Sono in molti, per accedere al Municipio di Bolzano, a chiedersi, transitando per vicolo Gumer: chi erano i Gumer? Che ruolo hanno avuto per la città di Bolzano? La famiglia Gumer di Engelsberg, la cui linea maschile si è estinta nel 1897, impegnata nel commercio tra l’area culturale tedesca e quella italiana e in attività bancarie, era tra le famiglie patrizie di Bolzano più importanti e influenti sia politicamente che economicamente. La ditta Joseph Gumer (1602-1668), era tra le più grandi case commerciali di Bolzano, città che aveva un ruolo particolare nella vita economica dell’epoca. Hans Gumer (1593-1680) fu sindaco di Bolzano per quattro mandati, tanto che per i suoi meriti l’imperatore Leopoldo I il 14 agosto 1668 lo elevò al rango nobiliare onorandolo con il titolo “von Engelsberg”. Johann Gumer (1673-1738) fu anche console e fu tra i committenti della costruzione del Palazzo Mercantile di Bolzano. Fu il commerciante Johann Gumer (1732-1793) a concedere nel 1765 un prestito di 200 mila fiorini a Francesco I di Lorena, consorte dell’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo. A venire iscritto nel 1783 nell’albo nobiliare tirolese fu Franz von Gumer. Nato nel 1731, dal 1771 al 1776 fu sindaco di Bolzano. Dedicò attenzione agli aspetti culturali e aiutò le persone socialmente svantaggiate. Nel 1790 intervenne come relatore per il “Bozner Partei” alla “Dieta aperta” che l’imperatore Leopoldo II aveva consentito agli Stati generali del Tirolo. A Franz von Gumer si deve l’istituzione a Bolzano di una Loggia massonica, di cui fu il primo Maestro Venerabile. Franz von Gumer si occupò anche delle arti segrete dei Rosacroce e si mise in contatto col conte Giuseppe Balsamo, noto come Cagliostro, che venne a Bolzano nella primavera del 1789. Franz von Gumer, ammalatosi di setticemia, morì a Vienna il 25 luglio 1794. Il 5 agosto la polizia fece irruzione nella sua casa distruggendo la documentazione riguardante Franz von Gumer.
Autore: Leone Sticcotti
è dal 29 marzo 2010 che, all’incrocio tra Via Weggenstein, Via Vintola e Via Andreas Hofer, esiste la piazzetta Maria Delago. Chi era e cosa fece? Nata l’11 gennaio 1902 a S. Leonardo in Passiria, trasferita a Merano nel 1910, vi frequentò la “Bürgerschule”, scuola femminile privata delle Dame Inglesi. Nel 1920 si diplomò al Liceo pubblico femminile Prosl. Sentendo sempre forte la sua passione di artista, frequentò dal 1924 al 1926 la Scuola d’arte e mestieri del Museo Austriaco per l’arte e l’industria di Vienna: poté così dedicarsi alla professione di ceramista e scultrice, e lo fece a Bolzano, dove si trasferì nella Villa Perathoner, con la madre la sorella Frieda. Rilevata la fornace della ditta Pichl in via Museo, vi allestì un piccolo atelier. Con i suoi lavori si fece conoscere a Bolzano e in altre località dell’Alto Adige, ma ben presto anche all’estero. Nel 1931, lavorando in una fabbrica di ceramica a Maastricht, allestì figure di profeti e altri plastici, e una Via Crucis in ceramica per la chiesa conventuale di Schiedam presso Rotterdam. Con un altro lavoro a rilievo, del 1933, raffigurante Gesù che cammina sulle acque, abbellì la Villa Scherin a Schwabing presso Monaco di Baviera, città dove Maria Delago frequentò per due semestri l’Accademia di Arti Figurative. Morta la madre nel 1945, Maria Delago considerò come sua famiglia il “Südtiroler Künstlerbund”, istituito anche grazie al suo aiuto nel 1947, e con cui collaborò fruttuosamente. Nel dopoguerra installò una fornace moderna in uno spazioso atelier nella Heinrichstrasse; fu ammirata in patria e all’estero per le ciotole, i vasi, le statuine e le acqueforti, creò plastici in ceramica e bronzo anche per chiese e cappelle, scuole e case private. Nel 1964 le fu conferito il Premio Walther von der Vogelweide. Per il suo lavoro viaggiò molto; fu il 10 febbraio 1979 che, dopo visite in Pusteria e a Bressanone, nel viaggio di ritorno si ferì mortalmente nello scontro con un’altra macchina. Fu sepolta nel cimitero di Oltrisarco.
Autore: Leone Sticcotti
Nel passaggio tra via Renon e piazza Magnago si nota un monumento: è il busto del vescovo Geremia Bonomelli; poggia su una base in pietra con l’iscrizione “ JEREMIA BONOMELLI EPISCOPUS”, con la frase in latino: “ADEST MONET AD BONUM URGET”.
Chi era e cosa fece?
Geremia Bonomelli era nato da famiglia contadina il 22 settembre 1831 a Nigolino (Brescia). Dopo il liceo a Rovere nel 1851 entrò nel seminario di Brescia. Ordinato sacerdote nel 1855, dopo studi di teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, dal 1858 al 1870 insegnò teologia nel seminario di Brescia; fu anche parroco a Lovere.
Il 26 novembre 1871 fu consacrato vescovo di Cremona. Nel giro di qualche anno si convinse sempre più che nella Chiesa fosse necessario, dinanzi all’evolversi della società, un profondo rinnovamento.
Il suo pensiero fu tra l’altro contenuto in un saggio, pubblicato anonimo il 1° marzo 1889 nella Rassegna nazionale di Firenze, dal titolo “Roma e l’Italia e la realtà delle cose. Pensieri di un prelato italiano”.
Non mancarono le reazioni a tali posizioni, tra esse quelle del papa Leone XIII; il 21 aprile 1889 nella cattedrale di Cremona il vescovo ammise di essere l’autore del saggio, facendo atto di sottomissione al papa.
Numerosi furono gli scritti, come le Lettere pastorali, del vescovo Bonomelli; ebbe un certo clamore la Lettera del 10 febbraio 1906, dal titolo “La Chiesa e i tempi nuovi”.
Il vescovo Bonomelli si occupò molto anche dei problemi dell’emigrazione; è del 1896 la Lettera pastorale “L’Emigrazione”.
Nel maggio 1900 fondò l’Opera di assistenza per gli italiani emigrati in Europa, nota come “Opera Bonomelli”; l’intento era di fornire agli emigrati italiani un’assistenza materiale e religiosa.
Mons. Geremia Bonomelli morì a Nigoline il 3 agosto 1914.
La salma fu traslata il 5 ottobre 1920 dal cimitero di Cremona nella cattedrale; il sarcofago fu posto accanto all’altare maggiore.
Autore: Leone Sticcotti
Tra le mamme e le nonne che portano i bimbi a giocare al Parco Rosegger, in via Marconi, vicino al Ponte Druso, parco che ospita anche il monumento a Salvo D’Acquisto (vd. Qui Bolzano 24.1.2019), qualcuna si chiederà chi era e cosa fece la persona a cui è dedicato il parco.
Diamo qualche notizia.
Peter Rosegger, primo dei sette figli di un povero contadino di montagna, era nato il 31 luglio 1843 in Stiria (Austria). Ben presto Peter dovette badare ai fratelli, con vari lavori in casa e nel campo. Riuscì comunque, grazie al maestro Michel Patterer, a imparare a leggere.
L’adolescente Peter venne mandato dal maestro sarto Ignaz Orthofer; come apprendista sarto non mostrò gran talento, ma gradualmente Peter Rosegger rivelò talento poetico. Tramite persone bendisposte poté frequentare come uditore straordinario l’Accademia del commercio e dell’industria di Graz, mostrando molto interesse per varie materie, acquisendo molte conoscenze. Pur con poche entrate, iniziò ad acquistare libri, specie su storie di paese. Ben presto iniziò lui stesso a scrivere.
Fu nel 1869 che Peter Rosegger iniziò a pubblicare i suoi racconti. Nel 1873 si sposò con Anna Pichler, che nel 1875 morì dopo aver partorito la figlia Anna. Dal secondo matrimonio nel 1879 con Anna Knaur nacquero tre figli. Fu nel 1883 che apparve il romanzo “Der Gottsucher” (Il cercatore di Dio), una delle più importanti opere di Rosegger, che nel 1926 giunse alla 76ma edizione.
Non mancarono riconoscimenti e onorificenze, per le numerose opere, tre raccolte di poesie, undici romanzi, dodici racconti, quattro scritti autobiografici.
A lui si dedicarono musei, scuole, strade, monumenti, persino un asteroide. Va ricordato il deciso pacifismo di Rosegger, che si richiamava a quanto propugnava il filosofo tedesco Immanuel Kant (1724-1804), l’abolizione della guerra come strumento della politica.
Peter Rosegger morì nel paese natale, Krieglach, il 26 giugno 1918.
Autore: Leone Sticcotti
Se vi è chi ha lottato e lotta contro i virus patogeni per l’uomo e per gli animali, vi è anche chi ha lottato contro le malattie delle piante, come Ludwig von Comini, cui è intitolata una via, parallela alla via Volta. Chi era e cosa fece? Nato ad Innsbruck il 19 giugno 1814, frequentato il Ginnasio regio-imperiale di Innsbruck, dal 1836 proseguì gli studi alla scuola regio imperiale Mariabrunn presso Vienna. Dopo un periodo in farmaceutica entrò nel servizio forestale in Tirolo. Sposatosi a Bolzano nel 1840, nel 1849 rilevò un maso che la moglie aveva ereditato, il “Kalchgruberhof”, con vigneti sia nel borgo di Bolzano che ai Piani. Alle viti di uno dei suoi beni il 3 agosto 1851 Ludwig Comini scoprì per la prima volta l’infestazione attraverso il fungo aspergillus, importato nel 1850 dal Nordamerica in Europa, l’Oidium tuckeri, temuto e conosciuto come “puro Oidio”. Scoperte le ife, filamenti, dei funghi come agenti patogeni, nel 1853 nella sua tenuta ai Piani di Bolzano iniziò a tentare di lottare contro la malattia della vite che si stava rapidamente diffondendo. Quando nel 1855 gli agenti patogeni comparvero massicciamente anche in altri paesi europei, Comini viaggiò per l’Italia, La Francia e la Grecia, per apprendere qualcosa sui mezzi di difesa approntati; tornato in patria tentò ancora, fino a trovare un efficace mezzo di difesa nell’impollinazione delle viti ammalate con zolfo polverizzato e secco. Per gli anni di lavoro e l’incessante divulgazione, verbale e scritta, in tutte zone a viticoltura del paese, gli venne dato il soprannome di “Schwefelapostel”, “Apostolo dello zolfo”. Pubblicate le sue scoperte nel 1858 in lingua tedesca, due anni dopo lo fece in lingua italiana, con la “Lettera ai viticultori”. La lunga battaglia consumò le sue forze, oltre al patrimonio. Sempre più indebolito, Ludwig, farmacista, enologo, agronomo e conte austriaco, dovette soccombere, tanto da morire a 55 anni, con forti dolori, a Bolzano l’11 gennaio 1869.
Autore. Leone Sticcotti
Tra le persone da ricordare nella Giornata della Memoria vi è anche Loris Musy, al quale dal 23 maggio 2012 è intitolata una via nella zona produttiva. Chi era e cosa fece? Nato a Gragnano (Napoli) il 30 luglio 1912, laureatosi nel 1935, intraprese la professione di avvocato. Richiamato alle armi nel 1941 come Tenente di complemento, fu inviato a Feltre come Comandante della Tenenza dei Carabinieri; nel dicembre 1941 si sposò con Assunta Sandulli Mercuro; ebbero due figli, Dario e Alberto. Inviato al fronte in Croazia, combatté dal 20 giugno al dicembre 1942. Rientrato a Feltre, riprese il comando della Tenenza. Costituitasi la Repubblica Sociale Italiana, Loris Musy, riuscì, nel rispetto delle leggi, a comportarsi secondo coscienza, cercando di aiutare il più possibile la popolazione e di evitare situazioni di persecuzioni, violenza ecc. Ma il suo comportamento fu considerato talmente ambiguo che il 30 ottobre 1944 i fascisti disposero il suo arresto; fu tra i 120 feltrini deportati nel Lager di transito di Bolzano, nel blocco loro riservato. Loris Musy, cui fu assegnato il triangolo rosso di deportato politico con il numero 4945, fu scelto come capoblocco, in riconoscimento del suo essere equo, autorevole e abile nel dialogare con i comandanti del Lager. Visse con altri situazioni difficili: partenza di molti per i Lager al di là delle Alpi, violenze fisiche, lavoro forzato nella Galleria del Virgolo, scarsità di cibo, docce gelate, adunate collettive di ore al freddo; ne risentì anche la salute di Loris Musy, che curò, oltre ai buoni rapporti con i feltrini, l’ordine interno, l’equa distribuzione dei viveri che giungevano dall’esterno; liberato il 30 aprile 1945, a piedi fece ritorno a Feltre. Promosso Capitano, fu assegnato a Riva del Garda. Lasciata l’Arma nella primavera del 1946 si trasferì a Napoli, facendo carriera nel Banco di Napoli, finché nel 1957 fu trasferito a Roma, dove nacquero i cinque nipoti. In pensione dal 1973, morì a Roma il 21 luglio 1987.
Autore: Leone Sticcotti
È dal 13 giugno 2013 che lungo via Rosmini si trova in zona Museion il “Passaggio May Hofer”. Chi era e cosa fece? May Ottawa era nata l’8 settembre 1896 a Cybi, piccolo centro industriale presso Cracovia. Morto il padre Viktor, la madre si trasferì con la figlia a Pola. Scoppiata la prima guerra mondiale May frequentò per tre anni l’Accademia per l’arte applicata di Vienna, seguendo i corsi di tessuti di Rosalie Rothansis e di disegni di moda di Eduard Wimmer-Wisgrills. A Vienna conobbe il noto pittore e architetto dell’Accademia, Anton Hofer, originario di Bolzano; si sposarono a Vienna nel 1919. Anton Hofer decise di ritornare a Bolzano, dove il 21 marzo 1923 nacque il figlio Arno. Negli anni Venti May Hofer iniziò a Bolzano lavori in batik “su seta”; nacquero i primi arazzi a ricamo, mostranti immagini della terra slavo-polacca, la sua terra natia. Dopo anni di gestione della Pensione Belvedere a Miramare, May Hofer ritornò a Vienna seguendo all’Accademia il corso di ceramica a smalto del professor Nedbal e imparò la tecnica russa dello smalto a rete dalla moglie di Nedbal, l’ucraina Marika Dolnizka. Rilevato l’atelier di Emmanuel Fohn in un sottotetto di via Leonardo da Vinci, ne fece un ambiente in cui poté sviluppare la sua creatività, avente come riferimento il carattere popolare slavo, la mistica ortodossa, l’ambiente culturale ebreo-polacco. Realizzò una serie di mosaici intessuti, le cosiddette Textures di Limoges e Cloisonné. Dal 1964 partecipò a numerose mostre in Italia e all’estero. Dal 1972 al 1984 May Hofer viaggiò molto: Thailandia, Russia, Polonia, Israele, Bulgaria. Sono degli ultimi anni le opere in smalto, come i tabernacoli dello Jesuheim di Cornaiano e della Casa di Riposo di Castelrotto; per lo Schwesternheim di Fiè creò il quadro in smalto “Der gute Hirte”. Frutto dell’ultimo periodo creativo sono i tappeti-quadro. May Hofer morì a Bolzano il 3 maggio 2000, aveva 103 anni.
Autore: Leone Sticcotti
Via dei Vanga, è una delle vie che delimitano il centro storico di Bolzano. A chi e cosa si riferisce tale denominazione? I Vanga erano una nobile famiglia bolzanina; originaria di Burgusio (Val Venosta), nel XII secolo si era stanziata a Wangen (Vanga), frazione del Comune di Renon. Ma i Vanga fissarono la loro residenza anche a Bolzano costruendo una torre intorno alla quale sarebbe sorto, all’imbocco della Val Sarentina, un maniero. A dare lustro alla famiglia dei Vanga fu Federico, il figlio di Adelperone I, il quale aveva spostato nei pressi di Bolzano i suoi interessi economici. Intrapresa la carriera ecclesiastica, Federico divenne canonico di Augusta, nonché decano del Capitolo di Bressanone. Il 9 agosto 1207 fu eletto vescovo di Trento, con insediamento nella residenza episcopale il 18 novembre, festa della dedicazione della cattedrale. Federico di Vanga, il quale fu il primo vescovo a segnarsi con il titolo di principe, si distinse per intelligenza, energia, senso e tatto politico. Si pose subito all’opera, infatti già nel 1208 celebrò un Sinodo diocesano. Oltre a concedere ai due fratelli la costruzione del castello che sorge all’estremità di una roccia porfirica, strapiombante su tre lati sul torrente Talvera, a lui si deve la fondazione di Castel Rafenstein (Sarentino), ma sopratutto l’ideazione e la programmazione dell’attuale cattedrale trentina. Promosse la fondazione di vari ospizi per pellegrini, come quello di Longomoso sul Renon. Il vescovo Federico di Vanga mostrò abilità ed esperienza anche nell’amministrazione del principato; godette della fiducia dei sovrani, come Ottone IV di Brunswick (1182-1218) e Federico II di Svevia (1194-1250). Partecipò anche al Concilio Lateranense IV (Roma, novembre 1215). Partito per la quinta Crociata, morì il 6 novembre 1218 ad Accon, sulle coste della Siria, presso Tolemaide. Fu sepolto nella chiesa di S. Maria degli Alemanni, dell’Ordine Teutonico.
Autore: Leone Sticcotti
100 anni di Athesia: l’anniversario della libreria, celebrato giorni fa, fa ricordare, tra i protagonisti dell’avventura editoriale e giornalistica, anche il sacerdote giornalista Rudolf Posch, al quale è intitolata la via tra il cimitero comunale e la zona sportiva Maso della Pieve. Nato a Trento il 13 settembre 1887, a Trento crebbe, studiò e maturò la vocazione al sacerdozio. Ordinato il 29 giugno 1911, iniziò il suo servizio come cooperatore a Laives e Bronzolo. Cappellano dei Kaiserjäger durante il primo conflitto mondiale, nel dopoguerra riprese la cura d’anime come cooperatore a Cortaccia, attivo anche nello scrivere articoli per giornali locali. Il 1° ottobre 1923, trasferito a Bolzano, divenne collaboratore del quotidiano “Der Tiroler”, che dovette cambiare nome divenendo “Landsmann”, ma fu soppresso nell’ottobre 1926. Al suo posto nel 1927 prese vita il “Dolomiten”. Come redattore di tale giornale don Rudolf Posch ebbe modo di mostrare straordinarie doti: facoltà di veloce comprensione, eccezionale memoria, straordinaria conoscenza delle lingue, stile facilmente comprensibile; dotato in fatto di cultura generale svolgeva il suo lavoro con grande accuratezza e scrupolosità. Nel 1935 Rudolf Posch ne divenne direttore, facendo del “Dolomiten” il principale giornale della provincia. Don Rudolf Posch, come il canonico Michael Gamper (vd. Qui Bolzano n.18/2019), fu un acceso oppositore delle opzioni. Ciò non fu senza conseguenze. Alle sette del mattino del 9 settembre 1943 degli emissari della Gestapo irruppero in redazione intimando a don Posch di seguirli. Condotto ad Innsbruck, nell’aprile 1944 fu trasferito a Landshut e il 24 giugno a Dachau, dove con il numero 74668 fu ospite del Blocco 26/2. Liberato il 29 maggio 1945, ritornò al Dolomiten, ricomparso dal 19 maggio. Si manifestarono presto le conseguenze della vita di privazioni e di stenti passata nel Lager. La sera del 9 dicembre 1948 morì vittima di un ictus. Alle solenni esequie si unì l’intera comunità sudtirolese.
Autore: Leone Sticcotti
Fresca di… ! È da pochi giorni, dal 10 novembre, che nel maestoso complesso del Grieserhof, nell’atrio di Villa Aufschnaiter- Caffè Bistro, si trova la targa trilingue (italiano-tedesco-russo) che ricorda la morte, 95 anni fa, il 10 novembre 1926, di Liubov’ Dostoevskaja, scrittrice russa, figlia del più noto scrittore russo Fëdor Michailovič Dostoevskij (1821-1881). All’evento, promosso dall’associazione culturale Rus’, a 30 anni dalla sua fondazione, presenziarono il sindaco Caramaschi, il vicesindaco Walcher e Christoph Klotzner, presidente della Fondazione S. Elisabetta, che gestisce il Grieserhof. L’associazione culturale Rus’, con sede a Bolzano, intende far conoscere in Alto Adige la cultura russa e slava e portare nel contempo in Russia testimonianze della cultura locale nelle sue espressioni plurilingui. La targa inizia con “Vorrei vivere là dove c’è più sole”, riportante una frase di Liubov’ Dostoevskaja in un questionario giovanile; prosegue con “Liubov’ Fédorovna Dostoevskaja (1869-1926), scrittrice russa” e con “figlia di F.M. Dostoevskij si spense al Grieserhof il 10 novembre 1926”. Liubov’ Dostoevskaja per motivi di salute (soffriva di tisi) visse per lo più all’estero; in Italia trascorse gli ultimi anni della sua vita. L’amata Liubov’, così la definiva il padre, di cui la figlia fu anche biografa, nei suoi viaggi utilizzò il nome di Aimée , che divenne il suo nome alternativo. Nel 1924 si trasferì da Nizza a Merano, dove passò l’inverno 1925-1926; a marzo fu a Gries, per tornare in aprile a Merano (Villa Borodine). Tra maggio e giugno 1926 fu ad Arco, dove tornò dopo esser stata a Milano in agosto. Da Arco si trasferì a Gries, dove fu ricoverata al Grieserhof e dove morì il 10 novembre. Sepolta nel cimitero di Gries, dal 1957 riposa nel cimitero di Oltrisarco. Nel 2019 l’Associazione culturale Rus’ ha pubblicato la prima traduzione in italiano del suo romanzo “L’emigrante” (1912).
Autore: Luca Sticcotti