È possibile sfrattare un inquilino con il quale convivano stabilmente minori?
La risposta è sì, ma occorre fare alcune precisazioni. è certamente possibile ottenere un provvedimento di sfratto, ma la presenza di minori impone cautele particolari nella fase cosiddetta esecutiva, ossia quando il provvedimento debba essere azionato per ottenere la liberazione (con la forza) dell’immobile.
Il principio cardine è che ai minori deve essere garantito un alloggio idoneo alle loro esigenze. Lo stesso discorso è valido se sono presenti disabili.
Per tale ragione, prima di agire, gli ufficiali giudiziari (incaricati di eseguire materialmente lo sfratto) devono attivarsi con i servizi sociali competenti per trovare un altro alloggio, altrimenti non è possibile cacciare la famiglia (la procedura viene concretamente sospesa in attesa di trovare una sistemazione alternativa).
Vi sono poi altre tutele finalizzate a garantire una stabilità psicofisica del minorenne. La legge, infatti, ha previsto alcune agevolazioni per le famiglie che si trovano in difficili situazioni economiche: ad esempio, la possibilità di effettuare i pagamenti con tempi dilazionati, ma entro 90 giorni dalla convalida del provvedimento. Inoltre, lo sfratto può essere interrotto se la famiglia versa in condizioni particolarmente precarie, se il soggetto ha una malattia grave, è disoccupato, o se sono presenti altri problemi. La sanatoria può essere concessa entro il termine di 120 giorni dalla data di convalida dello sfratto, per 4 volte in 4 anni, invece di 3 come avviene di solito.
Nel caso in cui non sia semplice trovare un alloggio idoneo è possibile richiedere la cooperazione di un Giudice Tutelare, che insieme ai servizi sociali può collocare i figli presso una comunità di assistenza, finché i genitori non saranno in grado di sopperire alla mancanza di un impiego e di un reddito.
Altra possibilità è che siano i servizi sociali a pagare direttamente il canone, ma se la situazione è particolarmente complessa e non motivata da circostanze estemporanee, si procede solitamente allontanando i figli dai genitori e affidandoli a delle comunità, finché si trovi un’altra soluzione abitativa. Ciò anche al fine di tutelare gli interessi del proprietario che ha dato in locazione un suo immobile e non percepisce alcun conseguente reddito.
Autore: Avv.to Dott. Massimo Mira
Nel contratto di appalto la legge, nello specifico l’art. 1671 c.c., prevede la possibilità di recedere; tale possibilità è riconosciuta, però, solo in capo al committente, mentre nulla viene detto riguardo al recesso dell’appaltatore, che deve pertanto ritenersi escluso. Il diritto di recesso in capo all’appaltatore, per essere valevole, dovrebbe quindi essere esplicitamente previsto dalle parti nel contratto e in quel caso sarebbe regolato dalla norma generale ex art. 1373 c.c., che recita “Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finchè il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione. Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, tale facoltà può essere esercitata anche successivamente, ma il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione”).
Il recesso del committente può essere esercitato anche senza motivi: esso, infatti, può avvenire per qualsiasi causa, il cui accertamento non è neppure richiesto ai fini della legittimità del recesso.
Secondo la giurisprudenza, l’art. 1671 c.c., se da un lato accorda al committente il diritto di recesso (esercitabile senza motivo e in qualsiasi momento durante l’esecuzione del contratto), non riconosce, dall’altro, all’appaltatore il diritto a continuare l’opera; quest’ultimo, in caso di recesso, potrà solamente ottenere l’indennizzo specificato nella norma (cioè spese sostenute, lavori eseguiti e mancato guadagno; previsione che costituisce una sorta di compensazione, a favore dell’appaltatore, del diritto riconosciuto al committente). Questa posizione di favore verso il committente è stata più volte motivata dalla giurisprudenza della Cassazione, la quale ha fatto riferimento all’interesse sotteso al contratto, che è quello finalizzato alla realizzazione dell’opera ed alla prestazione del servizio in favore del committente, non esistendo uno speculare diritto dell’appaltatore al completamento degli stessi. Le parti possono comunque convenire diversamente e ad esempio prevedere che il recesso sia esercitabile dal committente solo in caso di inadempienze dell’appaltatore, essendo la norma derogabile (ossia, potendo ammettersi patti contrari intervenuti tra le parti).
Autore: Avvocato Massimo Mira
Novità in materia di notificazione a mezzo PEC delle sanzioni amministrative per violazioni del Codice della Strada. Il Ministero dell’Interno ha di recente fatto seguito alla richiesta del Garante per la protezione dei dati personali di intervenire sull’argomento, imponendo particolari accorgimenti quando il veicolo, con cui è stata commessa la violazione, è intestato ad una persona fisica e non ad un’impresa/persona giuridica.
Ciò in quanto, in tali casi, il veicolo potrebbe essere effettivamente utilizzato dal proprietario a titolo privato e non nell’esercizio di attività imprenditoriale; con la conseguenza che la notifica del verbale all’indirizzo PEC, ottenuto attraverso la consultazione del registro online INI-PEC, può, secondo l’Autorità, determinare un’illecita comunicazione dei dati personali a terzi, essendo la PEC visibile a tutto il personale dell’azienda. La problematica deriva dalla circostanza che, nel registro INI PEC, con riferimento alle imprese individuali, non è possibile distinguere l’indirizzo della persona fisica, che ne è titolare, da quello dell’impresa come persona giuridica.
Per tale motivo, il Ministero ha fornito alcune istruzioni operative; prima fra tutte, quella secondo cui, nella ricerca dell’indirizzo PEC del proprietario del veicolo, con cui è stata commessa una violazione, potrà essere utilizzato il codice fiscale della persona fisica (ricavato, ad esempio, dal PRA) solo quando è accertato che il veicolo era stato utilizzato nell’esercizio dell’attività imprenditoriale. In ogni altro caso (ad esempio, violazione accertata con dispositivi di controllo remoto), il codice fiscale della persona fisica intestataria del veicolo può essere utilizzato solo per interrogazioni della sezione “professionisti” del registro INI-PEC.
Seconda – e fondamentale – istruzione operativa è che la notifica del verbale non potrà avvenire a mezzo PEC nel caso di abbinamento del codice fiscale della persona fisica ad una PEC di chiara matrice aziendale; in tali casi, la notifica del verbale di violazione deve essere effettuata nelle forme ordinarie, e non attraverso PEC.
Autore: avvocato Massimo Mira
La polizza decennale postuma è un’assicurazione obbligatoria che ogni costruttore deve stipulare a copertura di eventuali difetti di costruzione di un immobile che possano arrecare danno al compratore. La polizza decennale postuma assume questo nome in quanto copre eventuali problemi costruttivi che emergono nei dieci anni successivi la data di completamente dell’opera.
La polizza è obbligatoria; il costruttore dell’immobile (che sottoscriverà il trasferimento dell’immobile) è, quindi, tenuto a stipulare questa garanzia con la data dell’ultimazione dei lavori, di durata decennale, e il soggetto privato acquirente dell’immobile come beneficiario.
E’ necessario verificare che la polizza venga costituita all’atto del trasferimento della proprietà, in quanto la sua mancanza non intacca in nessun modo l’atto di compravendita, che rimane quindi valido. E’ inoltre necessario verificare che il massimale previsto copra la ricostruzione totale dell’edificio, in caso di rovina totale.
Ha una doppia funzione di tutela: da una parte offre garanzie al proprietario qualora il costruttore non fosse in grado di ultimare i lavori, dall’altra fornisce ad esso una tutela economica in caso di danni materiali che l’immobile potrebbe subire.
La polizza copre: a) danni a terzi, dovuti a danni da rovina totale o parziale della costruzione; b) danni derivanti da gravi difetti nella costruzione; c) danni causati da vizio del suolo o per difetto della costruzione.
La polizza decennale postuma è obbligatoria solamente nel caso in cui la compravendita avvenga tra un’impresa e un privato; quindi, non per le compravendite tra privati.
Solitamente la polizza prevede la copertura dei danni che colpiscono l’involucro, quindi la parte esterna dell’immobile, ma è possibile estendere le garanzie anche a elementi, come i rivestimenti interni ed esterni, gli infissi, gli impianti, le pavimentazioni; ossia, tutti quei difetti che renderebbero non agibile l’immobile, qualora si verificasse un danno.
Autore: Avv. Dott. Massimo Mira
Con riferimento al Superbonus, una questione che è stata molto dibattuta e che ha finalmente trovato una risposta definitiva da parte dell’Agenzia delle Entrate è se l’intervento di isolamento termico sia realizzabile anche sul singolo appartamento o sia rivolto solo all’intero condominio.
Con riguardo alle singole unità immobiliari, l’intervento di isolamento termico, così come quello di sostituzione impiantistica, è realizzabile solo su tipologie edilizie quali villette a schiera, porzioni di bifamiliari o simili. In particolare, possono accedere al Superbonus gli edifici unifamiliari oppure le singole unità immobiliari situate all’interno di edifici plurifamiliari, purché: 1) “funzionalmente indipendenti”, 2) dotate di uno o più accessi autonomi dall’esterno.
Quanto al primo requisito, un’unità immobiliare può dirsi “funzionalmente indipendente” quando sia dotata di installazioni o manufatti di qualunque genere, quali impianti per l’acqua, il gas, l’energia elettrica, il riscaldamento, ecc., di proprietà esclusiva.
Quanto al secondo requisito, occorre che l’unità immobiliare disponga di un accesso indipendente, non comune ad altre unità immobiliari, chiuso da cancello o portone d’ingresso che consenta l’accesso dalla strada o da cortile o giardino di proprietà esclusiva (si vedano, sul punto: Circolare 22/12/2020, n. 30/E, punto 3.1.1 R; Circolare 08/08/2020, n. 24/E, punto 2 R; art. 1 R del Decreto Requisiti, lettera i) del comma 3).
Entrambi i requisiti devono sussistere contemporaneamente, e prescindono dal fatto che l’edificio plurifamiliare di cui tali unità immobiliari fanno parte sia costituito o meno in condominio.
Autore: Avv.to Dott. Massimo Mira
Il Codice del Consumo, di cui al D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, disciplina i contratti di compravendita, cui sono equiparati i contratti di permuta e fornitura di beni e servizi, conclusi tra commercianti, professionisti ed imprenditori che agiscono in tale qualità e soggetti che agiscono come semplici consumatori, cioè al di fuori della loro attività professionale.
Tra i principali obblighi del venditore, previsti dal Codice del Consumo, vi è quello di fornire un bene conforme all’uso ed alle caratteristiche intrinseche e privo di difetti; non vi è difetto di conformità se, al momento della conclusione del contratto, il consumatore era a conoscenza del difetto, non poteva ignorarlo con l’ordinaria diligenza o se il difetto di conformità derivi da istruzioni o materiali forniti dal consumatore.
Ma tale disciplina è applicabile anche qualora il bene compravenduto sia un immobile?
Il caso è stato da ultimo sottoposto all’esame della Corte di Cassazione, con riferimento ad una controversia insorta tra l’acquirente di un bene immobile e la società costruttrice del complesso residenziale di cui l’immobile faceva parte. Il Giudice di primo grado aveva dato ragione a quest’ultima, affermando che le norme contenute nel Codice del Consumo erano riferibili ai soli beni mobili e non potevano ritenersi applicabili alla compravendita di un immobile.
Investita della questione, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 497 del 14.1.2021, giunge, invece, ad affermare un principio diverso: l’applicabilità della disciplina del Codice del Consumo agli appalti per la realizzazione o la manutenzione di immobili ed alle convenzioni tra il costruttore\venditore di immobili in condominio e i singoli acquirenti, con riferimento alle previsioni del regolamento condominiale richiamato nei contratti di acquisto, contenente limitazioni d’uso per le porzioni esclusive o comuni o deroghe ai criteri di riparto delle spese (confermando in tal senso la precedente sentenza della Cassazione n. 19832/2019).
Ai fini della tutela del consumatore, infatti, ciò che rileva è la conclusione di un contratto tra un professionista, che stipuli nell’esercizio dell’attività imprenditoriale o di professionista intellettuale, ed altro soggetto – il consumatore – che contragga per esigenze estranee all’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale.
Autore: Avv.to Dott. Massimo Mira
L’aumento improvviso ed esponenziale del costo di alcune materie prime è un effetto, ormai tangibile, del lungo periodo di incertezza, anche economica, in cui viviamo a causa del Covid.
Si è rivolta al sottoscritto legale un’azienda che realizza manufatti ed arredi in legno. Il costo del legno è aumentato negli ultimi mesi del 30% circa. L’azienda ha in essere un accordo commerciale con una ditta fornitrice; sulla base di detto accordo, quest’ultima si impegna a fornire alla prima, periodicamente, un certo quantitativo di legname ad un prezzo fisso e predeterminato. Vi è qualche rischio alla luce della nuova situazione creatasi?
La questione va inquadrata nell’ambito dell’articolo 1467 c.c., secondo cui: “nei contratti a esecuzione continuata o periodica (…), se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto. (…) La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”.
L’eccessiva onerosità che rileva ai presenti fini consiste in quella sensibile alterazione del rapporto fra le prestazioni dedotte in contratto, che determina uno squilibrio dei rispettivi valori e che sconvolge l’iniziale rapporto di equivalenza, incidendo, così, sul valore dell’una rispetto all’altra.
In tali casi, il rischio sta nel fatto che il nostro ordinamento riconosce il diritto ad un’azione finalizzata a far dichiarare dal Giudice la risoluzione del contratto. Si badi, l’eccessiva onerosità sopravvenuta non produce alcun effetto automatico; la parte, la cui prestazione divenga eccessivamente onerosa, non è esonerata dall’adempimento, né è legittimata a sospendere l’esecuzione della prestazione, ma dovrà – per non incorrere in responsabilità contrattuale da inadempimento – agire per richiedere la risoluzione del contratto.
Il rimedio ha, pertanto, esclusivamente valore risolutorio: esso è, infatti, unicamente volto ad ottenere la risoluzione del contratto. Nulla vieta, d’altra parte, che il creditore della prestazione (ossia chi deve ricevere quella prestazione divenuta eccessivamente onerosa) possa “salvare” il contratto, offrendosi di modificare equamente le condizioni del contratto originario e ristabilendo l’equilibrio tra le due prestazioni.
Autore: Avv.to Dott. Massimo Mira
Chi ha urgenza di far verificare lo stato di un suo immobile, la qualità o la condizione di suoi beni (a titolo esemplificativo, la presenza di fessurazioni, infiltrazioni o muffa in un appartamento, o la presenza di vizi e difetti di un prodotto) può chiedere, attraverso un avvocato, che sia disposto dal Tribunale un cosiddetto “accertamento tecnico preventivo” (A.T.P.).
L’urgenza di far disporre un A.T.P. può verificarsi in seguito a svariate circostanze, come la possibilità di deperimento degli elementi probatori o l’elevata probabilità di una modifica dello stato dei luoghi; in altri casi, esso viene richiesto quando si ha necessità di far rimuovere con urgenza la situazione (di pericolo, di pregiudizio, di inutilizzabilità di un bene) che si è determinata. Lo scopo principale è quello di “fotografare” la situazione per poter procedere, poi, con gli interventi necessari per sanare i vizi. In altri termini, l’A.T.P. serve a costituire una prova certa, assunta nel contraddittorio delle parti e pertanto non contestabile, prima della modifica dello stato e prima dell’instaurazione di un eventuale giudizio contro chi è da considerarsi responsabile.
L’istanza di A.T.P. viene depositata in Tribunale; il Tribunale nomina, poi, un consulente tecnico terzo e imparziale cui conferire l’incarico di effettuare un sopralluogo, valutare la situazione ed elaborare una perizia tecnica, esprimendo il proprio giudizio. Nel corso di tali attività, il consulente tecnico potrà anche esprimere valutazioni in ordine alle cause e ai rimedi relativi all’oggetto della verifica.
Inoltre, nell’ambito del procedimento, il consulente, prima di depositare la propria relazione, tenta di far addivenire le parti a una conciliazione. Se il tentativo di conciliazione riesce, se ne redige processo verbale, a cui farà seguito un decreto del Giudice che ha disposto l’accertamento tecnico; attraverso tale decreto, al verbale di conciliazione, viene conferita l’efficacia di titolo esecutivo, valido anche ai fini dell’iscrizione di un’eventuale ipoteca o di un procedimento di esecuzione forzata.
Autore: Avv.to Dott. Massimo Mira
È stata approvata il 30 marzo la Legge che prevede l’assegno unico e universale per i figli: dal mese di luglio 2021, tutte le famiglie riceveranno un massimo di 250 euro al mese per ogni figlio. L’assegno è definito “unico”, in quanto esso andrà a sostituire tutte le attuali forme di sostegno che il sistema riconosce alla famiglia (detrazioni Irpef per carichi familiari relative ai figli, assegni al nucleo, bonus bebè, bonus natalità, bonus mamme, assegno per il terzo figlio…); è definito “universale” in quanto esso sarà corrisposto ogni mese a tutti i contribuenti, sia lavoratori autonomi che dipendenti. L’assegno sarà riconosciuto sotto forma di credito d’imposta o di denaro e sarà riconosciuto per ogni figlio a carico, dal settimo mese di gravidanza fino al diciottesimo anno di età e con importo maggiorato dal secondo figlio in poi. Potrà essere corrisposto fino al compimento dei 21 anni, ma con un importo ridotto e direttamente a favore del figlio maggiorenne, qualora quest’ultimo risulti iscritto all’università o svolga un tirocinio, oppure ancora sia impegnato nel servizio civile o svolga un lavoro a basso reddito o sia registrato come soggetto disoccupato. L’assegno subirà una maggiorazione non inferiore al 30% e non superiore al 50% qualora si sia in presenza di un figlio con disabilità, rispettivamente minorenne o maggiorenne e di età inferiore a ventuno anni, con graduazione dell’importo in base alle condizioni di disabilità. L’assegno non sarà considerato per il calcolo delle prestazioni sociali agevolate, dei trattamenti assistenziali e di altri benefici e prestazioni sociali (previsti da altre norme) in favore dei figli con disabilità. Inoltre l’assegno sarà compatibile con il Reddito di cittadinanza (e della Pensione di cittadinanza). Nella determinazione dell’ammontare complessivo dell’assegno e del beneficio economico del Reddito di cittadinanza, si dovrà però tener conto della quota relativa ai minori appartenenti al nucleo familiare.
Autore: Avv.to Dott. Massimo Mira
Se, in seguito a un incidente, intendiamo agire per il risarcimento del danno subito, è bene tenere sempre presente il termine di prescrizione, ossia il termine ultimo entro cui la nostra richiesta deve essere avanzata; pena l’estinzione del nostro diritto al risarcimento.
L’art. 2947 del codice civile prevede una prescrizione quinquennale per il diritto al risarcimento del danno, decorrente dal giorno in cui il fatto, presupposto del danno, si è verificato e una prescrizione biennale, se il danno è prodotto dalla circolazione di veicoli di ogni specie; ma prevede anche una prescrizione più lunga, se il fatto è considerato dalla legge come reato. Uno stesso fatto, è evidente, può costituire il presupposto per un risarcimento in sede civile, ma anche rappresentare un reato punito in sede penale.
La regola generale, quindi, postula una prescrizione di massimo cinque o due anni; il termine può essere, però, “allungato” nell’ipotesi in cui il fatto costituisca reato. Naturalmente, questo accade solo allorché per l’illecito penale sia stabilita una prescrizione più lunga, in caso contrario trova applicazione il termine di prescrizione del diritto al risarcimento. Fondamentale è sottolineare che la prescrizione più favorevole si applica indipendentemente dalla promozione dell’azione penale, giacché il maggior termine prescrizionale è correlato all’astratta previsione dell’illecito come reato, non già alla condanna penale (così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 3865/2004).
Inoltre, sempre la Cassazione ha ritenuto che il citato disposto dell’art. 2947 del codice civile debba trovare applicazione nei confronti di chiunque abbia subito un danno patrimoniale dal fatto considerato come reato dalla legge, e non solo della persona direttamente offesa dal reato; si sostanzia, pertanto, in un allungamento del termine prescrizionale che va a beneficio di tutti i soggetti che, direttamente o indirettamente, da quell’episodio/reato abbiano subito un danno.
Autore: Avvocato Dott. Massimo Mira