Singoli e intingoli #2

Nelle ultime settimane ci sono state alcune nuove uscite per quanto riguarda i musicisti altoatesini. Berise degli Shanti Powa ha pubblicato il suo nuovo video singolo, Bianca. Ma novità hanno riguardato anche il musicista meranese Marco Pantozzi, il duo Scandalo  & Redenzione e il gruppo Atop of the Hill.

Abbiamo parlato di lui poche settimane fa, a proposito della trasferta americana degli Shanti Powa, ma Berise (a.k.a. Bertrand Risè, cantante della formazione bolzanina) non ha atteso molto a far parlare di nuovo della sua musica, lo scorso 10 febbraio c’è stata infatti la première del suo nuovo video singolo, Bianca. In meno di un mese il video ha totalizzato oltre ventisettemila visualizzazioni (youtu.be/2zCic1nLPmA), cinque volte più di quanti sono i follower degli Shanti Powa sul loro canale video! Decisamente un bel successo, anche perché il brano merita per vari aspetti, dalle suggestive riprese notturne effettuate da Gabriel Hoellriegl fino alla scelta di registrare un brano composto dal collega Casa Roccia (al secolo Kevin Steinhauser), con cui Berise aveva già collaborato in precedenza: il risultato è una composizione notturna, suggestiva, molto adatta alle corde vocali di Berise, qui in chiave più pop, tutta cantata in tedesco autoctono. 

Gradito anche il ritorno del musicista meranese Marco Pantozzi che, dopo il successo di pubblico del disco inciso lo scorso anno col gruppo Deception Store ed il disco Pindaric Flights, ha deciso di insistere sul brano eponimo di quel concept album e sul suo messaggio riarrangiandolo e riproponendolo ora in una nuova versione (youtu.be/HoZHxJhNUt8), se possibile ancor più debitrice nei confronti della musica dei Pink Floyd e del prog rock di marca britannica: stavolta il brano è stato tradotto e cantato dallo stesso Pantozzi in italiano, nonché pubblicato a proprio nome, pur mantenendo il nome del gruppo originale come marchio del progetto. Per l’occasione il brano è stato rivoltato come un guanto e a suonarci – troviamo stavolta Gian Marco Mento alla chitarra, Nicolò Magistrali al basso, Riccardo Dallagiovanna alla batteria e Claudia Claire Ursino ai cori. Le registrazioni si sono tenute presso lo studio Elfo di Piacenza.

Tra i bolzanini che non hanno trascorso l’inverno in letargo ci sono anche Scandalo & Redenzione, il duo formato dagli ex Klakson BG e PS, nel giro di poche settimane hanno postato sul sito stefanopredelli.wixsite.com/klakson ben due nuovi lavori in streaming e download assolutamente gratuito. Il tutto rigorosamente o quasi all’insegna delle cover riarrangiate in chiave acustica: tra i due dischi l’apparente sorpresa è il primo, Musica sovrana, dedicato a brani italiani o a cover italiane di brani stranieri con l’immancabile Battisti in pole position, ma anche inattesi Guccini, Mal, Ferradini e persino l’antica e drammatica Profumi e balocchi. A ben vedere le sorprese non mancano però nemmeno nel secondo disco, intitolato eloquentemente Appalachian Cowboys e aperto da un’improbabile Una paloma blanca grande successo interplanetario degli ormai dimenticati George Baker Selection. Riletto qui in chiave western, al fianco delle più consone Man of Constant Sorrow, Wayfayring Stranger, In The Pines e dell’unico brano originale, firmato da BG, The Last Time I Saw Gandini.

E chiudiamo con la segnalazione di 24 H, il nuovissimo singolo dei bolzanini Atop The Hill uscito sulle varie piattaforme di streaming, che dopo i meritati allori derivati dall’aver fatto da apripista al concerto di trentino di Vasco Rossi, hanno cominciato a lavorare ad un loro disco di materiale originale di cui il nuovo brano è l’attesa anteprima.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Cinque ragazzi bolzanini alla corte della Disco Music

Quello della Disco Music è un mondo molto complesso, basta aprire l’ottimo volume uscito per Hoepli che i giornalisti romani Andrea Angeli Bufalini e Giovanni Savastano hanno dedicato a un fenomeno non solo culturale ma anche sociale e di costume per scoprire di che fenomeno, in tutte le sue manifestazioni, si sia trattato. Dal funk delle cantine newyorchesi, alla disco come evoluzione tardiva del rhythm’n’blues, fino alla disco elettronica partorita in uno studio bavarese dal nostro compaesano Giorgio Moroder. I cinque componenti dei SōMuch sono due ragazze e tre maschietti che fino a qualche tempo fa concentravano tutte le loro forze nei contagiosi concerti di una cover band festaiola di nome Giggers: Roberta Creazzo e Valentina Salvi sono le due cantanti Andrea Belloni e Francesco Carli si occupano della sezione ritmica mentre la chitarra è salda nelle mani di Andrea Giovannini.

“Con i Giggers – ci spiega Roberta Creazzo – siamo in giro da una decina d’anni e ci divertiamo un sacco, ma ad un certo punto noi cinque abbiamo cominciato sentire la necessità di fare anche qualcosa di nostro oltre alle cover, così, senza abbandonare il gruppo originale abbiamo dato vita a questa formazione parallela; amiamo tutti la disco music, quella suonata, che ci dà più soddisfazione rispetto a quella campionata”.

Non si preoccupino quindi i numerosi fan dei Giggers, perché comunque potranno continuare ad ascoltare i cinque SoMuch anche nella versione gruppo numeroso (sono ben dieci in formazione i Giggers). Il progetto ha cominciato a prendere vita nel 2019, quando il chitarrista Giovannini, che scrive le musiche dei brani, mandò agli amici un file audio con la bozza di una cosa che avrebbe potuto essere la loro prima canzone originale.

“La svolta importante – prosegue la cantante quasi schernendosi – è successa un po’ per caso, nel 2017 stavo seguendo su Instagram un annuncio di Ralph Rolle, batterista nel gruppo di Nile Rodgers, la mente dietro quel gruppo fantastico che erano gli Chic, in assoluto i nostri preferiti. Ralph stava promuovendo un ciclo di lezioni personalizzate per batteristi ed io che con il nostro drummer faccio coppia anche nella vita oltre che nella musica, ho pensato che potesse essere un bel regalo di Natale offrirgli l’opportunità di incontrare il suo idolo”.

La frequentazione con Rolle si è poi protratta nel tempo diventando una vera e propria amicizia, al punto che sul finire del 2019 i ragazzi hanno fatto ascoltare al batterista di Rodgers il loro primo demo, con la canzone composta da Andrea Giovannini, ma mai avrebbero pensato che la cosa potesse piacergli al punto di decidere di offrirsi di produrre per loro un EP che ha visto poi la luce nelle scorse settimane.

“Ci è voluto parecchio tempo per concretizzare la cosa – racconta Roberta – come tutti sappiamo ci si è messa di traverso la pandemia e tutto si è rallentato, ci sono stati mesi in cui non è stato possibile vederci tra di noi che eravamo tutti qui, figuriamoci incontrarci col produttore che sta a Manchester. La cosa ha anche avuto dei costi, alla fine però le cose si sono messe a posto, ad inizio anno abbiamo lanciato i primi due singoli ed ora è disponibile l’intero EP”.

Per ora la musica dei SoMuch è rintracciabile su tutte le piattaforme musicali, da youtube a Spotify: si tratta di un disco chiaramente molto fruibile, disco music ben prodotta e fatta sicuramente per ballarci su; addirittura il brano che apre l’EP è un omaggio (nel titolo) al celebre club Studio 54, uno dei templi mondiali del fenomeno discomusic. I SoMuch hanno ovviamente come obiettivo quello di riuscire a promuovere il loro prodotto con dei concerti, visto e considerato che a loro piace la disco suonata dal vivo. In attesa di allargare il repertorio originale con nuovo materiale, ai brani dell’EP alterneranno delle cover: prendete intanto nota della data di venerdì 10 marzo, quando alle 21 la formazione festeggerà l’uscita del disco insieme ad alcuni ospiti sul palco del Sudwerk a Bolzano.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Shanti Powa go America

Il sogno americano è un mito che ha attratto musicisti di ogni generazione e di ogni parte del mondo. E la nostra regione non è certo esente da questa fascinazione.  Lo scorso dicembre è toccato agli Shanti Powa calcare le assi dei palchi americani, per due concerti legati ad un’importante manifestazione.

Pensiamo ai Dedy Cemm che fecero per sei mesi la spola tra New York e le Bermuda sulle navi da crociera, o a Enrico Micheletti e Klaus Tengler, entrambi in California a fine anni settanta (il primo a L.A. dove pare abbia incrociato la chitarra con membri della band di Larry Coryell, il secondo a Frisco, dove frequentò gente come Mike Bloomfield e Jorma Kaukonen ed incise persino un disco) e poi, in tempi più vicini a noi, come non ricordare le puntate di George McAnthony a Nashville, il massacrante tour dei Graveworm, quello autogestito dei Nolunta’s, fino alle recenti scorribande di Hubert Dorigatti.

Come dicevamo – lo scorso dicembre è toccato agli Shanti Powa calcare le assi dei palchi americani, per due concerti legati ad un’importante manifestazione.

“Tutto è cominciato un paio di anni fa – ci racconta Thomas Maniacco, trombettista e portavoce del gruppo – abbiamo partecipato ad un contest organizzato da JM International, una ONG legata all’ONU che organizza eventi per i giovani, il risultato è stato che ci siamo ritrovati tra i gruppi vincitori e avremmo dovuto esibirci alla fine del 2020 in Corea del Sud, che quell’anno ospitava la manifestazione. Tutto è saltato per colpa del Covid, e il nostro concerto lo abbiamo filmato a casa ed è stato trasmesso poi in streaming sul sito di JM International. Grazie però al piazzamento ottenuto siamo diventati, e continuiamo ad esserlo, ambasciatori della Fair Play Music nel mondo”.

Parimenti al concorso Busoni, il contest vinto dalla formazione altoatesina non è detto debba avere per forza un vincitore: è quello che è accaduto con l’edizione 2022 che avrebbe dovuto ospitare i vincitori nella capitale americana così gli organizzatori hanno avuto la bella pensata di invitare quindi gli Shanti Powa e altri musicisti legati al loro contest.

“Il materiale musicale di chi partecipa al contest – prosegue Maniacco – deve avere dei testi contro la corruzione, l’oppressione, divulgare l’idea di unione e comunità e noi sembravamo fatti apposta per questo tipo di evento. Nella fattispecie, a Washington si è tenuta l’International Anti Corruption Conference, a cui erano presenti tutte le ONG legate al circuito a cui appartiene JM International e proprio in quest’ambito siamo stati invitati ad esibirci”.

Impossibilitati a recarsi tutti in America, gli Shanti Powa sono così partiti in sei per l’avventura oltreoceano, hanno passato qualche giorno in una sala prove di Washington per testare la formazione ridotta (Bertrand J. Risè, Florian Gamper, Lukas Pichler, Fabian Pichler, Jonas Tutzer e Thomas Maniacco) a cui si sono uniti sul palco anche altri tre artisti invitati all’IACC: il congolese Alesh, Faith Mussa dal Malawi e Lain, della band indiana Rain in Sahara. 

“La prima situazione in cui ci siamo esibiti – è il cantante Berti Risè a parlare – è stata strettamente legata all’evento, con un pubblico formato ovviamente dalle ONG partecipanti, ma anche da diversi Segretari di Stato, incluso quello americano. Un’esibizione in stile unplugged per giornalisti, speaker, politici e addetti ai lavori”.

Il giorno successivo invece il gruppo si esibito al 9:30 Club, il locale più in voga della capitale americana, particolarmente caro a Dave Grohl (Nirvana, Foo Fighters) che lo definisce il suo locale preferito, facendosi apprezzare dai frequentatori abituali.

 “Si è trattato di un’esperienza molto importante – conclude Berti, suonare e portare la nostra musica in America era un sogno. Devo dire che è stata anche una cosa commovente per me, ho pianto di felicità. È stato un peccato non poterci essere con la band al completo, ma in compenso siamo riusciti a stabilire un legame molto forte con gli altri partecipanti, ci sono già dei brani che stanno nascendo in collaborazione con loro: l’idea è di averli nel nostro prossimo disco e suonare ancora dal vivo con loro”.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Aspettando i dischi completi…

Ci siamo occupati nelle ultime settimane di diverse uscite in formato singolo o in formato video, segno che la scena musicale locale non sta affatto dormendo, e a dimostrarlo ci sono le uscite in formato lunga durata a cui si sono andate ad aggiungere, nelle ultime settimane dell’anno appena concluso, tre canzoni che vale la pena di prendere in considerazione, in attesa ovviamente che i loro protagonisti le includano in un lavoro più completo.

Senza dubbio l’ultimo scorcio del 2022 è stato ad appannaggio delle voci femminili: abbiamo avuto il disco di Zelda Mab, quello di Anna Carol, il ritorno assai atteso di Waira. All’appello mancava la meranese Giulia Martinelli che era assente dalle scene da oltre un anno. La cantautrice ci aveva abituati bene con i suoi EP e con una serie di brani usciti solo in formato digitale all’indomani del primo lockdown.

Ora finalmente con Dead End Street, questo il titolo del singolo di fresca uscita, è tornata a dirci che è ancora qui, con la sua voce e con la sua musica. Nell brano, decisamente interessante e costruito con un buon arrangiamento, essenziale ma giusto, opera del produttore bolognese Riccardo Cesari, a cui sembra aver affidato le sorti delle sue pubblicazioni future, Giulia Martinelli si mette a nudo dopo un periodo di latitanza dovuto a problemi non ricongiungibili alla musica, raccontandoci delle incertezze incontrate trovandosi in un vicolo cieco, come recita in inglese il titolo del brano. In particolare, per le parti vocali di questa nuova fatica, la cantautrice si è fatta consigliare e aiutare da Monika Callegaro. Non resta dunque che attendere i nuovi frutti del suo nuovo corso artistico.

A ridosso del loro concerto dicembrino al Sudwerk, sono tornati a colpire anche i Polemici, Barcellona il nuovo brano, che non ha naturalmente nulla a che vedere con quello omonimo di Montserrat Caballè e Freddy Mercury: è invece una canzone in cui una volta di più il gruppo dimostra la propria versatilità e soprattutto di non essere una band che accompagna un rapper, bensì una band con  un cantante che è anche un rapper. Anzi, più che mai è evidente come ogni componente sia un tassello importante dell’affresco sonoro intessuto dai Polemici. La storia stavolta è introspettiva, intima, e riguarda la fine di un rapporto che ha per sfondo la città catalana dove il rapporto aveva avuto inizio. Sempre efficace il cantato di Tachi su cui si snodano le trame musicali di tastiere, sezione ritmica, chitarra e le invenzioni del DJ. 

Concludiamo la carrellata sui singoli con l’anteprima del nuovo lavoro di Helmut Pinggera che nel 2019 aveva esordito a sorpresa con un solido lavoro rock usando lo pseudonimo Frederick ed ora, come Fred 22, ha reso disponibile Il Falco, un bel brano rock nello stile energico a cui Pinggera/Fred ci aveva abituato. I riferimenti sono quelli che sappiamo, ci sono i riff di chitarra e tastiere e gli assoli lancinanti della sei corde, il cantato che strizza l’occhio a Bruce Springsteen e al miglior Zucchero. La particolarità importante è che il brano è cantato prevalentemente in italiano, anche se ci sono inserti in inglese e tedesco. Sapevamo che Frederick ambiva da tempo a non esprimersi solamente in tedesco, come era accaduto sul disco d’esordio, e già nei concerti ci aveva fatto apprezzare un brano intitolato Partigiano/Partigiana. L’uscita del disco a cui Il Falco fa da apripista è imminente, anzi, mentre leggete queste righe potrebbe già essere realtà.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Il mondo in movimento di Anna Carol con il suo nuovo disco

Anna Bernard, in arte Anna Carol, è una cantante bolzanina che sta calcando le scene ormai da diversi anni, non solo quelle locali avendo fatto qualche esperienza artistica anche all’estero. Ha anche cambiato nome d’arte rispetto agli esordi, ma ormai Anna Carol sembra essere il suo brand definitivo, usato per la prima volta un paio d’anni fa per l’uscita di un EP fortemente voluto che, nonostante sia uscito nel periodo più oscuro della pandemia, non ha mancato di lasciare il segno, garantendo alla cantautrice bolzanina la possibilità di uscire ora con Cinetica, un album a lunga durata, distribuito come l’EP da Nufabric Records in collaborazione con le edizioni Kobayashi.

“Per ora il formato è quello del download digitale sulle classiche piattaforme – ci racconta Anna, appena tornata da un fruttuoso breve tour in Sicilia – ma abbiamo intenzione di realizzarlo presto anche in formato solido, per la precisione in vinile. È vero che la maggior parte del pubblico ascolta in digitale, ma il supporto fisico è un’altra cosa, soprattutto per la soddisfazione personale. Con la musica digitale devi sperare che qualcuno ti infili in una playlist, è un po’ come con le radio, c’è qualcuno che sceglie per te cosa devi ascoltare”.

Il nuovo disco della cantautrice si presenta subito con un sound ben definito, nonostante in sede di produzione si sia avvalsa di più collaboratori, rispetto alle sue pubblicazioni passate, il risultato è più strutturato, più elettronico per certi versi, sicuramente più arrangiato, altamente professionale e le canzoni, come del resto quelle che le avevano precedute, sono senza dubbio convincenti.

“Rispetto a prima – prosegue l’artista – la lavorazione dei brani è stata da subito una cosa collaborativa. Per i miei progetti precedenti io arrivavo con le canzoni e poi ci si lavorava su, qui la cosa è stata un divenire sin dall’inizio, collaborando con diverse persone anche a livello di scrittura. In realtà è una cosa molto lontana dal mio modo di lavorare precedente, non pensavo che ci sarei riuscita così facilmente. Sembra impossibile che scrivendo con altre persone siano potute venire fuori meglio le cose mie, le mie emozioni, le mie sensazioni. Lavorando sulla scrittura con altri sono riuscita a fare venire fuori di più me stessa”.

Per la registrazione delle parti cantate, Anna Carol si è avvalsa dello studio Basement di Fermo, nelle Marche, in una location fantastica tra le colline a cui è molto legata al punto di dire che non riuscirebbe ad immaginare di incidere altrove; uno studio attrezzato con un grande terrazzo panoramico e con la possibilità di soggiornare per tutto il periodo delle session. Per quanto riguarda la parte strumentale invece, quella è stata catturata di volta in volta negli studi dei vari produttori coinvolti nella lavorazione del disco.

“Sono davvero molti quelli che mi hanno aiutata – racconta ancora Anna – Domenico Finizio (Tropea), Emanuele Triglia, Alessandro Donadei, Stabber per dirne solo alcuni, per non parlare poi di chi si è occupato di mixaggio, mastering, artwork e via dicendo. E poi ci sono i concerti, perché per me la parte fondamentale è poi di poter proporre le mie canzoni davanti ad un pubblico: l’ideale sarebbe potersi esibire sempre full band ma le date recenti di Merano, Cremona, al Lokomotiv di Bologna e quelle siciliane, a Bolzano, all’Arcibellezza di Milano sono state la dimostrazione che il repertorio funziona bene sia in duo che in trio o da sola. Il pubblico risponde bene, sia nei locali più grandi che in quelli piccoli, c’è un pubblico interessato, disposto a spostarsi per venire ad ascoltarmi. A Modica, per esempio c’erano ragazze e ragazzi, studenti per lo più, che venivano da cittadine o paesi distanti per assistere al concerto. A Cremona, in un lunedì di pioggia, il locale era pieno: da noi non si sarebbe mosso nessuno, ma la colpa non è tutta del pubblico, ci sono da mettere in conto le limitazioni orarie imposte a chi organizza, cosa che non aiuta di certo”.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Singoli e intingoli

Il formato “singolo” – sia esso come ascolto digitale tramite le piattaforme dedicate alla musica, sia tramite il download o il post in chiave video su youtube – sono sempre più usati e popolari, a discapito spesso del disco fisico o del disco digitale (molto usato ma spesso e volentieri consistente in una raccolta di brani già usciti autonomamente); e non si tratta di una tendenza limitata agli artisti locali, o di un determinato genere. Oggi vogliamo dedicarci a tre recenti uscite discografiche – ci si passi il termine, anche se in tutte e tre le situazioni siamo appunto nell’ambito del virtuale – ad opera di coinvolgenti personaggi della scena musicale e non solo musicale altoatesina.

È il caso della prima delle tre proposte Wir wollen Mensch sein (lo trovate qui: soundcloud.com/mannypardeller), un felice connubio tra le musiche elettroniche di Manny Pardeller e le liriche della scrittrice Marianne Ilmer Ebnicher, da anni protagonista delle cronache letterarie regionali in lingua tedesca. Non si tratta certo del primo esperimento di questo tipo, ma ci pare particolarmente riuscito l’abbinamento e la voce della scrittrice si adatta molto bene al progetto, come naturalmente il suo testo di scottante attualità dedicato al tema della guerra: “Da tutta la vita – ci dice Marianne – sento notizie di guerra, di mostruosità compiute da umani. E mi chiedo: dove rimangono le visioni di un mondo pacifico e unito? Cavolo, questa volta non riesco più a stare zitta. Così in tarda primavera ho scritto un testo e ho chiesto a Manny, al quale mi lega un altro progetto, se volesse musicarlo”.
Da un paio di mesi circa è in circolazione anche il nuovo singolo di Diego Baruffaldi, cantautore e poliedrico animatore (il suo progetto più recente sono le canzoni su commissione) che nel bel mezzo della pandemia ha deciso di debuttare come solista col CD La musica è chi ho incontrato, dopo aver dato una sostanziosa mano a molti giovani artisti. Imparerò, è questo il titolo del frizzante brano estratto proprio da quel disco, che ci perviene in forma di video singolo (youtu.be/jsZsK03FQBI), accompagnato da un filmato realizzato durante un concerto tenuto da Baruffaldi al Minigolf in riva al Talvera, filmato da Siham El Abidi e montato dallo stesso Baruffaldi con Marina Baldo.
La terza proposta, postata il 3 novembre scorso ci proviene dal batterista e polistrumentista Lil Bob, al secolo Roberto Motta, specializzato nel realizzare gustosi video in cui si diverte a offrire cover in chiave heavy metal, facendosi accompagnare sempre da ospiti e amici differenti.
In passato sono passate per le mani metalliche di Lil Bob celebri brani come la canzone portante della colonna sonora de Il re leone, Felicità di Albano e Romina e la popolare Aserejè delle Ketchup. Stavolta si è divertito a rivedere e correggere Never Ending Story, il popolare brano tratto dalla colonna sonora de La storia infinita, facendosi aiutare per l’occasione dal chitarrista Ivan Miglioranza e dalla voce di un credibilissimo Luca Masiello, che s’improvvisa anche percussionista insieme allo stesso Lil Bob in una sequenza che li vede svettare insieme in cima ai prati a picco sulle pendici della val d’Isarco. (youtu.be/Bh7ZMyE_ZcA).

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Laeds: un capitolo due che è anche un capitolo tre

C’è voluto un po’ di tempo per avere tra le mani – si fa per dire, trattandosi di un disco disponibile per ora solo in formato liquido/digitale – il nuovo lavoro dei Laeds, band che si distingue, oltre che per bravura e originalità, per il fatto di avere tre fratelli tra i suoi componenti.

Si tratta del loro terzo sforzo discografico, ma è anche la seconda parte di un concept iniziato col lavoro precedente: Bone Cage, questo il titolo della recente uscita presentata a Bressanone, dove la band ha il suo quartier generale, e in forma acustica al Carambolage di Bolzano, è una gran bella conferma per il quintetto guidato da Emanuele Colombi, cantante e chitarrista. Se già con la prima parte del concept, risalente ormai al 2019, ci aveva conquistato, Bone Cage riesce ad andare oltre, innanzitutto, nonostante venga considerato dai Laeds un EP, per durata non lo è di certo, in secondo luogo pur rientrando pienamente nel genere prog rock, tende a sfuggire alle classificazioni troppo rigide, il che è sempre una buona cosa.

“Il fatto che i nostri brani siano di lunghezza mediamente alta – ci racconta Emanuele – ci impedisce di pubblicarlo con quella denominazione sulle piattaforme, ci era già successo col disco precedente (uscito anche in forma solida, n.d.r.), le piattaforme musicali hanno dei criteri per cui l’EP deve stare entro una certa durata, ma se i brani sono lunghi non ci si sta dentro… Bone Cage si aggira intorno alla mezz’ora. È stato un parto spaziale, ci abbiamo messo un sacco di tempo, in realtà buona parte del materiale era già scritto quando è uscito Homestage, ma poi siamo stati bloccati dalle limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria”.

Bone Cage è caratterizzato da un suono decisamente godibile e accurato che mette in evidenza il talento di questi cinque ragazzi: oltre a Emanuele, ci sono i suoi fratelli Lorenzo (batteria e voce) e Damiano (violino, tastiere e voce), il bassista Gabriele Gege Munini e il chitarrista Raffaele Barberio, tutti irrinunciabili per tessere le trame sonore di un concept non scontato imperniato su problematiche molto attuali, con una ridefinizione dell’idea dei sette vizi capitali.

“Chi segue il genere musicale a cui facciamo riferimento – prosegue a spiegare Colombi – sa che i testi non devono essere qualunque cosa, o c’è una storia da raccontare o c’è una sorta di missione sociale, o meglio un’ambizione. Rispetto al prog rock delle origini, nel cosiddetto neo prog a cui ci rifacciamo c’è meno Tolkien, meno medio evo. Non abbiamo pretese di lanciare messaggi che sveglino la gente, come John Lennon per intenderci, ma crediamo che già il puntare il dito su determinate piaghe sociali, dal suicidio minorile all’alcolismo, argomenti un po’ pericolosi da nominare, quasi tabù per la stampa, sia importante. Magari il nostro genere non è seguitissimo, ma siamo convinti che affrontare questi temi sia una cosa da non sottovalutare, e lo facciamo come siamo capaci, a modo nostro”.

Per realizzare Bone, i Laeds si sono affidati anche stavolta alla produzione di Mattia Mariotti che li aveva seguiti già in Homestage: “Lo abbiamo voluto tenere in squadra – conclude il cantante – perché siamo amici da sempre e ci siamo trovati bene a lavorare con lui, così come con i ragazzi del Blue Noise Studio di Mattarello. Per il missaggio invece non essendo stati del tutto convinti dal  lavoro dello studio polacco che aveva fatto quello del disco precedente, ci siamo rivolti a Michele Quaini, insegnante al CPM di Milano. Il risultato è che il suono stavolta è molto più pieno, che è quello di cui avevamo bisogno essendo noi una band che pubblica su piattaforme come Spotify, dove si finisce in playlist mescolati con cose troppo differenti. Ma questo discorso è molto complesso e richiederebbe un ulteriore approfondimento”.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Il mondo elettrico di Zelda Mab

All’anagrafe si chiama Gloria Abbondi, ma nell’ambito musicale in cui si è fatta strada è per tutti Zelda Mab, un nome che è l’insieme di due entità concettuali e oniriche, risalente a un social media ormai dimenticato chiamato myspace: il nome con cui ha deciso di dare alle stampe il suo EP di debutto come solista, una raccolta con cinque brani originali che alla fine di ottobre è stata pubblicata da Riff Records. 

Zelda Mab, con un background di musicale di stampo classico, a vent’anni si è fatta le ossa in una band garage punk, e dal 2014, per cinque anni è stata la bassista dei Sick Tamburo, band nazionale nata dallo scioglimento dei Prozac+.

“Scrivere, arrangiare, produrre il mio primo EP – ci racconta – è stato un viaggio meraviglioso pieno di ostacoli e meravigliose soddisfazioni: lo rifarei anche domani. Poi per la fase finale della post-produzione / mix e mastering mi sono affidata a due professionisti, come Andrea Sologni e Claudio Marciano già noti nel mondo musicale. Non sono mai stata sola, ho avuto il sostegno della ripartizione cultura italiana di Bolzano, di Paolo della Riff Records e di tanti altri amici che con tanti piccoli grandi gesti mi hanno accompagnato lungo il percorso. Poi comunque arriva il momento in cui devi confrontarti con il mondo per concludere il lavoro e trovare le persone con la giusta sensibilità e onestà intellettuale che portino a termine il tutto, compresa la veste grafica del CD”.

I cinque brani che compongono Elettricità (questo il titolo del lavoro) sono stati composti durante un lungo periodo in cui Zelda Mab ha viaggiato tra Bolzano, Roma e New York, un viaggio che l’ha portata in giro, per la pura voglia di qualcosa di nuovo, che si distaccasse da tutto quello che fino ad ora l’aveva circondata. “Ho viaggiato per capire me stessa – prosegue –, alla ricerca di quello che sono, al di fuori di ogni canone o etichetta, per poi ritrovarmi tra le note delle mie canzoni e capire che il viaggio più importante per cambiare è quello che si fa dentro di sé. La musica mi ha permesso tutto questo ed io la ringrazio infinitamente. Quando mi chiudo in studio a suonare viene tutto da sé, musica e testi, non cerco ispirazione da qualcuno in particolare, è come se fosse già tutto dentro di me. Nella mia vita ho suonato e ascoltato molta musica, probabilmente questo mi ha permesso di avere un bagaglio abbastanza ampio da imprimere nelle mie corde quello che suono adesso. Ho un’impronta classica, rock, elettronica, punk, ma il mio Eroe personale è David Bowie”.

A parte l’aiuto dei collaboratori cui si è affidata per post produzione e mastering, Zelda Mab ha fatto tutto da sola, oltre ad aver scritto le canzoni, si è suonata tutti gli strumenti e ha cantato. Si è occupata anche della grafica del booklet, mettendo a frutto l’aver frequentato la facoltà di design e il fatto che per vivere si occupa di Graphic Design. Per le presentazioni live del disco dice che si adatterà alle circostanze, con la preferenza però per il poterle fare in versione full band.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Fanchi è… Blu!

Jacopo Schiesaro vuole bene ai suoi cani: al primo che ha avuto, Blu, ha intitolato il suo disco uscito poche settimane fa, all’altro, Fanchi (come il genere musicale ma scritto all’italiana) si è ispirato per il suo nome d’arte quando ha deciso di debuttare come musicista qualche anno fa.

Blu, il nuovo album realizzato con la produzione e l’aiuto di Thomas Traversa, arriva dopo un primo EP in cui in cabina di regia sedeva Mattia Mariotti ed un secondo registrato dal vivo in casa durante la pandemia.
Blu è invece un disco fatto e finito, un album in cui l’autore fa i conti con i suoi scheletri nell’armadio, con un vissuto a volte ingombrante che nei lavori precedenti aveva solo fatto intuire.
“Il passaggio dalla produzione di Mattia a quella di Thomas – ci spiega Fanchi – è stato casuale: in realtà non è neppure partito dall’idea di fare un disco, lo è diventato in seconda battuta. Ci siamo conosciuti ed abbiamo scoperto di avere un feeling. Così abbiamo cominciato a lavorare sui brani di Blu, in modo molto naturale. La vera novità è che con Thomas abbiamo degli ascolti in comune, anzi alcune cose me le ha fatte conoscere lui e quindi sapeva già dove fare arrivare le canzoni”.
I brani di questo nuovo lavoro sono più arrangiati, senza mai però lasciare che gli arrangiamenti abbiano il sopravvento sulle parole che nelle canzoni di Fanchi sono determinanti e tutt’altro che trascurabili, vi sono brani come Stephen King (che in meno di due minuti sintetizza un vissuto da paura) e Pensieri (il brano d’apertura che suona come un magnifico singolo) che puntano su testi che arrivano dritti allo stomaco.
“Ho cercato di fare uscire Fanchi allo scoperto – racconta Thomas Traversa – tirandolo fuori dalla sua zona di comfort, col fatto che io mi sono occupato di creare i suoni dietro le canzoni, mentre lui ha avuto modo di concentrarsi maggiormente sulle parole e tirare fuori così quelle cose che nei lavori precedenti erano un po’ rimaste non dette del tutto, anche se erano intuibili”.
Nel disco, disponibile sulle abituali piattaforme, oltre alla voce di Fanchi e a tutti gli strumenti suonati da Thomas ci sono anche alcuni ospiti con cui Fanchi ha duettato o a cui ha affidato le sue parole, ad esempio nell’intro parlata ci sono Sir Chris e DJ Husk mentre nel brano conclusivo c’è la voce profonda di Salvatore Cutrì, ma altrove cantano lo stesso Traversa, Melissa Wattson e Meet me in Montauk, e ciascuno rappresenta un valore aggiunto che contribuisce al risultato finale.
“In base alla musica che mi arriva – conclude Fanchi – scrivo cose diverse. Thomas mi ha proposto della musica che mi piaceva talmente da stimolarmi nell’immergermi nel lavoro di composizione, dandomi la forza necessaria per raccontare delle cose molto introspettive, che probabilmente su una musica differente non avrei sicuramente scritto”.
Per il momento non è ancora stata fissata una data per la presentazione live del disco, ma da parte di Fanchi c’è tutta l’intenzione di pensarci, sicuramente con l’accompagnamento della Thomas Traversa Band.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Quando i concerti dei gruppi locali erano affollati…

Bolzano, con tutta l’offerta musicale e culturale che le si rovescia addosso ogni anno, non è propriamente una città “friendly” nei confronti della musica giovane: gli operatori del settore (Musica Blu, Pippo.Stage, fino alla rinata Liederszene 2.0) si inventano situazioni al limite del possibile per offrire iniziative appetibili e valide, ma quello che è sempre mancato e continua a mancare sono degli spazi dedicati.

Da parte delle amministrazioni sembra non esserci alcun interesse in questo senso, pensiamo a strutture come il defunto Ku.Bo, pensiamo all’Ex Novo Masetti, letteralmente ucciso dalla Provincia per dare spazio ad una nuova struttura che non è mai decollata come avrebbe dovuto.

La colpa però non va del tutto attribuita alla politica. Anche il pubblico ha le sue belle responsabilità. Ma non è sempre stato così, per quanto riguarda gli spettatori.

Vorremmo qui concentrarci in particolare sulla musica giovane, quella suonata e fruita da ragazzi tra i sedici e i trent’anni, età fatidica, secondo un adagio dei ragazzi degli anni sessanta, oltre la quale non si era più credibili o affidabili agli occhi dei più giovani.

Negli anni sessanta le band bolzanine potevano contare su un pubblico di coetanei e coetanee davvero robusto, i complessini avevano la loro tifoseria e venivano portati in palmo di mano, sia che si esibissero ad un cosiddetto tè danzante, sia che fosse un concerto propriamente detto.

Negli anni settanta le band avevano cominciato ad essere un po’ manager di sé stesse, anche in virtù del fatto che la fame di eventi era sempre più forte: i gruppi stranieri disertavano l’Italia perché imperversavano gli autoriduttori, di artisti nazionali a Bolzano ne arrivavano davvero pochi, il che lasciava spazio all’inventiva delle band che si organizzavano veri e propri eventi. Un concerto organizzato a Termeno dall’associazione Admiral in un lunedì di Pasqua riuscì a convogliare presso la sala parrocchiale del paese quattro gruppi: Artificial Joy, Anonym, Mad Company e Temple Caravan. Si aspettavano un pubblico di duecento persone, invece ne arrivarono seicento! Ed erano ragazzi che proponevano musica originale. Negli anni ottanta ci sono state kermesse come l’Altrockio e nei novanta i concorsi come Primo Palco, ma oggi?

Numeri del genere le band se li sognano: ma ciò non vale per chi fa musica altrui, che si tratti di generiche cover band, di gruppi specializzati in repertori anni ’80 o di tributi ad un solo musicista.

Ci sono però i “like” di facebook, youtube, instagram: la musica dei ragazzi arriva a molte più persone, è vero, ma quanto valgono?

Non molto secondo noi. Cantautori e band postano un video, nel giro di poco hanno centinaia, a volte migliaia di “mi piace”, ma chi ascolta le canzoni fino in fondo? E quelli che mettono il pollice in su o il cuoricino vicino al post, dove sono quando i ragazzi si esibiscono dal vivo davanti ad un pubblico sparuto?

Probabilmente sono davanti al monitor del PC o peggio, davanti allo schermo dell’i-phone a mettere distrattamente altri cuoricini a canzoni ascoltate forse fino a metà.

Il discorso ovviamente non vale per tutti, ci sono band come la Homeless e gli Shanti Powa che il seguito ce l’hanno davvero, ma è anche vero che loro non sono più tanto ragazzini.

Le scuole di musica sfornano ogni anno giovani talenti, molto preparati, molto tecnici, molto bravi. La paura è che un giorno tutto questo talento rimanga lì ad appannaggio di pochi o di nessuno, fine a sé stesso, senza un pubblico che ne possa fruire. Uno spreco dunque.

Che merita una riflessione, sia da parte dei giovani musicisti, che dei loro coetanei, che delle amministrazioni.

Autore: Paolo Crazy Carnevale