Davide Burattin: Dropout nuovo capitolo

Sono trascorsi due anni da quando il bolzanino trapiantato a Osaka Davide Burattin – in arte Dropout – ci ha consegnato un disco composto da brevi colonne sonore strumentali per cortometraggi da lui stesso realizzati: il tema del disco era la memoria di un futuro distante e la dominante musicale era l’elettronica. Il nuovo disco del creativo bolzanino è invece cantato, minimale nella struttura, tratta della fine delle cose ed è figlio dell’urgenza di Burattin di dedicarsi alla musica, prendendo corpose pause dalla famiglia (che è stata comprensiva) e dal lavoro (nello stakanovista Giappone non deve essere stato semplice).

“Il disco precedente – ci spiega Davide – è stato di gestazione lunga e piuttosto certosina, la necessità adesso era invece diametralmente opposta, buttare fuori tutto il più presto e nel modo più autentico possibile. Un po’ come la differenza tra fotografie in teatro di posa e istantanee Polaroid, ecco. Il tutto infatti nasce in modo naturale in un dialogo tra chitarra classica e voce, la domanda è stata: da che luogo della mente proviene questa musica e con che parole la si può vestire? Il resto è stato sovrainciso immediatamente dopo o suonato da altri. Non c’è stata l’egida del metronomo e in particolare ho sentito come una repulsione al beat onnipresente e portante nella musica mainstream attuale, quindi raramente nel disco sono presenti batterie. Ho trovato infatti interessante, durante la produzione, l’alternarsi tra canzoni per così dire di getto, magari registrate su nastro proprio mentre stavano uscendo dalle mie mani e canzoni più regolari, più patinate. Diciamo che alcune stavano bene così come erano nate, altre invece sembravano pretendere di essere trasposte in bella copia”.

Il risultato è Sulla fine delle cose, un disco fresco fresco per ora disponibile solo in formato digitale, in cui come l’autore ci ha detto ci sono soprattutto la sua voce e la sua chitarra acustica, ma non mancano altri interventi: c’è Petra Dotti, del progetto Giardini di Pietra, che contribuisce al ritornello della riuscita Vibrano corde, uno dei due brani del disco risalenti a prima del lockdown, c’è poi Monica Primo che Davide ha conosciuto tramite Carmelo Giacchino, c’è il synth di Piero De Siena e dà una mano anche l’amico DJ Alessandro Signore; ma l’autore ha pescato anche tra le mura domestiche, ha coinvolto il figlio Daniele, i suoi compagni d’asilo e, soprattutto la moglie Luciana Cardi in Attica. Ci doveva essere anche Monika Callegaro, ma per motivi di sovrapposizione di impegni, la collaborazione non si è concretizzata ma è stata un’importante fonte di dialogo per l’autore durante e dopo la lavorazione.

“Da circa 20 anni non cantavo e scrivevo in italiano – ci spiega Burattin riguardo ai testi –, e probabilmente la necessità di comunicare in modo più diretto nella mia lingua madre qui è stata prioritaria. I testi sono molto personali, tanto che all’inizio non pensavo alla pubblicazione, se non che quegli amici che ascoltano le cose in anteprima mi hanno fatto notare che alla fine si tratta di tematiche piuttosto universali per tutti noi, personali ma non tutte strettamente biografiche, a volte è necessaria un po’ di fiction mutuata da storie a me vicine. La particolarità dei testi è di essere scritti su una metrica più anglosassone che italiana, ovvero basati perlopiù su parole bisillabiche o trisillabiche. Un esperimento inconscio dovuto ai miei ascolti più recenti che sono piuttosto internazionali, un po’ come è successo per la generazione Z, quella che usa andare a capo spezzando mentre canta per intenderci, che utilizza più o meno il cosiddetto enjambement, che personalmente poco mi entusiasma. L’alternativa quindi all’andare a capo, per la nostra lingua che è composta da pochissime bisillabe e trisillabe. Quindi per riassumere, visto che si tratta anch’essa di musica di urgenza, ecco come suonerebbe molto probabilmente la musica di tipo Trap se fosse cantata in modo meno prolisso, senza enjambement, senza Autotune, con della melodia, e con frasi che si collegano maggiormente l’una con l’altra.”

Alla fine chi ne esce vincitore sono le canzoni, proprio per il fatto di avere una melodia, di non avere l’Autotune, di non essere prolisse, con la modernità della loro genesi e con il fascino vintage dell’uso di strumenti tradizionali. Anche se l’elettronica continua a stare dietro l’angolo: “A dire la verità – conclude Davide – ancora non so ancora quale sarà la mia prossima mossa, ma sto giocando da un po’ con un campionatore molto particolare, creando nuovi suoni Dropout, e qualche nucleo di idea lo sto già sentendo sbocciare…”

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Hubert, il pusterese americano

Lo avevamo annunciato con un certo anticipo, al ritorno di Hubert Dorigatti da Nashville, capitale americana della musica: lì il chitarrista di Brunico si era recato per incidere la sua nuova fatica, uscita pochi giorni fa per l’etichetta milanese Appaloosa col titolo di The Nashville Sessions.

Dorigatti è senza dubbio uno dei musicisti nostrani che fanno le cose maggiormente sul serio. Il suo repertorio blues (che sia di marca sudista, virato al rock o in stile delta blues) è convincente a tal punto, e non da oggi, che non ha nulla da invidiare ai prodotti analoghi che vengono sfornati al di là dell’Atlantico.
“Andare a registrare a Nashville – ci racconta Hubert – era un sogno nel cassetto che coltivavo da anni. Nashville ha fama di essere speciale per il modo di lavorare dei musicisti di studio, volevo toccare con mano come fosse questa specie di magia di cui avevo tanto sentito parlare. È stato un flash, ora che ho fatto questa esperienza devo dire che è stato tutto come mi aspettavo, anzi, anche meglio. Hanno una cultura incredibile della loro musica, qualcosa che a me forse manca ancora, per loro è tutto naturale, sono lì per suonare: tu gli fai ascoltare come fa il brano e loro partono, senza perdere tanto tempo a parlare. Pur essendo bravissimi, non se la tirano minimamente e tra un brano e l’altro trovano comunque il tempo di fraternizzare e al tempo stesso, senza mai essere invadenti, ti propongono di provare uno strumento o un arrangiamento.”
Il disco, il terzo di Dorigatti per l’Appaloosa, etichetta specializzata che pubblica in Italia parecchi interessanti artisti americani (Mary Gauthier e Jono Manson, per fare due nomi davvero importanti), ci offre una manciata di belle canzoni che suonano davvero molto americane, pur essendo, nei contenuti, legate alla sfera personale del musicista: You Are My Roots è un bell’omaggio al padre scomparso un paio di anni fa, When The Music Is Over risale alla pandemia ed è una disperata constatazione nata dalla sensazione che tutto fosse giunto al capolinea per chi, come lui, di musica e di contatto con la gente deve vivere.
“La fama e l’importanza di Nashville – prosegue nel suo racconto – sono fondate sulla musica, che lì è una vera e propria industria, alla stregua di come la siderurgia lo è per certi grandi centri del nord e di come quella automobilistica lo è stata per Detroit. In tutto sono rimasto lì una settimana, il primo giorno, allo studio Blackbird, abbiamo fatto le basi, tutto praticamente dal vivo, suonando ogni brano tre, massimo quattro volte. Il modo di suonare di questi musicisti è incredibile, hanno una sicurezza che se ci penso mi viene ancora la pelle d’oca: ogni volta che attaccavamo un brano ho avuto la sensazione di decollare. Certo non è stata una cosa semplice, mi ci è voluto un anno di organizzazione per pianificare tutto e finanziare l’operazione, ma ora devo dire che ne è stravalsa la pena.”
La scelta dello studio in cui recarsi è stata guidata dal produttore del disco, Zach Allen, produttore del celebre chitarrista Keb Mo’ e di altri artisti americani: Hubert Dorigatti lo ha conosciuto ad un concerto e ne è nata un’amicizia. Da lì l’idea di coinvolgerlo nel progetto come produttore: Allen ha proposto a Hubert diverse soluzioni, studi mainstream, studi più piccoli, poi la scelta è caduta sul Blackbird (da cui sono usciti dischi di Johnny Cash, Dolly Parton, Greta Van Vleet, Pistol Annies, tanto per dire nomi da alta classifica). Allen ha anche aiutato Dorigatti nella rifinitura dei testi in lingua inglese e nella pronuncia.
“Ciò che ha richiesto più tempo – ci spiega il chitarrista – è stato il provare i suoni, un soundcheck molto accurato, ogni strumento, ogni microfono, ogni sfumatura. Senza l’uso di plug-in di alcun tipo ma adattando e sfruttando il mood e l’acustica dello studio per ottenere le sonorità. Tutto fatto in maniera artigianale, ma con dei risultati elevatissimi. Per farti un esempio, quando ho chiesto se si potesse aggiustare la mia voce in un paio di punti in cui non mi pareva del tutto intonata, mi hanno fatto riflettere e mi sono reso conto che me ne accorgevo solo io e che la cosa era talmente irrilevante che nessun altro l’avrebbe notata.”
In attesa di programmare un vero e proprio tour di presentazione del disco, Hubert Dorigatti sarà sul palco a Collepietra il prossimo 26 aprile accompagnato dal fantastico armonicista Fabrizio Poggi, compagno di scuderia musicale dal curriculum invidiabile, già al suo fianco in alcuni lavori precedenti.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Chris Costa is back in town

Nativo di Corvara, ma da diverso tempo residente a Milano, dopo aver stabilito per un paio d’anni la residenza a Londra, Chris Costa è in realtà un musicista molto legato alla nostra città, che ha frequentato molto ai tempi delle scuole superiori e dove aveva stabilito il suo quartier generale all’indomani dell’esperienza londinese.
È quindi sempre una bella notizia sapere che nell’immediato futuro c’è in vista un suo concerto, nella fattispecie il 12 aprile prossimo al Sudwerk di via Andreas Hofer, dove appunto Costa si esibirà nella sua più recente incarnazione artistica denominata Hot Dust/The Human and The Machine, che pur facendo riferimento alla più recente uscita discografica del nostro, ne è ormai una derivazione in costante mutazione.

Per l’occasione abbiamo contattato Chris nel suo studio casalingo milanese, dove la sua musica nasce e dove si occupa anche delle produzioni per altri artisti, come lui d’ambito electro pop.

“Sono molto contento di suonare di nuovo a Bolzano – premette Chris – perché sono molto legato alla città. E mi fa piacere che ci siano dei luoghi attenti alle nuove tendenze musicali, locali come Waaghaus e Sudwerk. Pensa che ricordo come fosse ieri che ai tempi della scuola rimasi folgorato dal primo disco di Medeski, Martin & Woods, acquistato nel negozio di Laura Weber e quando lei stessa li portò a Bolzano poco dopo, andai al loro concerto. Fu una grande esperienza, erano l’avanguardia a quell’epoca e fu l’averli visti che mi ha spinto nel giro di sei mesi a comprare un organo Hammond!”

È trascorso qualche annetto da allora e Chris Costa di strada ne ha fatta parecchia, ha avuto un gruppo col compatriota Alex Trebo, ha fondato un interessante gruppo funk chiamato Capsicum Tree, ha avviato più progetti come solista, ha fatto esperienza come corista dapprima con Malika Ayane e poi, in un tour mondiale, con un gigante quale Eros Ramazzotti. Ma per quanto riguarda la sua musica ha sempre cercato di essere all’avanguardia, magari non producendo musica facile da accostare, ma mettendoci sempre la faccia.

“Il progetto Hot Dust è uscito nel 2019 – prosegue l’artista badioto – ma in realtà il covid e i suoi postumi ne hanno tardato la diffusione. E poi quando lo presento dal vivo il disco subisce sempre delle variazioni. Ho lavorato tantissimo per capire come portarlo in pubblico, ho provato ad usare diverse soluzioni sonore e diversi macchinari, considerando che si tratta di musica elettronica. Il risultato è stato che mi annoiavo tantissimo. Nell’ultimo paio d’anni sono arrivato ad una soluzione che invece mi dà parecchie soddisfazioni, anche se è molto impegnativa: ho dovuto imparare a suonare il drum pad (lo strumento che sostituisce i suoni di batteria, n.d.r) con la mano e con un piede, cosa che mi dà la possibilità di avere l’equivalente di una batteria completa. Con la mano sinistra suono una tastiera che manda i suoni di due synth all’unisono. Mi gestisco i cori, cantando dal vivo e usando un harmonizer. In parole povere sono passato da un sistema in cui io ero schiavo della macchina ad un altro in cui invece le macchine sono al mio servizio. La tecnologia mi ha sempre aiutato ad esprimermi, l’ho sempre amata, è il motivo per cui il progetto ora è stato ribattezzato The human and the machine, perché c’è sì la macchina, ma il ritmo e l’imput devono giungere dal performer.”

Artista a tutto tondo, Costa ha davvero un background vastissimo, ha studiato piano e canto, si è esibito nei pub suonando cover e standard, si è adattato a suonare nei bar, alle feste di matrimonio: come lui stesso ama dire scherzando: “Mi mancano solo i Bar Mitzvah, ma mai dire mai. Per quanto riguarda lo spettacolo del Sudwerk, vorrei aggiungere che per me è molto importante stabilire una sorta di trascendenza con gli ascoltatori, col pubblico. Quando suoni sei portato a concentrarti sul tuo trip, ma è importante chiedersi cosa accada dall’altra parte, al di là della goduria personale che si può avere suonando, anzi più che goduria per me è proprio trascendenza, e spero sempre di condurre chi ascolta in una sorta di trip, un vortice intenso che almeno per quel momento gli lasci qualcosa, portandolo per quel momento in una dimensione differente. Questo, soprattutto, è per me la musica, essere tutti in uno stesso luogo senza nome e nello stesso stato d’animo.”

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Intingoli di primavera

La stagione è agli sgoccioli, l’inverno, peraltro piuttosto mite rispetto alla media, sta lasciando spazio alla primavera con una specie di rigurgito d’orgoglio che se proprio non ha portato le basse temperature, ha quanto meno innevato le cime e non solo loro, per la gioia di sciatori ed operatori turistici d’alta quota. Tutto questo ovviamente non ha minimamente sfiorato l’operato dei nostri musicisti che giustamente del tempo se ne infischiano e continuano imperterriti il loro cammino. Vediamo insieme le principali novità di questo periodo.

Il primo giorno di marzo è stato pubblicato il nuovo singolo del team Maka & Saf, Parlami di te. Il giovane cantante Alessandro Makselj in arte Maka, bolzanino, classe 2003, ha già all’attivo diverse canzoni, a dispetto della giovane età e per questa nuova proposta ha fatto coppia col concittadino Saf (all’anagrafe Matteo Saffiotti) che oltre ad occuparsi della produzione, divide le sorti canore con l’amico. Il brano s’inserisce a testa alta nella corrente musicale che in Italia sembra andare per la maggiore, quel pop melodico col cantato che usa la metrica del rap senza però scandirla eccessivamente e facendo un uso non invasivo dell’autotune. È la musica della generazione di “Amici” per intenderci, quella dei like e delle visualizzazioni, la piccola alternativa a un mainstream che continua a riproporre canzoni di quaranta, cinquant’anni fa come se in mezzo non fosse accaduto (musicalmente) nulla: e per molti, in effetti, non è accaduto davvero nulla.

Il brano di Maka e Saf si presenta come una ballad dalla forte carica emozionale. Attraverso i suoi versi ispirati, l’artista racconta le dinamiche di una relazione, appassionata quanto tormentata, descrivendo il turbine emotivo che pervade la mente del protagonista della vicenda.

Di una settimana successivo è invece il brano (stavolta anche in formato video su youtube) pubblicato dal bolzanino Dayoff col titolo di Ce la farò. La sfera musicale è la stessa in cui si colloca la canzone di Maka, con un più accentuato uso della ritmica, laddove invece l’altra proposta si sorreggeva su un’atmosfera acustica. Su una curatissima produzione firmata da Ric de Large, Dessa One e dallo stesso Dayoff, il timbro espressivo delicato della vocalità dell’artista scorre sulla ritmica accompagnato da chitarre graffianti e da elementi sonori club, urban e r’n’b. La rappresentazione del turbine emotivo interiore prende forma attraverso linee melodiche catchy che esaltano la ricercata cifra stilistica di Dayoff, il quale, riesce a calare l’ascoltatore nella dimensione della vicenda creando una componente di immedesimazione che non ritroviamo però nel video d’accompagnamento, girato con atmosfere soffuse che vogliono richiamare atmosfere degli anni trenta del secolo scorso senza però riuscirci.

Sul fronte techno pop, ad inizio marzo è arrivato invece il nuovo singolo di Annabel De Melchiori, Little Things, brano strumentale indirizzato principalmente al pubblico delle discoteche, come del resto era Today night,  brano uscito a fine gennaio ad opera del produttore beetlejuice a cui la De Melchiori aveva preso parte come vocalist.

Concludiamo con quello che ci pare lo sforzo più interessante delle ultime settimane, il video della band The Rumpled, in cui milita il fisarmonicista bolzanino Tommaso Zamboni, autore della parte musicale del brano in questione. The Rumpled, la cui musica si è conquistata la stima e l’apprezzamento di pubblico e critica anche all’estero, fa di nuovo centro col titolo di Vaja’s breath, il respiro di Vaja, canzone  sostenuta da un’energica siringata di celtic folk virato al punk, secondo la lezione dei mai dimenticati Pogues e dei loro epigoni Dropkick Murphys, condendo il tutto, oltre che con un occhio di riguardo per un problema scottante come il cambiamento climatico, con particolare attenzione anche alla parte visual del progetto che riporta il gruppo sulle nevi dolomitiche e nelle foreste devastate dalla furia della tempesta del 2018 a cui il brano s’ispira.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Gianni Girardini at 70

A vederlo non lo direbbe nessuno, sportivo da sempre per passione e professione, Gianni Ghirardini festeggia quest’anno i suoi primi settant’anni e visto che la passione per lo sport è sempre andata di pari passo con quella per la musica, il chitarrista bolzanino d’adozione, ma vipitenese di nascita, ha ben pensato di festeggiarsi dal vivo, con tre concerti, che si terranno sui palchi di San Giacomo (sabato 23 marzo, ore 20.30) , Vipiteno (sabato 15 giugno) e Bolzano (Teatro Cristallo, in dicembre, giorno da definire) e in cui salirà sul palco accompagnato dalle formazioni musicali con cui si è esibito negli ultimi trentacinque/quarant’anni, quelle con cui si sente più coinvolto e che ha contribuito lui stesso a fondare.

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando, ragazzino, insieme ad un amico era sceso nella piazza della sua città d’origine con chitarre e amplificatore per suonare del blues. Ai carabinieri che gli avevano fatto una semplice lavata di capo aveva risposto che non trovava giusto che lui dovesse sorbirsi ad ogni piè sospinto la musica della banda cittadine e che per la musica che piaceva a lui non ci fosse posto!

“La matrice blues c’è dappertutto – ci dice Ghirardini –, in qualche modo compare sempre in ciò che suono, ma i quattro gruppi con cui festeggerò questo compleanno sono in realtà molto diversi, con i Deja Vu rivisitiamo il repertorio di Crosby Stills Nash & Young, con l’Incredible Southern Blues Band è protagonista il blues elettrico, con i Pangea l’approccio è più di carattere etnico con l’esplorazione della musica africana che sta alla base del blues ma anche con influenze orientali. Il gruppo di più recente formazione si chiama MeBo e ne fanno parte anche Manni Pardeller in veste di percussionista e il chitarrista meranese Rolando Biscuola: quello che proponiamo è un blues acustico che gioca tra lo stile finger picking in cui Rolando è un portento e il mio lavoro con la slide.”

Gianni, che ai suoi esordi ha suonato persino con Enrico Micheletti in una mai decollata del tutto Hard Time Blues Orchestra che avrebbe dovuto essere un’evoluzione della defunta Hard Time Blues Band, ha suonato spesso con la Spolpo Blues Band e fin dagli inizi ed è stato il chitarrista di una storica formazione chiamata Trinciato Forte, in auge negli anni ottanta.

“Nell’organizzare questi concerti mi sono trovato a fare una riflessione – ci confida il chitarrista –, nella vita mi è capitato spesso a fare l’autostop, ho chiesto un sacco di passaggi, e spesso ne ho dati a chi ne chiedeva. E ho trovato l’analogia con quello che è stata la mia vita musicale: quante volte mi sono ritrovato a chiedere ad un gruppo di amici se mi portavano a fare un viaggio musicale con loro? E quante altre, invece, sono stato io a chiedere ad altri se volessero salire a bordo del mio progetto per venire a fare un viaggio musicale con me. È uno spirito forse tipico della mia generazione quello che ti porta a fare dei viaggi musicali con altre persone. Senza un background basato sullo studio, ma per il gusto dello scoprire insieme, esplorare un territorio musicale. La stragrande maggioranza delle cose che ho fatto nella mia vita l’ho fatta seguendo questa attitudine. Senza maestri, senza internet, sempre e solo scambiandosi conoscenze con gli altri, io ti insegno questo accordo, tu mi insegni quel trucchetto… Adesso tutto è diventato più veloce, non ci sono più questi incontri preliminari, questa ricerca. I musicisti si vedono mezz’ora prima del concerto e via. Uno arriva da qui uno da lì, tutti sono bravissimi, ma lo spirito si è perso.” Per quanto riguarda la struttura dei concerti ognuno sarà costituito da quattro mini set in cui ciascuna formazione avrà il suo spazio, con Ghirardini sempre sul palco a fare da filo conduttore suonando e raccontando, con jam finale al termine ad appannaggio della Incredible Southern Blues Band che ospiterà gli altri amici.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Cantanapoli: Napoli con lo Spritz!

Parafrasare il tipico incipit di molte canzoni dell’immenso Renato Carosone ci pare il modo migliore per occuparci di questo prezioso dischetto intitolato “Napule è…” che vede la Spritz Band di Andrea Maffei alle prese con un repertorio bastato esclusivamente su alcuni classici della canzone partenopea, sette canzoni composte tra la fine dell’ottocento e gli anni settanta del novecento, da Carosone a Salvatore Di Giacomo a Pino Daniele, canzoni che fanno ormai parte del DNA non solo dei napoletani.

La canzone napoletana è un classico, indiscutibile. Ne è profondamente convinto lo stesso Andrea Maffei che con i suoi compari è protagonista del dischetto. Non è un caso che molti anni fa in un’intervista Maffei abbia confessato di avere un sogno nel cassetto: cantare “Reginella” dal vivo accompagnato da un’orchestra. Quel sogno si è realizzato poco più di un anno fa quando Andrea ha collaborato con la Merano Pop Symphony Orchestra, e ora quel brano è anche incluso in versione Spritz nel disco di cui ci occupiamo. Ma da buon sognatore, Maffei ha ora un altro sogno:

“Stavolta sogno in grande – ci racconta – ma ammetto che mi piacerebbe poter cantare sul palco di un grandissimo teatro di Napoli Era de maggio, la più antica delle sette canzoni incluse nel disco, e la vorrei cantare però non da solo, ma in duetto con Maria Pia De Vito! È una canzone che amo tantissimo; io penso che dalle canzoni napoletane sia partita tutta una serie di melodie mondiali, non solo italiane. Se andiamo a guardare e ascoltare un po’ in giro, soprattutto sulle sponde del Mediterraneo, vediamo come la musica napoletana sia passata ed abbia lasciato delle influenze, lasciandosi dietro una ricchezza unica di melodie”.

A dispetto dello spritz del nome del gruppo, che al bar sta a significare un vino più o meno annacquato, la proposta dell’Andrea Maffei Spritz Band è tutt’altro che diluita con l’acqua, Andrea è perfettamente credibile nel suo cantare in napoletano e gli arrangiamenti che la sua formazione (Davide Dalpiaz, Giorgio Mezzalira, Marco Gardini, Mirko Giocondo e il neoacquisito Davide Groff) hanno tessuto per le canzoni sono indovinatissimi: c’è rispetto per la tradizione ma c’è anche innovazione, mai sopra le righe. Tutto è suonato in presa diretta in sala prove, i brani, collaudatissimi, erano già stati eseguiti nell’ambito di una selezione più ampia per un concerto tenutosi a San Giacomo. Gardini pennella qua e là con la chitarra elettrica, le chitarre acustiche e classiche di Mezzalira vengono fuori come forse non era mai accaduto in precedenza, non ci sono sbavature e c’è persino un po’ di rock’n’roll, con ironia (una delle caratteristiche storiche del gruppo) quando nel refrain finale di “Tu vuò fà l’americano Maffei e soci cantano “spritz and soda e rock’n’roll” al posto del canonico whiskey and soda.

“Questo amore per la musica napoletana – prosegue Maffei – mi deriva da uno zio: quando ero piccolo, questo zio, che deportato in Germania durante la guerra vi era poi rimasto a lavorare a guerra finita, tornava solitamente per le festività e si portava la sua chitarra e deliziandoci cantando queste canzoni napoletane, magari con un testo un po’ ad orecchio visto che lui era veneto e lo aveva imparato da qualche compare d’immigrazione o da una trasmissione radiofonica. Mi teneva in braccio e mi cantava queste canzoni ed io sono cresciuto con queste melodie in testa. È da lì che mi arriva il rispetto per questa scuola musicale. Durante la pandemia, per non stare con le mani in mano ho cominciato a postare delle mie versioni di brani napoletani, poi la cosa ha preso piede, abbiamo cominciato a provarle in gruppo e ci è stato proposto di suonarle dal vivo a San Giacomo. Alla base della spontaneità c’è il fatto che stiamo bene a suonare insieme, ci divertiamo e cerchiamo di non prenderci mai troppo sul serio. Il fatto di averle registrate per un disco, è la logica conseguenza, volevamo lasciare un segno, anche se i dischi non li compra più nessuno. Visto che avremmo cominciato a lavorare ad un disco nuovo di brani originali, abbiamo deciso di farne due di dischi. E intanto ecco pronto questo. L’altro arriverà presto”.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Singoli e intingoli a cavallo tra l’anno vecchio e quello nuovo

La stagione delle festività, oltre che alle dovute riflessioni su ciò che avvilisce questo mondo, oltre ai bilanci che chiunque abbia un briciolo di sale in zucca dovrebbe essere portato a fare almeno quando un anno si chiude, è legata anche al piacere di cucinare, al ritrovarsi, allo stare insieme, perché no, mangiando. E dove si mangia, gli intingoli la fanno da padroni. Così i singoli dei nostri artisti locali. Vediamo insieme quali sono le novità.

La palma, per l’azzeccata atmosfera natalizia, va al nuovo singolo di Giulia Olivia (Martinelli), che ha ben pensato di rilanciare la recente offerta del suo nuovo EP con un brano natalizio intitolato December,  con le giuste atmosfere e con le stesse modalità di produzione del disco uscito lo scorso ottobre. Il brano si ascolta con piacevolezza, ci sono i tintinnii di campanelle che fanno tanto Natale, soprattutto nella tradizione anglo-americana immortalata magicamente da gente come Dean Martin, le Ronettes e molti altri. Il brano è talmente riuscito e credibile che sta in testa alla classifica dei brani natalizi redatta dalla rivista online Salto Music (https://salto.bz/de/article/22122023/weihnachtssongs-2023-updates).

Piace anche Crash The Christmas Party il video natalizio del duo Lou And Me con una miscela di punk pop che richiama un po’ alla memoria gruppi come Barracudas e Ramones, scanzonati ma mai scontati, carino anche il video di accompagnamento in cui si riflette l’atmosfera della canzone.

Tra le recenti uscite è doveroso segnalare, pur con un brano non natalizio, i Fratelli Stonati, formazione proveniente dall’altipiano dello Sciliar che si presenta al debutto con un brano solare dal ritmo contagioso intitolato Rakete che lascia ben sperare per il futuro di questa band fondata dal cantante Aaron Neulichedl Timpone (vi chiedete se sia imparentato mitico Macao? Ebbene sì, è suo figlio!) e da Simon Maier: il loro repertorio basato su brani originali in tedesco e cover di varia estrazione accomunati dal sound del gruppo.

Meno scanzonato sicuramente è il brano pubblicato da Laura Mendola, cantante che dopo diverse esperienze e produzioni per festival, nonché studi mirati e collaborazioni, ha pubblicato da poco un video singolo sull’argomento sempre, purtroppo, attualissimo della violenza sulle donne: il titolo è Non è amore, e le immagini sono significativamente girate su una delle molte panchine rosse disseminate nel capoluogo.

Stefano Mascheroni ha colpito doppiamente invece, pubblicando dapprima l’EP #UnaCanzoneXvoi, in cui sono racchiuse quattro canzoni uscite come video nei mesi scorsi, il disco in formato fisico è invece disponibile in omaggio facendo una donazione al Centro di Tutela dei Diritti del Malato ODV, a cui Mascheroni è molto legato, e poi a pochi giorni di distanza postando su youtube Mille sguardi, nuovo brano dedicato agli operatori sociali.

Concludiamo questo giro di segnalazioni con il singolo La pluie collaborazione tra le due musiciste di Laives Isa e Dedi, che con questa collaborazione uniscono i loro percorsi musicali ad un’amicizia di lunga data visto che sono anche vicine di casa. Più votata al pop Isa, decisamente trapper Dedi, le due ragazze sono riuscite a miscelare bene le loro influenze e i loro diversi modi di fare musica creando un brano a suo modo suggestivo, soprattutto nella parte cantata, anche se pure quella trappata ha i suoi perché. La pluie, con le sue cupe atmosfere (la pioggia) è distante anni luce dalla solarità delle classiche canzoni natalizie, ma convince anche con la sua ironica copertina in cui le due titolari si riparano sotto due ombrellini parasole giapponesi: di carta naturalmente!

Autore: Paolo Crazy Carnevale

I fari nella notte

Anticipato da un singolo uscito lo scorso autunno, nelle ultime settimane del 2023 è stato messo online sulle piattaforme di streaming il disco di debutto della cantautrice bolzanina Alice Ravagnani, un EP composto di brani nuovi, rispetto a quelli registrati e postati nel 2022, intitolato Fari nella notte e frutto della collaborazione tra la giovane artista ed il produttore Mathis Carion.

“Con Mathis – racconta Alice – siamo entrati in contatto sin dalla nascita in realtà perché siamo amici di famiglia, in ambito musicale invece è stato tutto molto casuale. Ci siamo risentiti dopo tantissimo tempo perché volevo fargli un’intervista per BzNews24 per una rubrica dedicata ai giovani e al mondo del lavoro (intervista mai uscita perché ne avevo già fatte troppe in quel periodo, scusa Mathis ti voglio bene), scoprendo così che si occupava di musica. Da lì poi gli ho proposto di lavorare al mio progetto. Si tratta del mio primo EP e la sua realizzazione è stata bella impegnativa! Era la prima volta che provavo a scrivere in italiano e avevo quindi molte aspettative, oltre che ansie, riguardo ai testi che sarebbero poi nati per questi pezzi. Spesso mi capitava di buttare giù delle frasi e poi strappare il foglio e ricominciare tutto daccapo. Soprattutto WEH, da questo punto di vista è stata la canzone più complessa da realizzare, sia a livello di testo, sia a livello di linea vocale. Non riuscivo proprio a trovare una quadra, tant’è che ad un certo punto avevo anche pensato di lasciarla perdere e lavorare su qualcos’altro. Poi in realtà non so cosa sia successo, però son riuscita a far tornare tutto e a terminarla e ne sono davvero felice perché la adoro”.

Il brano in questione prende lo spunto da un brano di Whitney Houston e il titolo è poi l’acronimo del nome compreso di middle name dell’artista afroamericana, una delle fonti d’ispirazione di Alice Ravagnani, per sua stessa ammissione la più importante, ma non l’unica visto che non esita a mettere nella sua classifica personale anche la canadese Celine Dion, Nirvana, Patti Smith, Giorgia, Pink, Depeche Mode, Ernia, Elton John, Bryan Adams, Billy Joel, tanto per dire solo pochi e diversissimi nomi. La musica è senza dubbio, insieme al teatro, la passione principale di Alice, ma anche la danza ha la sua importanza, pur non avendola mai esplorata a fondo: è stata Valentina Furegato l’input che le serviva per avvicinarcisi. Valentina infatti, oltre ad aver ballato all’interno del videoclip di WEH (realizzato da Edoardo Giuriato, come tutti gli altri videoclip dell’EP) assieme a Sara Alice Ridolfi e alla stessa Alice, si è anche occupata di realizzarne la coreografia.

Ma la realizzazione dell’EP ha visto anche il coinvolgimento di altri amici e artisti.

“Ho chiesto al rapper trentino Malogrido di fare un pezzo assieme – prosegue a raccontarci – perché apprezzo molto il suo modo di porsi nei confronti della musica che produce, un po’ sperimentale diciamo. Occupandoci di due generi differenti non sapevo cosa potesse venire fuori, ma alla fine sperimentando è uscito un pezzo che comunque sento rappresenti una parte di me che forse se non fossi stata un po’ influenzata dal suo modo di fare musica, non sarebbe emersa. Ci sono poi Tea Ducato e Monika Callegaro, il loro contributo è stato sia un supporto morale, sia musicale. Oltre ad essere due persone a me care, sono anche due artiste che stimo moltissimo e quindi mi sono affidata a loro nei momenti in cui mi ritrovavo ad avere dubbi su qualche linea vocale o a livello di testo in alcuni pezzi. Diciamo che il loro contributo più sostanzioso è stato appunto per il brano Senza Cadere, in cui mi hanno aiutata a sistemare i cambi di tonalità e i passaggi vocali presenti all’interno del pezzo. Vocalmente credo sia quello più articolato e complesso del disco e i loro consigli sono stati fondamentali”.

Il disco viene presentato giovedì 25 gennaio con un release party live al PippoFoodChillStage, a Parco Petrarca. Alice sarà accompagnata da una super band composta da David Altieri, Mattia Mochen, Filippo Chiocchetti e Sara Alice Ridolfi. “Faremo sia pezzi miei – conclude –, sia cover che mi sono care e nel corso del concerto saliranno sul palco assieme a me alcuni ospiti: Tea Ducato, Valentina Furegato, Chiara Bega e Malogrido. Ad aprire la serata che inizierà alle 20.30 ci saranno alcuni giovani cantanti di MusicaBlu: Ethan Asper, Kamila Azizaj, Pietro Bonadio e Giorgio Maiorano. Non vedo l’ora!”

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Grazie alla musica

È iniziato il 2024. Coi botti. In alcune parti dell’emisfero con botti ben più terribili di quelli che si odono dalle nostre parti. Per la verità le premesse perché il 2024 sia un anno da ricordare in positivo son poche. Il panorama mondiale, nazionale, locale sembra toccare più il fondo ogni giorno che il cielo manda in terra. Per fortuna c’è la musica, quella non ha mai cessato di esserci e regalarci emozioni, senza dover essere per forza “la città della musica”.

Se il fine 2023 è stato per lo più caratterizzato da singole uscite, i primi mesi del 2024 saranno ricchi di novità e le uscite si preannunciano gustose, oltre che ricche.

Innanzitutto il ritorno dell’Andrea Maffei Spritzband, con ben due nuovi lavori realizzati grazie al crowdfunding: si badi bene, Andrea Maffei Spritzband, non Il suonatore Jones, con buona pace dei numerosi fan di Fabrizio De Andrè, che vorrebbero ascoltare da Maffei solo le cover del loro beniamino. Maffei e i suoi pard sono stati per anni alfieri delle proposte originali tra le leve musicali di questa provincia e il primo disco in cui il gruppo si toglie lo sfizio di omaggiare la canzone napoletana potrebbe essere in circolazione a giorni, l’altro sarà tutto composto da nuovi brani. Ci viene spontaneo di gridare: “Evviva!”

È già quasi pronto anche il nuovo disco dei romantici metallari della Bassa Atesina, i Feline Melinda, sulla breccia dagli anni ottanta e maestri nel confezionare canzoni di heavy metal melodico con chitarre affilate.

Mentre scriviamo, a Nashville, Tennessee, si sta effettuando il mix del nuovo disco di Hubert Dorigatti: il bluesman di Brunico è indubbiamente tra i più prolifici artisti altoatesini in questo momento e con un rapporto quantità/qualità mica da ridere. E per concludere annunciamo anche il secondo disco dei Flouraschworz, di cui pure ci occuperemo a breve.

Stary Most:dal passato con furore!

Quando nel 1980 nei negozi di dischi fece la sua comparsa No More Words, LP dei bolzanini Stary Most, non erano decisamente in molti gli artisti della nostra zona che riuscivano a farsi pubblicare un disco, soprattutto con l’ambizione di poterlo anche portare in giro dal vivo in altre regioni. La storia degli Stary Most e del loro disco, deve molto all’intraprendenza del vulcanico Peter Ghirardini, che registrò il disco nel suo studio di Via Palermo e lo pubblicò sulla sua piccola etichetta, riuscendo a farlo uscire dagli stretti confini regionali. In realtà, nonostante la determinazione, soprattutto da parte del chitarrista e autore Werner Bauhofer e del cantante Heinz Madder, la storia degli Stary Most non durò moltissimo, ma l’interesse per il loro disco ha continuato a rimanere alto, un po’ per il gusto della riscoperta da parte del pubblico del classic rock, un po’ per il collezionismo: sta di fatto che se voleste cercare una copia di quello storico lavoro vi trovereste a sborsare oggi cifre oscillanti tra i duecento e i quattrocentocinquanta euro!

“Quando l’ho scoperto – ci racconta Werner Bauhofer – sono rimasto di stucco, nel 1980, quando lo abbiamo registrato, credevamo sì nel nostro disco, ma che potesse avere una storia così era una cosa assolutamente non prevedibile. In particolare pare ci sia molta richiesta in estremo oriente! La cosa divertente è che la possibilità di ristamparlo si è materializzata grazie ad una piccola etichetta friulana che ci ha contattati per fare una pubblicazione come si deve: e il proprietario dell’etichetta è un vicino di casa di Peter Ghirardini, che ora vive a Udine ed è un vicino di casa del produttore della ristampa!”

Nel 1980, Bauhofer, dopo una breve militanza nella Hard Time Blues Band di Micheletti, suonava con una cover band che si esibiva regolarmente nei locali, dal lago di Caldaro alla Val Badia. Erano tempi in cui i DJ non avevano ancora preso così piede e i gestori preferivano un gruppo che suonasse le canzoni del momento. Nella band, che si chiamava Abraxas come il secondo disco di Santana, c’erano anche il batterista polacco Benny Zemmler, il chitarrista Jack Telser e il bassista meranese Hubi Weiss; contemporaneamente però, Werner, che suonava anche jazz rock col Quartetto Angolista Sferico, aveva anche cominciato a lavorare su del materiale originale con Madder, suonando in particolare come spalla per i gruppi in voga come Enigma, Otho Mollis e Artificial Joy.

“La vita degli Stary Most – prosegue il chitarrista – è stata breve, ma credo sia stata molto importante per tutti, personalmente credo di aver deciso proprio allora che la musica sarebbe diventata la mia professione, e avevo appena diciott’anni. Era entusiasmante venir chiamati a suonare fuori regione, in televisione, fare la spalla ai New Trolls: ci credevamo davvero che fosse possibile fare il salto, tra le altre cose avevamo inciso un demo per un contest per nuovi talenti bandito in Giappone dalla Yamaha. Quella canzone, che non figurava sul disco, è ora inclusa come bonus track nella ristampa”.

Ristampa che al momento in cui ci leggete dovrebbe già essere disponibile sulle piattaforme online e con i primi mesi del 2024 sarà anche presente nei negozi in formato solido su CD, solamente con una nuova copertina, conditio sine qua non imposta da Werner a cui la copertina originale non era mai piaciuta. E non si può dargli torto, visto che il disegno non aveva nulla a che vedere col rock virato hard che suonavano gli Stary Most.

“Quando Gianluca Sinicco, il nuovo produttore, ci ha contattati – spiega Bauhofer – avevamo temuto che fosse una di quelle operazioni in cui ti propongono la ristampa a spese tue, una volta capito che non era così, l’idea ci è piaciuta e ci siamo buttati a capofitto nel progetto. Il vecchio master è stato rimasterizzato e ora siamo pronti per la distribuzione. Tra l’altro riascoltando i miei vecchi brani col senno di poi, trovo che ci fosse del buono anche nei testi, No More Words è una storia di solitudine e degrado sociale che trovo molto attuale, On My Own è invece dedicata a Enrico Micheletti, Overload Question era invece dettata dall’allora diffusissima passione per l’ufologia, Metropolitan Blues contrapponeva la Bolzano dormiente dell’epoca alle grandi città mentre Sunrise si riferiva ad un’alba vista da Heinz e me al lago di Carezza dove avevamo dormito in macchina dopo un concerto in zona!”

Questo per quanto riguarda la ristampa, ma in casa Stary Most si sta muovendo anche dell’altro, rimanete sintonizzati.

Autore: Paolo Crazy Carnevale