King’s Friends: nuovo disco, vecchi amici

Nei mesi scorsi sono tornati a farsi sentire i gloriosi King’s Friends, tra le formazioni storiche bolzanine, una delle più longeve e sicuramente la più costantemente attiva a livello concertistico, anche se dal beat del 1965 (ma alcuni di loro erano già in circolazione come Kings e basta già dal 1961) il quintetto si è evoluto diventando una godibile mini orchestra swing-jazz che da anni anima serate sia in città che, a richiesta, anche fuori regione.

La forzata impossibilità di calcare i palchi non ha fermato del tutto i King’s Friends, che hanno così trovato il tempo di terminare il loro nuovo disco, una raccolta di 15 brani intitolata King’s Friends & Friends, in cui, contrariamente al solito hanno deciso di avvalersi delle voci di cari amici per consegnarci le loro versioni di alcune celebri canzoni che altrimenti sarebbero divenute degli strumentali, secondo la tradizione del gruppo da oltre vent’anni in qua.
Il risultato è un disco col classico marchio di fabbrica (e naturalmente anche il logo) che vede Brunetti, Garbin, Gazzignato , Messori e Morrocchi sfoggiare la ben nota classe al servizio di un repertorio stavolta più pop, ma per questo non meno gradevole e oltre alle voci si sono avvalsi anche di qualche strumentista amico, o addirittura ex del gruppo (come nel caso della chitarra di Alberto Magri in Uomini soli). Ecco così sfilare le voci dell’incontenibile Renato Capon alle prese con la sinatriana My Way, di Manuela Fogli (ricordate i suoi dischi degli anni ottanta?) che rifà Lucio Dalla, e ancora Vittorio Seidl, Loredana Merlin e Vittoria Brunetti (nel disco c’è anche suo padre Bruno al violoncello!); ovviamente ci sono anche standard strumentali però.
Contemporaneamente al CD è arrivato anche un breve, commovente DVD realizzato sempre all’insegna dell’artigianato e per la gioia degli amici, messo insieme dal bassista Gianni «Occultis» Messori, autentica memoria storica e archivista del gruppo.
“Ho sempre avuto la passione per la storia – ci racconta Messori (autore tra l’altro anche di un libro su Piazza Erbe) mentre sfoglia il suo ricco album dei ricordi – e ho sempre conservato tutto, ogni piccola cosa che riguardasse il nostro gruppo, dalle locandine dei primi concerti, o come si diceva allora tè danzanti, al Circolo della stampa, al mio libretto Empals, alle foto storiche. Quando ho avuto da mio nipote il primo computer ho fatto un corso per imparare ad usarlo e poi ho cominciato a digitalizzare foto e articoli e tutto il resto, mettendo insieme questo album, parte del quale è diventato il DVD con la storia dei King’s Friends. In cui oltre a quattro registrazioni recenti è inclusa, come commento sonoro anche una chicca del 1966, una nostra versione in sala prove del Tema dei Giganti”.
Pur con le limitazioni dovute all’epoca, la registrazione di questo brano è molto preziosa perché ci dà un esempio della professionalità che questi ragazzi avevano fin da teenager, in particolare con un ottimo arrangiamento vocale con il batterista Giannarturo «Tullo» Busellato che mette sul piatto una replica notevole delle toanlità basse che nell’originale erano di Enrico Maria Papes.
“‘Tullo’ – prosegue Messori – era una forza della natura, era stato lui a fondare i Kings nel 1961 ed è rimasto quasi fino alla fine degli anni sessanta. Siccome eravamo tre Gianni e io allora avevo degli occhialetti che ricordavano un personaggio dei fumetti del grande Blek, mi hanno sempre chiamato «Occultis», nome d’arte che è riportato anche sul mio libretto Empals di quando suonavamo come ospiti fissi per la sede RAI locale e che mi è rimasto appiccicato addosso ancora adesso.”
L’album dei ricordi di Messori, che il tastierista Brunetti sta covando di rendere pubblico in formato libro, offre imperdibili foto come quella della chitarra a sedici corde di Roberto Morrocchi, o quelle fantastiche di quando i King’s Friends per un’estate furono ingaggiati a Rimini per suonare nel locale di Carlo Alberto Rossi (autore di un certo successo che ha scritto anche per Mina e Mia Martini).
Imperdibile poi il diploma conseguito dal gruppo a Palermo quando si classificò terzo al concorso di arte varia promosso dall’ENAL:
“Fu un viaggio pazzesco – conclude Messori – era il 1965, immaginate un viaggi in treno, naturalmente in seconda classe, e da Napoli in poi su un treno coi sedili di legno, eravamo tutti stipati in uno scompartimento, noi, i nostri bagagli e i nostri strumenti, tastiera compresa!”

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Sonx 2021: ecco Liederszene 2.0

La principale realtà altoatesina di promozione della musica d’autore è tornata, promuovendo una raccolta trentasei brani originali, selezionati da una giuria ad hoc e messi in rete sulle principali piattaforme musicali.

Sul finire degli anni ottanta e per buona parte del decennio successivo, Liederszene è stato un marchio di qualità, un’associazione di primaria importanza per quanto riguarda la promozione della musica prodotta in Alto Adige, soprattutto per quanto concerne il cantautorato, senza colori né bandiere, né tanto meno barriere linguistiche: la Liederszene pur essendo nata e diffusasi soprattutto nel mondo culturale di lingua tedesca, ha sempre avuto estrema attenzione alla produzione di musicisti italiani e ladini, attraverso la pubblicazione di dischi e l’organizzazione di tour regionali, sia con solisti che tramite autentici carrozzoni sonori con a bordo più artisti, un po’ come si usava ai tempi delle cosiddette riviste musicali in voga negli anni sessanta.
Pur non avendo mai cessato di esistere, la Liederszene da molti anni ha diversificato le proprie attività, puntando soprattutto sulla Rocknet Academy, una sua branca più orientata sul versante della formazione e della produzione di demo e video, ma nei mesi scorsi, puntando sul vecchio marchio, l’associazione è tornata a farsi sentire lanciando un contest, patrocinato dalla Fondazione della Cassa di Risparmio e dalla Provincia, che ha visto la partecipazione di centosessanta gruppi e solisti.
“Quando Walter Eschgfäller, il nostro storico presidente – racconta Willy Vontavon – ha lasciato la Liederszene, ci è mancato un punto di riferimento importante. Le alternative erano chiudere o continuare con una nuova squadra. L’appoggio e l’apprezzamento per la nostra attività espressi dai nostri sponsor, sono stati determinanti nel perseguire la volontà di continuare, in particolare l’appoggio di Andreas Überbacher della Fondazione, che ci ha sostenuti oltre che economicamente anche moralmente. Con Chris Kaufmann, Robert Ausserer e mia figlia abbiamo lanciato questa next generation della Liederszene.
Il fatto che il Coronavirus abbia forzatamente messo in stand-by la Rocknet Academy ci ha dato modo di pensare al nostro nuovo progetto. Visto che molti artisti non hanno potuto lavorare per oltre un anno ci ha spinti ad organizzare questo concorso in cui gli artisti sono stati invitati a presentare un brano registrato anche in maniera non professionale, ma comunque completo nel suo arrangiamento e non protetto da copyright. La giuria ha avuto un bel da fare nel selezionare i trentasei finalisti!”
In pratica si è trattato, per gli artisti di mandare alla Liederszene una composizione originale nuova, per avere la possibilità di essere scelti e finire tra i trentasei che sono finiti nella doppia raccolta messa in rete in questi giorni sulle principali piattaforme musicali col titolo di Sonx 2021. Lo standard qualitativo delle canzoni partecipanti è stato molto alto e per la giuria non è stato un compito facile arrivare al verdetto che oltre alla pubblicazione dei brani ha garantito ai musicisti anche un premio in denaro.
In definitiva si tratta di una cosa molto simile al progetto di fine anni ottanta, quando oltre ai tour della Liederszene, ogni anno c’era anche la pubblicazione di un disco (dapprima in vinile e musicassetta, in seconda battuta su CD e non più su vinile) che presentava le canzoni degli artisti partecipanti ai tour.
“Rispetto ai tempi dei nostri esordi – prosegue Vontavon – si salta tutta la parte riguardante la registrazione dei brani. A quei tempi la realizzazione di un disco comportava il fatto che i musicisti dovessero anche essere guidati in studio e assistiti, perché nessuno aveva la possibilità di registrare professionalmente le proprie canzoni, cosa che ora con le attrezzature adeguate e un buon computer è possibile fare stando a casa propria. Il risultato è sorprendente, abbiamo dovuto intervenire sui brani solo minimamente, per dare una regolata ai livelli complessivi e anche se oggi sembra che siano pochi quelli che ascoltano i dischi per intero, ho provato io stesso a mettere la sequenza dei brani nella mia playlist e ad ascoltarla tutta d’un fiato e devo dire che funziona proprio bene. Sonx 2021 include brani di artisti locali dei vari gruppi linguistici, personalmente mi sarebbe piaciuto avere una maggior adesione da parte degli artisti italiani, ma per il futuro si può sempre migliorare. Abbiamo anche discusso se fosse il caso di suddividere il contest in categorie: una volta era più semplice distinguere rock da jazz, da cantautori o altro, ma oggigiorno è tutta musica e gli stili si combinano e si confondono, tanto che tra tutti i partecipanti che nella scheda di iscrizione dovevano dare una definizione della propria musica, alla fine ci sono arrivate oltre cinquanta definizioni differenti!”
Il disco e i brani sono disponibili da giovedì 15 luglio sui vari canali, da spotify a youtube e via dicendo, ma se ci saranno fondi per realizzarlo, i ragazzi della Liederszene stanno covando di realizzare un doppio vinile con i primi diciotto brani classificati: diciamolo pure, sarebbe una succulenta ciliegina sulla torta già ricca di questo progetto.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Happy birthday Bob

Sabato 3 luglio alle ore 21 all’arena del Parco delle Semirurali avrà luogo una serata tributo a Bob Dylan, che recentemente ha compiuto 80 anni. Sul palco salirà Bobby Gualtirolo, accompagnato per l’occasione da una band costituita da Manuel Randi, Marco Stagni e Mario Punzi.

Lo scorso 24 maggio Bob Dylan ha compiuto ottant’anni: con la copertura che stampa (specializzata e non), televisione e internet hanno dato all’evento è assai difficile che a qualcuno la cosa possa essere sfuggita. D’altra parte Bob Dylan – che ci piaccia o meno – è stato un punto di riferimento quasi costante da sessant’anni in qua, e non ci riferiamo solamente alla musica, perché Bob Dylan – suo malgrado – è stato anche un modello, un autore, un oggetto di studio infinito, in un certo periodo della sua carriera anche un fenomeno di costume. Ininterrottamente.
Il tutto rimanendo vivo e vegeto: perché a diventare un mito da cadavere, quello riesce bene a molti, anche a quelli che miti altrimenti non lo sarebbero mai diventati (gli eroi son tutti giovani e belli, cantava Francesco Guccini).
Negli ultimi anni, volente o nolente (la sua sfuggevolezza è ormai risaputa), Dylan ha fatto parlare parecchio di sé: per non essersi recato a ritirare il premio Nobel (più che per averlo ricevuto), per aver sfornato una serie di dischi in cui andava cantando le canzoni di Frank Sinatra e non ultimo per il suo disco dello scorso anno, apparentemente realizzato in pieno lockdown, ma probabilmente già più che abbozzato e anche assemblato molto prima.
Le restrizioni vigenti un po’ in tutto il globo non hanno però consentito l’organizzazione di un evento per celebrare gli ottant’anni del musicista, ma nel nostro piccolo posto tra i monti, un cantautore/rocker locale, grande fan e conoscitore del soggetto Dylan, ha ben pensato di omaggiarlo con una serata dal vivo.
Si tratta di Bobby Gualtirolo, che col patrocinio dell’Associazione Provinciale Musicisti sabato 3 luglio alle 21, presso l’arena del Parco delle Semirurali accompagnato da una band d’eccezione per riproporre un sonoro tributo a Bob Dylan basato soprattutto sul repertorio recente.

Bobby Gualtirolo

“I pezzi nuovi di Dylan – ci spiega Gualtirolo, intendendo per nuovi quelli degli ultimi venti, venticinque anni – più li ascolti e più sono dei gran pezzi. Per questo motivo ho scelto di eseguire solo un paio di cose del repertorio più vecchio, e una di queste sarà comunque in un arrangiamento dei primi anni duemila. Mi sembra un repertorio molto interessante, volevo evitare di fare una serata con più musicisti, con molti ospiti e una scaletta per così dire mainstream, mi interessava piuttosto un gruppo compatto, solido, per questo ho chiamato tre fuoriclasse come Manuel Randi, Marco Stagni e Mario Punzi, che tra l’altro sono già un trio preesistente. Volevo fare qualcosa che potesse andare vicino ad un concerto recente di Dylan”.
Dylan stesso, negli ultimi anni nei suoi concerti ha preferito concedere più spazio alle nuove composizioni piuttosto che ridursi a fare un mero e gratuito greatest hits col rischio di finire col sembrare la cover band di sé stesso e dei suoi anni d’oro piuttosto che un artista ancora ostinatamente e sensatamente sulla cresta dell’onda. E la formazione con Randi, Punzi e Stagni è sicuramente in grado di supportare Bobby Gualtirolo in questo progetto per cui, per essere più incisivo sta studiando le pronunce, gli accenti le sfumature con cui Dylan nelle sue esecuzioni dal vivo approccia i brani che figureranno in scaletta.
“Bob Dylan – conclude Gualtirolo – è un po’ il luogo dove, musicalmente parlando, si finisce prima o poi per tornare. Magari lo tralasci un po’ per qualche tempo, provi ad ascoltare altra musica, cerchi altre sonorità, ma poi succede sempre che ci torni, come ad una fonte a cui dissetarsi, è talmente pieno di spunti e di idee che trovi sempre qualcosa da attingere. E al tempo stesso è tradizionale, perché innovativo non è di certo; se musicalmente l’ultima canzone vera e propria è Mississippi che risale al 2001, a livello di testi continua a dire cose sensate. Che non è poco”.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Bolzanini collezionabili

Ci sono anche alcuni vinili “locali” tra i pezzi più ricercati da coloro che per passione amano conservare le testimonianze degli scorsi decenni, per quanto riguarda la scena musicale altoatesina. Tra le rarità si trovano alcuni artisti “importanti”, ma non solo. 

A chi non frequenta il mercato dell’usato e i siti dei dischi da collezione, forse tutto questo sembrerà assurdo, ma chi magari si occupa di altro genere di collezioni avrà di certo meno difficoltà a comprendere che sul mercato dei dischi usati, e ci riferiamo in modo particolare a quello dei dischi in vinile, i 33 giri e i 45 giri, ci sono esemplari che raggiungono prezzi impensabili, come i francobolli, come i giocattoli, certi oggetti d’antiquariato, i vecchi libri.
Quello che potrà stupirvi è però scoprire che tra i pezzi da collezione ci sono anche determinati dischi registrati da musicisti bolzanini, artisti di casa nostra, persone che magari conosciamo anche di persona e mai sospetteremmo che abbiano mai registrato un disco, o, se lo sappiamo, che quel disco sia addirittura un pezzo da collezione.
Va detto, a onor del vero, che non è scontato che per forza un certo disco debba valere il prezzo a cui lo vediamo magari in vendita su qualche sito web o su una bancarella al mercatino delle pulci, il prezzo reale è piuttosto quello che ciascun collezionista è disposto a sborsare per quel disco, come accade con ogni oggetto da collezione.
Va da sé poi, che la rarità e la ricercatezza di un determinato vinile sono stabilite anche dalla quantità di copie stampate e non dalla fama del gruppo o artista: per fare un esempio, una copia dei vinili incisi dagli Skanners negli anni ottanta si trova abbastanza facilmente, senza spendere troppo, in quanto questi dischi sono stati incisi per un’etichetta importante, hanno avuto un certo seguito e quindi se ne sono vendute parecchie copie, che di conseguenza sono tutt’ora in circolazione.


Per una copia del primo vinile dei loro colleghi metallari della Bassa Atesina invece, i Feline Melinda, essendosi trattato di una produzione meno diffusa, in un’asta di ebay del 2014 sono stati battuti ben 39 euro.
Facendo un salto sulle produzioni degli anni sessanta, che dire dei 401 euro pagati da qualcuno nell’ottobre del 2011 per il singolo del Barracuda Quartet (o Barracuda che dir si voglia) inciso nel 1966? Inutile dire che il pezzo è talmente raro che non si hanno notizie di altre copie in vendita né su ebay né su siti analoghi. Sono 77 invece gli euro spesi per una copia del mitico “Gli angeli ci guardano” dei Dedy CEMM, questo nel 2010, oggi però per una copia con copertina originale si spende molto meno, per una senza copertina poco più di 7 euro. Rimanendo sempre negli anni sessanta, il singolo degli Yellow Stones è stato aggiudicato ad un’asta del 2014 per 149 euro, poco meno (101 €) il costo di un singolo del medesimo gruppo condiviso con i non meglio identificati The Men Movies.
45 gli euro richiesti per il vinile di Ricky Gobbo (quando si faceva chiamare Ricky Strehler) e 37 quelli battuti nel 2017 per il vinile promo del primo album dei Mad Puppet, ma sul fronte del prog rock, sicuramente la palma va al “Südtirol Rock Scene” del 1978 che appaiava La Statale 17 agli Emphasis: il disco è stato venduto per 290 euro nel 2019, ma se voleste trovarne uno ora potrete scordarvi una spesa così abbordabile (per il vinile s’intende) perché il prezzo si aggira intorno ai 350 euro.
Tra le varie produzioni del meranese Mike Fajria, la più ambita sul mercato del disco da collezione è il singolo “Mono/Tone”, attribuito alla formazione Free Fantasy: del disco sono in vendita due copie, una a 150 ed una a 100 euro; quotazione inferiore, ma assolutamente di tutto rispetto per “Proposta”, il 33 giri della cantante bolzanina Manuela Fogli, registrato negli anni ottanta presso lo studio di Loredano Andreasi, il cui prezzo gira attestato sui 70 euro.


Tra le teste di serie, concludiamo con  “Uno Zingaro Di Atlante Con Un Fiore A New York” dei N.A.D.M.A. (Natural Arkestra De Maia Alta), gruppo prog del meranese Marco Cristofolinipubblicato dalla RCA: chi lo volesse in vinile dovrà spendere quasi 200 cocuzze, solo 40 per il CD!
A questo punto ci permettiamo di consigliarvi, qualora un amico o vicino di casa vi facesse omaggio del suo disco, di pensarci bene prima di sbarazzarvene… non si sa mai!

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Dallavilla e i suoi ricordi rock

Luciano Dallavilla è un fisarmonicista tutt’ora molto attivo nel circuito dei frequentatori del ballo liscio, un fisarmonicista prestato in origine ai ritmi rock, pop e beat che negli anni della sua gioventù, prima e appena dopo i vent’anni, lo hanno visto alla corte di formazioni che hanno lasciato più d’un ricordo nella memoria degli altoatesini d’allora.

I ‘60 erano anni in cui i gruppi crescevano come i funghi e i ragazzi si adattavano alla bisogna imparando a suonare uno strumento in pochi giorni o addirittura poche ore pur di esibirsi davanti ad un pubblico di entusiasti coetanei.
“All’inizio ero nei Wat 69 – ricorda Dallavilla – con Eugenio Pennini come cantante, io ero il batterista. Non era il mio strumento ma al gruppo serviva qualcuno che si occupasse dei tamburi, così sono andato a lezione da Mario Viadana che era stato batterista dei Four Happys, per farmi insegnare”.
Dei Wat 69 (che avevano mutuato il nome da una marca di whisky in voga all’epoca) diversi bolzanini ricordano ancora un concerto nella sala del Rainerum in cui il cantante Pennini, nel bel mezzo di un’infuocata versione di Wild Thing, il brano dei Troggs portato alla leggenda da Jimi Hendrix, inserì nel testo un refrain inventato che recitava così: sgabanao sgabanao!


“Questo accadeva intorno al 1967 – prosegue Dallavilla – un anno dopo avevo cominciato a suonare con i brissinesi Yellow Stones, una formazione quasi professionista, se così si può dire, avevamo un manager, Umberto Principe, e dei contatti fissi per i concerti, all’epoca c’era ancora la base missilistica vicino a Bressanone e noi suonavamo fissi all’ X 2000, ma anche al Gudrun di Colle Isarco. Oltre a me alle tastiere, il gruppo comprendeva il cantante Pietro Altinia, a cui piacevano molto i Bee Gees, di cui avevamo in repertorio diversi brani, il chitarrista Pio Di Biase, il batterista Franz Oberkofler e mio cognato Renato Borgo al basso”.
Tra i primati degli Yellow Stones c’è sicuramente da annoverare la partecipazione al primissimo open air d’Italia, il 15 agosto del 1969, tenutosi a Campo Tures col titolo di Pop Time 69/Una festa per il mondo giovane, organizzato dal vulcanico Kalle Ausserhofer. Allora non lo sapeva nessuno ma lo stesso giorno negli Stati Uniti si stava svolgendo il festival di Woodstock! Insieme agli Yellow Stones in cartellone c’erano i brissinesi Monsters e i Satellites di Siusi. L’altro primato del gruppo è quello di essere stata probabilmente la prima band della Val d’Isarco ad incidere un 45 giri a proprio nome, con brani originali.
“Con gli Yellow Stones sono rimasto un anno e mezzo – continua il tastierista – poi sono partito per il servizio militare, ma abbiamo fatto a tempo a registrare il disco a Innsbruck.
Le sedute si sono tenute in un teatro. Il chitarrista e il nostro manager avevano i contatti e anche delle possibilità economiche per investire in questa cosa”.
Il disco si componeva di due brani abbastanza tipici del rock melodico di quegli anni, cantati in italiano e vagamente incanalabili anche nel filone schlager in voga oltreconfine: Dedica, sul lato A e Negli occhi tuoi sul retro, entrambi firmati dal chitarrista con Tom Parker, non il truffaldino colonnello Tom Parker manager a Elvis Presely, bensì Charly Mazagg futuro impresario dei Kastelruther Spatzen, che con lo pseudonimo di Tom Parker appunto firmava sulle pagine in lingua tedesca del quotidiano Alto Adige le cronache musicali locali dell’epoca. La seconda delle due canzoni recava anche le firme del manager e del cantante.
“Tornato dal servizio militare – conclude Dellavalle – sono entrato sempre come tastierista in un altro gruppo, i Principi. Suonavamo ogni sabato e ogni domenica all’Auri Bar, vicino alla vecchia stazione delle autocorriere. C’erano il chitarrista Egidio Cappello, Tony Cimmino che suonava la batteria e Claudio Mezzalira, un bravo bassista. In una seconda versione del gruppo, il batterista era diventato Angelino Saragusa e per un breve periodo c’è stata anche una cantante”.
Negli anni seguenti, Dallavilla si è dedicato prevalentemente al liscio, tornando alla sua amata fisarmonica, da solo, in duo con Sergino Vaccari e in seguito con il quartetto T.L.P. & Baby, prima dell’ultimo e attuale duo denominato Tino e Ciano.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

I sogni coerenti di Davide Marciano

Lo scorso 30 aprile il cantautore bolzanino Davide Marciano ha dato alle stampe un EP intitolato Sogno in cui sono raccolte le sue ultime fatiche oltre ad un paio di notevoli brani che erano stati già pubblicati online in altra veste nel 2017 e nel 2018. 

Si è perso il conto degli anni da quando Davide Marciano ha cominciato a calcare i palchi musicali come cantautore, un cantautore fortemente ispirato dalla scena italiana di fine anni settanta, eppure in tutti questi anni la sua musica, pur acquistando ovviamente in maturità, non ha perso una virgola della freschezza di quando era teenager né di quando da un momento all’altro si trovò a bordo del carrozzone della Liederszene scoprendo che le sue canzoni in italiano (l’hit dell’epoca era Ma dove sono andate le ragazze pazze) piacevano e non poco anche al pubblico di madrelingua tedesca.
Nel corso degli anni Marciano ha diradato le apparizioni in pubblico, come capita a molti che mettono su famiglia, ma non ha certo smesso di scrivere canzoni, anzi, negli ultimi anni tramite le piattaforme musicali ha messo in giro diverse nuove composizioni e lo scorso 30 aprile ha dato alle stampe un EP intitolato Sogno in cui sono raccolte le sue ultime fatiche oltre ad un paio di notevoli brani che erano già stati pubblicati on line (ma in altra veste) nel 2017 e nel 2018.
“Quando nel 2017 ho pubblicato in rete il brano La coerenza – ci racconta Davide – è stato molto importante, ero reduce da un momento in cui, per un attimo, la mia vita si era fermata e quando è ripartita in piena normalità ho sentito l’esigenza di riprendere le redini della mia attività di cantautore. Negli ultimi anni avevo sempre fatto le cose in autonomia, lavorando nel mio studio casalingo, ma per quel brano sentivo il bisogno di affidarmi ad un produttore e questo mi ha portato a contattare Lorenzo Sebastiani (produttore che ha lavorato con Celentano, Pavarotti, Jovanotti, n.d.r.)”.
Dall’incontro con Sebastiani è nata una collaborazione proficua: Davide Marciano e il produttore romagnolo hanno cominciato a lavorare a nuove cose e anche a mettere mano su canzoni precedenti, come la splendida Il paese dei pagliacci, che era già uscita come singolo su Spotify ma che nella nuova veste, con la chitarra solista di Andrea Morelli (dal curriculum altisonante quanto quello di Sebastiani), si guadagna a pieno merito l’onore di essere il brano d’apertura dell’EP.
“Fino ad ora – prosegue il cantautore – per quanto riguarda la distribuzione mi ero affidato alla musica virtuale, ma ora ho voluto farne anche una versione solida, forse anche come segnale visto il momento particolare: ci tenevo a fare qualcosa di tangibile, qualcosa da poter toccare con mano e poter anche donare con mano. Ed è solo l’inizio, la pandemia ci ha rallentati è vero, ma oltre alle canzoni nuove, come quella che intitola il disco e che è stata scelta per il mio primo video, con Sebastiani sto lavorando anche a qualche vecchia canzone, mantenendo i concetti e i contenuti ma magari rivedendo i testi dal punto di vista lessicale”.
La grafica del disco, assai indovinata, è opera di Thomas, figlio di Marciano, regista di professione e autore del bel video realizzato per il lancio di Sogno, brano dall’arrangiamento fresco, estivo, che con un pizzico di fortuna e grazie alla decisione di pubblicarne anche una versione editata per le stazioni radio potrebbe ambire a divenire un hit intelligente.
“Le mie canzoni – racconta Marciano – nascono nella mia testa e suonano già come vorrei che fossero, poi Lorenzo ci mette del suo essendo un polistrumentista capace. Riguardo al video mi preme dire che sono molto soddisfatto, oltre che orgoglioso di essere il padre del regista… senza dimenticare Gabriele Mazzoni, che è l’attore principale del video e che lavora da anni con Thomas. Ma alla realizzazione hanno partecipato altre persone che voglio ringraziare: Giordano Di Stasio responsabile della fotografia e Luciano Tatalo, che recita una piccolissima parte”.
Il sogno più urgente di Davide Marciano, come per molti altri, è al momento di poter tornare ad un po’ di normalità, ma ovviamente, a ruota, viene il sogno di tornare a suonare dal vivo, magari col la formazione con cui si esibito l’ultima volta, nel settembre 2020 a Bressanone, accompagnato da due componenti storici delle sue band, il bassista Marco Perrone e Massimo Marabese, che faceva parte addirittura della primissima formazione e ora suona il cajòn. 
Il disco, oltre che sulle piattaforme digitali è distribuito nei negozi cittadini.

Autore: Paolo Crazy carnevale

La musica spirituale di Elisa Venturin

Nelle scorse settimane, insieme ad altri dischi di cui ci siamo occupati o comunque ci occuperemo, ha visto la luce Akshaya Tritiya, disco d’esordio di Elisa Venturin, brava cantante bolzanina dall’importante e titolato curriculum, sia per quanto riguarda gli studi che le collaborazioni. Ma se per qualcuno sarebbe stato legittimo attendersi dalla cantante una raccolta di standard, Elisa ci ha stupiti con un progetto discografico ben preciso, cantato per lo più in sanscrito, ispirato e dedicato al suo maestro spirituale, Paramahamsa Sri Swami Vishwananda, ed è stato sostenuto da un gruppo di amici tramite i quali si è avvicinata ai suoi insegnamenti.

“Per la cultura indiana – ci racconta Elisa –, il guru è un Maestro. Per noi che seguiamo i suoi insegnamenti, Paramahamsa Sri Swami Vishwananda è il nostro Maestro o, più semplicemente, Guruji. La sua vita è dedicata a ispirare tutte le persone ad amare al di là di ogni barriera culturale, religiosa, di genere e di età”.
Una scelta sicuramente coraggiosa, soprattutto in un’epoca in cui in campo musicale scegliere di abbracciare una fede, qualunque essa sia, non è certo premiante, sono lontani i tempi in cui artisti come George Harrison prima e Bob Dylan poi (tanto per dire i due più famosi) potevano permettersi di portare in musica il proprio credo senza rischiare di rimetterci, come è accaduto invece ad altri (pensate a Yusuf Islam prima di tornare a essere Cat Stevens). Il disco di Elisa Venturin in questo senso sembra essere in bilico tra le due possibilità: se da un lato ci offre alcune pregevoli composizioni che ne evidenziano le qualità a livello di cantautrice (ci viene in mente la prima Rickie Lee Jones), dall’altro dobbiamo fare i conti con una buona metà di brani in cui il testo in sanscrito non è facilmente assimilabile.
“Il sanscrito – ci viene in aiuto la cantautrice – è un linguaggio vibrazionale che è stato usato nei rituali di preghiera per migliaia di anni. Le frequenze vibrazionali generate dal canto dei mantra sanscriti calmano la mente e permettono di scendere fino al tuo cuore, dove risiede il Divino. Tutti i brani a parte il Lingashtakam, che è una potente preghiera per il Shivalingam, sono mantra o preghiere con melodie e testi scritti da me. E ci sono delle composizioni corali perché i cori sono fondamentali nella tradizione indiana”.
Così, se determinate tracce del disco sembrano indirizzate ad un fruitore/ascoltatore già addentro la materia anche a livello di idioma, evidentemente, non si può prescindere da quei brani cantati in inglese, o anche parzialmente in sanscrito, in cui emerge maggiormente la vocalità dell’autrice e in cui il tessuto musicale è di una certa consistenza, più vicina al pop che non ai mantra o alla cultura indiana.
Parliamo in particolare di All My Love For You, la composizione posta in aperture del disco, ma anche di Om Sri Swami Vishwananda, in cui appunto la lingua usata è il sanscrito, e ancora da non sottovalutare sono Melody For You, You’re The Truth e We Are Gurudeva, molto corale ma interessante e proposta anche in fondo al disco col testo in italiano.

Venturin, oltre a comporre e cantare, si occupa anche del paino elettrico, mentre per la produzione e gli altri strumenti, oltre ad un quintetto di coriste nei brani più mantrici, si è affidata al bassista Mirko Giocondo e agli Shanti Powa Thomas Maniacco, Florian Gamper e Fabian Pichler.
“Sono stati gli amici che hanno prodotto il disco finanziariamente – spiega Elisa – a suggerirmi di rivolgermi a Thomas e Florian per quanto riguarda la produzione artistica, io in realtà non li conoscevo, anche se sapevo dell’esistenza degli Shanti Powa. Florian si è occupato oltre che della ritmica anche della parte tecnica, nello studio ad Aicha di Fiè dove lavora in team con Thomas. Mirko Giocondo invece lo conoscevo ed è stato un connubio perfetto. Hanno tutti messo la loro sensibilità nel disco, cosa che in un prodotto a sfondo spirituale è quanto mai importante. Ora spero di trovare un’etichetta interessata a produzioni di questo tipo, che nel mondo anglosassone sono abbastanza frequenti ma in Italia sono piuttosto rare”.
Intanto il disco è disponibile sulle principali piattaforme musicali o tramite  il sito www.ellisonweb.com.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Dropout, l’alter ego musicale di Davide Burattin

Si intitola “Memories From A Distant Future” l’ultimo lavoro di Davide Burattin, grafico e designer bolzanino che da anni si sposta tra Londra, Osaka e il capoluogo altoatesino.

Quando uno, in procinto di registrare un disco e non trovando sul mercato digitale la qualità sonora desiderata, decide di studiare la questione a fondo e creare una compagnia di plug-in audio, vuol dire che ha le idee molto chiare riguardo a quanto vuol fare e andrebbe considerato e rispettato già solo per questa cosa. Se poi il risultato è un’opera musicale di un certo rilievo allora il quadro è completo.
È il caso di Davide Burattin, grafico e designer bolzanino che da anni si sposta tra Londra, Osaka e il nostro capoluogo, il cui raggio d’azione si espande anche verso la musica elettronica e che dagli anni novanta in qua ha realizzato diversi dischi, adottando a partire dal 2004 lo pseudonimo Dropout.
La musica firmata Dropout è un notevole connubio di immagini sonore studiate attentamente e minuziosamente, complice ovviamente la professione nel campo dell’immagine di Burattin.
“La mia attività in campo grafico – ci racconta Burattin dal suo attuale confinamento in Giappone, dove è fermo dall’inizio della pandemia – influisce totalmente su quanto faccio come Dropout, compongo musica come fossero immagini e do ritmo alle immagini come fossero musica. Musicalmente sono nato chitarrista per morire synthesista, ma nel disco non ci sono loop, è tutto suonato, le batterie sono campionate ma sequenziate nota per nota o suonate coi pad a seconda del pezzo”.

Tutto questo, al punto che il nuovo lavoro, Memories From A Distant Future, è stato lanciato all’inizio del mese scorso con uno streaming su youtube in cui le otto composizioni del disco venivano presentate sotto forma di un mediometraggio in otto capitoli tutto realizzato da Burattin/Dropout usando immagini cinematografiche o da documentari sposate ad arte con la musica elettronica.
“La storia costruita attorno al disco – spiega l’artista – è semplicemente questa: le generazioni Boomer e X sono state cresciute nella totale illusione di un futuro ben definito, una sorta di terra promessa e meritata per divina intercessione. Ma il futuro ha preso direzioni totalmente inattese. Ho notato quindi che soffriamo di una strana nostalgia per una realtà immaginata a lungo ma non avveratasi. Ma non si veda questa mia analisi solo sotto un’accezione negativa, in quanto, come figli dei figli del boom, era più che lecito per noi aspettarci un divenire più umano, più focalizzato, per esempio, su quello di cui abbiamo bisogno e meno su quello che vogliamo. Invece si sa che raramente queste due esigenze coincidono, essendo l’una tendenzialmente più spirituale e l’altra più materiale, quindi facilmente monetizzabile.”
Una storia a ben vedere molto collegata al periodo storico in cui è stata concepita e realizzata; in alcune tracce fanno capolino sonorità che sembrano provenire dallo stare a lungo in estremo oriente, in particolare nei brani Noctitudae, basato sull’idea che gli insetti del giardino di casa a Osaka non cantino indipendentemente ma che facciano parte di un microscopicamente immenso coro collettivo, e nel conclusivo A Departure, evolutosi sulla misura del tempo medio di spostamento tra gate e gate che Burattin ha misurato nei suoi frequenti viaggi, tempo che è di circa otto minuti e mezzo, e proprio su quell’intervallo il pezzo è stato composto.
Il disco, oltre che essere ascoltabile in streaming attraverso i singoli video, tutti dotati anche di un testo non cantato ma sovrascritto, postati nel sito https://dropoutsound.com/#listen, è stato pubblicato anche in formato solido su vinile, scelta coraggiosa e naturalmente apprezzatissima: “Questo è il mio sesto disco. Per il primo, uscito nel 1994, ho usato l’acronimo DB; i successivi, dal 2004 in poi, sono sempre usciti col moniker di Dropout in formato CD. Forse la caratteristica più radicale del progetto Dropout è l’autarchia pressoché totale. Quindi ci metto abbastanza per finalizzare, il che, di questi tempi veloci, può essere un bene ma anche una condanna. Questa è la prima volta che esco in vinile – conclude –, ma sentivo in questo preciso momento storico la necessità di ridare corpo fisico, palpabile, non duplicabile, a quel bellissimo spirito guida che può essere la musica.”

Autore: Paolo Crazy Carnevale

La Spritz Band e il suo doppio

Andrea Maffei e la sua Spritz Band non se sono stati con le mani in mano e hanno pubblicato nelle ultime due settimane due prodotti relativi ai due distinti progetti capitanati dall’autore bolzanino. Il primo è una ristampa adeguatamente rimasterizzata del disco del 1993, intitolato “Il treno per Nottingham”. Il secondo è invece un video de “Il Suonatore Jones” che presenta una riuscita versione aggiornata de “Il testamento di Tito” di Fabrizio De Andrè.

Anche se la situazione attuale per i concerti continua a essere infausta (si tratta praticamente di una crisi mondiale), abbiamo visto che la scena provinciale non dorme, nemmeno sonnecchia, anzi, continua a mantenere un atteggiamento vispo.
Nelle ultime settimane Andrea Maffei e la sua Spritz Band hanno messo a segno due bei risultati, pubblicando poco prima di Natale una ristampa adeguatamente rimasterizzata del loro disco del 1993 Il treno per Nottingham e, tanto per chiarire che non vivono nel passato, a distanza di poche settimane il gruppo, nel suo formato deandreiano Il Suonatore Jones, ha messo on line un video con una riuscitissima versione aggiornata de Il testamento di Tito.
Ma andiamo con ordine: la ristampa del disco del 1993 è stata un’idea di Willy Vontavon, che all’epoca era una delle menti della Liederszene, l’associazione/etichetta che si era fatta promotrice di quella prima pubblicazione: riascoltando il disco Vontavon si è detto che forse era il caso di dargli una nuova chance, approfittando del fatto che con le nuove tecniche digitali si sarebbe potuto dare una bella rinfrescata a del materiale che era già buono in partenza.


“La nuova versione – ci ha raccontato Andrea Maffei – suona indubbiamente più fresca. Il lavoro di rimasterizzazione ha reso il suono più digeribile, e secondo me poi il contenuto musicale dimostra di essere ancora attuale, o forse più ancora i testi, in particolare per il periodo che stiamo vivendo. Chi lo ascolta si rende certo conto che è stato pensato ventisette anni fa, ma grazie a questa nuova veste rimane godibilissimo, anche perché l’operazione di alto livello che è stata fatta rende davvero i suoni più attuali. Un disco così ha bisogno di essere ascoltato con attenzione e se il veicolo musicale è più fruibile allora anche la parte che concerne i testi ne guadagna. Chiaramente non è un disco da sottofondo, da ascoltare tenendo il ritmo col piede”. 
Il lavoro di sartoria tecnologica dietro questa ristampa è opera di Armin Rainer, uno dei tecnici del suono più prestigiosi della nostra regione, uno la cui fama va comunque oltre i confini altoatesini. Il lavoro di Rainer rende giustizia ad un disco che, col senno di poi, pagava il dazio di uscire dai Newport Studios, molto all’avanguardia per gli anni novanta ma in realtà con una concezione sonora legata al decennio precedente che rendeva un po’ plastificate e simili tra loro tutte le sue produzioni.
Per quanto riguarda invece il video de Il testamento di Tito (youtu.be/vZNgktAI8X0), arriva a ruota di alcuni altri video dedicati a canzoni che la formazione bolzanina ha postato recentemente (Sally, Avventura a Durango e Coda di lupo, questa in versione rigorosamente con mascherina), e sta a ricordarci che l’Andrea Maffei Spritz Band è anche il Suonatore Jones la miglior cover band in circolazione dedicata al repertorio del cantautore genovese, e non siamo solo noi a dirlo, il giudizio è condiviso anche da Pier Michelatti, bassista storico di Faber.
“Mentre gli altri tre brani che abbiamo postato sono ripresi in sala prove – prosegue Maffei – questo lo abbiamo pensato con una regia più in stile lockdown, con ognuno di noi ripreso a casa propria e poi assemblato con un bel lavoro di videografica fatto da Marco Polenta. In pratica il brano è quasi tutto dal vivo, anche se il montaggio non lo farebbe supporre. È un brano lungo, con dieci parti, portarlo avanti in un colpo solo è impegnativo. È una testimonianza di questo periodo in cui ciascuno è vivo, o semivivo, a casa sua… tra l’altro due musicisti vengono da Trento, e non è così semplice trovarsi a fare le prove”.
Quello che ci dovremo aspettare per il futuro dalla Spritz Band è quindi un po’ di tutte e due le incarnazioni: “Non è che perché il gruppo esiste ormai da tanti anni – conclude Maffei – si appenda la chitarra al chiodo e si vada a godersi la pensione. Crediamo molto in quello che facciamo e in futuro è probabile che i due repertori si fondano insieme”.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

La musica da soggiorno di Gabriele Muscolino

Il 26 febbraio scorso, per l’etichetta Visage (una piccola label creata da Riccardo Tesi e Claudio Carboni) è stato dato alle stampe il primo disco da solista di Gabriele Muscolino, raffinato e colto cantautore bolzanino che, dopo essersi fatto le ossa dapprima in rockettare band giovanili e poi nel circuito del folk irlandese, è stato per diversi anni il frontman dei Nachtcafè, una delle belle realtà musicali scaturite da questa terra di confine.

Il nuovo disco, che s’intitola semplicemente col nome del suo autore, è un riuscito insieme di suoni mai eccessivi abbinati a testi mai scontati, che ha il pregio di non ricalcare le pur notevoli intuizioni sonore sperimentate col gruppo.
“Nei Nachtcafè – ci racconta Gabriele – io ero sì l’autore dei brani, ma il prodotto finale era il risultato di un lavoro di gruppo: da Francesco Brazzo, Matteo Facchin, Georg Mahlfertheiner ho mutuato davvero tanto, a livello di arrangiare. In particolare, da Georg ho imparato a saper togliere qualcosa, arrangiare meno per dare qualcosa di più, lasciare dei vuoti per mettere in risalto singoli dettagli. Meno si fa, più si è al servizio della canzone”.
Fatto tesoro di questi punti fermi, Muscolino, armato del suo bouzouki, ha allestito un gruppo davvero ridotto all’osso e, in due sessioni (febbraio e luglio scorsi) ha convocato, in uno studio allestito per l’occasione nel maso che ospita il museo delle api di Costalovara, i suoi pard musicali: innanzitutto Angelika Pedron, che è riuscita a creare parti vocali mai uguali e sempre indovinate con cui affiancare la voce dell’autore, la fisarmonica di Matteo Facchin (ma in alcuni brani lo strumento è suonato dall’amico irlandese Martin Tourish, del gruppo Altan) e gli archi suonati da Lorenzo Barzon e Luca Pasqual.
“Si tratta di una sorta di concept album a livello sonoro – spiega Muscolino – costruito sul filo conduttore del suono più che sui contenuti dei testi, il bouzouki irlandese ha delle risonanze molto lunghe che si sposano bene col violino e col violoncello creando un bel mélange. Poi negli ultimi anni ho avuto modo di ascoltare molto Nick Drake, scoprendo che anche lui usava arrangiamenti così minimali, proprio con questi strumenti ad arco. È un po’ una canzone d’autore cameristica, con la scelta precisa di non usare percussioni, anche se in un primo tempo ci avevamo provato.


Uno dei titoli del disco avrebbe potuto essere Musica dal soggiorno di casa, poi mi sono detto: chissà se ne farò altri di dischi da solo, e così ho optato per intitolarlo semplicemente col mio nome”. Il finale del brano Gli esploratori, una delle dieci tracce che compongono il disco, oltre a reggersi da sé è eloquente in questo senso, tutto strumentale con solo violino e violoncello a reggerne le sorti. Il brano, uno dei più immediati del disco, è anche quello nato più di getto a livello testuale, mentre per le altre composizioni Gabriele Muscolino ha lavorato più a lungo, prendendo spunti dai suoi taccuini di appunti, limando e aggiustando. Una procedura che richiede tempo. La sua è infatti una scrittura erudita, ricca di dotte citazioni, mai messe lì per sfoggio di cultura, ma piuttosto per stimolare l’ascoltatore: ecco così che nelle sue canzoni troviamo citazioni di Dante, Calvino, Guccini, idee brillanti come quella di Magnolia nera in cui il corpo femminile viene immaginato come una carta geografica da esplorare, e che dire della storia d’altri tempi della menzionata Gli esploratori che partono alla volta del favoloso Catai di marcopoliana memoria, fino all’arrangiamento italo-swing di Il migliore, che rimanda al vecchio Trio Lescano e a Paolo Conte. “Per quanto riguarda l’etichetta – conclude Muscolino – la Visage è piccola ma molto attenta alla cura e alla promozione dei prodotti, che vanno dalla musica tradizionale, al jazz, al cantautorato. Innanzitutto puntando sul disco in formato fisico e non sulle piattaforme d’ascolto o download che garantiscono magari visualizzazioni non reali, nel senso che un brano può avere diecimila visualizzazioni su youtube, ma quanti poi lo ascoltano dall’inizio alla fine, e quanti lo abbandonano invece dopo pochi secondi? La Visage lavora sul reale, pubblica il singolo online e punta su una distribuzione del CD mirata mettendo il marketing al servizio di un progetto culturale”.
Se ci saranno miglioramenti per quanto riguarda le restrizioni anti COVID 19 riguardanti gli spettacoli, per giovedì 8 aprile è prevista una presentazione del disco al Carambolage, nel caso le restrizioni fossero prorogate, la serata sarà posticipata a data da stabilire.

Autore: Paolo Crazy Carnevale