Valori

Recentemente mi è capitato di fare una riflessione personale sul significato della parola “valore”. Sono partito dai valori delle “cose” ma ben presto mi sono spostato sull’altro significato di questa parola, riflettendo sugli “ideali che orientano le nostre scelte morali”.
Ebbene: sono stato subito colpito da una ventata di anacronismo; ho avuto la sensazione che questo tipo di dimensione sia stata di fatto archiviata nel passato, quasi come se ce la fossimo lasciata definitivamente alle spalle. Non convinto – forse spinto dal mio innato anticonformismo – ho deciso di ricorrere ancora una volta all’enciclopedia Treccani – tra l’altro nella sua versione “ragazzi” – facilmente consultabile online, e ho trovato la seguente definizione.
“Valori sono i princìpi che i singoli individui o una collettività considerano superiori o preferibili. Essi vengono utilizzati come criterio per giudicare o valutare comportamenti e azioni. I valori si connettono in vario modo con la realtà sociale e politica, con l’organizzazione economica e giuridica, con le tradizioni, i costumi e i simboli di una collettività, e quindi mutano nelle varie culture ed epoche storiche.”
Ebbene: quali sono i nostri valori, oggi? E in quale misura sono condivisi?
Il nostro vivere comune, codificato dalle regole che ci diamo, man mano, recentemente deve fare sempre di più i conti con un approccio individualistico che tende a rimettere in discussione tutta una serie di principi che per decenni avevamo dato (quasi) per scontati. Si tratta di un individualismo diffuso che sta contagiando anche le nostre comunità, spingendole a ripiegarsi su sé stesse sulla difensiva, producendo sovranismi di ogni genere e ad ogni livello.
I conflitti in corso in Medio Oriente e in Ucraina, che ipocritamente non vengono nemmeno chiamati guerre, a mio avviso sono figli di questo passo indietro che ha reso ormai irrilevante ogni meccanismo che avevamo messo in atto per cercare di arginare questi pericoli globali (Onu).
Leggendo la Treccani dei ragazzi personalmente mi sono vergognato, immaginandomi i pensieri che possono fare i nostri figli e nipoti osservando i nodi irrisolti della nostra cosiddetta “civiltà”.
“Urge uno scatto d’orgoglio”, si sarebbe detto una volta. In realtà si tratta solo di tornare ad essere responsabili di quello che stiamo facendo. Individualmente e collettivamente.

Autore: Luca Sticcotti

Revisione scaduta

Un vecchio detto sostiene, giustamente, che la talpa della storia continua a scavare per poi riemergere quando vuole lei. è un modo per dire che il tempo passa, non c’è nulla di immutabile. Anche se ci sembra che le cose rimangano tali, in realtà il cambiamento è sempre dentro di noi e intorno a noi. E prima o poi ci troviamo a doverci fare i conti. Più rimandiamo e peggio è.
è una prospettiva che vale anche per la nostra autonomia, un sistema normativo faticosamente conseguito 52 anni fa, dopo un percorso durato decenni per sanare una serie di problematiche manifestatesi nella prima parte del secolo scorso e culminate con gli anni tragici della seconda guerra mondiale. Da allora lo statuto di autonomia è rimasto tale, a parte una serie di correttivi giunti più a regolamentare più che a modificare le regole del gioco, nonostante il fatto che negli ultimi 15 anni ci si sia posti a più riprese la questione di una necessaria revisione, legata alle grandi trasformazioni sociali e politiche sopraggiunte.
I primi tentativi di operare dei cambiamenti significativi nello statuto si sono incagliati, com’è noto. I delicati equilibri e le motivazioni legate al consenso dei partiti, sempre più difficile conquistare e conservare, hanno spinto a prendere tempo. Ma – a giudicare dalle cronache – tale revisione del quadro normativo è tornata nei giorni scorsi a manifestare la sua grande urgenza.
I cambiamenti demografici, il mercato del lavoro in sofferenza, l’inesistenza di un’efficace politica per la casa, il sovraffollamento turistico, impongono ora come mai l’individuazione di un nuovo paradigma. E le contraddizioni emerse nelle ultime settimane riguardanti i più giovani, la loro formazione, e più in generale il loro futuro indicano un’urgenza rispetto alla quale non possiamo più tergiversare. I temi dello ius scholae per i ragazzi con background straniero ma nati in Italia, la proposta di “classi speciali” nelle scuole pubbliche composte da soli “stranieri”, l’abbandono scolastico record a livello nazionale, i costi spropositati a cui sono sottoposte le famiglie degli studenti universitari a Bolzano, e – non ultima – la fuga dei giovani più in gamba non più in grado di costruirsi il destino in Alto Adige, impongono a mio avviso la convocazione di una sorta di “stati generali” del… nostro futuro, che coinvolgano tutte le articolazioni del nostro finora tanto decantato modello altoatesino. La talpa sta già scavando da un bel pezzo…

Autore: Luca Sticcotti

Narcisismi

Recentemente mi ha fatto molto riflettere un’iniziativa della Federazione altoatesina per il Sociale e la Sanità volta a promuovere gruppi di auto aiuto sul tema dell’abuso narcisistico. L’idea è quella di fare in modo che le persone che soffrono di questo particolare tipo di abuso non si sentano sole e trovino sostegno.
Ma cos’è l’abuso narcisistico? Si tratta di un meccanismo che scatta quando si è coinvolti in una relazione con una persona che pensa solo a sé stessa e alla propria personalità, prendendo senza scrupoli ciò che vuole. Sono dinamiche che si mettono in atto in molteplici contesti: lavoro, famiglia e in alcuni casi anche tempo libero. Ma naturalmente è soprattutto a livello di vita di coppia che tale relazioni tossiche possono provocare gravi danni, anche perché spesso nella “vittima” si innescano dipendenza e sensi di colpa.
Queste dinamiche nella nostra società di solito restano nascoste, perché non esplicitate da coloro che le soffrono. Ma poi capita che in presenza di fatti di cronaca, anche gravi, per qualche ora ci domandiamo, un po’ in maniera ipocrita, come possa accadere che tali tensioni esplodano talvolta, liberando violenza anche efferata.
A mio avviso occorre crescere nella consapevolezza e spesso – non è la prima volta che lo segnalo in questo spazio – a venirci in aiuto sono anche le parole.
Il narcisismo, nel linguaggio di tutti i giorni, è la tendenza e l’atteggiamento psicologico di compiaciuta ed eccessiva ammirazione di se stessi, per lo più sinonimo di egocentrismo, egoismo, vanità e presunzione. Anche se in realtà questi ultimi quattro atteggiamenti citati non sono esattamente sinonimi, perché indicano altrettante sfumature dell’individualismo.
Non abbiamo qui lo spazio per dilungarci, ma chiunque di noi voglia approfondire può facilmente dedicare un po’ di tempo per chiarirsi le idee sul significato esatto di questi termini. La nostra vita di relazione ci mette permanentemente in contatto con persone che manifestano sfumature di questi modi di relazionarci ed è altamente consigliabile trovare delle contromisure in merito. Ma per primi naturalmente dovremmo essere noi stessi a chiederci se il nostro modo di comportarci nei confronti degli altri non diventi un problema per loro, ma anche e soprattutto per noi stessi.

Redattore: Luca Sticcotti

Quarti posti e cattiveria

Allo storico motto olimpico, tradotto dall’originale latino “più veloce, più in alto e più forte”, nel 2021 il Comitato Olimpico Internazionale ha aggiunto “communiter” che significa “insieme”. Questo per indicare ufficialmente il valore unificante dello sport e l’importanza della solidarietà. Per il resto i “valori” olimpici sono rispetto, amicizia e lealtà, a cui si aggiunge la famosa “partecipazione”, anche se va precisato che il detto “l’importante è partecipare” in realtà sarebbe mai stato pronunciato da De Coubertin.
Nelle ultime settimane ho seguito con una certa assiduità i giochi olimpici di Parigi. Ma dopo un mese di rassegna in realtà solo due episodi mi sono rimasti più impressi.
Il primo è stato la decisione del Presidente della Repubblica di invitare al Quirinale per un ringraziamento ufficiale, anche gli atleti – tantissimi – che a Parigi hanno conseguito un quarto posto nella loro disciplina. Il Presidente in questo modo ha voluto indicare che l’eccellenza nello sport non è appannaggio solo di chi riesce a conseguire la tanto agognata medaglia. Mi sembra un gesto importante e significativo, molto più maturo di tanti commenti pubblicati sui media da parte di giornalisti poco avveduti oppure da molti altri sui social, come avviene purtroppo sempre più spesso.
Il secondo episodio che mi ha colpito è la risposta che lo schermidore olimpionico Daniele Garozzo ha dato al giornalista Aldo Cazzullo per stigmatizzare il termine “cattiveria” che sempre più spesso viene utilizzato per indicare una qualità essenziale per riuscire a vincere nello sport. Di seguito ecco le parole di Garozzo. “Questa idea è non solo falsa, ma anche diseducativa. Affermare che ‘essere cattivi’ porti alla vittoria sminuisce i successi di tanti atleti che, come me, hanno raggiunto i più alti traguardi grazie a impegno, sacrificio e una sana competitività. La narrativa romantica del guerriero spietato potrebbe essere affascinante nei racconti epici, ma nella realtà dello sport moderno è fuori luogo e anacronistica”. Successivamente il dialogo a distanza tra Cazzullo e Garozzo è proseguito, con il giornalista che ha cercato di spiegare meglio cosa intendeva. Da parte mia non posso fare altro che segnalare il fatto che i Giochi Olimpici sono (ri)nati in epoca moderna per dare ai popoli e agli stati un’occasione di confronto anche aspro, ma totalmente avulso dalla forma tradizionale che tale confronto ha avuto nella storia dell’uomo, ovvero la guerra. D’altronde lo stesso Cazzullo nella sua replica ha spiegato “la cattiveria non è scorrettezza ma determinazione assoluta, senza non si vince”. E allora, insisto, possiamo davvero fare a meno di usare la parola cattiveria, ce n’è già davvero troppa, in giro.

Autore: Luca Sticcotti

Una canzone che cura

Recentemente ho fatto una serie di riflessioni, leggendo sui giornali della fatica che fa la sanità altoatesina a venire incontro alle esigenze dei suoi pazienti. Mi è venuto in mente un viaggio che feci in Brasile, una quindicina di anni fa. Lì, tra gli altri, ebbi occasione di visitare un missionario altoatesino allora attivo nella città di San Paolo, una megalopoli di decine di milioni di abitanti. Si occupava di una parrocchia di quartiere ed era molto brillante e amato dai suoi fedeli, ma viveva “asserragliato”, una condizione molto normale in una città nella quale ai semafori non ci si ferma col rosso per paura di essere rapinati. Quando gli chiesi cosa sarebbe successo se fosse stato male e avessero dovuto soccorrerlo con l’ambulanza, lui mi disse che questa cosa lì… non esisteva. Ebbene: questo avviene nella maggior parte del terzo mondo; lì il suono delle ambulanze tace… in partenza. Insomma: nel nostro primo mondo facciamo bene a lamentarci se i servizi non funzionano come promesso a fronte di tanti investimenti pubblici, ma è anche utile pensare che siamo comunque dei privilegiati, rispetto alla maggior parte degli altri abitanti sul pianeta terra.
Un’altra mia riflessione, in questi giorni, ha riguardato il significato più esteso della parola “cura”.
Tale termine nella nostra lingua va ben oltre al trattamento delle malattie. Ce lo ha insegnato ad esempio don Lorenzo Milani che, negli anni ’60 scrisse il suo motto “I care” sui muri della scuola di Barbiana, da lui fondata per strappare dall’analfabetismo i bambini del paese dove era stato esiliato dai vertici della sua diocesi fiorentina. In quel caso la parola stava a significare mi importa, mi interessa, ho a cuore, e tale messaggio successivamente è stato adottato da quella larga parte del mondo ecclesiale che si interessa alla promozione della persona umana e alla giustizia sociale.
“La cura” è anche il titolo di una bellissima canzone in cui Franco Battiato nel 1996 prosegue nel solco di un altro brano da lui scritto otto anni prima e intitolato “E ti vengo a cercare”. Entrambe le canzoni parlano d’amore, ma è proprio in “La cura” che Battiato, grazie anche ad una bellissima melodia, ci spiega con grande poesia quanto prendersi cura di se stessi e coltivare la propria anima possa diventare (anche) un instancabile accudimento dell’altro che ci sta a fianco. La canzone inizia dicendo “Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie” e si conclude con un impegno: “Io sì, avrò cura di te”. è una canzone che cura.

Redattore: Luca Sticcotti

Orizzonti

Tre anni fa in questo spazio mi interrogavo in merito al nostro orizzonte, a partire dal racconto scritto da una giovane insegnante bolzanina, che identificava nell’Europa il minimo comune denominatore che dovrebbe coinvolgerci tutti. Più in generale, poi, facendo riferimento a esempi di apertura e chiusura mentale tratti dalla nostra cronaca locale (eravamo appena usciti dalla pandemia), mi chiedevo se la vera libertà alla quale alla fine tutti noi ci appelliamo, in un modo o nell’altro, non stia proprio nella capacità di allargare la nostra prospettiva, rispetto al nostro pur luccicante (ma non troppo) piccolo orticello. 

Sul tema dell’orizzonte torno, perché per me questa parola ha sempre fatto rima con… estate. Nella mia esperienza infatti, ma penso non solo nella mia, è proprio durante questa stagione che a noi montanari viene concesso, per un periodo più o meno lungo, di assaporare gli orizzonti di pianura o di mare, ovvero i… “veri” orizzonti. 

La parola orizzonte viene dal greco e significa letteralmente “cerchio che delimita”. La definizione di orizzonte è bellissima. Orizzonte è infatti la “linea apparente che separa la terra dal cielo, la linea che divide tutte le direzioni visibili in due categorie ovvero quelle che intersecano la superficie terreste e quelle che non la intersecano”. Mi piace soffermarmi su quell’aggettivo “apparente”, così evocativo e immaginifico. 

La linea dell’orizzonte al mare mi ha sempre affascinato. Sono sempre rimasto ore a guardarla, quando potevo, perché mi conciliava i pensieri, quelli che danno senso, innescano i ricordi e mettono in moto le idee. Poi l’orizzonte di mare e di pianura mi ha sempre regalato colori inediti, albe e tramonti, nuvole lontane di una consistenza non famigliare per un montanaro. 

Il mio augurio è che questo fascino per l’orizzonte fisico sia in grado di contagiare anche i nostri orizzonti di vita, alimentandovi speranze, sogni, progetti, impegno, valori. 

Il cielo che sta sopra l’orizzonte è lo stesso dove di notte splendono le stelle. E nella bandiera dell’Europa il colore del cielo di giorno è associato alla luce delle stelle che brillano di notte. Si tratta di una contraddizione solo apparente. Sta in noi alimentare questo sogno di prosperità e di pace. Ovunque noi siamo.

Autore: Luca Sticcotti

Vittorie e sconfitte

Nei giorni scorsi l’Italia ha superato la fase dei gironi del campionato europeo di calcio dopo una vittoria, una sconfitta e un pareggio. La qualificazione agli ottavi è giunta dopo una partita, quella con la Spagna, in cui l’Italia è riuscita a toccare pochissimi palloni, tra cui purtroppo quello infilato nella propria porta dal giovane Calafiori. è lo stesso difensore del Bologna che, poi, nella successiva partita con la Croazia si è inventato al 98° minuto un passaggio a Zaccagni autore di un bellissimo gol che in un secondo ci ha trasportati dall’incubo di un eventuale ripescaggio alla qualificazione piena. Un pareggio che sa di vittoria, dunque, ma pareri unanimi nel giudicare l’Italia vista finora da brutta a bruttissima, con attaccanti di prima e seconda scelta incapaci di pungere, se è vero che finora hanno segnato nella porta avversaria solo difensori (Bastoni), centrocampisti (Barella) e un attaccante (Zaccagni) entrato nella rosa di Spalletti quasi per caso all’ultimo secondo, al posto di Orsolini.
Pur giocando male, gli azzurri sono riusciti a battere l’Albania, tutto sommato reggere l’urto nei confronti di una fortissima Spagna, e pareggiare con la Croazia che – lo ricordiamo da diversi anni fa parte dell’élite mondiale del calcio.
Vittoria? Sconfitta? Per quanto riguarda il prosieguo degli azzurri nell’Europeo staremo a vedere. Ma quanto accaduto dovrebbe farci riflettere sul significato che siamo soliti dare alla parola vittoria.
Questa parola è stata usata in questi giorni anche per commentare i risultati delle elezioni amministrative che si sono svolte in diverse importanti città italiane. Ed era stata usata qualche settimana prima per le consultazioni europee.
A mio avviso nel campo della politica la parola vittoria non dovrebbe mai essere usata, a differenza che nello sport. Chi prevale un secondo dopo viene investito del ruolo di occuparsi del bene di tutti. Così funziona la democrazia e quindi è meglio lasciare perdere subito l’idea di aver vinto su qualcuno. Per lo stesso principio non mi piace la parola opposizione, contrapposta a maggioranza. Il compito di chi non governa non può essere sempre e solo quello di opporsi. Le soluzioni condivise sono quelle più forti. Politicamente l’Unione Europea è proprio basata su questo principio. è faticoso, ma il consenso che ne scaturisce è di un’altra qualità. Oggi ne abbiamo bisogno come non mai.

Autore: Luca Sticcotti

Glaciazione

Una paio di settimane fa la Fondazione Nordest ha reso noto uno studio in grado di fotografare e analizzare gioie e dolori della nostra provincia dal punto di vista economico e sociale, con un’attenzione specifica rivolta al mercato del lavoro. Com’è noto l’Alto Adige è sempre in testa alle classifiche per quanto riguarda il tasso di natalità, la qualità della vita, i servizi, la possibilità di ottenere sovvenzioni da parte degli enti pubblici e anche – appunto – le opportunità di lavoro. Ma questo non è sufficiente per mettere il nostro territorio al riparo da un fenomeno che proprio negli ultimi 2/3 anni ha iniziato a manifestarsi in maniera molto importante, ovvero la difficoltà di ingaggiare nuova forza lavoro sia per il settore pubblico che per quello privato. Il tasso di natalità superiore rispetto alla media nazionale non è sufficiente, purtroppo, a mettere al riparo la nostra provincia, troppo abituata a pensarsi autonoma (avulsa) rispetto ai territori limitrofi, rispetto alla cosiddetta “glaciazione demografica”. 

Sì, avete letto bene. Non inverno ma vera e propria glaciazione. I giovani, in provincia di Bolzano, sono comunque pochi e molti di questi pochi se ne vanno per non tornare. Per trattenerli occorrerebbe attuare delle specifiche politiche, lo sappiamo tutti, che riguardino retribuzioni, alloggi, dinamicità del mercato del lavoro, ecc. Poi occorrerebbe avere politiche per attrarre forza lavoro da fuori, ovvero dal resto del paese o dall’estero. Ebbene: la Fondazione Nordest anche su questo ha fornito dei dati interessanti, segnalando che la provincia di Bolzano a questo proposito nel nord Italia si trova al penultimo posto, a fare peggio di noi c’è solo la Valle d’Aosta, mentre i cugini trentini si trovano a metà classifica. 

L’Alto Adige rischia di trovarsi presto un’economia esclusivamente basata su un turismo in evoluzione senza freni, con tutti gli aspetti negativi che tutto ciò comporta, compresa anche qui la difficoltà di ingaggiare nuovi lavoratori. è questo quello che vogliamo? E non è solo una questione economica e di sviluppo. L’attrattività di un territorio rispetto ai giovani (e non solo ai “suoi”) dovrebbe essere una priorità assoluta, in un’ottica di costruzione di futuro. Di queste analisi e riflessioni però ne vediamo in giro davvero solo poche tracce. Un’inversione di rotta è assolutamente necessaria e cercheremo di dare anche noi, nel nostro piccolo, il nostro contributo.

Autore: Luca Sticcotti

L’Europa siamo noi

I dati del Rapporto Italia 2024 di Eurispes resi noti nei giorni scorsi parlano chiaro: in politica solo il presidente Mattarella viene considerato affidabile dalla maggioranza del Paese (60,8% dei consensi, +8,6% rispetto al 2023). Molto più indietro si collocano il parlamento (33,6% in leggera crescita rispetto al 2023), i partiti nel loro complesso (29,85%) e i sindacati. 

Consensi più alti, ma comunque inferiori a Mattarella, li ottengono l’Arma dei Carabinieri (68,8%), la Chiesa Cattolica (52,1%), scuola (66%) e sistema sanitario (58,3%). Ma si dà il caso che queste quattro istituzioni non sono preposte a governarci, nella nostra democrazia rappresentativa.

è dunque al presidente della Repubblica che devo ricorrere, nel mio intento di spronarvi a partecipare al voto che, l’8 e il 9 giugno, ci consentirà di eleggere i 75 rappresentanti italiani nel parlamento europeo. 

Recentemente il presidente della Repubblica ha affermato che “le dinamiche geo-politiche in Europa hanno conferito rinnovato slancio al processo di completamento dell’Unione”, aggiungendo che oggi il mondo ha bisogno di “pace, stabilità, progresso, e l’Unione Europea è chiamata a dare risposte concrete alle aspirazioni di quei popoli che guardano al più imponente progetto di cooperazione concepito sulle macerie del secondo conflitto mondiale”.

Il presidente della Repubblica ha poi aggiunto: “L’Europa è, allo stesso tempo, sia il frutto dei processi di riconciliazione tra Paesi che durante la Seconda Guerra Mondiale avevano combattuto in schieramenti contrapposti, sia l’acceleratore delle indispensabili composizioni delle divergenze, retaggio del passato, e che abbiamo dimostrato di saper superare per costruire un effettivo e duraturo futuro di pace”.

Nel suo discorso Mattarella ha ripercorso la storia europea recente, sottolineando la volontà europea di liberarsi dai retaggi di un passato caratterizzato da innumerevoli guerre.

Il presidente ha concluso affermando che è “questo il momento di realizzare le speranze e le aspettative nutrite dai nostri popoli per decenni, l’impegno costante per una democrazia basata sui diritti dell’uomo e sulle libertà fondamentali, la prosperità attraverso la libertà economica e la giustizia sociale nonché un’uguale sicurezza per tutti i nostri Paesi”.

L’Europa è dunque la nostra vera àncora in una prospettiva di pace e prosperità, personale e dei popoli. Partecipiamo quindi al voto europeo, per riaffermarlo.

Autore: Luca Sticcotti

Autogol

Meritoriamente nelle ultime settimane le forze dell’ordine hanno effettuato un lunga serie di controlli sul nostro territorio, nell’ottica di un aumento del livello di sicurezza e di prevenzione della microcriminalità. Com’è noto si tratta di un’esigenza sentita da una larga parte dei residenti e tale bisogno si è riverberato anche nelle scelte di consenso che hanno portato alla formazione del nuovo governo provinciale, protagonista tra l’altro oggi di una solida sintonia con Roma.
In merito a ciò non posso però non rilevare l’accrescimento di una contraddizione di fondo nel nostro sistema volto a prevenire e reprimere i reati, ovvero le condizioni in cui versa la casa circondariale di Bolzano. Si tratta di una situazione non solo vergognosa – una macchia nel quadro idilliaco che siamo soliti dipingere nella descrizione della nostra terra – ma anche e soprattutto controproducente. A cosa serve incrementare i controlli e, di conseguenza, anche gli arresti, quando non sappiamo poi dove metterli, i detenuti? E, poi, se le persone che priviamo della loro libertà le mettiamo in un carcere orrendo – a Bolzano, lo ricordiamo, si trovano solo detenuti per reati minori – come possiamo pensare che una volta usciti (cioè presto) non compiano più reati?
Forse giova ricordare quello che dice la nostra Costituzione, in merito. Innanzitutto si ricorda che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”, ma poi si aggiunge significativamente che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Non è buonismo, è realismo! I problemi sociali non si risolvono (solo) facendo controlli con telecamere e pattuglie, se poi la detenzione assomiglia al collocamento di coloro che commettono reati in una sorta di sgabuzzino, del quale si chiude la porta per non pensarci più. La chiave – lo dice la Costituzione e lo dicono ancor di più lo stato di diritto, il nostro sistema democratico e le convenzioni internazionali – non si può e non si deve buttare. E quindi la chiave, quella vera, non può che essere quella di porre finalmente come prioritaria l’individuazione di una struttura, anche solo provvisoria, dove collocare qui e ora i detenuti. Senz’altro è più urgente fare questo, piuttosto che dare una nuova casa a Ötzi, non credete?

Autore: Luca Sticcotti