Lukas Insam Trio: metti una sera a Egna

Ci sono dei gruppi musicali la cui forza e il cui groove si scatenano particolarmente durante i concerti, e ci sono certe serate in cui i concerti sembrano destinati a segnalarsi particolarmente per una serie di magiche circostanze che possono dipendere dal mood, dall’atmosfera del locale, dall’attitudine dei musicisti a far crescere e sviluppare un brano nel bel mezzo dell’esecuzione. È quello che è accaduto non molto tempo fa al Lukas Insam Trio, una formazione che riduttivamente potremmo definire rock blues, facendo però un torto ai suoi musicisti la cui matrice, pur partendo da un certo modo di suonare rock blues, va sviluppandosi in altre direzioni imprevedibili.

Si tratta nella fattispecie di un concerto tenutosi al Music Club di Egna, una piccola realtà locale di culto, dove si suona per il piacere di fare musica.

“Suoniamo insieme dal 2010 – ci spiega Lukas Insam, titolare della formazione – anche se a volte c’è qualche cambio nella line up, e in questo live, oltre a me, ci sono comunque gli altri due componenti originali, Davide Ropele alla batteria e Nico Aldegani alle tastiere. Quando il Music Club ci ha invitati, proponendoci di registrare la serata, abbiamo accettato volentieri anche perché l’idea di avere una registrazione da poter usare come demo non ci dispiaceva affatto. Già mentre suonavamo ci siamo resi conto che non stava venendone fuori una serata qualunque, ma quando Fabrizio, il fonico del Music Club mi ha passato la registrazione sono rimasto sbalordito. Da lì a decidere di pubblicare il concerto, affidandoci all’etichetta che si era occupata dell’uscita su Spotify del nostro disco di studio, il passo è stato breve”.

Insam ha provveduto all’editing e al mix del concerto, facendo poi fare il master a Londra, così ora, col titolo di The Live Session, il concerto è disponibile online, con tutto il feeling che si libera dall’incontro tra i tre musicisti. Il repertorio gira attorno a brani più o meno noti di matrice, rock, blues e pop, il tutto condito da una capacità di improvvisare del trio che rimanda piacevolmente allo stile di gruppi come l’Allman Brothers Band, pur con una strumentazione ridotta in cui il basso è suonato da Aldegani usando l’organo Hammond, permettendo così di avere nel contempo un importante tappeto sonoro e la base ritmica su cui Insam può spaziare con la sua chitarra.

“Stilisticamente – prosegue il chitarrista (e cantante) – penso di avere la presunzione di essere in controtendenza rispetto alle altre band. Un po’ perché ci piace dilatare i brani e farli crescere, lievitare nel corso dell’esecuzione, mentre il trend attuale è basato su brani che devono durare poco perché i fruitori non sono portati a dedicare troppo tempo all’ascolto di una canzone. E poi, in particolare mi sento lontano dalla moda delle tribute band, che fanno un repertorio basato su un solo artista o gruppo. Il tutto magari con gran dispiego di scenografie e mezzi. A me interessa un approccio più diretto, più essenziale. Sono fatto così, suono quello che mi piace e non sono mai sceso a compromessi. È il mio modo di essere, può funzionare può non funzionare, ma sono così”.

A giudicare dal numero di concerti che il gruppo effettua, e non entro gli angusti confini di un Alto Adige assai limitante per chi vuol fare musica e non solo per diletto, i fatti sembrano dar ragione a Insam e al trio che continuano ad andare avanti per la loro strada, suonando nelle occasioni più disparate. E non è tutto, c’è anche in cantiere un progetto con musica originale inedita, progetto slittato per poter sfruttare il fresco live di Egna.

“Sarà un EP con canzoni scritte da me – conclude Insam – e sarà sempre in versione online, perché purtroppo i CD non li compra più nessuno. Ma non escludo che magari possa fare la pazzia di pubblicarlo in vinile, cosa che mi sarebbe piaciuto fare già per questo live. Magari anche solo un 45 giri con un paio di brani. Chissà. La copertina c’è già, ed è opera, come quella del disco dal vivo, di Matteo Groppo, un fotografo di cui apprezzo molto il lavoro”.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Moritz Gamper: bozzetti d’immaginazione e oltre

Per quanto Moritz Gamper sia giovane e al suo debutto a proprio nome, l’autore bazzica il mondo musicale da parecchio tempo ed ha maturato una certa esperienza con la rock band Desert May Bloom (bellissimo nome per altro). Meranese di nascita, ma da tempo residente a Vienna, Mortiz ha deciso di mettersi in proprio, un po’ per via delle difficoltà nel tenere in attività una band di questi tempi, un po’ per l’impellenza di percorrere nuove vie e mettere su un supporto le sue nuove canzoni.

“Da un lato – ci racconta – in cinque è difficile mantenersi suonando se si vuol vivere di musica, che è quello che volevo fare io, dall’altro volevo provare a mettermi in gioco come solista. Io non riesco a fermarmi, ho bisogno di creare musica in continuazione, non con un computer, ma con uno strumento tra le mani. Sono molto determinato in questo, mi ero messo in testa di fare un disco, questo disco, e per due settimane non ho fatto altro che scrivere canzoni: l’obiettivo era scriverne una al giorno, fatta e finita, senza lasciare nulla di incompleto da terminare il giorno successivo”. 

Sketches Of Imagination And Beyond, questo il titolo del vinile (il disco è uscito solo in questo formato), è indubbiamente una delle produzioni più interessanti realizzate da un musicista della nostra regione negli ultimi anni, da tenere a portata di mano sullo scaffale col CD dei Morisco e col vinile di Peter Burchia uscito un paio di anni fa. Tutto sorretto su chitarra e voce, viene indicato genericamente come disco blues, ma in realtà va oltre le definizioni, Gamper racconta storie più o meno brevi – degli sketch dell’immaginazione come recita il titolo –, sfoggia un buon fingerpicking e si cimenta anche con la slide, ma il suo è una sorta di folk contemporaneo o moderno che dir si voglia che emana bellezza, suona con freschezza, c’è l’influenza blues ma non suona mai datata.

“Si tratta di un lavoro fatto tutto da me – prosegue Mortiz – mi sono registrato, mixato, ho fatto anche il master da solo e ad essere sincero devo ammettere che il mix e il master sono stati pesanti da fare. Si tratta di una cosa che non avevo mai fatto e non so se in futuro la rifarei, perché nel momento in cui sei tu a fare tutto, ad un certo punto non senti più gli errori, perché nella tua testa la musica suona in un certo modo, come l’hai pensata e non più come l’hai suonata. Dopo aver deciso che il lavoro andava bene così, non l’ho più riascoltato per un mese perché avevo bisogno di lasciarlo decantare. In realtà una canzone non è mai finita, è solo la fotografia di un momento.”

Il disco, pubblicato dalla Blind Rope Records, che ne ha già chiesto a Gamper un nuovo per l’anno prossimo, è molto curato nella veste grafica con un dipinto di sua moglie Maria Ibba che si rifà alla canzone d’apertura, The Bandit; la tiratura, invece, è di 333 copie numerate a mano.

“È stata un’idea della casa discografica – ci spiega Gamper – siccome il blues è la musica del diavolo e 666 è il numero del diavolo, hanno diviso a metà facendo un po’ più delle copie che si stampano di solito, che sono 250. Trovare qualcuno che si interessi e sia disposto ad investire in progetti del genere è abbastanza difficile. Io sono stato fortunato perché i miei amici bluesmen austriaci mi hanno indirizzato a Dietmar Hoscher, che è il proprietario dell’etichetta ed è un’autorità in materia, lo definiscono il Papa del Blues autriaco. Quando l’ho contattato, lui sapeva già chi ero perché almeno un paio di chitarristi austriaci lo avevano incuriosito parlandogli di me.”

Dopo il primo incontro è stato chiaro sia per Moritz che per il Papa del Blues che c’era del materiale su cui lavorare e c’era anche il feeling per farlo bene insieme. Nel frattempo, Moritz Gamper, la sua chitarra e la sua musica saranno protagonisti di una serata al Sudwerk il 7 novembre e di una all’Est/Ovest di Merano il 9.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Jemm: dove il ritmo pulsa e crea

Questo 2024 che va concludendosi è senz’altro stato un anno molto importante per il sestetto bolzanino Jemm, fondato da Max Castlunger e Marco Stagni e di cui ora fanno parte anche Matteo Cuzzolin, Hannes Mock, Mirko Pedrotti e il nuovo arrivato Andrea Polato. I Jemm sono – a ragione e insieme al quartetto di Herbert Pixner – una delle formazioni strumentali più blasonate della nostra terra.

Pulse è uscito in questi giorni per la neonata etichetta 12Ville, che fa capo a Wilfried Gufler, ed è stato registrato come i precedenti presso il Cat Sound Studio di Badia Polesine. L’album mette sul piatto sette brani nuovi di zecca. “Il Cat Sound – ci racconta Castlunger – è ideale per il budget che abbiamo e per quello di cui abbiamo bisogno: siamo una formazione che suona dal vivo, sempre, e quindi ci serve un posto dove tutti possiamo avere una cabina in cui suonare, contemporaneamente agli altri, e non sono molte le sale attrezzate per questo. Le composizioni incluse nel disco sono firmate prevalentemente da me, ma ci sono anche contributi di Matteo Cuzzolin e del vibrafonista Mirko Pedrotti. Inoltre, per quanto mi riguarda, oltre agli strumenti a percussione che suono di solito, qui uso anche un cordofono asiatico molto curioso; ha le corde che si percuotono schiacciando dei bottoni che sembrano i tasti di una macchina da scrivere, e ci posso poi attaccare effetti come delay e wahwah, però non posso fare accordi!”.

Il disco oltre che sul groove tipico dei Jemm, conta molto anche sulla varietà musicale a livello stilistico, si sente infatti la presenza dei tre autori diversi. Il brano Cassiopea, composto da Cuzzolin, oltre ad essere caratterizzato dal suo inconfondibile stile col sax, ricorda in qualche modo le composizioni delle colonne sonore dei film di James Bond. Nell’album c’è per la prima volta anche un brano di Mirko Pedrotti, che s’intitola Takatakatum ed è giocato su una serie di incastri musicali.

“L’artwork del disco – prosegue Castlunger – è della nostra amica Elisa Grezzani che ha anche creato i disegni delle nostre camicie: ci è sempre piaciuto vestire in modo colorato, perché il colore è una delle caratteristiche di quanto suoniamo, però stavolta volevamo qualcosa di diverso rispetto ai classici temi floreali hawaiani o indonesiani. Ed Elisa è davvero riuscita a fare un lavoro originale.”

Si diceva in apertura di come questo sia stato un anno intenso per i Jemm: la scorsa primavera, i sei musicisti sono stati invitati ad un prestigioso festival in Marocco. Tutto è nato dalla loro partecipazione ad un’analoga manifestazione a Bruxelles, due anni fa. I due eventi hanno lo stesso direttore artistico che, dopo aver visto in azione il sestetto, ha ben pensato di inserirne il nome tra le sei band europee invitate a Rabat per suonare in una specie di fortezza dell’epoca romana, nel corso di un jazz festival che va in scena da trent’anni.

“È stata un’esperienza fantastica – commenta il percussionista – siamo stati accolti come star, tutto era pagato, prelevati in aeroporto con un pulmino, portati in albergo. Una cosa mai vista. Secondo il programma le band europee ospiti suonano anche in jam session con formazioni marocchine di musica gnawa, un genere a base di basso, voce e una specie di nacchere. Loro hanno eseguito le musiche della loro tradizione e noi ci siamo inseriti con la nostra strumentazione. Il bello è che non è una cosa per stranieri e turisti, il pubblico è soprattutto locale. Per di più, dopo il concerto c’è stata una session in albergo ed io sono arrivato dopo gli altri. Tutto l’entourage era già lì e anche qualche appassionato: nel momento in cui sono entrato qualcuno mi ha riconosciuto e ha richiamato l’attenzione degli altri indicandomi, la musica si è fermata, il pubblico è scattato in piedi applaudendomi, ed io lì ammutolito a bocca aperta!”

Per il pubblico altoatesino invece, i Jemm presenteranno in esclusiva il loro disco sabato 19 ottobre all’UFO di Brunico e il sabato successivo, 26 ottobre, a Collepietra nell’ambito della rassegna Steinegg Live.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Singoli e scampoli

Vediamo insieme alcune piccole novità musicali da non sottovalutare, che sono giuste con l’ultimo scorcio della breve ma torrida estate 2024.

L’estate, nominalmente, è finita. A dire il vero era finita anche prima dei termini stabiliti per legge, ma tant’è dovremmo essercene fatti una ragione da un pezzo: che l’autunno sia diventato un’opinione, più che una stagione, sembra un dato di fatto.

Ma come? Una volta – per quanto riguardava il mondo delle sette note e nella fattispecie i dischi – l’autunno era la stagione foriera di novità, la gente tornava dalle vacanze e i tormentoni estivi si erano consumati, c’era bisogno di musica nuova con cui affrontare il futuro. Ma ora senza più autunno non ci sarà più musica?

È presto per dirlo, intanto ci possiamo ancora godere alcuni scampoli da non sottovalutare che sono arrivati con l’ultimo scorcio della breve ma torrida estate 2024.

Ecco quindi Carole il debutto a tutto tondo di Valentina Furegato. La cantautrice bolzanina in realtà aveva già pubblicato qualcosa su youtube durante il famigerato lockdown del 2020, quando molti artisti – non solo nella nostra regione – si davano da fare per non rimanere inattivi del tutto. Carole però è il suo primo vero singolo, con video professionale, produzione adeguata e una marcia in più. Il brano è stato composto insieme a Mario Punzi e la produzione è affidata ad un altro bolzanino, Valerio De Paola. Il risultato è una canzone gradevole, a modo suo estiva, leggera ma con una storia d’amicizia al femminile non scontata, come il video stesso ci racconta. Il brano prelude ad un intero EP che dovrebbe vedere la luce nei primi mesi del prossimo anno. Valore aggiunto, visto che Valentina Furegato è anche ballerina e coreografa, sono le coreografie create per il video insieme ad Anna Mattiuzzo, che tra l’altro nel video diventa la Carole della canzone.

Il 10 settembre è uscito anche il nuovo singolo di Alice Ravagnani, altra bolzanina frequentatrice del bel canto che lo scorso anno ci aveva consegnato un interessante EP con cinque brani, uno dei quali, WEH, era stato lanciato con un video in cui le coreografie erano opera proprio di Valentina Furegato. Rispetto al brano pop di quest’ultima però, la Ravagnani preferisce appoggiarsi a sonorità indie, con una chitarra acustica lo-fi su cui la sua voce dà vita ad una canzone d’amore tormentato e gridato in un refrain in cui la voce cresce disperatamente, facendo il paio con la chitarra elettrica.

A cavallo tra indie e pop c’è invece il singolo di un’altra cantautrice della nostra regione, di Lana per essere precisi, la giovanissima Thessa Longobardi che ha postato il singolo Time su youtube, dove è presente anche come flood blogger e video maker.

Chiudiamo questa breve rassegna dedicata ai singoli con la voce di un’altra donna della musica locale: Laura Coller, di Egna, è la voce acutissima della band heavy metal Sign of The Jackal, di base in parte nella Bassa Atesina e in parte a Rovereto. Il gruppo sulla breccia da parecchi anni, sta tornando con un nuovo disco che uscirà col titolo di Heavy Metal Survivors per l’etichetta germanica Dying Victims Productions. Il disco è anticipato da un singolo intitolato Breaking The Spell (anche in questo caso, come per gli altri qui citati, reperibile su youtube), e a giudicare dalla pasta di cui è fatto il singolo, il disco promette davvero di essere in tutto e per tutto nella scia di quell’heavy metal degli anni ottanta, tornato prepotentemente alla ribalta nell’ultimo decennio.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Singoli e intingoli nella stagione dei tormentoni


L’estate, si sa, è per definizione la stagione dei tormentoni. Una volta, d’estate, la politica andava in vacanza come le fabbriche, ora invece è in fase di campagna elettorale continua, ogni scusa è buona per tediarci con la politica, con buona pace dei tormentoni estivi, che comunque negli ultimi anni non sono più quelli di una volta neppure loro. Anche la scena musicale locale ha avuto una flessione a riguardo, poche novità, anche poca voglia di novità forse, anche se qualcosa che si eleva sul poco indubbiamente c’è, per fortuna. Vediamo insieme di cosa si tratta.

Innanzitutto c’è il nuovo singolo degli Shanti Powa, la band solare (e quindi estiva) per definizione. La musica di questi ragazzi è talmente contagiosa e radiosa che riesce ad essere solare anche nell’affrontare temi magari non proprio qualunque. Opportunity, il brano uscito lo scorso 26 luglio, è figlio della trasferta americana del dicembre 2022, quando il gruppo si è esibito a Washington insieme ad altri artisti internazionali, stringendo in particolare amicizia con il musicista del Malawi Faith Mussa. Il risultato è una canzone di presa sicura, ma definirla tormentone sarebbe offensivo, con una base musicale in puro stile Shanti Powa, con la sezione fiati quantomai in forma e col testo cantato a tre voci da Berise, Peter Burchia (finalmente tornato a pieno ritmo in seno al gruppo) e l’ospite Mussa. Quasi quindicimila visualizzazioni per il video (montato e filmato ad arte per sembrare dal vivo) in poco più di due settimane, sono indice dell’alta credibilità e professionalità raggiunta da questa formazione che, tutto lo fa supporre, l’anno prossimo dovrebbe tornare in studio per un nuovo disco.

Buone notizie anche sul fronte rock più puro: William T & The Black Fifties il 12 luglio hanno pubblicato un ottimo video intitolato I Cut My Hair: il brano è di quelli che conquistano subito, ci sono echi di Bob Seger, dello Springsteen di fine anni settanta, il tutto filtrato attraverso l’esperienza del gruppo con la musica degli anni cinquanta e in particolare con il repertorio di Elvis, a cui il cantato di Willy Telser si rifà. Ma il brano riesce a brillare di luce propria per il fatto di non essere sfacciatamente mainstream, o elvisiano; onore alla musica opera del chitarrista Roland Novak e all’esecuzione che conta sul basso del veterano rockabilly Mike Bottiglieri e del batterista Marco Vicentini che costituiscono un veicolo solido per la voce di Telser, qui totalmente a proprio agio con un testo di cui oltre che interprete è autore.

Nuovo brano, estivo ma con moderazione, anche per i Fratelli Stonati che, dopo aver fatto un’ottima impressione con Rakete (che sì aveva le potenzialità del tormentone estivo), tornano alla carica con un brano più in stile schlager intitolato Ich nehm dich mit. La sensazione è che da Aaron Timpone e soci possiamo attenderci qualcosa di più, diamo tempo al tempo.

Sfacciatamente sfacciato invece il singolo dei pusteresi Oh Rose guidati da Markus Seeber che ad inizio agosto se ne sono usciti con Feel Like A Rolling Stone: oltre a citare nel testo i musicisti della greatest rock’n’roll band di sempre, gli Oh Rose ne citano lo stile, i riff, i suoni, lo spirito, con tanto di armonica che fa proprio Rolling Stones anni sessanta e assolo di chitarra da copione. Non saranno originali, ma sembra si divertano molto, a partire dalla copertina del singolo che in stile cartoon propone un divertente Mick Jagger da spiaggia.

E chiudiamo questa breve rassegna di singoli con una new entry al femminile che si merita davvero applausi a scena aperta: Tessa Kai, un’artista che si è fatta le ossa nei Supraphonic e che fa parte di quel magnifico collettivo/fucina di talenti che va sotto il nome di Supermarket (Marco Di Stasio e Thomas Traversa sono i produttori e punti di riferimento di questa realtà locale che da un paio d’anni continua a destare interesse e ad entusiasmare). Tessa (all’anagrafe Lisa Pivetta), cantautrice fresca e piacevole, non è che la più recente uscita solista del consolidato team e con la sua canzone Panda si candida ad essere una delle artiste bolzanine da tener d’occhio in futuro. Rimanete sintonizzati!

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Dominik Plangger: una canzone per via Rasella, un disco contro i muri

Alpenvorland è una di quelle parole con cui una buona parte di popolazione altoatesina preferisce non approfondire la conoscenza: d’altra parte la non conoscenza fa molto più comodo se si vuole evitare di prendere una posizione su un avvenimento o se si vuole addirittura negare che ci si stato. La storia è storia però, può non piacere ma non la si può negare, l’Alpenvorland c’è stato (come c’è stato un campo di concentramento) e per un anno e mezzo circa l’Alto Adige è stato una provincia del terzo reich con tanto di Gauleiter, proprio come le nazioni europee che i nazisti avevano occupato dal 1939 in poi tramite guerra o annessione plebiscitaria.
Una delle conseguenze di questi accadimenti, fu l’arruolamento più o meno coatto dei giovani altoatesini nelle forze del reich. Ed è un po’ questo il tema di partenza di una bella canzone, per nulla retorica, composta dal rinomato cantautore venostano Dominik Plangger e intitolata Via Rasella, dal luogo in cui nel 1944 i partigiani tesero un agguato ai militi del battaglione Bolzano, che come il nome fa supporre erano provenienti dalla nostra regione.
“Uno dei militari tedeschi morti in Via Rasella – ci racconta Dominik – era il mio bisnonno. Di lui si è sempre parlato poco a casa, mia nonna, che era sua figlia, ha sempre mantenuto il silenzio su di lui, come se il parlarne le riaprisse ferite mai cicatrizzate. Lui però ha lasciato un breve diario riguardo a quel periodo. Quando la Wehrmacht lo arruolò aveva quasi quarant’anni, in guerra non aveva dovuto andare e tanto meno ci voleva andare nel 1943, un suo fratello era già morto in Russia e lui non aspirava ad altro che continuare a fare il falegname a Ponte Stelvio. Poi un giorno sono arrivati i nazisti e suo fratello maggiore, che era un sostenitore di Hitler, lo ha praticamente costretto ad andare con loro. Dopo Bressanone e Bolzano è stato mandato a Roma per terminare l’addestramento militare, non prima di riuscire a scappare a casa nel cuore della notte per andare a salutare i figli, come se in cuor suo si sentisse che le cose non sarebbero finite bene”.
Se la nonna di Plangger non ha mai voluto parlare di questo argomento, il cantautore ha avuto un testimone diretto nel prozio, che soprattutto negli ultimi tempi si è fatto prodigo nel ricordare: “Mio zio – prosegue Plangger –, che ha cominciato a parlare dopo la morte di mia nonna, ci ha raccontato come per lui la cosa più difficile da accettare, è stato fare i conti con le conseguenze dell’attentato, vale a dire il fatto che dieci italiani dovettero pagare con la vita per la morte di suo padre. E questo mi a ha fatto venir voglia di saperne di più, di raccogliere informazioni su Via Rasella e sulla rappresaglia delle Fosse Ardeatine”.
Con la canzone sull’attentato di Via Rasella, Dominik Plangger è riuscito a non essere per nulla retorico, concentrandosi piuttosto su un episodio della storia della sua famiglia collegato a accadimenti storici drammatici e tristemente famosi, con un curioso finale che in qualche modo lo va a collegare col grande Ennio Morricone: nel corso delle sue ricerche storiche infatti, il cantautore ha scoperto che pur non amando particolarmente i nazisti, il giovane studente Morricone, per sbarcare il lunario, era solito suonare per i militi tedeschi di stanza nella capitale, trovandosi proprio nei dintorni di via Rasella al momento dell’attentato.
“Mi piace pensare – commenta Dominik – che questo grandissimo artista abbia suonato anche per il mio bisnonno”.
Il brano, uscito lo scorso 7 luglio, fa da apripista al nuovo CD di Plangger, che sarà pubblicato il 27 settembre.
“Il disco – conclude Plangger – s’intitola Limes, dal nome della via in cui abito, nel Burgerland: la via si chiama così dal termine latino con cui s’intende definire il limitare di una proprietà, il confine, il limite, spesso contraddistinto da un muro. Mi è sembrato un titolo idoneo, soprattutto in quest’epoca in cui tutti inneggiano alla costruzione di muri per separare. Il disco si compone di ballate e canzoni di varia ispirazione, ma io cerco di non perdere mai di vista un certo aspetto politico nei contenuti, e ho voluto puntare il dito contro quella destra che ambisce a costruire la Fortezza Europa per chiudercisi dentro e non lasciarvi entrare nessuno”.

Redattore: Paolo Crazy Carnevale

Peter Burchia: un cantautorecon chitarra e pennello


Ci aveva lasciati a bocca aperta Peter Burchia, quando a metà del 2022 se ne è uscito con un 33 giri (sì proprio un disco in vinile, come per dare più valore al progetto) che col titolo di Look Back si è rivelato uno dei più bei dischi realizzati in Alto Adige da quando i musicisti di questa regione hanno cominciato a registrarne. Non stiamo esagerando, Look Back, oltre ad una storia incredibile e unica per quanto riguarda la sua realizzazione, è davvero un disco incantevole, fragile e solido al tempo stesso, senza fronzoli ma con una forza unica, tutto realizzato nell’atelier in cui Burchia vive e realizza i suoi dipinti. Già, perché parallelamente all’attività musicale, Peter porta avanti un’interessante carriera nel campo della pittura.

“Sono due cose che non posso scindere – ci racconta –, nella mia vita ho bisogno che ci sia spazio per entrambe, anche se talvolta la pittura ha il sopravvento. È il motivo per cui alla fine degli anni dieci avevo lasciato gli Shanti Powa: la vita col gruppo non mi consentiva di dedicarmi alle cose mie, tour e concerti erano davvero impegnativi”.

Così il nostro ha scelto di proporsi come musicista di strada, suonando ed esibendosi principalmente quando ne aveva voglia, viaggiando, dipingendo e assemblando i brani finiti poi nel disco di cui sopra. Nel frattempo, un po’ per colpa della pandemia un po’ per le scelte personali dei suoi componenti, gli Shanti Powa, pur rimanendo in auge, hanno diradato l’attività live e Peter ne è ora tornato a far parte da un paio d’anni (è tra l’altro sua la splendida copertina del loro terzo album, Til’ Insanity). In attesa di un nuovo lavoro del gruppo, che potrebbe concretizzarsi il prossimo anno, Peter ha messo per breve tempo in stand by i pennelli per uscire, nello scorso luglio, con un nuovo lavoro, stavolta su musicassetta, dimostrando di prediligere i vecchi sistemi all’insipido digitale, ovunque imperante.

“L’ LP mi aveva portato via molto più tempo – prosegue Peter – sia per la composizione che per la registrazione. Stavolta è stato più veloce, i brani erano solo due e ho cercato di farli in maniera più tradizionale possibile. Sono due brani praticamente acustici, ho messo da parte il computer e per registrarli, visto che per la diffusione ho scelto la musicassetta, li ho registrati direttamente su quel tipo di supporto, collegando il registratore al mixer. La musicassetta sta vivendo un periodo di riscoperta, seppur di nicchia, ma la maggior parte di coloro che pubblicano la loro musica in questo formato, lo fanno registrando digitalmente. Io ho voluto essere analogico il più possibile. È evidente che dal punto di vista dell’audio ci si perde, ma questo mi ha permesso di fare il sound che volevo”.

Nella fattispecie i due brani che appaiono rispettivamente sui due lati della musicassetta, uscita per la Riff Records di Paolo Izzo con mastering di Jürgen Winkler, “avrebbero potuto figurare bene anche sul vinile del 2022, solo che – spiega l’autore –, sono venuti dopo. Avrebbero potuto anche attendere un nuovo disco ma, spesso mi accade che se non fisso subito l’idea, rischio di perderne l’immediatezza e il mood cambia. Il brano che intitola la cassetta, The Rain, l’ho scritto in Senegal nel 2021, quando, zaino in spalla ero partito da Bolzano per andare a trascorrere in quel paese tutto l’inverno. Per quanto riguarda la grafica, è opera mia: l’idea di base è che quando do a qualcuno un mio prodotto mi piace che sia un po’ un pezzo unico, così in questo caso ho fatto in modo che le copie stampate del nastro abbiano tutte una copertina differente. Ho fatto una serie di disegni e ritagliandoli, da ognuno ho ricavato dieci diverse copertine”.

Per quanta riguarda il futuro, per ora nei progetti di Peter ci sono la pittura e gli Shanti Powa, sul tornare a suonare per strada, l’artista non esita ad esprimere un certo scetticismo:

“Devo essere sincero – conclude – mi è un po’ passata la voglia, non escludo di tornare a farlo se cambierà qualcosa, per ora la città Unesco della musica ha dei regolamenti assurdi per quanto riguarda gli artisti di strada, i cosiddetti busker. Per noi non sembra esserci spazio. Una revisione dei regolamenti cittadini è in progetto, staremo a vedere, certo che come stanno le cose adesso non ho proprio voglia di essere visto come un criminale per il fatto che mi esibisco in questo modo”.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Flavio Delladio e i Rolling Stones, una relazione di lungo corso


Non è proprio un disco appena uscito ma, lo ammettiamo, ci era sfuggita questa nuova eccellente produzione del chitarrista bolzanino: Flavio Delladio Band suona i Rolling Stones.

A dispetto del titolo, non si possono relegare band e disco nel pur dignitoso (ma non sempre) mondo delle cover band; oltre a rispettare lo spirito delle canzoni originali senza stravolgerle, il titolare ci mette del suo negli arrangiamenti. Dalle nostre parti sono davvero in pochi, oltre a lui, a conoscere davvero a fondo la musica dei Rolling Stones, sono meno delle dita di una mano e questi sono i loro nomi: Marco (il fratello di Flavio), Bobbi Gualtirolo e Agostino Accarrino. Per il resto, adattando un vecchio detto napoletano, il diritto di eseguire una cover dei Rolling Stones e una laurea in legge, non si negano a nessuno!

Da qui a fare una cover rollingstoniana come si deve però, la strada e lunga. Lunga come la frequentazione di Delladio con la musica del gruppo.

“Effettivamente è cominciato tutto un sacco di tempo fa – ci racconta l’artista –, con mio fratello Marco ascoltavamo non solo gli Stones, ma prevalentemente loro erano la nostra passion. A dodici anni circa abbiamo cominciato a voler fare una band che suonasse solo Rolling Stones, così sono nati i Tumbling Dice, il cui nome veniva ovviamente dal titolo di un brano dei nostri beniamini. Eravamo proprio piccoli, ma avevamo quella musica dentro, li ascoltavamo giorno e notte.”

Dei Tumbling Dice facevano parte il maggiore dei fratelli Delladio, Alessandro, un Mario Punzi quasi bambino, il bassista Sandro Garbin e il cantante Sandro Fonte. Ricordiamo un mitico concerto del gruppo a fine 1983, in un teatro tenda allestito in viale Trieste davanti allo stadio Druso. Flavio e Marco, con le loro chitarre avevano la stessa presenza scenica di Keith Richards e Ronnie Wood, mentre Fonte citava a piene mani il Mick Jagger ginnico di quegli anni. A parte il maggiore dei Delladio, gli altri erano ancora tutti minorenni.

“Questo disco è davvero un ritorno alle origini – prosegue Flavio –, perché prima o poi si ritorna lì dove tutto era cominciato. E non è un caso che nella mia band da qualche anno ci siano di nuovo Sandro Garbin e Sandro Fonte. Dal suonare ancora con loro due alla decisione di fare il disco, il passo è stato davvero breve. Poi, il nostro repertorio è fatto anche di altre cose, ma l’idea di dedicare un disco a questa musica ci è parso bello”.

E non si può dargli torto, il disco suona bene, ci sono giustamente quelle canzoni dei Rolling Stones di atmosfera country, che funzionano perfettamente con quello che il gruppo suona dal vivo, ma ci sono anche accostamenti al blues e a ballate come Angie e Wild Horses, interessante l’arrangiamento di Country Honk, in cui Delladio rifà col dobro la parte che nell’originale era stata affidata al violino di Byron Berline e interessanti sono anche alcuni duetti vocali tra Delladio (che rimane la voce principale) e Fonte. Uno dei pregi del prodotto è che né Delladio né Fonte tentano di scimmiottare Jagger al canto, e nell’uso della chitarra il capobanda ci mette sempre il proprio stile. Nel disco però, e la cosa è ben evidenziata in copertina, oltre alla Band di Flavio (che si completa con il percussionista Victor Santos e la chitarra ritmica di Roby Massa) ci sono anche una mezza dozzina di session man di grido, qui chiamati i Giganti del Rock Italiano, gente che ha suonato con Zucchero e Vasco Rossi, con gli Stadio. La produzione è di quel Simone Olivetti che recentemente ha preso parte anche al disco di Mirko Giocondo.

“L’amicizia con questi musicisti – ci spiega Delladio – è di lunga data. Ho cominciato a frequentare alcuni di loro quando lavoravo in duo col bassista Pasquale Neri, e sono sempre rimasto in contatto con loro. Sono tutti presenti nel primo brano del CD: Gallo Golinelli suona il basso, Adriano Molinari la batteria, Fabrizio Foschini degli Stadio è alle tastiere, Andrea Cucchia al sax e Cicci Bagnoli alla chitarra. Io, ovviamente, canto e suono la solista”.

È notizia dell’ultima ora che la Flavio Delladio Band sarà uno dei tre gruppi che si contenderanno questo weekend nella piazza principale di Rovigo, il titolo di miglior gruppo blues italiano e la possibilità di rappresentarci all’International Blues Contest di Memphis!

Philipp Burgger e le sue discutibili doti: furbizia e qualunquismo

Dopo averlo inutilmente inseguito per anni con lo scopo di realizzare un’intervista, il nostro esperto della scena musicale Paolo Crazy Carnevale ha infine deciso di tracciare un suo ritratto critico dedicato al leader del gruppo Frei.Wild, molto conosciuto nell’ambiente di lingua tedesca in Alto Adige ma anche e soprattutto in Germania. Oggi Burgger è attivo anche come solista e, addirittura, come autore di libri. 

Probabilmente, tra la popolazione di lingua italiana di questa povera/ricca regione, non se n’è accorto quasi nessuno, ma sul finire dello scorso anno, in Germania è stato pubblicato un libro che è finito subito in testa alle prestigiose classifiche della rivista Der Spiegel. 

Il titolo in italiano suonerebbe più o meno così: “Libertà con cicatrici, la mia strada dalla destra a dappertutto”. Laddove la destra, non è quella che si tiene guidando un mezzo di trasporto.

La cosa non ci stupisce, visto e considerato che Burgger è il leader dei Frei.Wild, la più conosciuta e discutibile band uscita dall’Alto Adige in questo millennio. è cosa nota che i Frei.Wild, soprattutto ai loro esordi, non hanno mai fatto mistero di certe simpatie per l’estrema destra dei naziskin. Non è un caso che in principio la band di Brugger si chiamasse Kaiserjäger (sintomo di una certa nostalgia per un passato che… è passato!) e il loro CD recasse all’interno del booklet foto di gente col braccio teso.

Si tratta di cose che Burgger sostiene di aver chiarito e messo a posto, a modo suo. Ma furbamente, perché ora quando parla di quel periodo, che sostiene essere stato il più schifoso della sua vita, lo fa con le dovute distanze, ma non si può negare che se i Frei.Wild sono arrivati dover sono arrivati (decine di migliaia di persone ai loro concerti, tour da tutto esaurito, dischi vendutissimi ristampati più e più volte in ogni formato), è stato grazie all’investitura che secondo la leggenda hanno ricevuto dai loro consimili e precursori Böhse Onkelz, gli zii malvagi, la cui storia non è poi troppo diversa per quanto riguarda i coinvolgimenti, spesso rinnegati o disconosciuti, con l’estrema destra germanica.

Non è un caso che sul primo disco del gruppo ci fosse un brano intitolato Südtirol, in cui Burgger cantava: “Alto Adige, strappato ai tuoi fratelli/Gridatelo, fatelo sapere a tutti/Alto Adige, non vi siete ancora persi/I tuoi nemici bruceranno all’inferno, sì!”.

Ma questo è il passato, obietterebbe oggi Burgger. Perché lui dice di non essere più quello. Anni fa abbiamo provato ad intervistarlo, per farci spiegare il fenomeno Frei.Wild, ma la cosa non è andata in porto: innanzitutto perchè Burgger aveva imparato la lezione di Mister Durni, ovvero rilasciare le interviste a casa sua, obbligando i giornalisti a salire al suo castello. Ma poi il musicista comunque ha continuato a disdire gli appuntamenti come se non gli interessasse quello che il pubblico italiano potesse pensare di lui.

Se non è furbizia questa! 

Ora Burgger le interviste le va a rilasciare alle fiere del libro, dove si reca per presentare l’autobiografia citata in apertura, ma va anche a tenere i discorsi a San Leonardo in Passiria in occasione degli anniversari di Andreas Hofer. E fa l’uomo di famiglia, inneggiando alla bellezza della famiglia, ai suoi figli. Si potrebbe anche credergli, ma intanto i Frei.Wild continuano ad essere sulla cresta dell’onda, tanto che lui ha anche dato il via ad una carriera come cantautore solista, piazzando i suoi dischi nelle zone alte delle classifiche (il primo è stato addirittura numero 1 in Germania).

I contenuti (ma sarebbe quasi più azzeccato dire i non-contenuti) musicali sono diventati molto qualunque, all’insegna di un rock furbetto e caciarone. Ha addirittura inventato un festival folk che si tiene a Naz ogni anno, con numero di presenze che in regione non fa nessuno, ma a ben vedere di folk c’è ben poco visto che negli anni vi hanno suonato Sepultura, la cantante dei Warlock, gli Helloween e altri nomi del metallo pesante, laddove la definizione folk si basa piuttosto sul concetto che è una festa popolare. Insomma un dire senza voler dire che è appunto indice di subdola astuzia, come l’impegno sotto il profilo sociale in cui Burgger è coinvolto: col risultato che nel mondo musicale di lingua tedesca Burgger è comunque rispettato perché tende a condividere i successi del suo gruppo, offrendo occasioni di suonare a destra e a manca, come un benefattore.

Nel bel mezzo dell’emergenza pandemica, poi, è uscito un brano dal titolo furbissimo di “Ciao bella, ciao”: una fiera dei luoghi comuni (tipica della destra, tedesca o italiana che sia), col lago di Garda, la Vespa Piaggio, un riff accattivante, un’avvenente cover girl e Burgger che canta di come la bella della canzone gli abbia spezzato il cuore: “Brindiamo al tuo amore per te stessa/Lei non è mai stata per me/Ciò che resta è un ponte che resiste/Quando l’amore si spezza/E nient’altro funziona/Marmo, pietra e ferro e anche l’amore si spezza/Ma gli amici per la vita non ti lasciano/Ciao Bella ciao, Bella ciao, Bella ciao/Ciao Bella ciao, Bella ciao, Bella ciao/Non come te, stupida scrofa”.

Si potrebbe obiettare che il riferimento è alla Vespa (una moto italiana, sarà un caso?) che pianta in asso il protagonista del video. Ma…  può essere stupida una moto?

È l’ennesima astuzia di Burgger, indubbiamente un affabulatore che riesce a convincere molta gente. Non noi.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Giorgio Moroder: un amarcord d’antan

Ne hanno parlato tutti i media, lo scorso maggio Giorgio Moroder ha ricevuto il David di Donatello alla carriera per il suo lavoro nel campo delle colonne sonore, che gli è già valso ben tre premi Academy Award. Era giusto che anche in patria il suo talento venisse riconosciuto. A modo nostro vogliamo anche noi ricordare questo autentico mito della musica che è indubbiamente il fiore all’occhiello della nostra regione in questo settore, e vogliamo farlo con qualcosa di eccezionale, legato a doppio filo con l’Alto Adige e risalente a molto prima che Moroder diventasse quel Moroder.

Correva l’anno 1959, il 7 luglio di sessantacinque anni fa per la precisione, e una trasmissione televisiva chiamata Telesquadra fece tappa nella nostra regione: si trattava di una sorta di carovana televisiva che si muoveva attraverso le zone periferiche della penisola portando le proprie telecamere laddove nessuno se le aspettava, ben prima dell’avvento di Rai3. Nelle giornate precedenti venivano fatti girare volantini per reclutare i talenti locali e far loro prendere parte alla trasmissione, che veniva poi mandata in onda il giorno successivo. Nella fattispecie la puntata altoatesina di Telesquadra fu registrata a Bressanone, presso la sala del Credito Consorziale, il 7 luglio e trasmessa l’8. Scriveva il quotidiano l’Adige nella sua uscita del 9 luglio: ”Il giovane Giorgio Moroder (all’epoca aveva diciannove anni, n.d.r.) accompagnandosi con la chitarra elettrica, ha cantato un moderno ritmo americano, stile P. Anka o Elvis Preslej (sic!), mentre la graziosa Monica Mader ha eseguito una canzonetta popolare tedesca”. Alla serata presero parte anche altri giovani, come Gianni Signorini, la dodicenne Franca Motta, Wolfgang Lucerna, gli Schuplatter di Spinga e, soprattutto, ad accompagnare i vari cantanti solisti, un complessino dell’epoca diretto dal maestro Fulvio Del Marco (che si occupava del piano) di cui facevano parte Walter Dall’Igna alla tromba, Gianni Piasenti alla chitarra, Umberto Dianese al contrabbasso, Gianfranco Filippi al sax e Renzo Boschetti alla batteria. Apprendiamo i nomi di questi ragazzi dell’epoca dal quotidiano Alto Adige che sempre il 9 luglio non esitava a scrivere: “bravissimo Giorgio Moroder in un rock’n’roll; applauditi anche i ballerini Maria Ludovica e Gabriele Torggler”, a proposito della performance del futuro hit maker gardenese. Quello che i giornali dell’epoca non sapevano è che l’amicizia e la passione comune per la musica tra Giorgio Moroder e Renzo Boschetti (di un anno più giovane) era di lunga data.

“Abbiamo frequentato insieme le scuole medie e i primi due anni delle superiori – ci racconta oggi Renzo Boschetti, professionista bolzanino in pensione–, ci siamo conosciuti in collegio a Rovereto dove a quell’epoca molte famiglie mandavano i figli per terminare le scuole dell’obbligo, abbiamo solidarizzato subito e poi ci siamo ritrovati insieme anche all’ITG, dopo il biennio io mi sono trasferito a Ferrara, dove abitava mia sorella ed ho terminato le superiori lì, prima di fare ritorno in Alto Adige. Giorgio di lì a poco si è trasferito a Monaco in cerca di fortuna.”

Negli anni delle superiori, siamo nel 1956 circa, Giorgio Moroder abitava in uno studentato nell’edificio INPS sopra la vecchia libreria Cappelli e lì si trovava proprio con l’amico Renzo per suonare insieme agli altri ragazzi che lo avrebbero accompagnato poi in quello che possiamo definire il suo debutto televisivo nel 1959. Entrambi avevano un registratorino a bobine della Geloso e facevano esperimenti, registrando quello che suonavano.

“Ricordo – prosegue Boschetti – che ci trovavamo a suonare presso lo studentato. Registravamo una prima parte su uno dei registratori, poi facevamo andare il nastro e si suonava una seconda parte in contemporanea registrandola con l’altro Gelosino e via così. Me ne sono reso conto solo tempo dopo, una delle canzoni di Giorgio che avevamo provato a registrare era Looky Looky!”

Quel brano, la cui trascrizione sulle copertine dei dischi fu talvolta Luky Luky, divenne addirittura disco d’oro nel 1970 e finì in alto nelle classifiche belghe, tedesche e svizzere!

“Dell’esibizione per il secondo canale RAI – conclude Renzo Boschetti – ricordo solo che è stata una grandissima emozione e che tra i partecipanti c’era anche un certo Cordioli, un violinista molto conosciuto e molto bravo”.

Autore: Paolo Crazy Carnevale