SVP tra portenti e contraddizioni, eccezioni e normalità

Due prospettive sulla storia e la natura della Südtiroler Volkspartei nei libri di Lucio Giudiceandrea e Hans Heiss.

Nel 2020 il partito di maggioranza in Alto Adige/Südtirol festeggiava 75 anni, un traguardo quasi ineguagliato nella storia partitica d’Italia. In quella occasione, la casa editrice Edizioni alphabeta Verlag aveva pensato che fosse il momento di una riflessione approfondita, esterna e soprattutto binoculare sulla storia e sulla natura della Südtiroler Volkspartei. Le storie editoriali sono spesso meno lineari di quanto si pensi, ed è così che è solo due anni dopo che si è arrivati al traguardo di pubblicare due libri sulla SVP che la osservano con sguardo lucido e distaccato, da una prospettiva di lingua italiana e una di lingua tedesca. Questa doppia prospettiva rispetta rigorosamente la mission culturale che si è data la casa editrice di Merano, ossia rivolgersi a entrambe le maggiori comunità etnico-linguistiche di questo territorio, rispettando due sensibilità diverse. Sono nati quindi due saggi paralleli ma non speculari, che si integrano a vicenda nell’offrire un ricco quadro tematico e nel presentare il “punto di vista dell’Altro” ai lettori bilingui, che è il presupposto per una vera e piena comprensione di una comunità plurale e per un’altrettanto piena appartenenza a essa.

Caso poi ha voluto che l’uscita coincidesse con un periodo in cui l’SVP sta attraversando una profonda crisi interna. Ma si è imparato in questi ultimi anni che le crisi sono molto spesso anche sinonimo di opportunità. 

A Lucio Giudiceandrea, giornalista, e a Hans Heiss, storico e politico, è stato chiesto di raccontare la SVP attraverso la lente del proprio gruppo linguistico di riferimento, che la percepisce storicamente in modi differenti. Non si tratta di una storia del partito declinata in due lingue, bensì di un’analisi delle sue principali caratteristiche, tenendo conto delle differenti sensibilità dei lettori di riferimento: da una parte un pubblico italiano – locale e nazionale – che conosce il fenomeno SVP prevalentemente dal di fuori e spesso molto marginalmente, per cui è importante fare luce su aspetti, motivazioni e punti di vista solitamente trascurati dalle “narrazioni” dominanti; dall’altra un pubblico di lingua tedesca che conosce dal di dentro il mondo sudtirolese e con esso il partito che per lungo tempo ne ha avuta la pressoché esclusiva rappresentanza politica.  

Stella aliena. La Südtiroler Volkspartei spiegata agli italiani, di Lucio Giudiceandrea

Il libro ripercorre e approfondisce gli aspetti storico-sociali della “stella alpina”, delineando tre caratteristiche principali: il partito “fenomeno”, per i risultati che ha raggiunto; il partito “etnico”, per il principio che è a suo fondamento; il partito “di raccolta” per la sua capacità di accentrare anche istanze sociali completamente differenti. Ma alla fine si tratta anche di “un partito come tutti gli altri,” che deve fare i conti con divisioni interne e giochi di potere. 

Blüten der Macht. Die Südtiroler Volkspartei zwischen Wunder und Widerspruch, di Hans Heiss

Anche in questo caso, il libro non intende essere un resoconto storico, ma neppure un reportage giornalistico, o una raccolta di aneddoti, o ancora una resa dei conti da parte di un ex politico di opposizione. L’SVP non è solamente un partito, ma quasi una forma di vita in Alto Adige/Südtirol: una specie a rischio, che sembra stare perdendo parte della propria identità e ragione storica. Ma è pensabile un Alto Adige/Südtirol scorporato dal partito che è espressione principale dei pregi e delle contraddizioni di questa provincia?

www.alphabeta-books.it 

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Quelle parole che possono ferire o guarire

Il saggio del sociolinguista Federico Faloppa per Edizioni alphabeta Verlag.

Le piattaforme digitali di comunicazione e condivisione, i cosiddetti social media, hanno trasformato le dinamiche relazionali fra le persone. La parola diventa centrale nel veicolare il senso delle relazioni e sempre con più frequenza e impatto si è assistito negli ultimi anni ad un crescendo di situazioni in cui proprio le parole hanno determinato discriminazioni e atti persecutori. La pandemia ha sicuramente contribuito ad esacerbare tali dinamiche. 

Per gli antichi greci il termine pharmakon indicava tanto il veleno quanto la medicina e aveva quindi il doppio potenziale di uccidere o di guarire. In tal senso è da interpretarsi il titolo del nuovo saggio della casa editrice Edizioni alphabeta Verlag, La farmacia del linguaggio. Parole che feriscono, parole che curano. Il libro, snello e agevole, raccoglie un intervento che il noto sociolinguista Federico Faloppa ha tenuto a Bolzano il 27 gennaio 2022 in occasione della Giornata della Memoria e affronta il tema del linguaggio come strumento di offesa, ma anche come risorsa collettiva di consapevolezza. Faloppa è docente di Italian Studies and Linguistics presso il dipartimento “Language and Culture” dell’Università di Reading, nel Regno Unito, e da vent’anni si occupa della costruzione del “diverso” nelle lingue europee, di rappresentazione mediatica delle minoranze, di produzione e circolazione del discorso razzista e discriminante in Italia.

Attraverso numerose esemplificazioni, l’autore ripercorre le differenti tipologie del linguaggio d’odio: dall’insulto all’uso metaforico di parole innocue in altri contesti, che divengono però armi a seconda del loro utilizzo; dalle espressioni più sottili e articolate al ribaltamento dei ruoli tra odiatori e vittime; dal body shaming al victim blaming. 

Questo fenomeno, da tempo esistente, ha recentemente oltrepassato la soglia d’allarme a livello internazionale, tanto che istituzioni quali il Consiglio d’Europa ne hanno analizzato le conseguenze soprattutto sui soggetti più fragili e sulle categorie più discriminate. Faloppa si sofferma quindi sulle definizioni alla base delle misure in via di adozione per contrastare il fenomeno. 

Il saggio di postfazione di Gabriele Di Luca, che stabilisce una sorta di dialogo a distanza con l’autore, offre ulteriori spunti di riflessione, declinando la tematica sulla realtà altoatesina, ancora attraversata dalla cosiddetta “faglia etnica”: qui le questioni legate all’identità, all’appartenenza linguistica, alla toponomastica, a una supposta egemonia culturale, nutrono tutt’oggi il dibattito pubblico di messaggi e contenuti spesso caratterizzati da toni violenti e discriminatori. 

Ma il libro non è solo un riepilogo di casistiche negative e fatti di cronaca tristemente noti: l’autore pone l’accento anche sul potenziale curativo delle parole, conducendo il lettore attraverso esempi tratti dalla letteratura, dall’antropologia, dalle pratiche religiose, e descrivendo una predisposizione culturale alla comunicazione e all’ascolto come strumenti terapeutici. Un percorso che rivela come il rischio principale risieda proprio nella “perdita” del linguaggio, nello svuotarsi dei significati e nel dimenticare il fondamento collettivo della parola.

La farmacia del linguaggio. Parole che feriscono, parole che curano è l’ultimo libro uscito in casa Edizioni alphabeta Verlag ed è nato in collaborazione con la Fondazione Langer e con l’A.N.P.I.

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Nuova presidente degli editori

Nicolò Degiorgis (Rorhof), Hermann Gummerer (Folio), Ingrid Marmsoler (Athesia), Aldo Mazza (Alpha Beta), Eva Simeaner (Edition Raetia) e Andreas von Mörl (A.Weger) sono i membri del nuovo direttivo degli editori nell’Unione commercio turismo servizi Alto Adige. L’assemblea generale e la prima riunione costitutiva del nuovo direttivo si sono tenute di recente presso la sede centrale dell’Unione a Bolzano. Eva Simeaner è stata eletta alla presidenza, Aldo Mazza è stato invece nominato vicepresidente.

Hermann Gummerer, per lunghi anni presidente della categoria, passa quindi il testimone, ma rimane attivo nel gruppo. Tra le altre cose, può guardare con orgoglio all’apprezzatissima iniziativa “Bazar dei libri”, che la scorsa estate ha festeggiato l’ottava edizione.

Eva Simeaner legge al lavoro, a casa e in ferie. Una grande passione diventata col tempo una professione. Lavora da dieci anni presso la casa editrice Raetia come coordinatrice delle vendite ed è responsabile del segmento di attività legato ai libri di cucina. In precedenza, aveva collaborato con le edizioni Löwenzahn e presso Haymon Verlag a Innsbruck e Bolzano.

In occasione dell’assemblea generale si è discusso dell’importanza della collaborazione tra gli editori locali, perché non sono solo competenti riguardo diversi temi, ma vere esperte ed esperti del mercato editoriale tedesco e italiano. Le case editrici altoatesine pubblicano libri di grande qualità, che non temono il confronto con i libri dei grandi editori italiani o tedeschi. Oltre a ciò, le case editrici altoatesine sono molto unite a livello professionale e, come categoria, godono di un efficace sostegno da parte dell’Unione.

“Come punto di contatto tra Nord e Sud riusciamo a unire entrambi i mondi”, afferma Eva Simeaner. “Un altro importante compito degli editori altoatesini è dare voce agli autori e alle autrici dell’Alto Adige, che hanno spesso poche chance di pubblicazione presso le grandi case editrici tedesche. Noi scegliamo di pubblicarli perché meritano di essere venduti e letti anche in un contesto più grande”, assicura la nuova presidente.

Letterature oltre i confini: Anita Pichler

Se la letteratura sudtirolese del Novecento è in gran parte legata alle vicende storiche che hanno segnato un territorio conteso, a una comunità rurale che ha subito traumatiche lacerazioni e a una convivenza forzata, una delle sue voci più originali e controverse ha saputo dare alla propria opera un più ampio respiro e farle pertanto acquisire notorietà anche al di là dei ristretti confini della Heimat. Forse per essere stata il riflesso di un’esistenza errabonda e inquieta, in perenne transizione e intersezione tra due lingue e culture, la multiforme ancorché scarna produzione letteraria della meranese Anita Pichler (1948-1997) si è sempre sottratta a un’immediata collocazione di genere o a etichette di mercato, suscitando nei lettori reazioni del tutto contrastanti. I suoi libri – racconti, saghe rivisitate, romanzi ibridi, collage di impressioni e meditazioni – sono infatti un invito ad addentrarsi nella contraddittorietà dei sentimenti umani, nello spaventoso e affascinante mistero che è l’esistenza. Davanti a una lingua capace di sovvertire le tradizionali tecniche narrative e sempre aperta a una lettura a più piani, anche la critica letteraria si è divisa tra entusiastiche ricezioni e sferzanti, talvolta feroci giudizi, sin dal romanzo d’esordio, oggi finalmente disponibile in versione italiana per i tipi di Edizioni alphabeta Verlag e grazie alla pregevolissima traduzione di Donatella Trevisan. 

Haga Zussa – pubblicato in edizione originale nel 1986 dalle prestigiose edizioni Suhrkamp – ha come protagonista una donna alla ricerca di sé, la cui vita è punteggiata di relazioni evanescenti e di lavoretti saltuari. Distribuendo questionari porta a porta, un giorno si accorge di aver smarrito le chiavi di casa, e così torna in uno dei tanti appartamenti che ha visitato, dove riconosce, nella donna invalida che l’ha già accolta in precedenza, una persona che mai avrebbe voluto rivedere in vita sua. L’ombra che riappare improvvisamente dal passato la costringe a un confronto serrato con situazioni e figure a lungo represse e negate, e la cui riaffiorante memoria, nutrita di presente, genera ulteriore turbamento, ma anche nuovi percorsi da intraprendere, dove però la trappola del caso è sempre pronta a scattare. 

Insieme alla sua protagonista, Anita Pichler sembra interrogarsi appunto sulle “coincidenze”, ossia su quegli eventi casuali “senza i quali nessuna sopravvivenza è possibile”, modellando una raffinatissima prosa poetica – quasi un brano musicale – e componendo uno scenario polifonico dove, tra atmosfere perennemente sospese, mondi interiori vengono smembrati e ricombinati per cerchi concentrici. 

Haga Zussa, insieme ai precedenti Le donne di Fanis (2020), Di entrambi gli occhi lo sguardo (2018) e Come i mesi l’anno (2016) – edizioni oggi disponibili anche in unico cofanetto acquistabile online sul sito dell’editore – è il coronamento di un progetto editoriale che vuole offrire al lettore italiano un percorso letterario, quello di Anita Pichler, di straordinaria originalità e ricchezza stilistica.

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Thöni: l’uomo, prima del mito

Gustav Thöni. Dentro e fuoripista
Autore: J. Christian Rainer

Presenta molti motivi di interesse l’ultimo libro su Gustav Thöni uscito in occasione dei primi 70 anni della leggenda dello sci alpino. Nell’importante volume edito da Tappeiner troviamo un ampio apparato iconografico, con foto d’epoca, ritagli di giornale e curiosità.
Grande spazio viene dedicato al fenomeno Thöni nell’ottica del (difficile) e complesso processo di normalizzazione dei ruolo degli sportivi sudtirolesi nell’ambito non solo dello sport italiano ma anche dell’Italia stessa. Anche se lo sforzo investito nel rappresentare le ragioni di una parte e dell’altra spesso propende per le ragioni della minoranza di lingua tedesca, il libro si rivela davvero una miniera di aneddoti, testimonianze e ricordi.
Coloro che per ragioni anagrafiche hanno vissuto direttamente l’incredibile parabola sportiva di Gustav Thöni trovano dunque pane per i loro denti e i ricordi magari finora assopiti sono in grado di affiorare, in maniera inaspettata.
Detto questo va senz’altro affermato che l’aspetto più interessante del volume è la possibilità di incontrare, virtualmente, uno sportivo e un uomo dalle caratteristiche davvero eccezionali, amato da tutti – compagni di squadra e avversari – e lontano davvero mille miglia da qualsivoglia deriva egocentrica.
Il “Gustavo” era singolare già all’epoca, restio a parlare di sè, ma invece sempre disponibile a raccontare e ricordare. Animato dall’ironia di chi è perfettamente consapevole che l’equilibrio è tutto, specie se si è sportivi di primo piano, a livello mondiale.
Lo sciatore – che tutt’oggi vive a Trafoi nel suo paese natale dove continua a portare avanti l’albergo di famiglia – il proprio massimo equilibrio fu sempre in grado di manifestarlo nelle innumerevoli occasioni in cui venne tirato per la giacchetta (pardon, per la giacca a vento) nell’interminabile e noiosa discussione se si sentisse più un atleta “sudtirolese” o “italiano”.
In conclusione possiamo sicuramente affermare che la flemma di Gustav – unita alla sua umiltà e semplicità – ha dato davvero un contributo fondamentale per sdrammatizzare la questione etnica. Grazie Gustav, lunga vita!

Perché non facciamo figli

Non è un paese per madri
Autrice: Alessandra Minello
Laterza, 160 pag.

Il titolo del libro di Alessandra Minello, ricercatrice in Demografia al Dipartimento di Scienze statistiche dell’Università di Padova, fotografa perfettamente la situazione in Italia: il nostro è un paese in cui diventare ed essere madri è complesso. Non stupisce che il tasso di natalità sia tra i più bassi d’Europa. Le cause sono diverse, illustrate chiaramente, dati alla mano, da Minello, che ha presentato il suo saggio alla libreria Ubik a Bolzano il 4 luglio scorso in dialogo con Luciana Mellone, Presidente nazionale de “Il Melograno”.
Fare figli in Italia è un’impresa. I servizi per l’infanzia sono ancora troppo scarsi o troppo costosi, i congedi di paternità e maternità non sono equivalenti. A ciò si aggiunge un mercato del lavoro instabile, con l’incertezza economica (acuita dalla pandemia). Ma ci sono anche fattori culturali ancora radicati e difficili da scalfire: in Italia è ancora forte la divisione tradizionale dei ruoli, ed il peso della “cura” ricade ancora molto, troppo, sulle spalle delle donne. “Viviamo in un Paese – spiega l’autrice nell’Introduzione al libro – in cui la maternità è un percorso ad ostacoli cui si arriva tardi, se ci si arriva, e che crea oggettivi svantaggi nella vita lavorativa. Ciò nonostante resiste pervicace il mito della maternità. La madre è depositaria unica della virtù della cura, schiacciata dal peso della perfezione, dalle responsabilità e dal senso di colpa“. Un mito che non solo schiaccia chi è madre, ma spesso giudica chi non lo è. Secondo Minello un’inversione di rotta è possibile oltre che necessaria, ma deve avvenire attraverso il coinvolgimento non solo dei generi, ma anche di tutte le generazioni, soprattutto quelle che ancora oggi hanno il potere decisionale. Insomma, puntare lo sguardo sugli ostacoli è il primo passo per iniziare a superarli.

Autrice: Caterina Longo

Storie degeneri

Chroma. Storie degeneri
Autore: Tersite Rossi
(Edizioni Les Falenurs)
187 pagine

A tre anni dall’ultimo eccellente romanzo (Gleba), torna il collettivo di scrittura trentino Tersite Rossi, stavolta con una raccolta di racconti che, come nel più classico stile tersitiano, si dimostrano stimolanti e nella scia di quella narrativa sociale e civile che non perde mai di vista la concretezza: Tersite Rossi ci sprona, se necessario ci fustiga con le sue storie, tiene desta la nostra attenzione, il suo compito ben preciso è di ricordarci sempre una quotidianità che spesso, proprio perché quotidiana, tendiamo a non vedere. Cinque storie ed un prologo, cinque approcci diversi alla narrativa attraverso mistery, giallo, erotico, horror e politico. Talvolta mescolando le carte in tavola. Talvolta raccontando in stile corale (come era accaduto nel romanzo Sinistri e nella succitata ultima opera del duo), talvolta richiamando alla memoria, se non addirittura citando opere precedenti (I signori della cenere).
Chroma si pone sul podio delle cose migliori di Tersite Rossi, con Gleba e il romanzo d’esordio (È già sera, tutto è finito) appassionandoci con storie su un futuro non roseo (Fra 84 anni), su un presente drammatico (La catena, una storia di attualità scottante legata ai fatti di appena un anno fa in Afghanistan). Tersite Rossi non promette finali hollywoodiani, no, ci garantisce piuttosto un’inquietudine mai sopita, così come una prosa mai dozzinale o qualunque. E se volete approfondire c’è il sito tersiterossi.substack.com che vi offrirà ulteriori racconti inediti meritevoli di essere letti.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Quei frigoriferi che cambiano il mondo

Il pianeta dei frigoriferi
Scrittore: Mauro Balboni

Nel suo libro, il ricercatore Mauro Balboni (specialista in scienze agrarie, originario di Bolzano ma cittadino del mondo) lancia uno sguardo sul nostro futuro partendo da un oggetto che tutti abbiamo in cucina e apriamo più volte al giorno, eppure mai ci aspetteremmo che potrebbe essere una specie di “bomba a orologeria”, capace di innescare potenti reazioni a catena per il paese e l’ambiente. Parliamo del frigorifero, un elettrodomestico relativamente giovane se pensiamo che il primo esemplare con un prezzo accessibile viene lanciato in America nel 1927 dalla General Eletric. Da allora, in poco meno di un secolo, il numero di frigoriferi nel mondo è arrivato ad un miliardo, rivoluzionando radicalmente le nostre abitudini alimentari. Fin qui nulla di strano, a parte il fatto che il numero di frigoriferi sul pianeta è destinato letteralmente a raddoppiare in pochi anni alla fine di questo decennio, trainato dal gigantesco mercato di consumatori dell’Asia, e dell’Africa (l’assurdo è che qui comprano frigoriferi, ma in molte zone non arriva la corrente elettrica!). Insomma, un cambiamento epocale in tempi molto brevi, che porterà a un cambiamento nelle abitudini alimentari di dimensioni titaniche. Una domanda di cibo a cui la produzione agroalimentare è chiamata a rispondere. Il libro di Balboni, dati alla mano, ci mette quindi di fronte a tanti paradossi: se qui nel mondo ricco e occidentale si moltiplicano gli appelli alla frugalità collettiva, là nel mondo in prepotente crescita economica si mangia sempre di più; se noi invochiamo la “fine della carne”, là si consumano sempre più proteine animali. In questo scenario, le bocche da sfamare stanno crescendo al ritmo di circa 80 milioni all’anno.
Il capitolo “La fame di terra” fa luce su un’altra realtà meno nota e divulgata, che rischia di avere un impatto negativo sulla nostra stessa sicurezza alimentare: sottolinea l’autore “la terra coltivabile nel mondo, se misurata pro capite per ogni essere umano, è in calo dal 1960 e continua a calare. Inoltre, quella rimasta si trova “sequestrata” in ecosistemi forestali e naturali che i Paesi del mondo si sono impegnati a salvaguardare per mitigare il riscaldamento climatico e la biodiversità. Da oggi al 2050 dobbiamo produrre più cibo di quello prodotto finora, senza toccare altra terra. Un’impresa gigantesca e difficile.”
Insomma, “Il pianeta dei frigoriferi” non fornisce ricette facili salva-mondo, ma offre, invece, una mappa e una bussola per orientarsi in quello che sta succedendo, sul fronte dell’agricoltura e del cambiamento climatico. Un libro indispensabile per farsi un’idea oggettiva del futuro nostro e globale e che non a caso è stato presentato dall’autore nella “sua” Bolzano in un’intensa tre giorni di incontri e riflessioni sul futuro organizzata lo scorso 14-16 giugno da “Alto Adige Innovazione” e intitolata “Three Days for Future”.

Autrice: Caterina Longo

Tre noir in salsa bolzanina

Forse parlare di una scuola bolzanina del genere poliziesco è prematuro rispetto alle consolidate scuole di genere di altre regioni e province (pensiamo a Milano, a Bologna, alla Sicilia, al Veneto), ma non si può negare che anche l’Alto Adige, nel suo piccolo abbia il suo valido manipolo di autori: pensiamo ai gialli di Lenz Koppelstätter ambientati in un Sudtirolo a metà strada tra il dark e la promozione da cartolina (tipo le produzioni della Film Commission Altoatesina), a quelli ben educati e non privi di humor del compianto Umberto Gandini (di cui è stata annunciata una raccolta di inediti) o a quelli mozzafiato di Luca D’Andrea.
Negli ultimi mesi hanno fatto la loro comparsa in libreria ben tre romanzi noir degni di nota e ambientati nella nostra regione, tutti rigorosamente scritti da autori nostri, anche se trapiantati altrove.

L’ultima madre
Autore: Alex Boschetti
Alphabeta

Alex Boschetti, bolzanino di stanza a Bologna, con L’ultima madre è giunto al suo terzo romanzo e – rispetto alle black comedy che lo avevano preceduto – mette sul piatto un noir a tinte forti, ambientato nella zona popolare di Bolzano e in Val Sarentino. Un noir psicologico con al centro una figura femminile dal destino tragicamente segnato e una storia di tremenda attualità che arriva a toccare argomenti drammatici come la violenza domestica e la xenofobia, senza dimenticare un certo disagio giovanile. La storia è ben architettata e ben localizzata: Boschetti, pur abitando a Bologna da molti anni torna spesso a Bolzano e prima della scrittura di questo romanzo ha fatto una full immersion totale nella Bolzano popolare. La trama si svolge tutta sotto gli occhi di un antipatico commissario di polizia che sembra più uno spettatore esterno impotente che non un attore della vicenda.

La parola amore uccide
Autori: Jadel Andreetto e Guglielmo Pispisa
Rizzoli

Bolognese di lungo corso è anche un altro bolzanino, Jadel Andreetto, per anni una delle colonne del collettivo di scrittura Kai Zen insieme al compare Guglielmo Pispisa: i due, dopo una prima notevole uscita sotto il nome de plume di Marco Felder sono tornati in libreria coi loro nomi di battesimo e con un avvincente romanzo intitolato La parola amore uccide. La scrittura dei due è molto fluida, la storia mette sul piatto due indagini differenti seguite dai due protagonisti, mai perfetti e sempre sopra le righe: l’ispettore Rottensteiner (consumato e disilluso, oltre che profondo conoscitore della propria terra) e l’agente scelto Tanino Barcellona (pivello dal cuore grande e bolzanino di recente acquisizione). La chimica che si sviluppa tra i due è ottima, così come lo sono i comprimari, tutti coinvolti in una storia che pur toccando marginalmente temi scottanti e non da poco come l’estremismo di stampo nazista, il traffico d’armi e la mafia, è incentrata piuttosto – come nel libro di Boschetti – su xenofobia, femminicidi e momenti di debolezza delle forze dell’ordine con un episodio in cui il poliziotto Barcellona si ritrova a mettersi sullo stesso piano dei poliziotti americani che negli ultimi anni hanno scatenato sdegno da un polo all’altro del globo.

Il morto nella roccia
Autore: Kurt Landthaler
Alfabeta

Per finire, Il morto nella roccia, non proprio una novità visto che in lingua tedesca era uscito negli anni novanta: grazie alla traduzione di Stefano Zangrando ora è finalmente tradotto in italiano il primo romanzo del bolzanino Kurt Lanthaler, personaggio chiave della letteratura altoatesina. L’autore, dopo aver abitato per anni a Berlino si è da tempo trasferito a Zurigo e questo suo romanzo d’esordio, pubblicato a dapprima a puntate sul “Extra”, supplemento in lingua tedesca del defunto quotidiano “Il mattino”, vede il debutto di Tschonnie Tschenett, protagonista di una cinquina di opere d’orientamento hard boiled: Tschenett non è un poliziotto, anzi è un personaggio sempre al limite, spesso assillato da problemi con la polizia, per quanto il suo migliore amico sia Totò, uno sbirro mistilingue di frontiera (la storia si svolge tra Bolzano, Colle Isarco e Vipiteno durante gli scavi del tunnel di base, molto attuale dunque). Un giallo anomalo, di denuncia contro le lobby che decidono tutto (proprio come adesso), senza lieto fine, senza casi risolti, nel miglior stile delle storie di Tschonnie Tschenett.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Storie sconosciute o dimenticate da una terra di confine. Alto Adige da (ri)scoprire.

Alto Adige segreto
Autore: Antonio Manfredi.

Edizioni alphabeta Verlag ripropone, nella collana Traven Reprints, un altro classico della letteratura altoatesina in lingua italiana.
Giornalista, poeta e pittore, Manfredi giunge in Alto Adige dalla nativa Viareggio nel 1939, e nel dopoguerra diviene una delle anime di maggiore influenza sulla vitalità culturale della città sulle rive del Passirio, in cui ha vissuto fino alla morte nel 2001.
Con sguardo raffinato e acuto, poetico e realista, Manfredi coglie le asperità della sua nuova terra, le incomprensioni culturali fra le due identità linguistiche che la popolano, le curiosità, gli aneddoti e le contraddizioni di un periodo storico particolarmente “caldo” dell’Alto Adige Südtirol.
Come nota Carlo Romeo – storico ed esperto di letteratura locale, autore dell’approfondita prefazione al libro – “le prose di Alto Adige segreto qui riedite uscirono nel lontano 1963, “sullo sfondo dell’attualissima questione etnico-politica”.
L’editore [Ricciardi, Milano-Napoli, ndr] sottolineava la particolare prospettiva offerta da questo ritratto umano della “tanto discussa regione”, così lontano e diverso dall’”improvvisazione e dal luogo comune”.
È proprio il particolare punto di osservazione, meno giornalisticamente distaccato e più immersivo, nella sua profonda capacità di osservazione e perspicacia, ad essere un tratto distintivo del libro di Manfredi.
Le sue osservazioni sono raccolte in forma di brevi capitoli di elegante prosa d’arte, in cui emerge un’attenzione pittorica al dettaglio, alla sfumatura psicologica, col risultato che in questi ritratti di personaggi, usanze e paesaggi, ogni minima pennellata assume una risonanza metaforica ed esistenziale.
L’insieme di questi quarantasei capitoli è un libro che può essere definito a tutti gli effetti un piccolo gioiello della letteratura altoatesina, ancora attuale nella sua descrizione di molti aspetti di questa terra.
Oltre alla citata prefazione critica di Carlo Romeo, lo accompagna anche un prezioso ricordo personale in appendice di Siegfried de Rachewiltz.
Il libro verrà presentato ufficialmente giovedì 9 giugno alle ore 20 al Palais Mamming di Merano.

Il caso del Partigiano Pircher
Autore: Giambattista Lazagna

Una storia incredibile quanto emblematica quella di Johannes “Hans” Pircher, partigiano della Val Venosta. Cresciuto in condizioni di povertà, anche sociale, Pircher viene arruolato nella Wehrmacht durante l’occupazione nazionalsocialista. Diserta e ripara in Svizzera dove inizia a svolgere incarichi di corriere tra gli Alleati e i gruppi della Resistenza sudtirolese guidati da Hans Egarter, unendosi infine al gruppo dei partigiani della Val Passiria. Nel contraddittorio clima politico del dopoguerra, questi ultimi furono imputati di atti che sarebbero dovuti rientrare nelle amnistie previste per la guerra di liberazione. Condannato a scontare decenni di pena detentiva, incontra in carcere l’“avvocato dei poveri” Roberto Miroglio, che si appassiona al suo caso e ne prepara la difesa. Nello stesso carcere si trova anche l’ex partigiano e giuslavorista Giambattista Lazagna che comprende la necessità di appellarsi all’opinione pubblica per muovere concretamente le acque attorno alla vicenda di Pircher.
Lazagna scrisse un Memoriale che affidò ai giornali denunciando lo scandalo della vicenda su un piano storico, politico e civile, e innescando così un’ampia campagna di mobilitazione che portò al condono della pena e alla liberazione di Pircher.
Edizioni alphabeta Verlag riedita ora nella collana Territorio&Gesellschaft il memoriale di Lazagna, accompagnandolo con un’ampia introduzione storica curata da Carlo Romeo e Leopold Steurer.
Il libro verrà presentato dai due curatori sabato 11 giugno alle ore 20 al Theater in der Altstadt di Merano, con commento musicale di Marcello Fera.

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