Uno spazio dipinto di Blu pieno di musica

Nelle ultime settimane, sul canale Spotify di Musica Blu, hanno cominciato a fare capolino diversi post musicali dedicati alle attività presenti e passate dell’Associazione. Tutto è cominciato con la realizzazione di un EP con quattro brani intitolato Mettetevi scomodi, che è un po’ il sunto di un’iniziativa nata durante i mesi del lockdown e che si è poi conclusa con un incontro in presenza tenutosi la scorsa estate sui gradoni dell’arena del Pippo.Stage a Parco Petrarca.

Abbiamo colto l’occasione per incontrare Diego Baruffaldi e Thomas Traversa (artefici dell’iniziativa insieme a Maddalena Ansaloni) e fare il punto della situazione su questa ed altre recenti iniziative nate nell’ambito di Blu Space (la branca aggregativa di Musica Blu).
“Il nostro obiettivo – spiega Baruffaldi – è sempre stato quello di far diventare il nostro centro giovani un punto d’incontro anche per musicisti, farli conoscere, creare una situazione di supporto, vicinanza, crescita, condivisione di musica. In tempi normali lo facevamo con l’organizzazione di laboratori e concerti, coinvolgendo quando possibile anche dei big. Col secondo, lungo lockdown ci si è posto il problema di come fare non potendo contare sugli eventi in presenza, così sono nate alcune situazioni con concerti online senza pubblico, o, nel caso di Mettetevi scomodi, un’intervista accompagnata da ascolti di mp3 o video che abbiamo ricevuto dai partecipanti. La dimensione online, se da un lato è penalizzata dall’assenza del pubblico, dall’altra ha la capillarità della diffusione e ci ha permesso di raggiungere giovani interessati al progetto in tutta la penisola.”
Alla base dell’idea delle interviste con ascolti c’è l’esperienza maturata da Thomas Traversa, che nel primo lockdown aveva condotto dei programmi d’impostazione simile su Radio Quarantenna. Quando verso l’estate è stato possibile tornare ad organizzare eventi col pubblico, per i ragazzi di Blu Space è stato naturale, a chiosa del loro progetto, portare alcuni dei musicisti incontrati online nell’anfiteatro del Pippo per una sorta di gran finale.
“Maddalena ed io – è Thomas Traversa a parlare – abbiamo molti contatti in giro, in altre città, così abbiamo allargato il circuito anche al di fuori dei confini locali. Nel 2021 abbiamo realizzato quindici puntate, il format era abbastanza semplice, basato su una chiacchierata di una quarantina di minuti.
Col nuovo anno sarà Maddalena da sola a condurre la cosa, ma finché sarà possibile invece di essere online, gli incontri si svolgeranno in diretta.”
Tra i progetti messi in cantiere da Blu Space, a coronamento di Mettetevi scomodi e del Songwriting Circle, c’erano le realizzazioni di due CD durante l’estate, contando sul fatto che Musica Blu ha un eccellente studio di registrazione. Dopo aver riflettuto su come concretizzare la cosa, i responsabili sono però giunti alla considerazione che trattandosi di prodotti dedicati ai giovani il formato CD poteva essere obsoleto oltre che costoso da produrre.
“Thomas ha avuto l’idea di creare un canale Spotify di Musica Blu – prosegue Baruffaldi – e da lì, dall’avere il canale al comprendere che c’era la possibilità di mettere online un sacco di altre cose legate alle nostre iniziative, il passo è stato breve. Così un po’ alla volta oltre all’EP Mettetevi scomodi abbiamo postato anche i brani registrati nel nostro studio durante le varie edizioni di Mixer, produzioni musicali per bambini realizzate da Franco Bertoldi e alte cose.”
L’ultima iniziativa di Blu Space è partita a fine novembre ed è la nuova edizione di una versione autoctona di Ka Boom, la serie che viene postata su youtube: nella fattispecie vengono create delle coppie tra i musicisti che prendono parte all’iniziativa, viene poi affibbiato loro un titolo a sorpresa e partendo dal titolo devono cimentarsi col comporre una canzone.
“Visto che la cosa è nata durante il lockdown – racconta Baruffaldi – di solito per il titolo veniva preso un libro lo si apriva a pagina 19 e se possibile si trovava qualcosa di adatto alla diciannovesima riga. Per il primo ciclo di Ka Boom ci siamo affidati alle frequenze di Radio Quarantenna, i ragazzi avevano a disposizione una settimana, poi facevamo ascoltare il risultato dell’esperimento lasciando raccontare ai ragazzi il processo creativo. Al momento, un po’ nello studio di Musica Blu, e un po’ in quello casalingo di Thomas, si stanno producendo le canzoni nate da questa esperienza e quando saranno pronte saranno anch’esse disponibili sul nostro canale Spotify. Per quanto riguarda la nuova stagione di Ka Boom, come per Mettetevi scomodi, tutto avverrà in presenza nella nostra sede e i ragazzi invece che in una settimana dovranno comporre la canzone in un’ora e mezza. Ovviamente non vogliamo dimostrare che scrivere una canzone è cosa facile o da poco, l’obiettivo primario resta quello di fare incontrare i ragazzi, facendo fare loro una cosa carina, che li entusiasma e che li fa uscire da qui felici.”

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Francesco Tancredi: da Brecht a Brassens, passando per Norbert C. Kaser

Ormai tutti lo sanno, il lungo lockdown che ha caratterizzato gli ultimi mesi dello scorso anno ed i primi di questo è stato fonte d’ispirazione per molti artisti, e non solo in campo musicale. Qualcuno ha cominciato a scrivere nuovo materiale, qualcun altro si è dedicato alla registrazione di musica già composta: per Francesco Tancredi, fiorentino di nascita ma altoatesino (e molto altro) d’adozione, il lockdown è stato l’occasione, vista l’impossibilità di fare musica dal vivo, di dedicarsi a quella che a lui piace definire “musica dal morto” e per mettere a punto un bel tributo ad uno dei suoi musicisti preferiti, il padre della canzone d’autore francofona Georges Brassens, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita.

“Ho sempre amato la canzone d’autore – ci racconta Tancredi – da piccolo i miei favoriti erano Jannacci e Dalla, sulle cui musiche mi cimentavo a rifare dei testi miei. Poi mi sono appassionato alla musica afro americana, dal soul al blues al jazz. Da lì al cominciare a suonare in piccole band il passo è stato breve, che fosse punk o rock. A diciott’anni ho fatto una produzione teatrale/musicale basata sull’Opera da tre soldi di Brecht, in collaborazione con Stefano Bollani, molto prima che lui diventasse famoso. Era il 1991, esattamente trent’anni fa, e siccome la traduzione dei testi che avevamo non ci soddisfaceva, Bollani ed io abbiamo riscritto tutti i testi.”
Negli anni successivi la vita ha portato Tancredi ad occuparsi di arte forme artistiche multimediali, facendolo trasferire per un certo periodo in Francia, dove è maturata la sua passione per Brassens che ci porta al suo recente lavoro musicale. Al suo ritorno in Italia ha ripreso contatto col mondo musicale, lavorando tra gli altri con Alfio Antico (già collaboratore di De André, Capossela, Eugenio Bennato) e dedicandosi alla produzione di uno spettacolo di musica/teatro ispirato alle ricette di Pellegrino Artusi; da oltre dieci anni l’Alto Adige, nella fattispecie Bressanone, è diventato la sua nuova terra.
“Dopo aver fatto un’esperienza musicale con Max Castlunger ed un musicista magrebino – prosegue Tancredi – mi sono imbattuto negli Opas Diandl, in particolare nella polistrumentista Veronika Egger, una musicista a trecentosessanta gradi che suona di tutto. Le ho proposto di lavorare insieme sulla musicazione delle poesie di Norbert C. Kaser. Sono stato totalmente conquistato da questo personaggio incredibile. Abbiamo poi inserito il nostro lavoro all’interno di un piccolo festival della canzone d’autore che ho organizzato per alcuni anni. Per questo lavoro abbiamo usato sia i testi originali che le bellissime traduzioni in italiano di Werner Menapace. È stata sicuramente una delle cose più belle che mi sia capitato di fare.”
Il progetto più recente del nostro, è, come annunciato in apertura, quello dedicato ai cent’anni dalla nascita di Georges Brassens, con un ritorno deciso a quella canzone d’autore che ha segnato l’origine della sua passione per la musica.
Il lavoro si compone di dieci canzoni postate una per settimana, sempre di venerdì su youtube: si è cominciato il 22 ottobre, il giorno della nascita dello chansonnier francese, con il brano Mourir pour des idées, che come le altre tracce postate in seguito si mette in evidenza per gli interessanti arrangiamenti orditi da Tancredi, che volutamente si è allontanato dall’impostazione classica, chitarra e voce, scegliendo tra l’altro di cantare tutto in francese.
“Brassens – ci dice il musicista – è conosciuto in Italia soprattutto per gli adattamenti, più che traduzioni, che delle sue canzoni ci ha tramandato De André, ma esistono anche delle vere traduzioni, dialettali però, realizzate rispettivamente da Nanni Svampa e Fausto Amodei . Al mio ritorno in Italia avevo anche tradotto alcune sue cose, prima di lasciare definitivamente la Toscana, ma per questo nuovo progetto ho preferito puntare sui testi originali. Ho suonato quasi tutto io, con l’eccezione del sax ad opera di Claudio Giovagnoli e del basso di Roberto Marangio. Per quanto riguarda la promozione, bisognerà vedere come si mettono le cose, qui in Alto Adige potrebbe concretizzarsi una serata al Dekadenz di Bressanone, ma per il momento l’unica certezza è che ci esibiremo a Parigi a febbraio, proponendo oltre ai dieci brani del disco, intitolato La soif des Dieux – La théologie de Brassens, anche delle traduzioni in italiano che avevo approntato appunto quando ancora stavo a Firenze.”

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Storie senza ma: “Donne in Jazz” contro la violenza alle donne

Il 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne: un gruppo di musicisti della nostra regione pubblica oggi e lo presenta con un concerto al Teatro Cristallo alle ore 21 un brano composto per l’occasione e disponibile su tutte le piattaforme per l’ascolto e il download della musica online. Il progetto si riallaccia ad un’iniziativa ideata qualche anno fa da Fabio Zamboni e che sotto il nome di “Signore del Jazz” presentava alcune bravissime cantanti scese in campo contro la violenza sulle donne, accompagnate dal Fiorenzo Zeni Quartet nel ruolo di backing band.

“Questa cosa e la buona causa a cui era collegata ci sono piaciute molto – racconta Fiorenzo, che ha firmato insieme a Greta Marcolongo il brano ‘Storie senza ma’, attorno a cui ruota il progetto odierno – tanto che l’avevamo ripreso poco dopo per una serata nell’ambito del festival jazz di Lana organizzato da Helga Plankensteiner e Michl Lösch, ed ora ci stiamo lavorando da parecchio, nonostante la pandemia ci abbia costretti a dilatare le scadenze, siamo finalmente pronti. Oltre al brano che sarà disponibile in rete, l’idea che ci sarebbe piaciuto concretizzare era di mettere su CD anche le altre canzoni in programma nel concerto, dieci brani in tutto, alcune cover e un paio di canzoni composte rispettivamente da Evi Mair e Judith Pixner. Purtroppo, avendo come scadenza la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, non è stato possibile farlo. Non escludiamo però che dal concerto possa derivare un disco dal vivo, anche se per parlarne bisogna ascoltare la qualità della registrazione”.
Il quartetto di Zeni sarà quello classico con il piano di Michele Giro, la batteria di Michele Vurchio e il basso di Flavio Zanon che da qualche tempo ha sostituito un ormai impegnatissimo Marco Stagni; in più per alcune canzoni ci saranno come ospiti Roberto Gorgazzini e Matteo Rossetto. Per quanto riguarda le voci, oltre a Greta Marcolongo, coautrice con Zeni di Storie senza ma, sono coinvolte Evi Mair, Camilla Guerrini, Petra Gruber e Judith Pixner.
“Rispetto alle precedenti edizioni, intitolate Signore in Jazz – ci spiega Zeni – ora il progetto si chiama Donne in Jazz, le protagoniste sono solo cinque, rispetto alla prima edizione in cui erano una decina. Il programma è comunque molto ricco e offre l’occasione di ascoltare delle voci diverse, soprattutto voci con colori e sfumature differenti. Camilla Guerrini forse è la meno jazz come impronta, ma è interessante il suo approccio molto nero al genere; sia lei che Evi Mair hanno un’impostazione rock, però non hanno la stessa attitudine nel trasferirla al jazz. È proprio questo il bello del progetto, ognuna ha un timbro suo, un suo modo di esprimersi”.
Tutto questo si evince perfettamente dall’ascolto della composizione di cui Zeni ha firmato la musica e Greta Marcolongo il testo, un testo assolutamente in tema con il progetto a cui è legato, così come lo sono anche le altre canzoni, cover o meno, inserite nella scaletta: ciascuna cantante coinvolta ci ha messo del proprio cantando una strofa della canzone e caratterizzandola con la propria vocalità, rendendo un eccellente servizio ad un brano che è costruito molto bene e che si lascia ascoltare più e più volte catturando l’ascoltatore, sfuggendo a qualunque definizione di genere, c’è il jazz chiaramente, ma questo Storie senza ma è decisamente anche molto altro. Altro di buono.
“Per presentare il tutto – conclude il musicista bolzanino – oltre al concerto che è sostenuto da varie associazioni particolarmente sensibili al tema della violenza sulle donne, tra cui il Comitato pari opportunità del comune, tutte presenti nel foyer del Cristallo la sera dell’evento, abbiamo realizzato una cartolina con stilizzate le due protagoniste della canzone, due amiche che si incontrano in un caffè, e, sul retro, un qr code che inquadrato con qualunque dispositivo porterà all’ascolto della canzone.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Skanners: avere sempre un obiettivo all’orizzonte

Trentanove anni sulla breccia all’insegna dell’heavy metal più classico, trentacinque di presenza sul mercato discografico, sette dischi di studio, due dal vivo, un DVD concerto, un libro/DVD che racconta la loro storia, nonché un marchio di birra a loro dedicato: nessuna band altoatesina può vantare un curriculum del genere, soprattutto alla luce del fatto che loro, gli irriducibili Skanners, hanno calcato palchi in Europa e aperto per autentiche leggende come Deep Purple, Girlschool, Motörhead, Dio.

Ora, a meno di due mesi dallo scoccare del loro quarantennale, questi ragazzi – perché nell’animo continuano ad essere dei ragazzi entusiasti – si sono concessi anche un Greatest Hits che mette sul piatto quindici brani tratti dai dischi di studio ed una nuova composizione che fa sperare molto bene per il futuro della formazione.
Ma qual è il segreto di questa eterna giovinezza musicale?
“Un segreto vero e proprio forse non c’è – ci racconta Fabio Tenca, chitarrista e fondatore degli Skanners col cantante Claudio Pisoni – diciamo che probabilmente, nella musica forse ancor più che nella vita in generale, è importante non perdere di vista gli obiettivi. Avere sempre un progetto su cui lavorare, tenere l’orizzonte occupato da qualcosa da portare a termine, è sicuramente stimolante e ci aiuta a non mollare mai la presa. Il Greatest Hits, anche se è uscito un po’ prima del nostro compleanno come gruppo rientrava in quegli obiettivi: farlo uscire ora ci permette di poter lavorare molto alacremente sulla sua promozione nel corso dell’anno del quarantennale vero e proprio.”
E per gli Skanners, il 2022 si preannuncia denso di scadenze all’orizzonte: il gruppo è formato ormai da veterani visto che oltre ai due fondatori ne fanno parte il chitarrista Walther Unterhauser (con oltre vent’anni di militanza), il bassista Tomas Valentini (che abbassa di molto l’età media ma che ridendo e scherzando è uno Skanner da ormai dieci anni) e il batterista Christian Kranauer da un paio d’anni al posto di Davide Odorizzi, ma che aveva già fatto parte della band per i primi dieci anni del terzo millennio.
Nella fattispecie, il discorso si riprende da dove l’inizio della pandemia l’aveva interrotto, all’indomani della partecipazione degli Skanners ad un festival in Russia.
“C’erano in cantiere dei concerti in Gran Bretagna e in Messico – confessa Tenca – poi tutto si è fermato giocoforza, ma già in Russia abbiamo avuto la soddisfazione di vedere che la gente ci conosceva e veniva ai concerti coi nostri dischi. Ora abbiamo lanciato il video di Under The Grave il nuovo brano incluso nell’antologia (youtu.be/e3rUMtfmq68), il prossimo passo sono una serie di concerti già programmati per la prima metà del nuovo anno: Novara, Cremona, in Svizzera per una crociera rock sul lago di Costanza, in Germania a Lipsia e nel Saarland, a maggio saremo di nuovo a Mosca e a San Pietroburgo, ma in via di definizione ci sono anche un ritorno al Wacken (il più importante festival metal del pianeta, n.d.r), possibili date in Svezia, Cina, Giappone”.
Un programma mica da ridere, soprattutto visto e considerato che il Giappone per la musica rock è sempre stato una terra promessa, pensiamo all’intramontabile live giapponese dei Deep Purple innanzitutto, ma anche ai vari live registrati al Budokan di Tokyo (da Bob Dylan ai Cheap Trick): gli alfieri della via altoatesina del metal avevano già tentato un precedente sbarco in Giappone, ma col recente Greatest Hits una porta si è spalancata, visto che il nuovo disco (distribuito in Europa da Music For The Masses/ Egea Music) dal 20 ottobre è disponibile anche nel Sol levante su etichetta Warm Hole Death.
“Abbiamo sempre cercato di muoverci con professionalità – conclude il chitarrista – fin dall’inizio quando Walter Eschgfäller ci faceva da manager, occupandosi di promuoverci e mettendoci in contatto con promoter e label. Ora il mondo discografico è cambiato molto, lavorare per una major è difficile e non è detto che sia appagante. Molto si muove intorno alla musica digitale, anche se il nostro pubblico è molto legato ai formati solidi, ora ci vengono chiesti di nuovo anche i vinili, il che non esclude che tra i progetti all’orizzonte ci possano essere ristampe su questo supporto dei dischi usciti prima solo in compact disc. Con tutta questa carne al fuoco per i nostri quarant’anni, per un disco di materiale nuovo i nostri fan dovranno attendere un altro paio d’anni”.

Autore: Paolo Carnevale

Hubert, l’americano

A giudicare dal folto (ma distanziato) pubblico ritrovatosi un paio di settimane fa al Ca’ de’ Bezzi per il concerto di presentazione del nuovo disco, c’era davvero molta attesa per questo Stop, nuovo lavoro del chitarrista brunicense Hubert Dorigatti; il quinto disco da quando l’artista è passato dal jazz strumentale degli esordi ad un rock blues molto radicato nella cultura e nel sound degli Stati Uniti, nonché il primo per la casa discografica milanese Appaloosa, piccola ma determinata label, molto impegnata nella promozione e produzione di artisti italiani d’ambito rock e di artisti americani e britannici di nicchia ma importanti.

“È stato Fabrizio Poggi –racconta Hubert – a suggerirmi di contattare questa etichetta. Lui aveva già collaborato come armonicista al mio disco precedente e come solista ha diverse pubblicazioni su Appaloosa. Così ho provato a mandare a Milano un po’ di tracce di prova del disco che avrei voluto fare e loro mi hanno incoraggiato. Il risultato è Stop che adesso è finalmente distribuito e che sto promuovendo anche dal vivo”.
Il giudizio sul disco è decisamente positivo, ogni singola nota sembra confermare prepotentemente la felice vena compositiva dell’autore e la sua propensione a realizzare dischi che sembrano prodotti in America, suonando talvolta anche più americani dei dischi di certi artisti che dagli Stati Uniti provengono.
Si tratta di un disco decisamente vario, mai ripetitivo, con una dozzina di nuove composizioni registrate tra il Mcwave Studio di Brescia e il Newport di San Lorenzo di Sebato, rispettivamente da Paolo Costola e Armin Rainer, con uguale perizia, mescolando nazionale e locale, come avviene anche per la scelta dei musicisti.
“Avevo finalmente l’occasione di fare un disco che potesse contare su una certa distribuzione anche in Italia – ci spiega Dorigatti – e mi sono detto che volevo i musicisti migliori. Così al basso ho chiamato Paolo Legramandi, che ha un curriculum eccellente, c’è naturalmente Poggi all’armonica, Michele Bonivento suona piano elettrico e un eccezionale Hammond, perché, ci tengo a dirlo allo studio Macwave abbiamo suonato con strumenti veri, praticamente dal vivo, tutti insieme. Mi piace lavorare col vecchio metodo, avere un vero Hammond e non un plug-in che ne riproduce il suono. E poi ci sono il banjoista inglese Dan Walsh, il vibrafono di Mirko Pedrotti, la batteria di Matteo Giordani, Max Castlunger e Adrian Kirchler alle percussioni”.
Il risultato è un disco molto equilibrato, arricchito poi dai cori di Laura Willeit, Evi Mair e Martin Perkmann, un disco che spazia dal rock blues, a volte puro rock (la turgida Mr. Nolan, uscita come singolo apripista qualche mese fa), a incursioni country (come in Good Old Days in cui primeggia il banjo di Walsh), fingerpicking (ascoltate Mama Will Do It Right in cui la chitarra acustica dialoga col vibrafono di Pedrotti) o addirittura d’atmosfera dixie come Walking con un eccelso lavoro vocale di Laura Willeit.
“Credo sia una delle mie peculiarità – prosegue il musicista – il jazz è stato molto importante per me, l’ho studiato molto a fondo e mi piace infilarlo senza esagerare in ciò che suono adesso. È il mio pallino, inserire nelle composizioni cose che vadano fuori dalla pentatonica, restando però sempre saldo nella musica che faccio, non per fare il figo o esibire un virtuosismo fine a sé stesso, piuttosto per non rimanere impastoiato in definizioni che mi stanno strette. Vedo che poi c’è la risposta da parte del pubblico, che apprezza. E non parlo solo del pubblico nostrano o europeo con cui ho a che fare di solito: avendo suonato in più occasioni anche negli Stati Uniti ho avuto dei feedback positivi, cosa che non è del tutto automatica. Mi dicono che la pronuncia inglese è buona, ma ci sto ancora lavorando, non credo sarò mai perfetto, l’importante è esserne consapevole”.
Per quanto riguarda la promozione di questo nuovo disco, Dorigatti punterà sulla formazione a trio vista in azione al Ca’ de’ Bezzi, con la voce di Laura Willeit e il bassista (e background vocalist) Giacomo Da Ros.
Nello specifico possiamo comunicarvi che sarà possibile vederli di nuovo in azione in città il prossimo 26 novembre al Laurin, dove sarà presente come ospite anche Fabrizio Poggi.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Monika Callegaro e la bellezza della musica

Calca i palchi da ben cinquant’anni, ma anagraficamente non ne ha molti di più visto che ha cominciato davvero in tenera età: il nome di Monika Callegaro è uno di quelli che chi segue le cronache musicali conosce molto bene, sia come cantante di storiche formazioni come Cela Aguai, S.A.M Session, la Lovetown Band di Benno Simma o le Swingin’ Sisters di fama nazionale (con le sorelle Bertagnolli), sia come insegnante di canto, sia, in tempi recenti, come apprezzata conduttrice radiofonica.

Ha avuto sempre una grande attenzione per la scena musicale della sua (e nostra) città. Ed è naturale quindi che per festeggiare i suoi cinquant’anni di palcoscenico, Monika abbia deciso di mettere online, sul suo canale youtube quattro canzoni registrate per l’occasione, una autografa e tre con le firme di autori locali.
MK, questo il titolo del brano composto per l’occasione, è un biglietto da visita importante, il video ci mostra l’artista in perfetta solitudine e sicurezza, seduta al pianoforte e alle prese con un testo personale, autobiografico, molto convincente.
“MK – ci racconta la Callegaro – è la sigla con cui di solito firmo i messaggi quando ho poco tempo. La K è importante nel mio nome e ho dovuto difenderla sempre perché spesso mi è stata tramutata in C, cosa che toglieva al mio nome l’unica testimonianza della mia parte di radici tedesche. MK è poi un po’ come una contrazione di Monik, che suona come Diabolik o Cattivik… Insomma è una cosa a cui tengo parecchio. Così quando ho cominciato a cercare un titolo per una canzone che parla così intimamente di me, quasi fosse una confessione riguardo al mio rapporto col canto, mi è parso che non ce ne fosse uno migliore”.
L’incipit del brano, “Sono caduta nella bellezza appena ho potuto”, la dice lunga sul rapporto tra la cantante e la musica, la bellezza è la musica e il riferimento è chiaramente alla prima volta in cui il padre l’ha spinta sul palco, in età prescolare, per partecipare ad un concorso (come Monika Leitner, col cognome della mamma) dove si classificò seconda col brano “Un sogno”, che recava la firma insospettabile di Giorgio Dobrilla, che è poi un’altra delle canzoni scelte per l’EP registrato da Monika la scorsa estate sotto la guida artistica di Mattia Mariotti, responsabile anche delle riprese video realizzate in un suggestivo bianco e nero per nulla datato.
“Quell’incipit – ci spiega l’artista – è esattamente quello che sento ogni volta che canto, ogni volta che mi ritrovo in nello stato di grazia in cui mi sento quando canto, ho la consapevolezza di essere immersa in un bagno di bellezza. Quando poi ho cominciato a pensare ai brani da registrare ho scelto queste cover non a caso, dietro ognuna di esse c’ è un legame particolare. Ho sempre desiderato fare un disco in cui cantare gli autori locali, da Jacopo Schiesaro agli Skanners, ad Andrea Maffei, i Morisco, Bobbi Gualtirolo, ce n’è tanta gente bravissima che scrive bellissime canzoni… in realtà per i miei cinquant’anni di palcoscenico avrei voluto fare un concerto, ma poi è successo quel che è successo. Alla fine c’era davvero poco tempo per imbastire il progetto e quindi mi sono appoggiata a Mattia, che è stato importantissimo non solo a livello musicale, ma anche umano, psicologico. Mi ha aiutata a mettere a fuoco il fatto che dovesse essere un lavoro emotivo, e così è stato. Diretto, senza artifizi, a parte il brano originale in cui il pianoforte l’ho suonato io, negli altri tre mi ha accompagnata Marco Facchin.”
Le altre due composizioni interpretate dalla cantante nel suo EP, sono ugualmente importanti: “Pastelli” porta le firme di Andrea Maffei e Sergio Farina (compagno di vita di Monika), un brano che la Spritz Band non ha mai trovato il tempo di inserire in nessun disco ma che non è passato inosservato, “Basta così” viene invece dal repertorio di Benno Simma (ed aveva avuto una prima cover dal vivo da parte dei Morisco in un Live Muse di alcuni anni fa).
“Sono canzoni bellissime – conclude la Callegaro – belle da ascoltare, belle da cantare, al di là della bellezza in sé, dal punto di vista armonico, melodico, del testo; per quel che mi riguarda c’è il contesto, l’importanza che quei brani hanno avuto per me, come è poi descritto anche al termine di ciascuno dei video realizzati per accompagnarli”.

Foto principale: Carmelo Giacchino

Autore: Paolo Crazy Carnevale

The Shea: un nuovo album tra strumenti vintage e sonorità british

All’anagrafe si chiama Othmar Schönafinger, ma da diversi anni si è creato un seguito nel settore della musica online con lo pseudonimo The Shea (ogni riferimento allo stadio newyorchese in cui si esibirono i Beatles è tutt’altro che casuale), dapprima con degli interessanti singoli sempre accompagnati da belle copertine, perché nella vita The Shea fa il grafico, poi con un LP uscito nel 2018 per l’etichetta viennese Konkord. Tutto rigorosamente fatto in casa, nel suo studio in cui ha assemblato programmi e strumentazione d’epoca per ricostruire le sonorità che stanno alla base del nuovo lavoro, Disappear, uscito lo scorso 30 luglio.

“Si tratta di un disco che in realtà era già pronto quando la Konkord ha dato alle stampe quello precedente – ci racconta l’artista –, doveva anzi essere questo il disco previsto per il 2018, poi alla casa discografica mi hanno detto che a loro piacevano molto i brani che avevo messo in rete negli anni passati e così questo Disappear è stato messo in lista d’attesa. Un anno fa mi hanno detto che avevano deciso di non proseguire la collaborazione, erano contenti di come il disco era andato ma che avevano altri progetti. All’inizio di quest’anno però mi hanno ricontattato dicendo che avevano riascoltato il materiale è che si erano dimenticati che fosse così buono e che volevano a tutti i costi pubblicarlo. Non solo, stavolta lo hanno fatto in più formati: il vinile nero col CD allegato, il download digitale, l’edizione limitata in vinile colorato color marmo, il CD, il vinile colorato con allegato il 45 giri a tiratura limitata. Io non me lo aspettavo, ero comunque contento dell’esperienza fatta col primo disco, ma devo ammettere che essere stato ricontattato da loro, per il mio ego è stata una cosa davvero appagante”.
Rispetto al disco precedente Disappear vira più verso il sound degli anni settanta, con la scelta di usare strumenti ben precisi: The Shea conosce i suoni che vuole e quelli a cui si rifà, si suona tutte le parti strumentali e cura tutte le voci; stavolta però si è avvalso dell’aiuto di Alex Eschgfäller (già cantante dei John’s Revolution, precedente creatura di Othmar), che in un paio di canzoni suona la batteria. Inoltre, il nostro ha voluto provare l’ebbrezza di andare a registrare almeno un brano del disco, Murder Serenade, in uno studio professionale londinese, quello di Gilles Barrett che in questo brano si occupa anche del basso: tutto il resto è farina del sacco e delle mani di The Shea.
“Ero curioso – ci dice The Shea a questo proposito – di vedere e sentire come sarebbe suonata una mia canzone registrata con le orecchie di un inglese che conosce a menadito questi suoni. Nel mio DNA musicale c’è il pop inglese, dai Beatles ai Libertines e ai Babyshambles, e un tecnico inglese come Gilles sa come questa musica deve suonare, inoltre al Soup Studio vi sono chitarre Gretsch, batteria Ludwig, microfoni Neumann, tutti strumenti originali d’epoca. Poi in tutti i brani c’è la tastiera Eko Tiger che ho avuto in regalo da un amico che l’avrebbe buttata, io l’ho messa a posto e ora il suo sound è parte integrale della mia musica”.
Nel complesso il nuovo disco è un passo avanti rispetto ai già importanti risultati del suo predecessore, innanzitutto può contare su due accattivanti singoli usciti come video realizzati sempre in proprio e intitolati Liar (molto immediata e con un video che è un omaggio dichiarato a Elvis Presley) e Pumping In Your Chest (che in qualche modo richiama anche il periodo bubble gum di Giorgio Moroder, ben prima di Donna Summer e del successo interplanetario).
In Liar poi, c’è, ben inserita tra le pieghe del tessuto musicale, una chitarra che suona molto George Harrison.
“I Beatles – continua The Shea – sono un punto fermo. Anche se non cerco di fare musica beatlesiana, in qualche modo la loro lezione fa sempre capolino”.
Il sound del gruppo spunta anche nell’ultima canzone del disco, Got To Get To, l’esplicita The Bombs è invece un atto d’accusa alla politica di Trump, mentre nel brano che chiude il lato A, Sundance, è evidente la passione dell’artista per il cinema western e per le colonne sonore di Ennio Morricone: fin dalle prime note è perfettamente intuibile la sensazione dell’andatura stanca del cavallo che va incontro al sole che tramonta.
Unico rammarico l’impossibilità di eseguire il disco dal vivo: “Suonando tutto da solo – conclude Othmar – avrei bisogno di una band, ma per questa musica ci vogliono musicisti che siano appieno dentro il mood di questo suono, a partire dal suono per arrivare al look!”.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Shanti Powa: un nuovo disco per il sognatore che è in noi

Il concetto che ciascun essere vivente debba avere un sogno fa parte di molte culture, e non poteva che essere raccolto da una band come gli Shanti Powa, che di sogni ne ha avuti e continua ad averne molti, anche se uno grande come una casa lo ha realizzato proprio col suo quarto disco, che ha visto la luce (per ora in formato digitale, ma il vinile è atteso caldamente) a fine primavera e porta giustamente il titolo di Dreamer.

“Il titolo dell’album – ci racconta Jonas Tutzer, sassofonista, una delle new entry del folto gruppo – viene da una delle canzoni scritte da Berti (a.k.a. Berise, il fondatore e cantante degli Shanti Powa, n.d.r), una canzone intitolata Never Let Go, in cui l’ascoltatore è invitato calorosamente a sognare, a farsi sognatore e non mollare, anche in relazione al periodo da cui l’umanità intera sta cercando di uscire”.
Un periodo che per gli Shanti Powa non è stato facile: alla fine del 2018 si erano infatti autoimposti uno stop per riorganizzare la formazione che aveva visto allontanarsi alcuni componenti, il 2019 era stato dunque l’anno del ritorno in pista e il 2020 avrebbe dovuto veder concretizzato il nuovo disco, slittato invece fino ad oggi per i problemi legati alla pandemia e all’impossibilità di trovarsi a suonare (soprattutto quando si è in tanti come loro) e a promuovere questo Dreamers. Diciamo che almeno ne è valsa l’attesa, visto che per questo disco gli Shanti Powa, che finora si erano sempre egregiamente autoprodotti, hanno avuto l’onore di avere in cabina di regia Gaudi, uno dei produttori più richiesti ed affermati del globo terracqueo per quanto riguarda la musica dub, molto vicina al reggae e al ragamuffin dei ragazzi. La storia dell’incontro ha il sapore delle più belle leggende rock.
“Avevo contattato Gaudi via email tempo prima – è Berise, il cantante a raccontare ora – e poi ci siamo trovati in cartellone insieme al Boomtown Festival, lui su uno dei palchi principali, noi su uno più piccolo. Thomas ed io lo abbiamo incontrato dopo il suo spettacolo psychotrance e abbiamo parlato un po’ invitandolo alla nostra esibizione. In realtà non ci aspettavamo che venisse, invece era lì in prima fila e dopo il concerto ci ha raggiunti nel backstage con una bottiglia di tequila annunciando di volerci produrre perché gli piaceva la nostra attitudine punky, non comune nel mondo del reggae.”
L’intesa tra il produttore e la band è stata subito notevole e il risultato che ora possiamo finalmente ascoltare ha del prodigioso, Gaudi è riuscito a colorare la ulteriormente la già variopinta miscela musicale della formazione bolzanina aggiungendo il suo enorme bagaglio di esperienza e le sei canzoni originali (presenti anche in versione dub) ne escono davvero a testa alta, da quella del singolo iniziale, Rainy Day, uscita anche su 45 giri, alla già citata Never Let Go alla cover della Uncertain Smile dei The The, la prima cover in assoluto per la band.
“Per la prima volta – parla ora il trombettista e backing vocalist Thomas Maniacco – abbiamo avuto l’occasione di lavorare con un produttore, per di più di talento sconfinato, ed è stata un po’ una sfida anche per noi lasciargli campo. Siccome poi è uno dei migliori dub-master in circolazione, fin dall’inizio si è deciso che di ogni brano ci sarebbe stata una dub-version. Quando uscirà il vinile una facciata sarà con le versioni originali ed una con quelle dub; a me piace pensare che è un po’ come ascoltare la stessa storia da due voci diverse e concepita con orecchie diverse. Come gli altri dischi anche questo lo abbiamo registrato nel nostro studio ad Aica di Fiè, un luogo. Siamo anche molto contenti di come la nuova formazione si è amalgamata: oltre a noi tre, c’è sempre il batterista Florian Gamper, che però ha deciso per un po’ di suonare a distanza, Lukas Pichler suona il basso e Fabian Pichler la chitarra, il nuovo DJ è Alessandro Tarabelli, mentre la sezione fiati si completa con Andreas Galante e Gabriele Marchettini, mentre al didgeridoo c’è sempre Sir Gulliver J. Klauser e dopo la registrazione del disco è tornato anche il chitarrista degli esordi (e dei primi tre dischi) Peter Burchia. Siccome poi nel nostro nuovo corso Berti è rimasto l’unica voce degli Shanti, nel disco ci sono ospiti diversi amici come Amelia Wattson, Tom Spirals, Raggabound, CW Jones e Danny Lawda.”

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Quarant’anni spolpi

La storia andò diversamente: in occasione di un concerto a cui Madder non ebbe possibilità di prendere parte, il resto del gruppo, per non perdere l’ingaggio, decise di arruolare un altro front man, un DJ senza esperienze da cantante ma con una grinta e una capacità di calcare il palco davvero uniche. Quel DJ era Agostino Accarrino, gli Stary Most finirono lì e da lì – nel nome dello spirito del rock’n’roll – cominciò la storia della Spolpo Bluers Band.
Era il 1981, esattamente quarant’anni fa. Della Spolpo originale è rimasto solo Accarrino, ma dei suoi quattro soci attuali, a ben vedere, uno (il chitarrista Eric Siviero) è in formazione dal 1989, il batterista Jack Alemanno dal 1990, il bassista Haifisch Heidegger è con loro dal 1995 e l’ultimo arrivato Alex Trebo (tastiere e direzione d’orchestra) si è unito alla Spolpo nel 2000; e se la matematica non è un’opinione, vuol dire che la formazione è la stessa ormai da ben ventun anni, vale a dire oltre metà della propria esistenza.
La Spolpo Blues Band è la mischung ideale di cui l’Alto Adige avrebbe bisogno non solo a livello musicale, se la politica imparasse infatti dalla musica tutto sarebbe più facile. Nella Spolpo convivono infatti più culture e più etnie: italiani, tedeschi, ladini, mistilingui riescono a stare perfettamente in equilibrio generando energia che sul palco – a livello locale – fa ancor invida, al di là dei personali gusti dell’ascoltatore.


“Quando ci troviamo a fare le prove nella saletta ARCI di Vipiteno – ci racconta Accarrino – in realtà non diciamo che facciamo prove, diciamo facciamo musica, perché la voglia di suonare insieme è tale che riusciamo ad andare avanti per tre ore senza fermarci. Soprattutto ci divertiamo e ci facciamo delle gran risate. E i brani che abbiamo suonato in tutti questi anni sono talmente tanti che a volte non ci ricordiamo neppure di averli mai eseguiti. Certo prima suonavamo molto in giro, ora ognuno di noi è coinvolto in altre realtà musicali affini alla Spolpo, ma tutte con una propria peculiarità che le rende indipendenti da quello che facciamo quando siamo noi cinque. Se siamo noi cinque è come se si scatenasse una reazione chimica unica e irripetibile. È la Spolpo e non ci sono altri termini per definirla”.
È lo spirito del rock’n’roll, puro e semplice, vissuto come lo si viveva dagli anni settanta in poi, qualcuno lo chiama classic rock, qualcun altro lo giudica una musica finita o quanto meno senza più nulla da dire. A molti però continua piacere, e non è solo una questione anagrafica. Per questo la Spolpo Blues Band per festeggiare i suoi quarant’anni di concerti ha deciso di organizzare un mini tour regionale di quattro date, col proposito di riproporsi al suo variopinto e fedelissimo pubblico pescando nell’immenso catino del rock-blues, sia esso di marca sudista, virato verso l’hard britannico o verso certa musica californiana.
Il primo concerto del tour sarà quello di Merano venerdì 3 settembre, con inizio alle ore 18, col duo Ghirardini/Biscuola e il trio di Lukas Insam in qualità di gruppi spalla: sede dell’evento il Pido DFL (già dopolavoro ferroviario il Pidocchietto).
Si prosegue domenica 5 alle ore 11 a Monte Cavallo, sopra Vipiteno, presso il rifugio Sterzingerhaus, anche stavolta con il Lukas Insam Trio ad aprire le danze.
Sabato 11 settembre la Spolpo sarà invece, senza opening act, al teatro tenda di Laives per il concerto Stop AIDS, inizio alle 21.30.
Ultima data del tour domenica 12, quando il gruppo tornerà ad esibirsi in altura, alle 12, al rifugio alpino Ütia de Börz, a Passo delle Erbe, con apertura a cura di Manuel Rainer e del trio Insam.
“Il repertorio – conclude Accarrino – è naturalmente quello che ci si può o deve attendere da noi, con qualche rispolverata, tipo brani degli ZZ Top, in onore del loro bassista Dusty Hill, mancato poche settimane fa”.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Singoli e intingoli

Anche i nostri artisti locali non sfuggono alla consuetudine delle canzoni estive. Ecco una selezione delle ultime “uscite” che spaziano tra i vari generi musicali. Tra essi: Underscore, Eziogroove e Elisa Venturin, Giulia Martinelli, Ronnie, Berise e Hubert Dorigatti.

L’estate è da sempre la stagione delle canzoni tormentone, dei singoli trascinanti. O meglio lo era in ere geologiche passate in cui era di rigore la fantasia: siamo convinti che da anni ci si sia persi per strada in cotal senso, le canzoni/tormentone sono divenute tormentose, uguali una all’altra, e non certo da quest’anno. Prendiamo ad esempio il video singolo di Underscore, artista bolzanino che ha debuttato poche settimane fa col suo Tutto bene, ci sono tutti i luoghi comuni della bisogna, tutto suona già sentito dagli “Ohò, ohò” del refrain al cantato che fa troppo Baby Kay (una che già di per sé sono anni che canta sempre la stessa cosa). Il genere si chiama reggaton e Underscore, che all’anagrafe si chiama Simone Melchiori e dichiara di detestarlo (!), vanta un curriculum di studi importanti ed ha parecchie ambizioni riguardo al suo futuro nel settore musicale. Certo, il brano è dichiaratamente scritto con l’intento di essere un hit estivo, scanzonato, spensierato, se è quello di cui avete bisogno il video si trova a questo bit.ly/3jsYR2E, se dalla musica vi attendete però qualcosa di più, vi conviene rivolgere le attenzioni altrove.
Ad esempio l’interessante connubio tra il percussionista Ezio Vaccari (in arte Eziogroove), con una lunga esperienza nel campo dell’afro music in Germania, e la cantante bolzanina Elisa Venturin, che hanno pubblicato a fine primavera il singolo Sherwood, un brano di musica elettronica dalle atmosfere chillout lanciato da un video girato nei boschi del lago di Monticolo. Dimenticate la Venturin del recentissimo disco di canzoni in sanscrito e immaginatela in questo progetto assolutamente alternativo in cui la sua voce si adatta molto bene al tessuto musicale elettronico creato da Eziogroove.
Sponde di altro lago, quello di Caldaro, per un altro recentissimo singolo, Mentiroso, pubblicato di recente dalla cantautrice meranese Giulia Martinelli. Dopo il bell’esperimento country pop prodotto da Chris Kaufmann lo scorso autunno, The Crown, e dopo i tre EP realizzati in precedenza, la cantautrice ci prova stavolta con una canzone in spagnolo. Se l’idea al momento può sembrare spiazzante, in realtà si tratta solo della voglia di cantare un brano in una lingua che la Martinelli per altro conosce molto bene, avendo studiato in Spagna per un certo periodo, siccome però non le piace fare le cose alla carlona, dopo aver composto il testo se lo è fatto correggere da persone di madrelingua.
Il risultato è abbastanza in linea con le produzioni precedenti della cantautrice, anche se stavolta in regia c’è Riccardo Cesari, che al sound molto essenziale si è limitato ad aggiungere una furba chitarra vagamente spagnoleggiante.
Niente singoli e niente video invece per un’altra cantante bolzanina, Veronica Carlotta – in arte Ronnie –, che ha rilasciato un intero EP virtuale composto di cinque brani intitolato Tatoo (Sulla pelle), praticamente una sorta di concept album in miniatura sul tema del tatuaggio, sviscerato attraverso cinque composizioni dai titoli emblematici di AGO (Ora chi dormirà), INCHIOSTRO (Dono), DISEGNO (Milano), PELLE (Tattoo), IO (Sarò me), come a significare tutta l’operazione che c’è appunto dietro un tattoo e gli elementi di cui esso è composto, dall’ago al destinatario del tatuaggio.
A maggio poi è uscito anche il singolo Roadblock firmato in proprio da Berise (Bertrand Risè) uno dei fondatori, nonché la voce principale degli Shanti Powa; per concludere, ma ne parleremo approfonditamente a tempo debito, dall’11 giugno è disponibile Mr. Nolan, il nuovo vibrante singolo di Hubert Dorigatti, che prelude all’uscita di un intero album dell’artista pusterese per Appaloosa Records, una delle più rinomate etichette indipendenti della penisola per quanto riguarda le sonorità rock e blues.

Autore: Paolo Crazy Carnevale