La chiesa di San Nicolò a Cleran, sopra Bressanone


Alta sulla conca brissinese e ricca di splendidi affreschi, la chiesetta di Cleran sorge fra le poche case del piccolo agglomerato. Arrivando da Millan in macchina o a piedi è proprio il piccolo campanile barocco, affiancato al corpo di fabbrica gotico, ad accoglierci.

Varcato il portale ad arco acuto è il mondo dell’antico testamento contrapposto alle storie cristologiche a schiudersi davanti ai nostri occhi e a catapultarci in un universo di colori e di forme tra il fantasioso e l’ingenuo, se pur di raffinata fattura. Sono i riquadri della parete nord che catturano il nostro interesse. Essi sono un’importante testimonianza di come per i fedeli analfabeti fosse possibile seguire tanto la lettura del vangelo quanto quella di alcuni episodi biblici. La decorazione si dispiega su due strisce sovrapposte e suddivise in riquadri di diversa dimensione: più ampio lo spazio dedicato alle scene cristologiche, notevolmente più limitato quello previsto per i paragoni biblici. Ognuno dei tre arconi di cui è composta la navata contiene così quattro riquadri. La lettura di ogni episodio però segue un ordine specifico che si struttura attraverso la sequenza orizzontale, secondo uno schema salvifico che veniva utilizzato spesso dalla bottega brissinese di Mastro Leonardo da Bressanone, cui le dipinture sono attribuite e datate intorno al 1470. È molto interessante notare come nelle scene cristologiche l’abbigliamento dei personaggi sia in massima parte costituito di tuniche anticheggianti, mentre nelle scene veterotestamentarie i protagonisti siano abbigliati come in uso nella seconda metà del Quattrocento. 

Nel primo riquadro in alto, il tavolo è imbandito per la solenne cena pasquale, Gesù è attorniato dagli Apostoli. Giuda, che nasconde il pesce dietro la schiena, parla ispirato però dal diavoletto che, lungi dall’essere spaventoso, è posto fra il bicchiere e le sue labbra. 

Nel riquadro accanto, la scena biblica e tratta dall’Esodo e parla della pioggia della manna che Dio inviò al popolo di Israele quando, partiti da Elim giunsero nel deserto del Sin, affamati e stremati pronti ad inveire contro Mosè ed Aron che ve li avevano condotti. Mosè è raffigurato, secondo l’iconografia cristiana, con le tradizionali corna e con abiti da dignitario. La manna reca erroneamente la croce tipica dell’ostia, mentre la figura inginocchiata reca sulle spalle una gerla tirolese. 

Nell’arcone successivo nel primo riquadro (sempre in senso orizzontale), in un tutt’uno armonico sono rappresentati, in un’unica scena, tre momenti cruciali delle ultime ore di Gesù. Si tratta della Preghiera nell’Orto degli Ulivi, del Tradimento di Giuda, e di Gesù riattacca l’orecchio al servo, e l’Arresto di Gesù. Particolarmente interessante e la resa prospettica dell’incalzare degli eventi. Belle e al tempo stesso capaci di trasmettere un brivido di paura sono le armature dei soldati che sono sopraggiunti guidati da Giuda per arrestare il Nazareno e condurlo via. Nel quadro successivo, siamo ormai giunti al terzo arcone, troviamo Cristo davanti a Pilato.

Come arrivarci

Una volta arrivati a Bressanone bisogna dirigersi verso l’altipiano della Plose. Dopo aver superato il paese di Millan, duecento metri dopo il terzo tornante, si devono quindi seguire le indicazioni a destra per arrivare a Cleran.

Per visitare


La chiesa abitualmente è aperta da primavera sino in autunno, soprattutto nei giorni festivi. Per la chiave rivolgersi alla famiglia Fischer, civico 191 (a sinistra della chiesa, casa con grande veranda in legno). Per info: Associazione turistica di Sant’Andrea, tel. 0472 850008.

Autrice: Rosanna Pruccoli

Aubet Cubet Quere: la chiesa parrocchiale di San Giacomo a Maranza

È il fascino delle tradizioni, la sacralità delle processioni e la leggenda di tre vergini dai nomi esotici, Aubet, Cubet e Quere, a portarci a 1410 metri su un altipiano panoramico affacciato sulla val Pusteria ove sorge la chiesa di San Giacomo di Maranza. L’edificio, riconsacrato nel 1780, poggia su una preesistente chiesa medievale ed è il risultato dell’ingrandimento della chiesa tardogotica consacrata nel 1472. È a pianta longitudinale e a navata unica.

Già i pellegrini e i viaggiatori del passato vi facevano meta e le loro firme, graffiate sull’intonaco dell’imponente san Cristoforo affrescato sulla parete meridionale del campanile, ne sono vivida testimonianza. L’affresco, che risale alla fine del XV secolo, presenta un’iconografia particolarmente interessante: l’uomo di Cananea, Cristoforo, appare «gigantesco e terribile in volto», proprio come riporta la Legenda Aurea; si muove lento sotto il pesante fardello: «sulle tue spalle tutto il mondo e il suo creatore», appoggiandosi con forza al suo bastone, mentre le acque si ingrossano sempre più. All’estremità del bastone sono visibili le radici che preludono alla prova che Gesù volle dare di sé a Cristoforo: «Per convincerti che io ti ho detto il vero, pianta il tuo bastone davanti alla tua capanna e domani vedrai che avrà fatto fiori e frutti». Il mantello scarlatto al vento ne ingrandisce ulteriormente la figura; la veste è raccolta in vita da una cintura dalla quale pendono, come per i pellegrini, una bisaccia contenente una bella pagnotta e un coltello. Le gambe massicce del santo affondano nelle acque gremite di strane creature marine con corpi di pesce e volti umani, oppure di pesci dalla conformazione fisica più stravagante. Fra tutti spicca la bella sirenetta dalla raffinata testolina coronata, simbolo però del male e della malizia sessuale, e quella del mostro marino dal volto aguzzo e barbuto con lo sguardo furbetto e la dentatura feroce. 

Ma c’è dell’altro. Sul fondo dell’affresco fra le numerose firme e date spicca quella di un certo: Luzio Pacinelli da Bergamo 1596. Chi era? E dove era diretto? Infine è da notare che al posto dell’alluce del santo ora è ben visibile un buco dovuto al secolare grattare delle donne gravide che, secondo la credenza locale, da quei granelli di malta “sacra” avrebbero tratto la forza necessaria al parto.

All’interno della chiesa l’occhio è rapito dalla ridondanza delle forme rococò ideate, nella seconda metà del XVIII secolo, dall’architetto enipontano Josef Abenthung, dai ricchi decori a stucco, dai vistosi altari policromi e dagli eleganti affreschi delle cupole, opera del pittore Johann Mitterwurzer.

Ma è all’altare di destra, alle tre statue lignee di Aubet, Cubet e Quere, che volgiamo l’attenzione. Delle tre Vergini di Maranza si narra che siano vissute al tempo in cui Attila, re degli Unni, che metteva a ferro e fuoco tutta Europa distruggendo tutto ciò che incontrava e ammazzando tutti coloro che non si piegavano al suo volere. Da secoli le tre martiri sono oggetto di venerazione, il loro culto, forse in qualche misura collegato con quello di divinità femminili pagane di origine celtica, si diffuse soprattutto nelle terre germanofone. La prima menzione della devozione per le tre Vergini a Maranza risale al 1382 e, per quanto attiene ai pellegrinaggi, esiste un’indulgenza pontificia datata 30 marzo 1500. 

La curiosa storia della parrocchia di Malles


Se siete degli amanti dello stile liberty e del “curioso” nell’arte è Malles la vostra meta. Nel 1903 i fedeli della parrocchiale di Malles ebbero l’occasione di scoprire la propria chiesa in una nuova “luminosità”:  quella cioè data dalle luce elettrica. Il 17 dicembre infatti i più ansiosi si recarono alla prima funzione, quella delle cinque del mattino, per essere i primi a godere di quella visione. Ma le novità di carattere tecnologico sembravano non finire, nel luglio del 1906, infatti fu inaugurato l’ultimo troncone della tratta ferroviaria Merano – Malles. Ora il paese era raggiungibile con un viaggio comodo e relativamente breve. Forse una parte del turismo che affollava la vicina Merano avrebbe potuto raggiungere anche l’alta Val Venosta e arricchire la parrocchiale di nuovi e raffinati affreschi non poteva essere che ben fatto. 

Così nel 1914 il decano Dietl chiamò a Malles il pittore Emanuel Raffainer di Schwaz e insieme pianificarono l’intera dipintura dell’abside e della navata. L’artista, allora trentatreenne, eseguì il progetto pittorico e uno schizzo e, ottenuta l’approvazione del decano, iniziò a dipingere. Poco tempo prima dello scoppio del primo conflitto mondiale il pittore, che aveva iniziato i lavori partendo dalla zona absidale, si trovava a dipingere l’Incoronazione di Maria. Gli echi, edulcorati dalla propaganda, dei vari successi al fronte, i fatti riportati nei bollettini di guerra e gli avvenimenti nella zona serba, rimbalzavano anche fra le viuzze del piccolo agglomerato venostano e ispirarono l’artista al punto che volle fissarne alcuni frammenti sulla parete di quel luogo sacro, anzi proprio nella rappresentazione stessa dell’Incoronazione. 

Sulla volta l’artista ha organizzato lo spazio pittorico in modo da riuscire a far convivere soggetti diversi. Un nuvolone suddivide il mondo terreno da quello ultraterreno ed in entrambe gli spazi, gremiti di personaggi, si articolano i diversi racconti. Solo a noi è dato di partecipare con lo sguardo agli accadimenti di entrambe le realtà, mentre i diretti interessati sembrano ignari gli uni degli altri. La Santissima Trinità sta per porre sul capo di Maria una corona di gusto bizantineggiante. Assistono Gioacchino e Anna, San Giovanni Battista, Santa Barbara e Santa Caterina, da un lato, Giuseppe e Giovanni Evangelista dall’altro.

Nel mondo terreno, intanto, le scene, apparentemente slegate fra loro, si accalcano una accanto all’altra ma forse si tratta delle diverse sfaccettature di un unico incubo premonitore: la guerra, che semina fame, morte e distruzione, lascia donne e bambini privi di sostegno mentre i padri sono al fronte, mette gli uni contro gli altri. Sullo sfondo, un paese va in fiamme, mentre sul lato destro, in primo piano, un uomo giace sul letto di morte: sono i suoi ultimi istanti di vita, la morte è al suo capezzale e con la clessidra in mano lo attende. Al centro, la figura in piedi sembra creare una tred’union tra quei due mondi, si tratta infatti di Bernardo di Chiaravalle, colui che nel Medioevo determinò la devozione per la Madonna. 

COME ARRIVARCI

Malles si raggiunge percorrendo prima la MeBo in direzione Merano poi imboccando e percorrendo quasi per intero la val Venosta. La parrocchiale di Santa Maria Assunta si trova in paese in via dell’Ospedale 2.

Autrice: Rosanna Pruccoli

In visita all’ospizio di San Floriano a Laghetti di Egna


Da sempre il viaggio era fonte di insidie e preoccupazioni: oltre al problema della condizione delle strade, il viaggiatore si interrogava quotidianamente sul dove e come superare la notte ma soprattutto sul come sarebbe stato accolto come forestiero. Nell’antichità e nel Medioevo infatti lo straniero era visto con sospetto fino ad essere considerato un nemico o un portatore di malattie. I monasteri o gli eremi, spesso ubicati in zone totalmente disabitate, costituivano l’unica ancora di salvezza per quei viaggiatori che si trovavano per via cercando di raggiungere le mete del pellegrinaggio medievale e di frequente erano organizzati per l’accoglienza di massa.

La prima menzione di una chiesa e di un prete in zona San Floriano risale al 1188, cosa che potrebbe indurre a datare la chiesetta al XII secolo. Risale al 1316 la testimonianza dell’attività di una Compagnia di San Floriano, facendo così risalire il Conventino al XIII secolo. Un documento del 1316 attesterebbe invece l’opera di una confraternita di padri domenicani. 

L’ospizio di San Floriano ha conservato intatta nei secoli la sua antica fisionomia. È costituito da tre edifici posti a quadrato intorno ad un cortile ed un muro difensivo nel lato privo di costruzione. Proprio per la necessità pratica e funzionale dell’insieme abitativo, le finestre, le porte ed ogni altro dettaglio non recano né cornici né decorazioni aggettanti di sorta. Un lato era occupato dalla chiesa, la cui navata fungeva da supporto ad un ampio dormitorio. Dal dormitorio, attraverso una apertura a forma d’arcata praticata sul muro orientale, si poteva guardare nell’abside ed assistere alla messa. Molti ospiti si trovavano costretti a letto stremati dalle fatiche del lungo viaggio a piedi, oppure colpiti dalla malattia, così per dar modo anche a loro di seguire con attenzione la liturgia furono sistemati nel muro del presbiterio numerosi vasi acustici, vere e proprie casse di risonanza. Il corpo principale della fabbrica era affiancato da un altro braccio abitativo disposto su due piani. A pianterreno si trovavano locali adibiti a diversi usi come ripostigli, magazzini ecc., al primo piano invece si sviluppava un ulteriore vasto dormitorio. Alle due estremità opposte di quest’ultimo ambiente si trovavano alcune stanzette per i sorveglianti e per i viaggiatori di riguardo come ad esempio prelati, nobili e autorità. Sul lato opposto, a est, si trovavano le stalle, i fienili, le cantine e le dispense. Nel XVI e nel XVII secolo il complesso subì una ristrutturazione: vi fu l’aggiunta di un piano nel tratto occidentale, e degli abbellimenti come ad esempio le scritte latine del 1501 e del 1514 che probabilmente decoravano la sala da pranzo. 

COME ARRIVARCI

Laghetti è una frazione di Egna, posta lungo la statale che collega Bolzano a Trento. Dista circa 30 km da Bolzano e altrettanti da Trento. Il conventino è posto poco a nord del paese, vicino alla centrale elettrica.

Autrice: Rosanna Pruccoli