I fari nella notte

Anticipato da un singolo uscito lo scorso autunno, nelle ultime settimane del 2023 è stato messo online sulle piattaforme di streaming il disco di debutto della cantautrice bolzanina Alice Ravagnani, un EP composto di brani nuovi, rispetto a quelli registrati e postati nel 2022, intitolato Fari nella notte e frutto della collaborazione tra la giovane artista ed il produttore Mathis Carion.

“Con Mathis – racconta Alice – siamo entrati in contatto sin dalla nascita in realtà perché siamo amici di famiglia, in ambito musicale invece è stato tutto molto casuale. Ci siamo risentiti dopo tantissimo tempo perché volevo fargli un’intervista per BzNews24 per una rubrica dedicata ai giovani e al mondo del lavoro (intervista mai uscita perché ne avevo già fatte troppe in quel periodo, scusa Mathis ti voglio bene), scoprendo così che si occupava di musica. Da lì poi gli ho proposto di lavorare al mio progetto. Si tratta del mio primo EP e la sua realizzazione è stata bella impegnativa! Era la prima volta che provavo a scrivere in italiano e avevo quindi molte aspettative, oltre che ansie, riguardo ai testi che sarebbero poi nati per questi pezzi. Spesso mi capitava di buttare giù delle frasi e poi strappare il foglio e ricominciare tutto daccapo. Soprattutto WEH, da questo punto di vista è stata la canzone più complessa da realizzare, sia a livello di testo, sia a livello di linea vocale. Non riuscivo proprio a trovare una quadra, tant’è che ad un certo punto avevo anche pensato di lasciarla perdere e lavorare su qualcos’altro. Poi in realtà non so cosa sia successo, però son riuscita a far tornare tutto e a terminarla e ne sono davvero felice perché la adoro”.

Il brano in questione prende lo spunto da un brano di Whitney Houston e il titolo è poi l’acronimo del nome compreso di middle name dell’artista afroamericana, una delle fonti d’ispirazione di Alice Ravagnani, per sua stessa ammissione la più importante, ma non l’unica visto che non esita a mettere nella sua classifica personale anche la canadese Celine Dion, Nirvana, Patti Smith, Giorgia, Pink, Depeche Mode, Ernia, Elton John, Bryan Adams, Billy Joel, tanto per dire solo pochi e diversissimi nomi. La musica è senza dubbio, insieme al teatro, la passione principale di Alice, ma anche la danza ha la sua importanza, pur non avendola mai esplorata a fondo: è stata Valentina Furegato l’input che le serviva per avvicinarcisi. Valentina infatti, oltre ad aver ballato all’interno del videoclip di WEH (realizzato da Edoardo Giuriato, come tutti gli altri videoclip dell’EP) assieme a Sara Alice Ridolfi e alla stessa Alice, si è anche occupata di realizzarne la coreografia.

Ma la realizzazione dell’EP ha visto anche il coinvolgimento di altri amici e artisti.

“Ho chiesto al rapper trentino Malogrido di fare un pezzo assieme – prosegue a raccontarci – perché apprezzo molto il suo modo di porsi nei confronti della musica che produce, un po’ sperimentale diciamo. Occupandoci di due generi differenti non sapevo cosa potesse venire fuori, ma alla fine sperimentando è uscito un pezzo che comunque sento rappresenti una parte di me che forse se non fossi stata un po’ influenzata dal suo modo di fare musica, non sarebbe emersa. Ci sono poi Tea Ducato e Monika Callegaro, il loro contributo è stato sia un supporto morale, sia musicale. Oltre ad essere due persone a me care, sono anche due artiste che stimo moltissimo e quindi mi sono affidata a loro nei momenti in cui mi ritrovavo ad avere dubbi su qualche linea vocale o a livello di testo in alcuni pezzi. Diciamo che il loro contributo più sostanzioso è stato appunto per il brano Senza Cadere, in cui mi hanno aiutata a sistemare i cambi di tonalità e i passaggi vocali presenti all’interno del pezzo. Vocalmente credo sia quello più articolato e complesso del disco e i loro consigli sono stati fondamentali”.

Il disco viene presentato giovedì 25 gennaio con un release party live al PippoFoodChillStage, a Parco Petrarca. Alice sarà accompagnata da una super band composta da David Altieri, Mattia Mochen, Filippo Chiocchetti e Sara Alice Ridolfi. “Faremo sia pezzi miei – conclude –, sia cover che mi sono care e nel corso del concerto saliranno sul palco assieme a me alcuni ospiti: Tea Ducato, Valentina Furegato, Chiara Bega e Malogrido. Ad aprire la serata che inizierà alle 20.30 ci saranno alcuni giovani cantanti di MusicaBlu: Ethan Asper, Kamila Azizaj, Pietro Bonadio e Giorgio Maiorano. Non vedo l’ora!”

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Grazie alla musica

È iniziato il 2024. Coi botti. In alcune parti dell’emisfero con botti ben più terribili di quelli che si odono dalle nostre parti. Per la verità le premesse perché il 2024 sia un anno da ricordare in positivo son poche. Il panorama mondiale, nazionale, locale sembra toccare più il fondo ogni giorno che il cielo manda in terra. Per fortuna c’è la musica, quella non ha mai cessato di esserci e regalarci emozioni, senza dover essere per forza “la città della musica”.

Se il fine 2023 è stato per lo più caratterizzato da singole uscite, i primi mesi del 2024 saranno ricchi di novità e le uscite si preannunciano gustose, oltre che ricche.

Innanzitutto il ritorno dell’Andrea Maffei Spritzband, con ben due nuovi lavori realizzati grazie al crowdfunding: si badi bene, Andrea Maffei Spritzband, non Il suonatore Jones, con buona pace dei numerosi fan di Fabrizio De Andrè, che vorrebbero ascoltare da Maffei solo le cover del loro beniamino. Maffei e i suoi pard sono stati per anni alfieri delle proposte originali tra le leve musicali di questa provincia e il primo disco in cui il gruppo si toglie lo sfizio di omaggiare la canzone napoletana potrebbe essere in circolazione a giorni, l’altro sarà tutto composto da nuovi brani. Ci viene spontaneo di gridare: “Evviva!”

È già quasi pronto anche il nuovo disco dei romantici metallari della Bassa Atesina, i Feline Melinda, sulla breccia dagli anni ottanta e maestri nel confezionare canzoni di heavy metal melodico con chitarre affilate.

Mentre scriviamo, a Nashville, Tennessee, si sta effettuando il mix del nuovo disco di Hubert Dorigatti: il bluesman di Brunico è indubbiamente tra i più prolifici artisti altoatesini in questo momento e con un rapporto quantità/qualità mica da ridere. E per concludere annunciamo anche il secondo disco dei Flouraschworz, di cui pure ci occuperemo a breve.

Stary Most:dal passato con furore!

Quando nel 1980 nei negozi di dischi fece la sua comparsa No More Words, LP dei bolzanini Stary Most, non erano decisamente in molti gli artisti della nostra zona che riuscivano a farsi pubblicare un disco, soprattutto con l’ambizione di poterlo anche portare in giro dal vivo in altre regioni. La storia degli Stary Most e del loro disco, deve molto all’intraprendenza del vulcanico Peter Ghirardini, che registrò il disco nel suo studio di Via Palermo e lo pubblicò sulla sua piccola etichetta, riuscendo a farlo uscire dagli stretti confini regionali. In realtà, nonostante la determinazione, soprattutto da parte del chitarrista e autore Werner Bauhofer e del cantante Heinz Madder, la storia degli Stary Most non durò moltissimo, ma l’interesse per il loro disco ha continuato a rimanere alto, un po’ per il gusto della riscoperta da parte del pubblico del classic rock, un po’ per il collezionismo: sta di fatto che se voleste cercare una copia di quello storico lavoro vi trovereste a sborsare oggi cifre oscillanti tra i duecento e i quattrocentocinquanta euro!

“Quando l’ho scoperto – ci racconta Werner Bauhofer – sono rimasto di stucco, nel 1980, quando lo abbiamo registrato, credevamo sì nel nostro disco, ma che potesse avere una storia così era una cosa assolutamente non prevedibile. In particolare pare ci sia molta richiesta in estremo oriente! La cosa divertente è che la possibilità di ristamparlo si è materializzata grazie ad una piccola etichetta friulana che ci ha contattati per fare una pubblicazione come si deve: e il proprietario dell’etichetta è un vicino di casa di Peter Ghirardini, che ora vive a Udine ed è un vicino di casa del produttore della ristampa!”

Nel 1980, Bauhofer, dopo una breve militanza nella Hard Time Blues Band di Micheletti, suonava con una cover band che si esibiva regolarmente nei locali, dal lago di Caldaro alla Val Badia. Erano tempi in cui i DJ non avevano ancora preso così piede e i gestori preferivano un gruppo che suonasse le canzoni del momento. Nella band, che si chiamava Abraxas come il secondo disco di Santana, c’erano anche il batterista polacco Benny Zemmler, il chitarrista Jack Telser e il bassista meranese Hubi Weiss; contemporaneamente però, Werner, che suonava anche jazz rock col Quartetto Angolista Sferico, aveva anche cominciato a lavorare su del materiale originale con Madder, suonando in particolare come spalla per i gruppi in voga come Enigma, Otho Mollis e Artificial Joy.

“La vita degli Stary Most – prosegue il chitarrista – è stata breve, ma credo sia stata molto importante per tutti, personalmente credo di aver deciso proprio allora che la musica sarebbe diventata la mia professione, e avevo appena diciott’anni. Era entusiasmante venir chiamati a suonare fuori regione, in televisione, fare la spalla ai New Trolls: ci credevamo davvero che fosse possibile fare il salto, tra le altre cose avevamo inciso un demo per un contest per nuovi talenti bandito in Giappone dalla Yamaha. Quella canzone, che non figurava sul disco, è ora inclusa come bonus track nella ristampa”.

Ristampa che al momento in cui ci leggete dovrebbe già essere disponibile sulle piattaforme online e con i primi mesi del 2024 sarà anche presente nei negozi in formato solido su CD, solamente con una nuova copertina, conditio sine qua non imposta da Werner a cui la copertina originale non era mai piaciuta. E non si può dargli torto, visto che il disegno non aveva nulla a che vedere col rock virato hard che suonavano gli Stary Most.

“Quando Gianluca Sinicco, il nuovo produttore, ci ha contattati – spiega Bauhofer – avevamo temuto che fosse una di quelle operazioni in cui ti propongono la ristampa a spese tue, una volta capito che non era così, l’idea ci è piaciuta e ci siamo buttati a capofitto nel progetto. Il vecchio master è stato rimasterizzato e ora siamo pronti per la distribuzione. Tra l’altro riascoltando i miei vecchi brani col senno di poi, trovo che ci fosse del buono anche nei testi, No More Words è una storia di solitudine e degrado sociale che trovo molto attuale, On My Own è invece dedicata a Enrico Micheletti, Overload Question era invece dettata dall’allora diffusissima passione per l’ufologia, Metropolitan Blues contrapponeva la Bolzano dormiente dell’epoca alle grandi città mentre Sunrise si riferiva ad un’alba vista da Heinz e me al lago di Carezza dove avevamo dormito in macchina dopo un concerto in zona!”

Questo per quanto riguarda la ristampa, ma in casa Stary Most si sta muovendo anche dell’altro, rimanete sintonizzati.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Manuel Randi e Alex Trebo:la “talèa” della rigenerazione

Un nome decisamente azzeccato quello scelto dai due musicisti altoatesini per intitolare il loro nuovo, fresco, spumeggiante disco come duo. La talèa, in botanica, è quel frammento di pianta che separato dalla pianta madre, piantato e curato, dà vita ad un nuovo esemplare. Randi, bolzanino di stanza a Marlengo, e Trebo, badioto residente a Berlino, si conoscono e si frequentano da anni, hanno anche già registrato insieme nell’ambito di vari progetti, da Play, condiviso con Max Castlunger, alle numerose collaborazioni in seno alle creature musicali di Herbert Pixner (entrambi sono componenti irrinunciabili della Italo Connection, Randi è poi da anni nel Pixner Projekt, che l’anno prossimo si allargherà a quintetto proprio con l’ingresso di Trebo).

È stato però durante il periodo di clausura imposto dal Covid-19 che ha preso forma questa nuova proposta dalla natura assolutamente speciale e unica, in cui il primo ha messo da parte Fender e amplificatore e il secondo ha staccato la spina alle sue tastiere vintage per sedersi al pianoforte e dare vita ad un’esperienza coinvolgente di musica totale che sfugge ad ogni definizione ma brilla per bellezza e piacevolezza.

“Alex ed io – ci racconta Randi – pur avendo lavorato insieme in diversi frangenti abbiamo sempre avuto voglia di fare una cosa insieme con chitarra acustica o classica e pianoforte, senza veli… Alex è un musicista completo, è un bravissimo jazzista, conosce il repertorio classico, è un ottimo arrangiatore. Quando suona qualcosa, nella sua testa la sta già arrangiando. È coautore delle partiture per orchestra usati dall’Herbert Pixner Projekt per il tour con i Berliner Symphoniker. Suonare con lui è un piacere”.

Il disco realizzato dai due è una raccolta di dieci brani, alcuni composti durante la reclusione forzata, alcuni altri scritti in precedenza, e ce n’è anche uno composto in collaborazione. Una volta messo assieme il materiale, Trebo e Randi hanno dovuto trovare il tempo per trovarsi e provarlo insieme, cosa non scontata visto che una volta passato il periodo duro, per entrambi l’attività concertistica o comunque legata alla musica, è ripresa a spron battente. Banco di prova di Talèa sono stati un paio di concerti (sold out) a Monaco, accolti talmente bene da convincere i due a trovare ulteriore tempo per registrarli professionalmente.

“Diciamo – prosegue il chitarrista bolzanino – che entrambi abbiamo scritto i brani proprio in funzione della collaborazione. Io pensando ad Alex e lui pensando a me, trascrivendoli fin dall’inizio, per avere delle tracce precise, poi ci siamo presi due giorni per andare in studio e registrare il tutto. Il Cat Sound Studio è un luogo in cui abbiamo già avuto modo di lavorare, ci siamo recati a Badia Polesine, dove lo studio ha sede e lì è stato messo per così dire, nero su bianco. Senza fronzoli, senza click, in tutta spontaneità. Quello che volevamo era fare un disco che si possa ascoltare, senza che l’ascoltatore debba per forza essere dentro i vari generi musicali che fanno parte del nostro background, che sia il jazz, la musica mediterranea, Bach o le colonne sonore dei film italiani. Trovo che sia un lavoro molto equilibrato”.

L’ascolto del disco, conferma le parole di Manuel Randi, la sequenza dei brani funziona a meraviglia, i due professionisti hanno un’intesa ineccepibile, nessuno dei due cerca di fare più dell’altro, di mettersi in mostra: d’altronde non ne hanno alcun bisogno. Il pianoforte di Trebo sa stare al suo posto quando è Randi a lanciare un assolo, viceversa la chitarra di quest’ultimo si adegua ritmicamente quando a prendere il largo è la tastiera del compare.

“Il disco – conclude Randi – lo presenteremo il 15 dicembre prossimo, alle 20, presso l’Haus der Kultur di Bolzano. Ovviamente rispetto al disco, nei concerti viene fuori molto altro, c’è la parte tecnica, e c’è quella fisica della performance. Poi c’è anche la sfida di salire su un palco proponendosi con due strumenti che a detta di molti non stanno bene assieme, perché chitarra e pianoforte sono due strumenti a corda, si annullano… non è una cosa facile da combinare. Noi però la cosa l’abbiamo già collaudata e non la vediamo come un problema”.

E non si fa fatica a credere alle parole di Manuel Randi, che nel frattempo ha già cominciato a registrare il suo nuovo disco da titolare unico, oltre che ad essere pronto per imbarcarsi in un tour europeo con la Italo Connection a gennaio e di seguito a prepararsi per quello dell’Herbert Pixner Projekt in versione quintetto, con Trebo appunto in entrambe le situazioni.

Autore: Paollo Crazy Carnevale

Le offerte creative del (gruppo o collettivo) Supermarket

A chi segue le vicende della scena musicale bolzanina non può essere sfuggito che nonostante l’offerta sia ostentatamente ricca, per un buon ottanta percento le produzioni dei nostri artisti, soprattutto quelli più giovani, sono storie solitarie, costruite spesso davanti allo schermo di un computer, con l’ausilio di mezzi modernissimi e accessibilissimi che rendono sempre più semplice la realizzazione di un brano arrangiato e pronto ad essere consumato.

È un po’ sparito il concetto di musica d’insieme, di gruppo, non vogliamo fare riferimento all’epoca dei complessi beat, ma il fare musica è sempre stato un affare collettivo, anche per i cantautori.
Nel nuovo mondo sembra che ci sia sempre meno spazio per le band, soprattutto, come si notava poc’anzi nell’ambito dei giovanissimi.
Tra coloro che fanno eccezione ci vengono in mente Shanti Powa e Polemici, che pur non essendo più ragazzini, fanno una musica indirizzata ad un pubblico che conta anche teenager.
E poi c’è il Supermarket. O se preferite ci sono i Supermarket: a seconda che vogliamo considerare la formazione un gruppo o un collettivo aperto.
L’idea è saltata fuori poco più di un anno fa, anche se le basi sono state gettate al termine della pandemia e i due padri fondatori sono Marco Di Stasio e Thomas Traversa.
“Diciamo che i primi passi li abbiamo fatti una volta calmatasi l’emergenza – ci racconta Di Stasio –, eravamo stati costretti in casa troppo a lungo e avevamo voglia di socialità. A me e Thomas piaceva fare musica e ci siamo riproposti di fare qualcosa insieme, nella sua saletta. In più abbiamo una certa familiarità con i computer. Ognuno di noi sapeva delle cose diverse e abbiamo cercato di mettere insieme le nostre conoscenze. Poi, sentendo di pari passo anche il bisogno di fare aggregazione, ci siamo messi in cerca di altri ragazzi con le stesse esigenze”.
“L’idea era di mettere insieme un gruppo di persone accomunate dall’interesse e dall’amore per la musica, senza per forza essere una band – aggiunge Traversa –. Un gruppo di appassionati di musica per intenderci, con cui trovarci, condividere ascolti ed esperienze e, perché no, fare anche musica insieme”.
Nel giro di un mese il collettivo era già bell’e che formato, Thomas, Marco e gli amici che erano riusciti a raccogliere per il loro progetto hanno cominciato a trovarsi, grazie all’associazione Be Young hanno potuto avere a disposizione degli spazi più capienti rispetto alla saletta di Traversa; hanno cominciato a scrivere le proprie canzoni, per lo più in italiano e, secondo un cliché abbastanza comune, nello stile parlato derivato dai rapper, con la differenza però che la musica è tutta suonata dal vivo, con l’aiuto delle tecnologie soprattutto per creare i suoni, certo, ma comunque destinata ad essere eseguita con l’aiuto di una band, come accade nei loro concerti e con l’obiettivo di essere in tanti sul palco.
“Anche se alla base per ogni brano c’è comunque un autore principale – prosegue Traversa –, nell’esecuzione cerchiamo di avere una persona che si occupa della strofa, un’altra che canta il ritornello e via dicendo, nell’intensa stagione live che abbiamo trascorso prima di realizzare il nostro disco, abbiamo strutturato gli spettacoli lasciando all’inizio a ciascuno lo spazio per proporre tre brani, cercando poi di concentrare il resto dello show sulle collaborazioni”.
Alla fine dell’estate è infatti stato pubblicato on line il primo disco del Supermarket, una raccolta di otto brani originali in cui ciascuno contribuisce con la propria cifra artistica, chi cantando, chi scrivendo, chi anche solo sedendo in regia a produrre. Sempre senza perdere di vista l’obiettivo di divertirsi passando del tempo assieme.
“Un esempio di come funzioni il nostro modo di lavorare – è di nuovo Di Stasio a parlare – è verificabile in un brano come Maniche larghe, che è stato prodotto da Thomas, si tratta di un pezzo elettronico, quasi house, ovvero di un genere con cui prima Thomas ha davvero avuto poco a che fare: la frequentazione del collettivo, Fanta, Iando e gli altri hanno reso naturale il suo cimentarsi con una cosa diversa da quelle che aveva fatto fino ad ora”.
Il messaggio è chiaro, Supermarket (Supermarket vol.1 è il significativo titolo del disco e un carrello per la spesa è il simbolo di questi ragazzi) è un gruppo di amici che ama passare tempo insieme facendo musica.
Il nome poi è quanto mai esplicito e indica un contenitore capace di avere dentro di sé tutti i vari prodotti musicali scaturiti da ogni componente, proprio come lo scaffale di un supermercato.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Il groove in crescita della Jugendbigband Südtirol

Sono trascorsi dieci anni da quando Helga Plankensteiner, musicista, cantante, insegnante di musica tra le più note nel panorama jazzistico, ha avuto l’idea di mettere insieme una poliedrica formazione con le caratteristiche delle storiche big band a base di fiati. Diciamo subito che il nome del gruppo è riduttivo rispetto a quello che questa band è in realtà, visto e considerato che la partecipazione non è solo limitata e riservata ai ragazzi della provincia di Bolzano.

“L’idea di partenza – ci racconta la Plankensteiner – è stata quella di portare la musica jazz in un ambito in cui non era conosciuta o suonata, con l’intento di diffonderla e possibilmente raggiungere il risultato di farla piacere ai giovani. All’inizio non è stato facile, abbiamo fatto delle audizioni, e il livello non era proprio altissimo, ma si è capito da subito che qualcuno con le giuste doti, c’era. E questo ci ha spinto ad andare avanti”.
In una regione come la nostra, in cui molti ragazzi cominciano da piccoli a suonare uno strumento a fiato, magari per entrare nella banda musicale del paese, ci sono decine di possibili futuri membri di una big band come questa. Con un lavoro meticoloso per trasmettere agli allievi la sua passione, Helga Plankensteiner è riuscita nell’intento di assemblare un numero sufficenti di allievi interessati al jazz e al progetto.
“La nostra orchestra è costantemente in crescita e mutante – prosegue la musicista – dei tre ragazzi più dotati dei nostri albori, due sono ancora con noi, altri se ne sono aggiunti e tra una difficoltà e l’altra siamo riusciti fin dal primo anno a farli suonare in pubblico, nonostante fossero allievi che provenivano da varie zone della regione, con distanze chilometriche notevoli da coprire per poter partecipare a prove e concerti. Devo dire che abbiamo avuto la fortuna che per molti di loro ci fossero anche dei genitori molto disponibili ad accompagnarli.”
In questi giorni è uscito un doppio CD che celebra il decennale della Jugendbigband Südtirol, intitolato significativamente Groove’n’Grow: vi sono raccolte due performance, una registrata nel febbraio scorso in studio a Campo Tures ed una dal vivo presso l’auditorium della RAI nel novembre del 2019. La particolarità del progetto, sia dell’orchestra che del disco, è che oltre a puntare sul talento di questi giovani musicisti, alcuni sono ancora teenager, altri hanno poco più di vent’anni, è il fatto di aver scommesso su un repertorio basato sulle composizioni di musicisti e autori della nostra regione, per valorizzarne il lavoro.
“Per me è stata molto importante questa scelta – precisa Helga –, con una big band di giovani provenienti da Alto Adige e Trentino mi è sembrato naturale valorizzare la musica scritta da autori di queste regioni e del Tirolo. Mi piace molto il concetto di Euregio e ho voluto metterlo alla base del mio lavoro. Non è stato possibile inserire nel disco tutti i compositori di cui la band ha eseguito le musiche in questi dieci anni, ma nel disco ci sono composizioni di Stefano Colpi, di Michl Lösch, Fiorenzo Zeni, Martin Ohrwalder, Demetrio Bonvecchio e altri, inclusa me. Ovviamente ho dovuto fare delle selezioni, ci sono brani che sono composti per formazioni d’altro tipo, come trio, quartetto e via dicendo. Una big band è qualcosa di diverso. Qualcosa è stato composto e arrangiato appositamente per noi, per qualcos’altro ci siamo dovuti adattare. E abbiamo anche avuto la soddisfazione di vincere un concorso indetto dalla SIAE, cosa che ci ha permesso di tenere parecchi concerti quell’anno. Sono ragazzi molto simpatici, umani, bravi; il dilemma è che ora molti sono andati via per studiare e trovarsi per fare i concerti è sempre più difficile”.
Il disco verrà presentato il 24 novembre prossimo, la mattina con un concerto per le scuole, la sera con uno nell’ambito della rassegna del Laurin, a Bolzano: sarà un’occasione per ascoltare una piccola grande realtà della musica regionale.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Intingoli di fine stagione

L’estate appena conclusa, in attesa delle proposte musicali autunnali (l’autunno è sempre stato, tradizionalmente, il momento delle uscite discografiche da lanciare in vista del Natale imminente) ci ha consegnato una manciata di nuovi singoli che è opportuno tenere d’occhio, anche perché in più d’un caso si tratta di anticipazioni riguardanti lavori più completi.

Imperdibile è il nuovo singolo di Hubert Dorigatti, Talking Down (youtu.be/iow6Dw4q31Q): il chitarrista pusterese, tra un concerto e l’altro, oltre a dedicarsi alla costruzione della sua casa, sempre documentata via social, ha registrato questo singolo rispolverando per l’occasione la denominazione Bayou Side, usata per il suo ottimo disco del 2017. L’intuizione molto interessante di Dorigatti, è stata quella di usare come strumento di complemento alla sua sempre apprezzata chitarra, anche uno strumento atipico come la tuba: per l’occasione è stato coinvolto il musicista austriaco Christian Deimbacher mentre la batteria è stata suonata da Matthias Bäuerlein. Il risultato è un brano di blues dalle atmosfere funky che ricorda esperimenti analoghi fatti oltre cinquant’anni fa dal grande Taj Mahal. Esperimenti che agli occhi di Dorigatti, che oltre che un chitarrista sopraffino è anche un filologo della materia, non potevano passare inosservati. E mentre stiamo pubblicando queste righe, la notizia bomba è che il nostro, con la band al completo si trova a Nashville per registrare un EP sotto la produzione di Zach Allen, esperto producer che ha lavorato con Keb Mo’, pochi anni fa titolare di un disco proprio con Taj Mahal, ecco così che il cerchio con perfezione si va a chiudere.

Su un fronte musicale decisamente diverso troviamo la piacevolissima sorpresa del nuovo singolo degli Skankin’ Drops, una delle più interessanti formazioni reggae della nostra regione. Aizzate è il loro brano disponibile da circa metà estate (skankindrops.bandcamp.com/track/aizzate) ed è la conferma della sempreverde vena creativa di questa formazione. Il singolo, prodotto dai loro amici Shanti Powa (il sassofonista salentino Angelo Ippati è da qualche tempo in entrambe le band), è un contagioso brano in dialetto napoletano che è già diventato un highlight nei concerti degli Skankin’ Drops, grazie al suo ritmo dondolante, con assoli di chitarra e sax che contornano un testo non casuale che è un’incitazione a svegliarsi, alzarsi, reagire. In linea con l’impegno che non è mai mancato alla musica di questo gruppo in costante crescita artistica.

Blues Lee (youtu.be/p6HWp1N72co) e Mi manchi (youtu.be/nkG_Hm8gmuA) sono invece i nuovi singoli (rigorosamente in formato video) dei But Beautiful, trio pop rock dalle interessanti idee: costruito su una base musicale molto essenziale su cui i componenti si destreggiano cantando e dedicandosi a tutti gli strumenti. Uscite a poche settimane di distanza le due canzoni offrono una buona panoramica del raggio d’azione del gruppo che può contare sull’eterea e originale voce di Elisabeth Pichler, sulle tastiere di Carl Pfeil e su chitarra e batteria di Andreas Mair. Questi ragazzi dimostrano di essere a proprio agio cantando in qualunque lingua e le loro composizioni risultano del tutto convincenti.

Concludiamo con la segnalazione del nuovo video di Alice Ravagnani che torna con un nuovo brano intitolato Senza cadere (youtu.be/mBAEyy2ksvk) pubblicato a fine settembre. La cantautrice (ma non solo) bolzanina, dopo le prime canzoni prodotte con l’aiuto di Mattia Mariotti, sta da un po’ lavorando con Mathis Carion e c’è in vista la realizzazione di un EP a cui parteciperanno anche diversi musicisti locali, anche se i nomi non sono ancora stati resi pubblici. Le premesse promesse da questo singolo dal testo molto personale creano comunque grandi aspettative.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Giulia Martinelli è Giulia Olivia:una cantautrice in rosso

Il rosso è il suo colore preferito, lo si era capito da tempo, e come nelle copertine dei dischi precedenti, torna nell’abito indossato da Giulia nella foto che la ritrae in questo EP nuovo di zecca, uscito lo scorso 28 settembre.

Il nuovo CD della cantautrice meranese giunge dopo una pausa di oltre quattro anni, tanta è la distanza dal precedente Wanderlust, anche se in mezzo ci sono stati i singoli The Crown e Mentiroso, inediti su supporto fisico, e più recentemente quelli che figurano su questo nuovo Roller Coaster Ride, il cui titolo è un po’ il riassunto della vita di Giulia Martinelli in questi ultimi anni, quattro lunghi anni che l’hanno messa alla prova, non solo riguardo alla sua volontà di proseguire con l’attività di cantautrice, anni in cui ha dovuto fare i conti col fatto che la vita è un po’ come le montagne russe del titolo.

“Questo lungo intervallo – ci racconta – è un po’ dovuto anche al fatto che ho una facilità di scrittura quasi eccessiva, le canzoni mi vengono fuori con una facilità estrema. Ne riempio i cassetti e poi però ho la tendenza a lasciarle lì, considerandole cose mie. Sono canzoni che vengono direttamente dall’anima e dal cuore e a volte ho paura che il condividerle mi sottoponga a opinioni e di conseguenza a critiche. E non sono sempre sicura di essere pronta ad accettarle. Ecco perché è trascorso tanto tempo dal disco precedente, tra un ripensamento e l’altro, col timore che avrei potuto fare di meglio. Su ogni brano ci lavoro davvero molto, dal far leggere un testo a persone di madrelingua, dallo studiare l’intonazione e la dizione, ora comunque il disco è qui e tutto sommato va bene così, alla fine è prevalsa l’idea che la condivisione va bene, anche perché mi è stato fatto notare che se i cantanti che mi piacciono si facessero gli stessi problemi, sarei la prima a dispiacersi molto per non aver potuto avere in condivisione le loro canzoni”.

Rispetto ai lavori precedenti, Giulia dopo aver registrato a Milano e Bolzano, stavolta si è affidata alle cure del produttore bolognese Riccardo Cesari. 

La modalità di lavoro è comunque già tutta nella testa della cantautrice, che quando consegna al produttore i brani sa già in qualche modo come vorrebbe sentirli suonare, anche sperimentando di proposito, come avviene in questo EP in cui particolarmente nel brano For Myself e nella title track vengono adottate sonorità più virate verso l’elettronica e con strizzate d’occhio al pop rispetto ai lavori precedenti, ma proprio nel brano che titola l’EP fanno capolino anche suggestioni insolitamente rock.

Dead End Street, il brano più antico del nuovo lavoro è forse quello dalle atmosfere più cupe, mentre con il suo arrangiamento quasi calypso, e quindi solare per definizione, Supergirl è indubbiamente quello che potremmo definire il singolo trainante. 

Autentica novità è poi il cambio di denominazione dell’artista, che dopo tre EP come Giulia Martinelli ha adottato il nome d’arte di Giulia Olivia.

“La storia del nome d’arte è una storia che ho sempre avuto in mente, soprattutto per il fatto che Giulia Martinelli è un nome molto comune, ho davvero tantissime omonime, così tante che più d’una volta mi sono ritrovata taggata in post o addirittura invitata ad eventi da gente che pensava di aver invitato un’altra Giulia. Olivia suona bene accanto a Giulia, c’è una buona assonanza ed è un nome che mi piace. E poi c’è il fatto che sono convinta di non essere sempre la stessa persona, non mi sento ogni giorno nello stesso modo e anche le mie canzoni sono così, diverse. Nel disco canto che la vita è come le montagne russe, ci sono gli alti e i bassi, è stato bruttissimo prenderne atto, ma ora so che se i bassi non li posso eliminare, ci posso però lavorare su e soprattutto posso imparare a godermi i momenti belli della vita, cosa che non è assolutamente automatica.”

Autore: Paolo Crazy Carnevale

L’uomo dietro i cursori: Fabrizio Dall’Oca

Il volto sornione contornato da una barba bionda e un sorriso nascosto da baffi e occhiali di Fabrizio Dall’Oca è un volto familiare per chi è cresciuto frequentando i concerti delle band locali da metà anni settanta e, per i vent’anni successivi, e per chi si è recato alle serate dedicate alla musica jazz nelle stagioni musicali di Carambolage e Laurin. 

Fabrizio è nato professionalmente insieme ai suoi coetanei che si facevano le ossa suonando: lui se le è fatte smanettando sui cursori e potenziometri maturando l’idea che quello era il lavoro che voleva fare da grande. Ora, che grande è diventato ed è addirittura pensionato, continua ad essere il fonico esclusivo del poliedrico jazzista Paolo Fresu, coronando un sogno e una lunga carriera.

“Ho cominciato dando una mano ad una band di amici che si chiamava Otho Mollis – ci racconta il fonico – si andava in giro con due piccole casse e con un mixerino da otto canali che ci sembrava il non plus ultra, quando siamo passati al sedici canali ci sembrava di avere una cosa incredibile, il tutto era molto empirico visto che comunque si partiva da zero; all’epoca non c’erano scuole per imparare questo mestiere e ci siamo letteralmente fatti le ossa. Io e loro. Se pensi che tutto era cominciato ascoltando i dischi in vinile a casa, cercando di capire come facessero i suoni ad uscire in un determinato modo. Da lì si è arrivati all’idea di fornire un service, come si suol dire, il più professionale possibile”.

Nella Bolzano di fine anni settanta, l’idea di un’amplificazione per concerti di tipo professionale era pura fantascienza, quando il Fabrizio Dall’Oca e il gruppo denominato La Stanza pensarono di lanciarsi in questa avventura con intenti seri e costituendosi in un’associazione culturale che promuoveva e allestiva concerti fornendo anche l’amplificazione, la cosa era una novità assoluta e totale.

“Si trattava soprattutto di musica jazz – prosegue Dall’Oca – un genere che mi è sempre piaciuto, anche se come tutti anch’io sono partito dal rock. Ogni luogo era buono per organizzare una serata, ricordo che con il Circolo La Comune capitava di amplificare concerti in aule scolastiche. Adesso certe situazioni di allora sarebbero improponibili, ma a quell’epoca non c’erano legislazioni né tantomeno limitazioni in campo di sicurezza sul lavoro. Si arrivava sul posto col furgone, si scaricava, si montava e via… Anno dopo anno invece è diventato tutto più controllato, a partire dai permessi, dalle perizie specialistiche sull’idoneità di luoghi e impianti”.

La passione per il jazz, fece sì che Dall’Oca si ritrovasse insieme ad un amico e collega bolognese ad amplificare il concerto di Miles Davis al Paladozza nel novembre del 1986: un salto notevole per il giovane fonico bolzanino. Da lì al trovarsi coinvolto nel calderone di Umbria Jazz il passo è stato breve: “Lavorare per quegli artisti che ero solito ascoltare sui dischi – continua il suo racconto – è stata un’emozione pazzesca, sono stati anni incredibili, ho fatto il service audio a Perugia per oltre vent’anni. Dopo il 2009 l’ho fatto solo per l’edizione invernale che si tiene a Orvieto”.

Ora però Dall’Oca lavora praticamente in esclusiva per Fresu, che amplifica ovunque, in Italia, all’estero, nei teatri, in formula quintetto jazz, in formazione con sezione d’archi, in duo, trio, quartetto, tanto che confidenzialmente quando parla di Fresu lo chiama il mio artista.

“L’unica eccezione – conclude – sono i concerti con Omar Sosa, perché in quel caso lui si porta i suoi fonici. Con Paolo ho lavorato la prima volta a Bolzano nel 1987, intorno alla metà degli anni duemila il suo agente mi ha proposto di seguirlo in un’occasione un po’ difficile e da lì tutto è partito. Con lui si viaggia, e a me piace tantissimo viaggiare, fa tantissimi concerti, siamo nell’ordine di più di 120 concerti all’anno e il rapporto va oltre la professione, ormai ci sono stima reciproca e amicizia, è una persona tranquilla e affabile, capisce le situazioni. Non ricordo di avere mai avuto momenti di tensione con lui. Il motto, se qualcosa non va come dovrebbe, è: la prossima volta andrà meglio”.

Autore: Fabrizio dall’Oca

Altri singoli e intingoli

L’estate è la stagione della musica da consumare in fretta, anche se poi la storia ci insegna che ci sono anche delle canzoni per così dire estive che sopravvivono all’effimera stagione e fanno la storia. D’altronde, se c’era un vecchio adagio che ripeteva che le mezze stagioni non esistono più, oggi con buona pace dei meteorologi non esistono più nemmeno le stagioni intere.

Proprio a cavallo tra luglio e agosto, è stato pubblicato su spotify e su youtube (youtu.be/RUjd0qWU1ZE) Vivi il momento, brano estivo dal titolo emblematico, frutto della collaborazione tra il musicista e produttore Eziogroove (già collaboratore di Elisa Venturin per un singolo di un paio d’anni fa) e il rapper Ten P.M., entrambi bolzanini, che hanno appunto unito le forze per questa canzone dal sapore vacanziero. Il brano è stato realizzato dall’etichetta Multiforce e coinvolge insieme ai due autori anche la ballerina Pamela Murgia, anche lei proveniente dal capoluogo, qui però impegnata in qualità di cantante un po’ nello stile di Baby K. Il brano è infatti un crossover tra parti cantate e parti rappate, o forse meglio dire trappate, visto l’uso dell’auto-tune che personalmente trovo ripetitivo e troppo uniformizzante, in senso lato.

Il video di lancio del brano è stato realizzato dalla Startaccademy di Luca Vaccarino.

Sempre a fine luglio è stato pubblicato il singolo di Dana Tempesta, giovanissima cantautrice che si muove su tutt’altri territori musicali ma dal contenuto simile a livello lirico. Stare bene stare male (youtu.be/d13sHZe6WtA), questo è il titolo del brano con cui Dana esordisce, inizia come una cupa ballata pianistica incentrata sulle riflessioni della giovane autrice ma vira poi improvvisamente verso un suono più ritmicamente pop, contagioso nella struttura in cui la protagonista con un testo sempre molto diretto esprime la voglia di non pensare al domani. Anche qui c’è il vituperando auto-tune, bisognerà che me ne faccia una ragione… Il brano, sponsorizzato dalla cantautrice Nina Duschek, è il frutto di un workshop tenuto da quest’ultima e frequentato dalla Tempesta. Il video è animato e conta sui disegni di Siegrid Mauroner.

I Mainfelt sono invece una band di indie folk-rock che si muove già da qualche tempo all’insegna di un genere musicale che riporta alla mente gruppi epocali come i primi Pogue e soprattutto i Waterboys. Guidati dal cantante e chitarrista Patrick Strobl, anche i Mainfelt si propongono con un brano dal sapore estivo, nel senso di un brano costruito sui ricordi di un’estate lontana, passata. Il brano, intitolato Golden Home (youtu.be/Ts4QAHM0QF8), è comparso il 28 luglio scorso accompagnato da un video dal sapore bucolico che sembra voler raccontare il passaggio da infanzia ad adolescenza. La regia è opera di Andreas Koser e come ospite molto speciale, a duettare con il banjo di Ivan Miglioranza e la voce di Strobl, c’è la fisarmonica di Herbert Pixner.

E per concludere, tornando ai brani da spiaggia segnaliamo il bolzanino Falco Gabry, attivo ormai da una decina d’anni, che ha pubblicato il singolo Baila (youtu.be/yfe3giww3pg) rigorosamente a base di auto-tune e sintetizzatori e con le caratteristiche da tormentone estivo.

Autore: Paolo Crazy Carnevale