Sulle tracce di una “provincia confinata”

ALTO ADIGE DOC/2
Una provincia confinata
Autore: Massimiliano Boschi

L’Alto Adige raccontato al di fuori di stereotipi e pregiudizi, percorrendo storie e sentieri nuovi, senza distogliere lo sguardo da problemi e contraddizioni ma allargandolo ad altri territori europei “di frontiera”, diversi eppure in qualche modo simili. Con questo spirito è uscito da poco in libreria e negli store online “Alto Adige Doc / 2. Una provincia confinata”, del giornalista emiliano (ma da 10 anni trapiantato in provincia di Bolzano) Massimiliano Boschi.
Si tratta del secondo volume della serie “Alto Adige Doc” e in 181 pagine raccoglie 44 tra articoli, reportage e interviste pubblicati tra il febbraio 2020 e la fine del 2021 sul quotidiano online Alto Adige Innovazione.
Sono sette le sezioni tematiche in cui si suddivide il volume appena dato alle stampe, e realizzato con il sostegno della Provincia autonoma di Bolzano-Alto Adige, Cultura Italiana: “Confini”, “Renon”, “Bolzano”, “Il passato scomodo”, “La politica”, “Miscellanea” e “Covid”. Un viaggio tra storie poco note – dall’ospitalità ai criminali nazisti dopo la Seconda Guerra Mondiale alle commedie sexy “made in Alto Adige”, dai lama andini e le mucche giapponesi allevati sull’altopiano del Renon alle periferie di Bolzano e Merano – e la scoperta di altre regioni di confine del vecchio continente, da Gorizia all’Ostbelgien. La raccolta è anche l’occasione per fare il punto sul territorio sudtirolese dopo due anni di pandemia e per affrontare, oltre la cronaca, alcuni nodi di fondo delle vicende altoatesine attraverso le interviste allo storico Hans Heiss, al giurista Francesco Palermo e al sindaco di Bolzano Renzo Caramaschi.
Come già abbiamo segnalato in occasione del primo volume, gli articoli di Boschi si distinguono per il fatto stesso di essere reportage realizzati sul posto, seguendo l’ormai rara tradizione del “consumo della suola delle scarpe”, un imperativo della storia del giornalismo che oggi – a torto – sembra aver fatto ormai il suo tempo, nell’epoca dei social e delle fake news rilanciate alla cieca.
La narrazione di Boschi in questo caso è anche condizionata dai frequenti stop and go che hanno caratterizzato la possibillità oggettiva di viaggiare, non solo a livello macro ma anche a livello micro, durante i due lunghi anni di pandemia.
Nella raccolta di articoli i servizi realizzati per l’online in merito ai paradossi della “via altoatesina” nel contrasto al coronavirus e ai suoi danni sanitari, economici e sociali, in realtà non acquistano un ruolo di primo piano. Ma costituiscono senz’altro un filo conduttore sotto traccia che – tra l’altro – è ispiratore del sottotitolo “Una provincia confinata”.
Alto Adige Doc/2 è una lettura consigliata per tutti coloro a cui piace contemplare gli aspetti più incredibili e paradossali della nostra autonomia, messi in relazione con la realtà quotidiana.
Quella vera, non quella da cartolina.

Autore: lu.sti.

Il ‘700 a Bolzano, in un dialogo

LA BOLZANO DI LEONHARD
Autore: Massimo Leonardo Prandini

“Bellissimo testo, davvero perfetto in ogni suo dettaglio. Mi sembra colga proprio i risvolti locali e internazionali molto, molto bene, e i tanti dettagli precisi danno al testo un che di molto autentico, ben documentato e anche intrigante: bello da leggere. Le domande finali poi sono un esempio mirabile di didattica riflessiva.”
Basterebbero da sole le parole dello storico Hannes Obermair, che fanno bella mostra di sé in quarta di copertina, a segnalare la qualità di questo piccolo libro (89 pagine, Edizioni del Faro, 2020) dedicato ad un secolo cruciale per lo sviluppo della città di Bolzano.
Il testo ha avuto una genesi particolare, essendo nato come sceneggiatura per un programma radiofonico della sede Rai di Bolzano. In sostanza si tratta di un dialogo che si svolge a Bolzano, il 21 marzo del 1797, tra un vegliardo cittadino alle soglie dei 100 anni, e quindi gravido di memorie, e una nobildonna della famiglia Ziani di Venezia in visita nella città mercantile tirolese.
Napoleone incombe, dal voto con annessi fuochi per il Sacro Cuore sono passati solo alcuni mesi e la vicenda epica dell’oste Andreas Hofer si profila all’orizzonte.
Ma la città ha già molto da raccontare, visto che si sta concludendo un secolo, il XVIII, che ha visto una grande trasformazione urbanistica rispetto all’impianto medievale, rimasto presso che immutato fino alla fine del ‘600. In città stanno anche man mano prendendo piede i mercanti locali, destinati a impugnare le redini dei commerci, dopo secoli di potere economico gestito “dall’esterno”.
Dunque la chiacchierata tra il vecchio bolzanino Leonhard Prantl e la signora Maria Ziani prende il via attraverso un ritratto della Bolzano mercantile dell’epoca, per concentrarsi poi sui palazzi prestigiosi che sono stati appena edificati e che in gran parte possiamo ammirare ancora oggi.
Successivamente non possono mancare i ritratti di alcuni tra i personaggi famosi, che transitarono all’epoca per Bolzano. Come Casanova, Mozart e Goethe.
Successivamente l’attenzione si sposta sulla dialettica tra barocco e classicismo che nel ‘700 caratterizzò le opere degli importanti artisti che lasciarono il segno, in diversi luoghi laici e religiosi.
Senza per questo trascurare anche l’importante ruolo che le feste hanno sempre avuto in città, in connessione con le tre importanti fiere annuali e con il transito episodico di re, papi e imperatori.
Come detto il libro si conclude con alcune domande e risposte che hanno il compito di surrogare l’assenza di note. In questo modo la lettura di questo agile libretto è in grado di offrire una divulgativa introduzione alle caratteristiche storiche, urbanistiche e artistiche del centro storico di Bolzano.
Si tratta di una lettura davvero consigliata per tutti. Il libro è reperibile nelle librerie del capoluogo altoatesino e in tutte le biblioteche.

Le ultime uscite di Edizioni alfabeta Verlag

La collana TravenBooks di Edizioni alphabeta Verlag è uno spazio dedicato alla narrativa in cui convergono opere di autori – altoatesini/sudtirolesi, ma non solo – che approfondiscono temi o che vivono in realtà di “confine”, nelle molteplici declinazioni di significato del termine. Questi sono gli ultimi titoli della collana, due appena usciti e uno di prossima pubblicazione.

Memoria di un addio
di Franz Tumler

Un “uomo del sottosuolo” vive nella cantina di una casa diroccata e osserva il mondo da una finestrella. All’esterno la Berlino del dopoguerra, ancora segnata dai bombardamenti: impressioni fugaci che l’uomo vede e registra. Il suo unico contatto con l’esterno è una donna che di tanto in tanto gli reca visita. Con lei si apre ai ricordi, frammentari e incoerenti, intrecci di memoria e finzione, di illusione e senso di colpa. Sono squarci di vita contraddistinti da un incombente quanto inevitabile addio. E lei lo ascolta, senza riuscire a far breccia in un isolamento emotivo che sembra assoluto. Il racconto di Tumler, avvolgente e doloroso, è una sottile esplorazione della solitudine umana. Bolzanino di nascita, cresciuto in Austria e poi trasferitosi a Berlino, Franz Tumler (1912-1998) è considerato uno dei maggiori scrittori di lingua tedesca del Novecento, la cui ecletticità formale e incessante esplorazione dei confini psicologici lo collocano a pieno titolo in quella linea narrativa mitteleuropea che va da Robert Musil ed Elias Canetti fino a Thomas Bernhard e Peter Handke.

Le lingue della paura
di Benedetto Saraceno

In un bosco nei dintorni di Ginevra si consuma il cruento omicidio del vicedirettore della HEGA, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di economia sanitaria mondiale. L’autore materiale è un alto funzionario, Andreas Krause, per il quale la vittima rappresenta l’unico ostacolo apparentemente insormontabile alle proprie ambizioni. Assediato dal timore di essere scoperto, si ritrova risucchiato in un gorgo di paure e ossessioni, che degenera in un’autentica paranoia. In breve tempo la sua vita privata e professionale va a rotoli, e ogni tentativo di fare marcia indietro e confessare il proprio delitto è vanificato da continue oscillazioni emotive e confusi progetti di fuga. Nello spregiudicato ambiente diplomatico internazionale affiorano intrighi e personaggi di dubbia moralità, disposti a tutto pur di non perdere potere e privilegi. Le lingue della paura è un raffinato noir psicologico, una storia intrisa di cinismo, avidità e umana fragilità. Tra i più noti professionisti della salute mentale a livello internazionale, Benedetto Saraceno trasferisce in un’intrigante opera di narrativa temi e riflessioni maturati nella sua ricchissima produzione saggistica.

Todos Caballeros
di Lucio Giudiceandrea,
in uscita a maggio

Quando è nata l’idea di un’Europa unita? Gli storici dibattono animatamente sul preciso momento, ma quasi tutti concordano intorno alla figura che a questa idea ha dato maggior sostanza e compiuta declinazione. Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero, artefice dell’universalità cristiana, cercò di improntare l’Europa del Cinquecento ai valori dell’umanesimo, ispirati al suo maestro Erasmo da Rotterdam. Il suo progetto naufragò tra la Riforma avviata da Lutero, l’immobilismo della Chiesa romana, i divergenti interessi delle potestà locali e l’avanzata degli ottomani. Il giornalista bolzanino Lucio Giudiceandrea si muove tra fedeltà storica e invenzione letteraria, raccontando in forma quasi teatrale alcune scene dei primi vent’anni di regno di Carlo V. Sul palcoscenico della storia, attorno al protagonista, si muovono curiosi comprimari e personalità dell’epoca. Tutti concorrono a delineare il profilo psicologico di un uomo di straordinaria modernità, talmente immedesimato nel proprio ruolo da diventarne inconsapevolmente prigioniero. Mai un dubbio sfiora la mente di Carlo. Tranne una notte trascorsa ad Alghero, quando gli effetti di una droga misteriosa squarciano il velo dell’inganno.

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“Le guerre non scoppiano all’improvviso”

Per molti lo scoppio della guerra in Ucraina è stato un fulmine a ciel sereno, ovvero un doversi confrontare, ancora una volta, con morte e distruzione provocate da uomini contro uomini, stati contro stati. Per cercare di capire quello che sta succedendo abbiamo intervistato il prof. Stefano Petrungaro, un bolzanino che insegna all’Università di Venezia e che da sempre si occupa a livello storico dell’Est Europa e delle sue inquietudini geopolitiche, su cui ha scritto diversi libri.

Lei insegna storia dell’Europa Orientale. Si è occupato di rivolte contadine asburgiche, di marginali sociali, ma soprattutto dei numerosi conflitti e nazionalismi che caratterizzano i Balcani e l’Est Europa. Che idea si è fatta dei motivi che hanno portato all’invasione russa in Ucraina? Molti si sono detti sorpresi, ma è davvero così?
Le guerre non scoppiano mai dal giorno alla notte, perché richiedono lunghi e attenti preparativi, a partire dalla predisposizione degli armamenti e dell’opinione pubblica. È questo anche il caso del conflitto in corso: sono anni che Putin lancia segnali in tal senso, a parole, come nei fatti. Il progetto è quello di autocelebrarsi come colui che ha riparato il torto subito dalla Russia al momento della dissoluzione dell’Unione sovietica, quando perse il controllo sugli ampi territori di alcuni ex paesi satelliti. L’Ucraina, poi, occupa tradizionalmente un posto particolare nel pensiero nazionalista russo.
Ciononostante, che Putin si sarebbe deciso a portare un attacco militare proprio con queste modalità, non era scontato. Così come non lo era l’andamento del conflitto. D’altronde, la conoscenza del contesto aiuta senz’altro a capire, ma non deve portare a un approccio deterministico, che spiega tutto come conseguenze automatiche delle premesse. Occorre piuttosto lasciar spazio alle congiunture, all’imprevisto, al caso, e anche alle sorprese. E chissà quali ci riserverà il prossimo futuro.

Quando dall’Italia pensiamo all’Europa dell’Est facciamo ancora fatica a definirne i contorni. Le divisioni che hanno caratterizzato la guerra fredda pesano ancora, evidentemente. Specie per quanto riguarda il confine orientale, che è sempre apparso “mobile”. Storicamente qual è il vero rapporto dell’Ucraina con l’Europa?
L’Ucraina è parte integrante di quello spazio che si usa definire europeo. Che sia difficile tracciarne i confini, come giustamente notava, è del tutto inevitabile, perché quei confini non esistono in natura, non vanno semplicemente individuati e riconosciuti, ma sono mere costruzioni sociali. È per questo che i confini, quello europeo-orientale incluso, sono “mobili”: perché dipendono dai mutevoli rapporti di forza politici, nonché dalle mappe mentali e culturali che alimentano e legittimano quei rapporti. Da un punto di vista storico, non è particolarmente originale far presente che i legami culturali, commerciali, economici di lungo periodo delle regioni ucraine sono strettissimi non solo con l’impero zarista, ma anche con quello ottomano, asburgico, con il mondo mediterraneo e oltre. Forse è più interessante ragionare sul piano delle rappresentazioni e dei discorsi: gli ucraini vengono percepiti come europei, la guerra che lì ha luogo è avvertita come qualcosa che ci riguarda, e non solo a causa di una prossimità geografica e nemmeno solo per via della possibilità (quanto realistica, sarebbe da discutere) di un allargamento del conflitto. In gioco ci sono proprio quelle mappe mentali che costituiscono le identità collettive, un “noi” che include gli ucraini, e che sta determinando anche i modi della reazione al conflitto e dell’accoglienza ai profughi, dimostrando ancora una volta l’eurocentrismo e il razzismo che connota gli atteggiamenti delle società europee nei riguardi di altri conflitti e flussi di profughi.

Quando gli analisti cercano di spiegarci quanto sta avvenendo in Ucraina, un elemento chiave è sempre rappresentato dai nazionalismi. è un meccanismo che in Alto Adige conosciamo, ma in un grande paese come l’Ucraina naturalmente la situazione anche da questo punto di vista è molto più complessa. è possibile spiegare, in poche parole, in cosa differiscono i nazionalismi dell’Europa dell’Est da quelli “nostri”, ovvero italiano e sudtirolese?
In poche parole: in nulla. Ma la domanda è importante, perché rimanda a una tradizione di pensiero che individua una presunta dicotomia tra i nazionalismi europeo-occidentali e quelli europeo-orientali, “civici” (ossia democratici, inclusivi e in una parola: “buoni”) gli uni, “etnici” (e violenti e intolleranti; in una parola: “cattivi”) gli altri. Ma non è così. Uno sguardo attento e privo di pregiudizi noterà elementi “civici” ed “etnici” in ogni forma di patriottismo e nazionalismo.

La Russia è un macrocosmo con il quale negli ultimi tre decenni l’Europa e l’Occidente hanno avviato un dialogo e una collaborazione, che in gran parte ha anche dato frutti positivi, soprattutto dal punto di vista economico. In che misura e a quali condizioni secondo lei la Russia nel prossimo futuro troverà il modo di relazionarsi con la propria parte di anima intrinsecamente e storicamente europea?
Effettivamente, prima di parlare russo l’aristocrazia dell’Impero zarista parlava francese. Successivamente, nel corso dell’Ottocento, sono sorti dei filoni di pensiero contrapposti rispetto al rapporto che la Russia moderna avrebbe dovuto intrattenere con l’Europa occidentale: secondo gli uni, detti “occidentalisti”, ci si poteva e doveva ispirare a certi sviluppi sociali e politici occidentali, mentre altri, detti “slavofili”, erano piuttosto rivolti al recupero dell’“originaria” anima e cultura russa. Arricchisce il quadro il fatto che già l’impero zarista, poi anche l’URSS e oggi la Russia post-sovietica, contemplino amplissimi territori asiatici, e non è un caso se si sia sviluppato un ulteriore filone di pensiero, identitario e politico-economico, detto “eurasiatico”, che complica il quadro dei rapporti tra Russia e paesi occidentali. Cosa succederà di preciso in futuro non lo sappiamo, ma la società russa, le sue istituzioni culturali e quelle economiche, non vogliono e non possono isolarsi dall’Europa. Anche per questo è necessario porre fine al conflitto e ragionare in termini radicalmente diversi, ossia nei termini del rispetto reciproco e della convivenza. L’alternativa è quella della distruzione reciproca, come drammaticamente testimoniano le immagini delle rovine, del passato come quelle attuali.

Autore: Luca Sticcotti

Tra arte e alpinismo, grazie a due volumi

In questa puntata delle nostra rubrica vi segnaliamo due recenti libri di argomento molto diverso. Il primo è dedicato a due edifici che a Bolzano rappresentano in qualche modo altrettanti luoghi “estremi”. Il secondo invece tratteggia la lunga vicenda umana di un vero e proprio mito dell’alpinismo mondiale. La lettura consente di viaggiare nel tempo e osservare l’oggi, con molteplici sguardi.

Prison Museum
Scrittore: Nicolò Degiorgis

Nicolò Degiorgis è un giovane e pluripremiato fotografo bolzanino, che ha fondato una piccola casa editrice presso il maso Rohrof, in via Cadorna a Bolzano. Tra gli ultimi libri pubblicati c’è “Prison Museum”: un dialogo per sole immagini tra due luoghi che più lontani non potrebbero essere, il carcere di Bolzano e Museion. Tutti e due si trovano su via Dante, e questo lo sappiamo, ma quello che l’occhio di Degiorgis fa emergere sono le incredibili somiglianze tra i due edifici: dagli spazi, corridoi, scale, armadietti, cassetta delle lettere e persino dai gabinetti emana un senso di inquietante parentela. Eppure a far “venire i brividi” non è il carcere, che, seppur fatiscente e sgaruppato conserva il colore e il calore della presenza dei detenuti, ma il museo, con il suo freddo minimalismo di spazi bianchi e grigi. Un affascinante parallelo, che comunque non fa dimenticare l’inaccettabile situazione del carcere bolzanino.
Nicolò Degiorgis, Prison Museum, 2021, Rorhof
www.rorhof.it

Autrice: Caterina Longo

Verso il cielo
Scrittrice: Heather Christle

Biografia del grande scalatore nato a Vipiteno ma cresciuto a Bolzano, Erich Abram già a 16 anni era in grado si scalare pareti di sesto grado. Dopo la difficile esperienza della guerra, a partire dalla fine degli anni ‘40 fu uno degli esponenti di spicco dell’alpinismo alpino, aprendo numerose nuove vie nelle Dolomiti. La sua fama però è dovuta in particolare alla partecipazione con la spedizione italiana sul K2, che per la prima volta consentì di scalare la seconda vetta più alta del mondo. Nello specifico durante quella spedizione, insieme a Walter Bonatti e allo sherpa Amir Mahdi, Abram trasportò le bombole di ossigeno che servirono a Compagnoni e Lacedelli per raggiungere la vetta. Successivamente Abram prese il brevetto di pilota d’aereo ed elicottero, compiendo numerosi salvataggi in montagna. è morto nel 2017 a 94 anni di età.
Carla Abram / Christian Ladurner, Verso il cielo, Athesia Tappeiner

I giorni delle gabbie

A quarant’anni dalla battaglia sul censimento etnico in Alto Adige/Südtirol, Maurizio Ferrandi ripercorre la cronaca e i momenti più significativi e drammatici di quelle vicende, ricostruendo una storia che va riletta e riscoperta per capire l’Alto Adige di oggi, le sue specificità e contraddizioni.
All’autore del libro, uscito di recente per le Edizioni alphabeta Verlag, abbiamo rivolto alcune domande per capire meglio qual è l’importanza, oggi, di conservare la memoria di quei giorni.

Cosa avvenne 40 anni fa e perché è importante ricordare?
Più che un dibattito fu uno scontro politico piuttosto forte. Fu il culmine di un processo critico sull’autonomia che ha portato poi successivamente a cambiare le carte in tavola e plasmare la nostra realtà per renderla quella di oggi. 

I cambiamenti intervenuti negli ultimi 40 anni di fatto hanno superato quelle scelte divisive o in qualche modo le hanno confermate?
Tutte e due le cose. L’impianto di attuazione di quell’autonomia nelle sue caratteristiche fondamentali – basti pensare alla proporzionale di cui il censimento etnico è un elemento costitutivo indispensabile – è senz’altro rimasto. Però è cambiato molto il modo con cui questo principio è stato applicato. Le cose che chiedevano gli avversari del censimento e della conta etnica, con gli anni sono state poi concesse. Ma lo schema di fondo di per sé  è rimasto.

Il volume si basa su due pilastri: la consultazione di documenti d’archivio e la testimonianza di  alcuni protagonisti di quella battaglia. Qual è il ricordo che hanno di quei giorni?
Ci sono diverse posizioni. C’è chi ritiene si siano fatti dei passi in avanti e chi invece pensa ancora oggi che il sistema vada contro il diritto delle persone alla propria identità. 

Nel panorama politico altoatesino c’è ancora oggi un partito, I Verdi, erede della sinistra alternativa che all’epoca si battè contro il censimento etnico. Cosa ne resta dell’approccio politico interetnico di allora?
L’interetnicismo è rimasto una posizione costitutiva dei Verdi. Nel ‘78, ai tempi della nascita di Nuova Sinistra Neue Linke, l’aspetto ideologico alternativo e interetnico era l’elemento chiave. Oggi questo elemento si sposa ovviamente con la scelta ambientalista. Nella visione di Alexander Langer le due cose non erano in contraddizione, naturalmente. Erano entrambi approcci alternativi, che comportavano scelte radicali. Oggi gli alternativi sono diventati ambientalisti, ma mantengono naturalmente la loro posizione in una situazione in cui il conflitto etnico è meno marcato. Anche se in Alto Adige anche oggi come sempre ci sono forze politiche che su questo conflitto vivono. 

I libri che lei sta pubblicando man mano sono il risultato di un’operazione culturale. Si tratta di volumi che seguono un solco narrativo, facendo memoria dei dibattiti sulla questione altoatesina e della sua complessità. Possono interessare tutti, naturalmente, ma forse risulterebbero fondamentali soprattutto per i giovani che cercano di capire il perché dell’attuale nostro “sistema”. 
Nella nostra terra abbiamo avuto un forte elemento di conflitto. Se ci guardiamo intorno in questi giorni ci possiamo ben rendere conto di cosa possono provocare i conflitti etnici e religiosi. Noi siamo stati protagonisti e soggetti al tempo stesso di una di queste vicende. Una vicenda che si è risolta in una maniera molto diversa, perché è stata condotta politicamente. Capire perché e capire che cosa, andare indietro e ripercorrere i vari passaggi, è davvero fondamentale, perché ci permette di capire perché siamo al punto in cui siamo. La nostra particolarissima realtà va studiata e capita, e anche criticata naturalmente, perché no. Per i giovani oggi è davvero importante capire come siamo arrivati alla situazione attuale, per poter operare la scelta consapevole di vivere in Alto Adige. Ed evitando magari frustrazioni che possono avere effetti negativi.

INSERZIONE PUBBLICITARIA

Loghi, memorie, banche e monete

Recentemente le onorificenze annuali Nord Tirolesi riservate alla Provincia di Bolzano sono state assegnate a tre personaggi molto noti, anche per il loro percorso per molti versi libero e… non allineato. Interessante è il fatto che siano tutti e tre scrittori di successo. L’unico autore come prima professione è Joseph Zoderer, mentre gli altri due (Lilli Gruber e Reinhold Messner) lo sono solo come corollario delle loro altre attività. è – anche questo – il segno della solida tradizione letteraria della nostra terra. Che spazia nei generi più vari, come dimostrano anche le schede che vi presentiamo in questo numero del nostro giornale. In questo caso ci concentriamo in particolare sulle biografie che incrociano l’arte e sulla numismatica locale. Cogliamo l’occasione per ricordare che questa pagina vuole essere al contempo uno spazio in cui segnaliamo le novità degne di nota nel campo dell’editoria locale, ma anche un luogo a disposizione dei tanti altoatesini che coltivano a vario titolo la passione per la scrittura. Prossimamente in questa rubrica avremo anche occasione di incontrare autrici e autori nazionali o internazionali che ogni tanto si affacciano nel panorama locale, per presentare le loro opere o per raccontare il loro percorso nella narrativa, poesia o saggistica. Vi invitiamo a seguirci e – eventualmente – anche a darci utili suggerimenti in merito.

Haus nummer 6
Scrittore: Andreas Hapkemeyer

“Una bella bistecca e passa tutto!” o “ai miei tempi c’era giusto il necessario, mai di più”: frasi simili a queste si sentono e tramandano in molte famiglie.
Per il suo libro “Haus Nr.6 “ (Casa Nr. 6) Andreas Hapkemeyer ha raccolto quelle della sua di famiglia, giunta da Vienna a Gries all’inizio del novecento. Sono frasi, frammenti di ricordi, ascoltati o tramandati, in ben cento anni da nonni, zii, genitori e nipoti, che vanno a comporre una vivace biografia famigliare. Ai brevi testi sono associati degli schizzi, immagini che, partendo dagli interni della casa di famiglia a Gries- la Casa Nr.6, appunto- ci portano attraverso le strade di Bolzano. Sfogliare il libro è come cercare nella memoria, perchè i disegni sui fogli sovrapposti e traslucidi si compenetrano e sovrappongono, un po’ come i nostri ricordi. Le voci sono spesso femminili – la nostra era una “casa di donne”, dice l’autore- e raccontano momenti personali, ma anche momenti legati alla guerra “se quando faccio una gita in montagna sono stanco mi immagino di avere i russi alle calcagna” o visioni politiche e religiose. E natuaralmente, frammenti vissuti di storia altoatesina, nel Sudtirolo austriaco, poi italiano. Emerge così una vivace convivenza tra idee diverse – dall’anticlericalismo del nonno “al mio funerale non vengo se ci sono preti” alla più profonda spiritualità. Un affascinante esercizio di memoria insomma che è anche un invito a farci ritrovare il nostro lessico familiare.

Autrice: Caterina Longo

Andreas Hapkemeyer (Osnabrück 1955, vive a Bolzano) è storico dell’arte, curatore e docente universitario. “Haus Nr. 6”, 138 pag., è pubblicato da Ritter Verlag Klagenfurt.

Monete e banche medievali tra le Alpi e l’Adriatico
Scrittore: Helmut Rizzolli

Questo libro vuole offrire un approccio facilmente comprensibile alla storia monetaria e bancaria tra Alpi e Adriatico nel periodo che va dall’anno 920 al 1519. La straordinaria importanza delle zone alpine per l’area economica nord italiana si evince dal tesoretto occultato nel 1329 a Padova e contenente 4000 monete praticamente tutte di tipo tirolese (acquistato dalla Cassa di Risparmio di Bolzano). I vari sovrani, ecclesiastici o temporali, coniavano nelle zecche di Verona, Trento, Merano, Padova, Treviso, Dobbiaco/Lienz (a partire dal 1460) e Hall (dopo il 1477), cioè in area monetaria veronese = veronenses, ad Aquileia e Lienz (fino al 1460), cioè in area aquileiana = aquilegenses) oppure a Innsbruck e Bressanone, cioè in area augustana = augustenses. Soprattutto questo manuale vuole essere un supporto alla classificazione, dedicato a collezionisti, archeologi, storici e a tutti gli interessati.

Le mille guide turistiche di Oswald Stimpfl

“Per continuare a scrivere guide turistiche ci vuole passione, senz’altro non si diventa ricchi”. Il bolzanino Oswald Stimpfl, classe 1946, di professione accompagnatore turistico e guida turistica, è uno dei principali autori di libri dedicati all’escursionismo e alla scoperta del nostro territorio.
Ci siamo rivolti a lui per chiedergli quali sono le scelte dell’editoria, locale e non, nella realizzazione dei manuali in lingua italiana, dedicati all’Alto Adige.
“Le guide in lingua italiana nella maggior parte dei casi nascono come traduzioni di quelle realizzate in prima battuta in lingua tedesca, ma esistono in realtà alcuni problemi di fondo: gli italiani in media sono meno camminatori e leggono di meno”. Insomma: il target delle guide turistiche sull’Alto Adige è fortemente sbilanciato verso nord, privilegiando per forza di cose i turisti germanici. Gli italiani del resto d’Italia, più che gli altoatesini, rappresentano dunque una clientela ‘residuale’”.
Al di là degli effetti della pandemia, che ha di fatto bloccato tutto il mercato di questo specifico settore dell’editori, a pesare negli ultimi anni è stata inoltre un’accresciuta propensione degli ospiti alla vacanza “mordi e fuggi”, anche in montagna.
“Cercano le classiche guide che consentono di capire cosa è più importante vedere in uno, due o tre giorni”, conferma Stimpfl.

E la concorrenza degli smartphone? è stata in grado di mettere in crisi anche le guide turistiche per la montagna?
Per fortuna su questo versante arrivano buone notizie.
“Tra le varie case editrici che pubblicano i miei libri c’è anche il grande gruppo Maierdumont con la collana Marco Polo, nel mondo di lingua tedesca. Lì c’era il timore che i telefonini avrebbero soppiantato il mercato dei libri, ma invece non è andata così. Lo smartphone lo usano soprattutto i giovani, che comunque comprano pochi libri. Mentre invece chi fa viaggi ha continuato ad acquistare le guide cartacee. Gli escursionisti sul telefonino trovano troppo e non riescono ad identificare proposte selezionate. Un mio classico lettore dunque è l’escursionista di madrelingua tedesca che cerca in internet la guida, la compra in libreria o online, e poi arriva in provincia di Bolzano con il suo libro in mano.”
Come sono cambiate le guide turistiche ed escursionistiche rispetto al passato?
Con un po’ di malinconia Stimpfl ci conferma il sospetto che avevamo.
“Rispetto a prima gli editori danno sempre meno importanza agli aspetti storici e culturali, probabilmente anche sulla spinta delle richieste dei lettori. Una volta su un luogo consigliavamo anche libri, film e musica. Questo oggi avviene molto meno. Ed è un peccato”.

Autore: Luca Sticcotti

Un Alto Adige da leggere, in tanti modi

Nuova Rubrica

L’editoria locale o legata in un modo o nell’altro alla nostra terra è particolarmente prolifica, come sappiamo. Sulla pagine dei nostri giornali QuiMedia spesso questi libri hanno fatto capolino, ma ora abbiamo deciso di riservare loro uno spazio specifico, pensato da una lato per segnalare le opere più significative nel loro genere, e dall’altro per mettere a disposizione delle diverse case editrici una sorta di vetrina per le loro novità. Non mancheranno naturalmente gli incontri con gli autori e anche momenti riservati ai privati cittadini che di tanto in tanto si autoproducono i loro lavori, con risultati assolutamente degni di nota. Buona lettura!

Soldati di Sventura
Autore: Luca Fregona
Editore: Athesia

“Hai ucciso?, è una domanda stupida da fare a un soldato in guerra. Ho fatto quello che andava fatto ma senza eccedere”. È una delle tanti frasi che arrivano direttamente al cuore contenute in “Soldati di sventura” (ed. Athesia), il libro di Luca Fregona. Un volume giunto alla terza ristampa che raccoglie testimonianze di un conflitto dimenticato, come tutte quelle guerre che “non ci riguardano” e che la coscienza collettiva rimuove. Solo che questo conflitto – quello fra una Francia colonialista e un’Indocina che voleva l’indipendenza – è in qualche modo parte della storia dell’Alto Adige. La storia di Beniamino Leoni ha dell’incredibile, la sua è una vita che ne contiene altre mille; quando si trova suo malgrado a doversi arruolare nella Legione ha da poco passato la ventina di anni, ma è già stato all’inferno ed è tornato più volte. Ed è solo l’inizio, perché poi vive l’addestramento, il trasferimento sul fronte in Indocina, e da qui una serie di vicende che attraversano la sua esistenza fino al suo ritorno a casa 10 anni dopo.
Nel secondo racconto il protagonista è Emil Stocker, figlio di un sottufficiale dei Kaiserjäger che nel ’39 opta per la Germania. Il piccolo Emil finisce nella Hitlerjugend, dopo la guerra torna in Alto Adige e si arruola nella Legione. L’autore trasporta il lettore in pieno fronte, lo fa scivolare nei bunker e gli fa sentire le pallottole fischiare. Emil è una macchina da guerra, ma pagina dopo pagina fa tenerezza, perché pur essendo uno dei “cattivi” riesce a dimostrare che la guerra (soprattutto se inizia fra le mura di casa) porta l’uomo a trasformarsi in qualcosa contro natura.
Terzo personaggio: la storia è quella di Rodolfo – Rudi Altadonna narrata attraverso il ricordo del fratello Guglielmo – Willy. Perché Rudi è scomparso, inghiottito dai flutti di quella guerra senza patria. Le sue lettere dal centro di addestramento e poi dal fronte sono strazianti, e a renderle ancora più vive sono le scansioni di queste missive pubblicate fra le pagine del libro.
Quella di Fregona è una grande opera contro la guerra. Ci si immerge come in un romanzo d’avventura, ci si lascia coinvolgere da atmosfere esotiche che fanno sognare, ci si immedesima con i protagonisti del libro perché sono dei duri, ma parlano la nostra lingua. E lascia un forte amaro in bocca, perché il lettore riesce a capire che ogni proiettile sparato è una vita che si spezza, e ogni dito che preme il grilletto è un’anima rotta.

Luca Masiello

La maestra silenziosa
Autrice: Petra Cola
Editore: Rizzoli

L’autrice di questo libro è una giovane bolzanina che negli ultimi anni ha avuto un significativo successo come influencer digitale freelance. Per i non esperti in materia: attraverso le sue pubblicazioni sul social network Instagram la giovane altoatesina amante della montagna è riuscita a sommare (finora) ben 111mila follower, ovvero persone che seguono con passione il suo “profilo”.
Si tratta di un successo senza precedenti per un’altoatesina e Petra, ottima fotografa e sportiva a tutto tondo, è riuscita a sbarcare anche nell’editoria, realizzando un libro in cui racconta il suo percorso personale e l’amore per le montagne della sua terra. In particolare Petra Cola ha scritto un libro “al femminile”, indicando la montagna come sua “maestra” silenziosa” e spiegando cosa vuol dire secondo lei vivere la montagna in quanto donna.
Nel libro Petra collega di continuo tradizione e innovazione, facendo perno anche sulle conoscenze acquisite come testimonianal di alcune aziende di punta del settore. Grande importanza, soprattutto nella prima parte del libro, è riservata ai valori immutabili della montagna, che vengoni rilanciati in ottica terzo milliennio, tra orizzonti e libertà. Petra Cola non dimentica di spiegare cosa significa praticare lo sport in alta quota, al di là dell’aplinismo e dell’escursionismo. Prendendosi anche gli opportuni spazi per segnalare ai lettori del resto d’Italia (il libro è ben distribuito a livello nazionale) alcuni aspetti della storia dell’Alto Adige. E sappiamo tutti quando ce ne sia sempre bisogno.
Il libro è infine un ottimo spunto anche per le escursioni. Sono infatti una ventina quelle segnalate, tutte in provincia di Bolzano e tutte raccontate anche attraverso una serie di belle foto che ritraggono l’autrice.


Luca Sticcotti

Processi a Bolzano
Autore: Ettore Frangipane
Editore: Reverdito

L’ultima fatica letteraria di Ettore Frangipane getta una nuova luce sull’attività del Tribunale Speciale che, durante l’occupazione tedesca, a Bolzano giudicava i resistenti al nazismo. Tutti gli atti dei processi vennero distrutti, ma l’autore è riuscito in parte a ricostruirli attingendo alle notizie apparse sul giornale Bozner Zeitung e al diario dell’allora cappellano del carcere Don Giovanni Nicolli.