo io tecnico di formazione superiore divenuto poi giornalista e musicista. Ma sono sicuro che anche molti voi lettori avreste apprezzato, per cui vi segnalo che il podcast del programma si trova su Rai Play Sound, a disposizione di tutti gli interessati, quale ottimo esempio di come possa essere utile e stimolante il servizio pubblico radiotelevisivo.

Autore: Luca Sticcotti

I “nuovi” poveri

Nei giorni scorsi ho letto con interesse e con una certa preoccupazione il manifesto “contro le povertà” elaborato e sottoscritto da una serie di realtà del territorio. Wirtschaftsring, Centro di competenza per il lavoro e le politiche sociali di Unibz,  Alleanza della Cultura, Federazione per il Sociale e la Sanità, Istituto per la promozione dei lavoratori, Volontari e Associazione Ambientalisti, hanno proposto la creazione di un “osservatorio” che nel prossimo futuro dovrebbe monitorare e garantire la continuità e il coordinamento delle misure di prevenzione alla povertà.

La mia preoccupazione deriva dai dati che in occasione della presentazione del manifesto sono stati resi noti, dati assolutamente non il linea con l’idea che l’Alto Adige sia un’isola di benessere,  in Italia e in Europa. Eccoli: il 17% delle famiglie (quasi una su cinque!) riesce a fatica ad arrivare a fine mese, mentre il 60% delle stesse non è più nelle condizioni di risparmiare (almeno una su due). Non basta: più di un dipendente su dieci non arriva a 9 euro l’ora come compenso per il lavoro che fa. 

Particolarmente a rischio sono naturalmente i lavoratori a basso reddito, i pensionati, le famiglie monogenitoriali, le perone socialmente svantaggiate come i disabili e le persone soggette a malattie croniche, nonché i gruppi emarginati e le famiglie dei lavoratori immigrati. Per loro la politica – per voce dell’assessora provinciale al sociale Rosmarie Pamer e del presidente della giunta Arno Kompatscher – ha promesso di alzare il suo impegno di spesa. 

Ma va considerato che la delicatezza della situazione per quanto riguarda lo squilibrio tra costo della vita e salari mette da qualche tempo in difficoltà anche la classe media, soprattutto perché esclusa dai sostegni riservati ai più poveri (il dato del 60% che non riesce a risparmiare riguarda anche e soprattutto queste realtà). Per non parlare dei giovani che nella maggior parte dei casi vedono la sostenibilità della futura formazione di una loro famiglia in Alto Adige un vero e proprio miraggio, se non vengono sostenuti economicamente e in maniera significativa dalla famiglia d’origine. Per questi motivi mi auguro che l’osservatorio di cui abbiamo parlato all’inizio si trasformi in un tavolo in grado di proporre soluzioni concrete e a breve termine. E sono sicuro che a questo augurio si unirà una gran parte di voi lettori. 

Autore: Luca Sticcotti

Studenti e politica

Personalmente sono rimasto molto colpito quando lunedì scorso, con un comunicato stampa bilingue, la sede bolzanina degli studenti universitari sudtirolesi/altoatesini ha chiesto a unibz “maggiore apertura riguardo agli eventi politici” all’interno dell’ateneo. “Finora, l’Università ha adottato la linea di non permettere iniziative come dibattiti pubblici su temi controversi, come le Olimpiadi 2026 o altri argomenti simili. Per noi è incomprensibile, poiché nelle sedi universitarie delle nostre delegazioni esterne sentiamo regolarmente parlare di eventi socio-politici, veniamo invitati a partecipare – ad esempio da organizzazioni partner come l’Österreichische HochschülerInnenschaft – e soprattutto organizziamo noi stessi tali eventi”, ha sottolineato Alexander von Walther, presidente della sh.asus. “Comprendiamo ovviamente che l’Università, come istituzione pubblica, non possa ospitare eventi di partiti politici o organizzazioni tendenziose. Anche noi come associazione non lo vogliamo”, ha aggiunto la sh.asus nel suo comunicato. Mentre la giovane vicepresidente della sh.asus Magdalena Scherer dal canto suo ha ricordato che “a Innsbruck, lo scorso anno, la sede esterna dell’associazione studentesca ha organizzato un dibattito pubblico sulle elezioni provinciali che ha ricevuto riscontri molto positivi, con l’aula più grande dell’Università strapiena, oltre 400 studentesse e studenti interessati tra il pubblico e più di 100 collegati in streaming”. “A Bolzano, una cosa del genere non sarebbe stata possibile”, ha aggiunto.
L’associazione degli studenti universitari ha ricordato che per i loro colleghi austriaci si tratta di prassi consolidate e che l’organizzazione di tali eventi è addirittura considerata “un obbligo”.
“Anche noi vediamo come nostro compito promuovere l’educazione politica tra i giovani – concretamente tra le studentesse e gli studenti nelle nostre delegazioni esterne – e per questo riceviamo, tra le altre cose, contributi provinciali”, hanno concluso presidente e vicepresidente di sh.asus che, lo ricordiamo, non sono estremisti e agitatori politici.
In provincia di Bolzano abbiamo un grande bisogno di giovani consapevoli e attivi per quanto riguarda tutto quello che riguarda la gestione cosa pubblica, anche nell’ottica di avere in futuro una classe politica migliore di quella attuale. Spero dunque che tali divieti vengano meno al più presto possibile, nell’interesse di tutta la nostra comunità locale.

Autore: Luca Sticcotti

Valori

Recentemente mi è capitato di fare una riflessione personale sul significato della parola “valore”. Sono partito dai valori delle “cose” ma ben presto mi sono spostato sull’altro significato di questa parola, riflettendo sugli “ideali che orientano le nostre scelte morali”.
Ebbene: sono stato subito colpito da una ventata di anacronismo; ho avuto la sensazione che questo tipo di dimensione sia stata di fatto archiviata nel passato, quasi come se ce la fossimo lasciata definitivamente alle spalle. Non convinto – forse spinto dal mio innato anticonformismo – ho deciso di ricorrere ancora una volta all’enciclopedia Treccani – tra l’altro nella sua versione “ragazzi” – facilmente consultabile online, e ho trovato la seguente definizione.
“Valori sono i princìpi che i singoli individui o una collettività considerano superiori o preferibili. Essi vengono utilizzati come criterio per giudicare o valutare comportamenti e azioni. I valori si connettono in vario modo con la realtà sociale e politica, con l’organizzazione economica e giuridica, con le tradizioni, i costumi e i simboli di una collettività, e quindi mutano nelle varie culture ed epoche storiche.”
Ebbene: quali sono i nostri valori, oggi? E in quale misura sono condivisi?
Il nostro vivere comune, codificato dalle regole che ci diamo, man mano, recentemente deve fare sempre di più i conti con un approccio individualistico che tende a rimettere in discussione tutta una serie di principi che per decenni avevamo dato (quasi) per scontati. Si tratta di un individualismo diffuso che sta contagiando anche le nostre comunità, spingendole a ripiegarsi su sé stesse sulla difensiva, producendo sovranismi di ogni genere e ad ogni livello.
I conflitti in corso in Medio Oriente e in Ucraina, che ipocritamente non vengono nemmeno chiamati guerre, a mio avviso sono figli di questo passo indietro che ha reso ormai irrilevante ogni meccanismo che avevamo messo in atto per cercare di arginare questi pericoli globali (Onu).
Leggendo la Treccani dei ragazzi personalmente mi sono vergognato, immaginandomi i pensieri che possono fare i nostri figli e nipoti osservando i nodi irrisolti della nostra cosiddetta “civiltà”.
“Urge uno scatto d’orgoglio”, si sarebbe detto una volta. In realtà si tratta solo di tornare ad essere responsabili di quello che stiamo facendo. Individualmente e collettivamente.

Autore: Luca Sticcotti

Revisione scaduta

Un vecchio detto sostiene, giustamente, che la talpa della storia continua a scavare per poi riemergere quando vuole lei. è un modo per dire che il tempo passa, non c’è nulla di immutabile. Anche se ci sembra che le cose rimangano tali, in realtà il cambiamento è sempre dentro di noi e intorno a noi. E prima o poi ci troviamo a doverci fare i conti. Più rimandiamo e peggio è.
è una prospettiva che vale anche per la nostra autonomia, un sistema normativo faticosamente conseguito 52 anni fa, dopo un percorso durato decenni per sanare una serie di problematiche manifestatesi nella prima parte del secolo scorso e culminate con gli anni tragici della seconda guerra mondiale. Da allora lo statuto di autonomia è rimasto tale, a parte una serie di correttivi giunti più a regolamentare più che a modificare le regole del gioco, nonostante il fatto che negli ultimi 15 anni ci si sia posti a più riprese la questione di una necessaria revisione, legata alle grandi trasformazioni sociali e politiche sopraggiunte.
I primi tentativi di operare dei cambiamenti significativi nello statuto si sono incagliati, com’è noto. I delicati equilibri e le motivazioni legate al consenso dei partiti, sempre più difficile conquistare e conservare, hanno spinto a prendere tempo. Ma – a giudicare dalle cronache – tale revisione del quadro normativo è tornata nei giorni scorsi a manifestare la sua grande urgenza.
I cambiamenti demografici, il mercato del lavoro in sofferenza, l’inesistenza di un’efficace politica per la casa, il sovraffollamento turistico, impongono ora come mai l’individuazione di un nuovo paradigma. E le contraddizioni emerse nelle ultime settimane riguardanti i più giovani, la loro formazione, e più in generale il loro futuro indicano un’urgenza rispetto alla quale non possiamo più tergiversare. I temi dello ius scholae per i ragazzi con background straniero ma nati in Italia, la proposta di “classi speciali” nelle scuole pubbliche composte da soli “stranieri”, l’abbandono scolastico record a livello nazionale, i costi spropositati a cui sono sottoposte le famiglie degli studenti universitari a Bolzano, e – non ultima – la fuga dei giovani più in gamba non più in grado di costruirsi il destino in Alto Adige, impongono a mio avviso la convocazione di una sorta di “stati generali” del… nostro futuro, che coinvolgano tutte le articolazioni del nostro finora tanto decantato modello altoatesino. La talpa sta già scavando da un bel pezzo…

Autore: Luca Sticcotti

Narcisismi

Recentemente mi ha fatto molto riflettere un’iniziativa della Federazione altoatesina per il Sociale e la Sanità volta a promuovere gruppi di auto aiuto sul tema dell’abuso narcisistico. L’idea è quella di fare in modo che le persone che soffrono di questo particolare tipo di abuso non si sentano sole e trovino sostegno.
Ma cos’è l’abuso narcisistico? Si tratta di un meccanismo che scatta quando si è coinvolti in una relazione con una persona che pensa solo a sé stessa e alla propria personalità, prendendo senza scrupoli ciò che vuole. Sono dinamiche che si mettono in atto in molteplici contesti: lavoro, famiglia e in alcuni casi anche tempo libero. Ma naturalmente è soprattutto a livello di vita di coppia che tale relazioni tossiche possono provocare gravi danni, anche perché spesso nella “vittima” si innescano dipendenza e sensi di colpa.
Queste dinamiche nella nostra società di solito restano nascoste, perché non esplicitate da coloro che le soffrono. Ma poi capita che in presenza di fatti di cronaca, anche gravi, per qualche ora ci domandiamo, un po’ in maniera ipocrita, come possa accadere che tali tensioni esplodano talvolta, liberando violenza anche efferata.
A mio avviso occorre crescere nella consapevolezza e spesso – non è la prima volta che lo segnalo in questo spazio – a venirci in aiuto sono anche le parole.
Il narcisismo, nel linguaggio di tutti i giorni, è la tendenza e l’atteggiamento psicologico di compiaciuta ed eccessiva ammirazione di se stessi, per lo più sinonimo di egocentrismo, egoismo, vanità e presunzione. Anche se in realtà questi ultimi quattro atteggiamenti citati non sono esattamente sinonimi, perché indicano altrettante sfumature dell’individualismo.
Non abbiamo qui lo spazio per dilungarci, ma chiunque di noi voglia approfondire può facilmente dedicare un po’ di tempo per chiarirsi le idee sul significato esatto di questi termini. La nostra vita di relazione ci mette permanentemente in contatto con persone che manifestano sfumature di questi modi di relazionarci ed è altamente consigliabile trovare delle contromisure in merito. Ma per primi naturalmente dovremmo essere noi stessi a chiederci se il nostro modo di comportarci nei confronti degli altri non diventi un problema per loro, ma anche e soprattutto per noi stessi.

Redattore: Luca Sticcotti

Quarti posti e cattiveria

Allo storico motto olimpico, tradotto dall’originale latino “più veloce, più in alto e più forte”, nel 2021 il Comitato Olimpico Internazionale ha aggiunto “communiter” che significa “insieme”. Questo per indicare ufficialmente il valore unificante dello sport e l’importanza della solidarietà. Per il resto i “valori” olimpici sono rispetto, amicizia e lealtà, a cui si aggiunge la famosa “partecipazione”, anche se va precisato che il detto “l’importante è partecipare” in realtà sarebbe mai stato pronunciato da De Coubertin.
Nelle ultime settimane ho seguito con una certa assiduità i giochi olimpici di Parigi. Ma dopo un mese di rassegna in realtà solo due episodi mi sono rimasti più impressi.
Il primo è stato la decisione del Presidente della Repubblica di invitare al Quirinale per un ringraziamento ufficiale, anche gli atleti – tantissimi – che a Parigi hanno conseguito un quarto posto nella loro disciplina. Il Presidente in questo modo ha voluto indicare che l’eccellenza nello sport non è appannaggio solo di chi riesce a conseguire la tanto agognata medaglia. Mi sembra un gesto importante e significativo, molto più maturo di tanti commenti pubblicati sui media da parte di giornalisti poco avveduti oppure da molti altri sui social, come avviene purtroppo sempre più spesso.
Il secondo episodio che mi ha colpito è la risposta che lo schermidore olimpionico Daniele Garozzo ha dato al giornalista Aldo Cazzullo per stigmatizzare il termine “cattiveria” che sempre più spesso viene utilizzato per indicare una qualità essenziale per riuscire a vincere nello sport. Di seguito ecco le parole di Garozzo. “Questa idea è non solo falsa, ma anche diseducativa. Affermare che ‘essere cattivi’ porti alla vittoria sminuisce i successi di tanti atleti che, come me, hanno raggiunto i più alti traguardi grazie a impegno, sacrificio e una sana competitività. La narrativa romantica del guerriero spietato potrebbe essere affascinante nei racconti epici, ma nella realtà dello sport moderno è fuori luogo e anacronistica”. Successivamente il dialogo a distanza tra Cazzullo e Garozzo è proseguito, con il giornalista che ha cercato di spiegare meglio cosa intendeva. Da parte mia non posso fare altro che segnalare il fatto che i Giochi Olimpici sono (ri)nati in epoca moderna per dare ai popoli e agli stati un’occasione di confronto anche aspro, ma totalmente avulso dalla forma tradizionale che tale confronto ha avuto nella storia dell’uomo, ovvero la guerra. D’altronde lo stesso Cazzullo nella sua replica ha spiegato “la cattiveria non è scorrettezza ma determinazione assoluta, senza non si vince”. E allora, insisto, possiamo davvero fare a meno di usare la parola cattiveria, ce n’è già davvero troppa, in giro.

Autore: Luca Sticcotti

Una canzone che cura

Recentemente ho fatto una serie di riflessioni, leggendo sui giornali della fatica che fa la sanità altoatesina a venire incontro alle esigenze dei suoi pazienti. Mi è venuto in mente un viaggio che feci in Brasile, una quindicina di anni fa. Lì, tra gli altri, ebbi occasione di visitare un missionario altoatesino allora attivo nella città di San Paolo, una megalopoli di decine di milioni di abitanti. Si occupava di una parrocchia di quartiere ed era molto brillante e amato dai suoi fedeli, ma viveva “asserragliato”, una condizione molto normale in una città nella quale ai semafori non ci si ferma col rosso per paura di essere rapinati. Quando gli chiesi cosa sarebbe successo se fosse stato male e avessero dovuto soccorrerlo con l’ambulanza, lui mi disse che questa cosa lì… non esisteva. Ebbene: questo avviene nella maggior parte del terzo mondo; lì il suono delle ambulanze tace… in partenza. Insomma: nel nostro primo mondo facciamo bene a lamentarci se i servizi non funzionano come promesso a fronte di tanti investimenti pubblici, ma è anche utile pensare che siamo comunque dei privilegiati, rispetto alla maggior parte degli altri abitanti sul pianeta terra.
Un’altra mia riflessione, in questi giorni, ha riguardato il significato più esteso della parola “cura”.
Tale termine nella nostra lingua va ben oltre al trattamento delle malattie. Ce lo ha insegnato ad esempio don Lorenzo Milani che, negli anni ’60 scrisse il suo motto “I care” sui muri della scuola di Barbiana, da lui fondata per strappare dall’analfabetismo i bambini del paese dove era stato esiliato dai vertici della sua diocesi fiorentina. In quel caso la parola stava a significare mi importa, mi interessa, ho a cuore, e tale messaggio successivamente è stato adottato da quella larga parte del mondo ecclesiale che si interessa alla promozione della persona umana e alla giustizia sociale.
“La cura” è anche il titolo di una bellissima canzone in cui Franco Battiato nel 1996 prosegue nel solco di un altro brano da lui scritto otto anni prima e intitolato “E ti vengo a cercare”. Entrambe le canzoni parlano d’amore, ma è proprio in “La cura” che Battiato, grazie anche ad una bellissima melodia, ci spiega con grande poesia quanto prendersi cura di se stessi e coltivare la propria anima possa diventare (anche) un instancabile accudimento dell’altro che ci sta a fianco. La canzone inizia dicendo “Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie” e si conclude con un impegno: “Io sì, avrò cura di te”. è una canzone che cura.

Redattore: Luca Sticcotti

Orizzonti

Tre anni fa in questo spazio mi interrogavo in merito al nostro orizzonte, a partire dal racconto scritto da una giovane insegnante bolzanina, che identificava nell’Europa il minimo comune denominatore che dovrebbe coinvolgerci tutti. Più in generale, poi, facendo riferimento a esempi di apertura e chiusura mentale tratti dalla nostra cronaca locale (eravamo appena usciti dalla pandemia), mi chiedevo se la vera libertà alla quale alla fine tutti noi ci appelliamo, in un modo o nell’altro, non stia proprio nella capacità di allargare la nostra prospettiva, rispetto al nostro pur luccicante (ma non troppo) piccolo orticello. 

Sul tema dell’orizzonte torno, perché per me questa parola ha sempre fatto rima con… estate. Nella mia esperienza infatti, ma penso non solo nella mia, è proprio durante questa stagione che a noi montanari viene concesso, per un periodo più o meno lungo, di assaporare gli orizzonti di pianura o di mare, ovvero i… “veri” orizzonti. 

La parola orizzonte viene dal greco e significa letteralmente “cerchio che delimita”. La definizione di orizzonte è bellissima. Orizzonte è infatti la “linea apparente che separa la terra dal cielo, la linea che divide tutte le direzioni visibili in due categorie ovvero quelle che intersecano la superficie terreste e quelle che non la intersecano”. Mi piace soffermarmi su quell’aggettivo “apparente”, così evocativo e immaginifico. 

La linea dell’orizzonte al mare mi ha sempre affascinato. Sono sempre rimasto ore a guardarla, quando potevo, perché mi conciliava i pensieri, quelli che danno senso, innescano i ricordi e mettono in moto le idee. Poi l’orizzonte di mare e di pianura mi ha sempre regalato colori inediti, albe e tramonti, nuvole lontane di una consistenza non famigliare per un montanaro. 

Il mio augurio è che questo fascino per l’orizzonte fisico sia in grado di contagiare anche i nostri orizzonti di vita, alimentandovi speranze, sogni, progetti, impegno, valori. 

Il cielo che sta sopra l’orizzonte è lo stesso dove di notte splendono le stelle. E nella bandiera dell’Europa il colore del cielo di giorno è associato alla luce delle stelle che brillano di notte. Si tratta di una contraddizione solo apparente. Sta in noi alimentare questo sogno di prosperità e di pace. Ovunque noi siamo.

Autore: Luca Sticcotti

Vittorie e sconfitte

Nei giorni scorsi l’Italia ha superato la fase dei gironi del campionato europeo di calcio dopo una vittoria, una sconfitta e un pareggio. La qualificazione agli ottavi è giunta dopo una partita, quella con la Spagna, in cui l’Italia è riuscita a toccare pochissimi palloni, tra cui purtroppo quello infilato nella propria porta dal giovane Calafiori. è lo stesso difensore del Bologna che, poi, nella successiva partita con la Croazia si è inventato al 98° minuto un passaggio a Zaccagni autore di un bellissimo gol che in un secondo ci ha trasportati dall’incubo di un eventuale ripescaggio alla qualificazione piena. Un pareggio che sa di vittoria, dunque, ma pareri unanimi nel giudicare l’Italia vista finora da brutta a bruttissima, con attaccanti di prima e seconda scelta incapaci di pungere, se è vero che finora hanno segnato nella porta avversaria solo difensori (Bastoni), centrocampisti (Barella) e un attaccante (Zaccagni) entrato nella rosa di Spalletti quasi per caso all’ultimo secondo, al posto di Orsolini.
Pur giocando male, gli azzurri sono riusciti a battere l’Albania, tutto sommato reggere l’urto nei confronti di una fortissima Spagna, e pareggiare con la Croazia che – lo ricordiamo da diversi anni fa parte dell’élite mondiale del calcio.
Vittoria? Sconfitta? Per quanto riguarda il prosieguo degli azzurri nell’Europeo staremo a vedere. Ma quanto accaduto dovrebbe farci riflettere sul significato che siamo soliti dare alla parola vittoria.
Questa parola è stata usata in questi giorni anche per commentare i risultati delle elezioni amministrative che si sono svolte in diverse importanti città italiane. Ed era stata usata qualche settimana prima per le consultazioni europee.
A mio avviso nel campo della politica la parola vittoria non dovrebbe mai essere usata, a differenza che nello sport. Chi prevale un secondo dopo viene investito del ruolo di occuparsi del bene di tutti. Così funziona la democrazia e quindi è meglio lasciare perdere subito l’idea di aver vinto su qualcuno. Per lo stesso principio non mi piace la parola opposizione, contrapposta a maggioranza. Il compito di chi non governa non può essere sempre e solo quello di opporsi. Le soluzioni condivise sono quelle più forti. Politicamente l’Unione Europea è proprio basata su questo principio. è faticoso, ma il consenso che ne scaturisce è di un’altra qualità. Oggi ne abbiamo bisogno come non mai.

Autore: Luca Sticcotti