Percorrendo i Portici da Piazza Erbe al civico 39 si nota una targa bilingue, a firma “ HEIMATSCHUTZVEREIN-BOZEN”, con la scritta “MERKANTILGEBÄUDE ERBAUT VON F. PEROTTI – PALAZZO MERCANTILE EDIFICATO DA F. PEROTTI – 1708-1727”. Il riferimento è all’imponente complesso tra i Portici e via Argentieri, costruito dagli architetti Giovanni Battista e Giuseppe Delai su progetto del veronese Francesco Perotti. Doveva essere prestigiosa sede del Magistrato Mercantile, uno speciale tribunale commerciale istituito nel 1635, basandosi sulle esperienze dei veneti e dei liguri, da Claudia Felicitas de’ Medici (Firenze 4 giugno 1604 – Innsbruck 25 dicembre 1648), arciduchessa d’Austria e reggente del Tirolo. Si trattava di un organo competente per la risoluzione delle controversie che insorgevano in materie commerciali e di cambio nell’ambito delle fiere cittadine; le quattro fiere annuali servivano ad attirare in città numerosi mercanti dall’Italia e dalla Germania. Il Magistrato, organo che servì da modello per altre istituzioni analoghe in Europa, era costituito da membri eletti di lingua tedesca e di lingua italiana, per assicurare condizioni di piena parità ed imparzialità anche ai commercianti italiani che intervenivano alle fiere. Al Magistrato Mercantile subentrò nel 1850 la Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura, che in seguito si trasferì in nuovi uffici (via Alto Adige 60). Il Palazzo Mercantile fu oggetto di costanti lavori di manutenzione, per divenire dal 1997 un luogo aperto al pubblico; ora è sede del Museo Mercantile, che ripercorre la storia economica della città di Bolzano. C’è molto da ammirare: salette di riunione, stanza del cancelliere, salone d’onore, con gli arredi, i documenti d’archivio, quadri e oggetti d’arte originali, l’ampia scalinata di accesso con i due portali d’ingresso, il lungo balcone, la fastosa scalinata interna. Vedere per credere!
All’inizio della Passeggiata Guncina si trova, dall’autunno 1986, un’aiuola che adorna una lapide commemorativa, a forma di bomba, con incisa una scritta bilingue; in italiano : “TESTIMONIARE IL PASSATO ATTRAVERSO IL PRESENTE PENSANDO AL FUTURO * BOLZANO ALLE VITTIME DEI BOMBARDAMENTI * DONNE PER LA PACE”. Appare anche il nome di ISOLDE DOLDI DIEFFENBACH, ideatrice dell’iniziativa, a coronamento dei sette anni di attività del gruppo denominato “Frauen für Frieden”. Dal primo incontro a Bolzano del 26 febbraio 1980 e dal “Friedenszeitung” dell’aprile 1980, scaturì una serie di iniziative per sensibilizzare la popolazione sui temi della pace e della guerra, in particolare sul problema dei missili nucleari. Feste per la pace, come quella a Bressanone (18-19 ottobre 1980), Marce per la pace, come quelle sul Colle, ripetute dal 1980 al 1984, e quella a Naz-Sciaves del 4 aprile 1983; la partecipazione alla manifestazione con corteo per le vie di Bolzano del 12 dicembre 1981 e alla Giornata per la pace in Sudtirolo (Bolzano 10 dicembre 1983). Da ricordare le “Schweigestunden” in piazza Erbe, i Seminari sul Colle, “Nonviolenza attiva “ (6-7 febbraio 1982) e “Vivere senza violenza” (6 maggio 1984). Le “Frauen für Frieden” furono attive anche fuori provincia, partecipando a manifestazioni a Monaco di Baviera (8 maggio 1980), Francoforte (6-8-marzo 1981), Ginevra (25 gennaio 1982), Vienna (15 maggio 1982), ma anche in varie località italiane (Verona, Aviano, Roma, Comiso, Peschiera); parteciparono anche, nel settembre 1981, alla Marcia Perugia-Assisi. Da ricordare la manifestazione europea al Ponte Europa, presso Innsbruck (23 aprile 1984), con i due “Treni della pace”, uno da Monaco e uno da Verona. Anche il Monte Piana nelle Dolomiti di Sesto, uno dei teatri della prima guerra mondiale, fu luogo di manifestazioni (1° settembre 1985-31 agosto 1986-30 agosto 1987).
Bolzano-Treviso: c’è un forte legame tra le due città, come tra le due diocesi. Oltre ad avere, Treviso, un altoatesino come vescovo dal 6 ottobre 2019, hanno anche un Beato in comune. Si tratta del Beato Arrigo, o Enrico da Bolzano; a lui è intitolata una via di Bolzano, collegante via Castel Roncolo e via Weggenstein a via S. Antonio; si tratta di “via Beato Arrigo – Selig Heinrichstrasse”, dedica che si trova in due targhe: una in pietra che si nota sul muro di un edificio, l’altra, più recente, dell’odonomastica comunale. Non lontano dalla via vi è un maso, detto “Heinrichshof”, dove Arrigo-Enrico sarebbe nato nel 1250. Di famiglia povera, si guadagnò da vivere come operaio a giornata; pur essendo analfabeta, partecipava con devozione a funzioni religiose. A trent’anni, con la moglie Benvenuta e il figlio Lorenzo si trasferì a Biancade, nel trevigiano. Continuò anche da vedovo a condurre una vita di umile lavoro e a partecipare a varie celebrazioni liturgiche. Trasferitosi a Treviso, quando per l’età avanzata non poté più lavorare, condusse una vita di penitenza, chiedendo l’elemosina, anche per gli altri poveri, e di preghiera, recitando il Rosario in qualche angolo della chiesa, e se la chiesa era chiusa pregando in ginocchio davanti al portale. Morto in fama di santità il 10 giugno 1315 il popolo in massa partecipò alle esequie, durante le quali guarì un paralitico. Arrigo fu sepolto nel duomo di Treviso. Due sue reliquie si trovano dal 1759 nel duomo di Bolzano in una teca di cristallo. Di lui hanno scritto sia Boccaccio che D’Annunzio. Nel 1859 in sua memoria fu costruita una chiesetta sulla destra della strada che porta il suo nome. Al beato Enrico da Bolzano è dedicata una parrocchia della diocesi di Bolzano-Bressanone, quella di Seit-La Costa, presso Laives; la chiesa a lui dedicata fu consacrata nel 1854. Beato Arrigo è compatrono sia di Bolzano (con Maria Assunta) che di Treviso (con San Liberale).
“Passaggio Annette von Menz”: è uno dei vicoli con i quali si può transitare dai Portici a via Streiter. Chi era Annette e che ruolo ebbe nella città di Bolzano? Anna von Menz era nata a Bolzano il 30 gennaio 1796; i genitori facevano parte della cerchia di famiglie, come i Menz e i Gumer, più stimate e ricche di Bolzano. Fino all’età di 15 anni Anna, oltre a giocare con l’amica veronese Elisabetta de Mori, passò il tempo a dipingere quadri, leggere libri per ragazze, cucire, suonare il pianoforte. Fu infatti a 15 anni, morta nel 1811 la madre (il padre era morto nel 1801), che Anna divenne la più ricca ereditiera di Bolzano. Fino al raggiungimento dei 24 anni, oltre al tutore dottor Anton Grabmayr, secondo il codice napoleonico ci doveva essere anche un consiglio di famiglia. Anna ebbe anche, dal maggio 1811, una governante, Madame Nizolle; da allora Anne divenne Annette. Il consiglio di famiglia si allarmò al sapere che il colonnello francese barone Gaston de la Croix aspirava alla mano di Annette. Informatisi meglio su di lui, si scoprì che era vedovo e aveva un’amante; il colonnello cercava di apparire più giovane, oltre ad essere un tipo superficiale e litigioso. Madame Nizolle e il colonnello de la Croix lasciarono Bolzano. Anna von Menz, passate le emozioni della storia con l’ufficiale francese, il 6 marzo 1816 si sposò a Rovereto con Carlo de Panzoldi di Monteolivo, che morì pochi mesi dopo le nozze. Tre anni dopo, il 19 aprile 1819, Anna von Menz sposò di nuovo il conte Ludwig von Sarnthein. Ludwig, oltre ad amministrare i beni dei Menz, doveva pensare alla propria residenza nobiliare Rottenbuch e ai tre castelli sarentinesi; ma era anche molto attivo nella vita pubblica. La contessa Anna von Menz dal 1820 al 1837 ebbe sette figli, tre maschi e quattro femmine. La famiglia visse per lo più nell’attuale palazzo Toggenburg. Morto Ludwig nel 1867, Anna von Menz, oculata amministratrice del patrimonio personale ma anche anche grande benefattrice, morì a Soprabolzano il 1° luglio 1869.
Sono in fiduciosa attesa gli abitanti del rione per quanto si sta facendo per la riqualificazione di Piazza Matteotti. Ma altrettando lo sono stati fino a pochi giorni fa, per quanto concerne la ricollocazione del busto ritratto di Giacomo Matteotti, opera in bronzo dello studio Scaramella, scoperta il 22 aprile 2009. A lungo posto ai margini della piazza, con un piedistallo che a qualcuno pareva un tubo di grondaia piegato, il busto si è senz’altro meritato l’attuale ricollocazione, centrale come chi fu apostolo della giustizia sociale e paladino della verità. Giacomo Lauro Matteotti, nato a Fratta Polesine il 12 maggio 1885, laureatosi in Giurisprudenza nel 1907, da giovane socialista fu tra i protagonisti della vita politica e amministrativa di Rovigo. Deputato al Parlamento nel 1919, fu rieletto nel 1921 e nel 1924; lottò con la parola e con la penna: disegni di legge e relazioni, 106 interventi in Aula, discorsi su temi tecnici, amministrativi e finanziari. Fu lui a far conoscere, con le inchieste del 1921 e del 1923, gli atti di violenza fascista contro gli oppositori. Fu cofondatore e segretario del Partito Socialista Unitario. Il 30 maggio 1924 intervenne alla Camera per contestare i risultati delle elezioni svoltesi il 6 aprile. Finì l’intervento con le parole rivolte ai compagni di partito: “Io il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”. Il 10 giugno si stava recando in Parlamento quando sul Lungotevere Arnaldo da Brescia fu aggredito, caricato a forza su una Lancia Lambda, percosso e infine accoltellato. Il corpo fu ritrovato il 16 agosto in un boschetto di Riano Flaminio, noto come la Macchia della Quartarella. Ci fu un processo nel 1926 e la sua revisione nel 1947. Tra gli storici emerse una diversa ipotesi sulla causa del delitto Matteotti: più che il discorso denuncia del 30 maggio 1924, sarebbe stato il possesso di documenti attestanti le tangenti versate dalla Sinclair Oil Company a membri del governo; infatti dalla macchina usata per l’aggressione fu estratta anche una borsa di documenti.
Prima del civico 16 di via Vintler (Ufficio Anagrafe), vi è una targa, al civico 14, con la scritta “FONDAZIONE KOFLER STIFTUNG”. Di cosa si tratta?
Il riferimento è alla benefattrice Wilhelmine Grätzl von Kofler (nata a Bolzano il 25 ottobre 1802), una delle più attive dame del Comitato, che aveva il compito di raccogliere i fondi necessari alla gestione dell’Asilo infantile fondato nel 1847. Le dame erano chiamate “Bezirksfrauen”, con riferimento alla zona della città in cui ciascuna aveva il compito di raccogliere i fondi necessari alla gestione dell’Asilo; Wilhelmine, sposa dal 1829 del medico Josef Kofler, era competente per via Francescani e piazza Erbe. La prima sede fu in un vecchio edificio (nel passato adibito a lazzaretto) nella Pfarrgasse (ora via Isarco); nuova sede fu poi trovata nella Maurergasse (ora via Vanga); ampliato l’edificio, nel 1853 fu istituito un orfanotrofio e nel 1854 fu allestita una scuola di maglieria. Un altro trasferimento fu reso possibile dal lascito di Wilhelmine Kofler, deceduta il 14 aprile 1866. Dispose per testamento la devoluzione del patrimonio, suo e di quello ereditato dal padre Josef Anton Grätzl, dirigente commerciale, e dal proprio fratello Anton; consisteva in estesi terreni agricoli, presso Ponte Adige e a Gries. In merito la Luogotenenza di Innsbruck promosse l’ istituzione della “Fondazione Wilhelmine Kofler”, avente per scopo di finanziare, con i redditi annui, le due Istituzioni eredi, l’Asilo infantile e la Casa dei poveri (via della Roggia). Nel 1867 con la vendita di due terreni fu possibile il trasferimento nella nuova Hintergasse n. 14 (ora via Vintler). L’immobile, acquistato nel 1872, fu ampliato nel 1878 con l’acquisto dell’edificio confinante, al n. 12. Assunta dalla Provincia Autonoma la competenza sulle scuole per l’infanzia, fu istituito, poco distante, l’Asilo Weggenstein. L’ex asilo fu ristrutturato e adibito a collegio femminile, il moderno “Mädchenheim Kofler Stiftung”, fiore all’occhiello della Fondazione Kofler.
Da Piazza della Stazione il turista può imbattersi tre volte nel nome di Laurin-Laurino: percorrendo via Laurin, a destra può ammirare, in piazza Silvius Magnago, la fontana con la statua di Re Laurino (vd. Qui Bolzano 30.7.2020), poi a sinistra l’imponente complesso alberghiero, il Parkhotel Laurin. Lo presenta in breve la targa trilingue sulla facciata: “ Hotel Laurin – Prestigioso albergo cittadino, con ampio parco. Opera neobarocca degli architetti A. e G. Ludwig di Monaco (1909-1910). Nel bar affreschi di B. Goldschmitt con storie di Re Laurino (1911).” Il prestigio dell’Hotel Laurin è dovuto a quanto intrapreso con passione e competenza dalla famiglia Staffler nel corso di più un secolo, tanto che si può considerare l’Hotel Laurin un tempio: tempio dell’arte, dove regna lo Jugendstil, per la ricchezza di opere d’arte originali di artisti contemporanei (una collezione di circa 350 opere); nel salone del pianoterra, il Laurinbar, nel ciclo di umoristici affreschi, opera di Bruno Goldschmitt, originario di Norimberga (1881-1964), vi è la riproduzione della Saga più famosa dell’Alto Adige, quella di Re Laurino, il sovrano dei nani. L’Hotel Laurin è tempio della cultura, per i molti eventi musicali, con grandi nomi del jazz internazionale e artisti locali, per le serate con ottimi pianisti e illustri conferenzieri; ciò con l’uso delle varie sale a disposizione (sala storica, delle dame, del caminetto, degli specchi, salone ovale ecc.). È tempio inoltre, l’Hotel Laurin, dell’accoglienza: il tutto, confortevoli camere, ampio parco privato, piscina, e altro, per far sentire a suo agio l’ospite, più o meno noto. È anche tempio, l’Hotel Laurin, del gusto, per i prelibati piatti di cucina mediterranea e della tradizione locale. L’Hotel Laurin, costruito (1909-1910) dai fratelli Alois e Gustav Ludwig, attivi a Monaco di Baviera e a Vienna, fu ristrutturato negli anni 1990-1993. Anche il ciclo di affreschi, riportato alla luce, fu oggetto di restauro negli anni 1986-1987.
Percorrendo via della Roggia si può ammirare, prima di imboccare via dei Vanga, l’imponente facciata di una chiesa, facciata su cui si apre l’ampio rosone e ai cui lati troneggiano le due torri campanarie. Si tratta, lo sappiamo, dalla tabella trilingue, di una “Chiesa neoromanica a tre navate (1897-1899), costruita assieme all’annesso convento su progetto dell’architetto J. Bittner in occasione del centenario del voto dei Tirolesi al Sacro Cuore per l’adorazione del SS. Sacramento”. Circa il convento, è quello dei Sacramentini (o Eucarestini), la Congregazione del Santissimo Sacramento istituita a Parigi nel 1856 dal sacerdote marista Pierre-Julien Eymard (1811-1868). Di tale Congregazione nel 1897 giunsero da Roma a Bolzano alcuni membri di lingua tedesca, sacerdoti e fratelli laici; va ricordato l’appello, su impulso dato nel 1894 dal parroco Johann Künzle, per l’istituzione di una filiale dei Sacramentini nell’area di lingua tedesca. Il possidente Franz von Zallinger, messa a disposizione un’area edificabile in via della Roggia, il 28 giugno 1896 ottenne dall’imperatore Francesco Giuseppe l’autorizzazione all’istituzione. Dell’elaborazione dei progetti e dell’esecuzione dei lavori fu incaricato Johann Bittner, membro del consiglio edilizio di Bolzano. Dalla posa della prima pietra del 25 giugno 1897 – festa del Sacro Cuore -, nel giro di due anni la chiesa, che già dall’aspetto voleva ispirare serietà, dignità e maestà, fu terminata nel giugno 1899. Così il 9 giugno 1899, festa del Sacro Cuore, l’arcivescovo di Trento, Eugenio Carlo Valussi, poté solennemente consacrare la chiesa del SS. Cuore di Gesù. Delegato dell’imperatore fu l’arciduca Francesco Ferdinando (1863-1914, assassinato il 28 giugno a Sarajevo). Schützen e bande musicali fecero da pittoresca cornice alla memorabile festa. Dopo la prima esposizione del Santissimo ebbe luogo il rinnovo del patto al Sacro Cuore; da allora il Santissimo rimane esposto giorno e notte.
“sigismundus dei gratia dux austriae anno d(o)m(ini) MCCCCVXXIIII”: è l’iscrizione sotto lo stemma di Sigismondo d’Austria, il tutto sulla lastra di pietra che si trova sopra il portale d’accesso di Castel Firmiano. È infatti dal 1474 che Castel Firmiano – acquisito nel 1473 da Sigismondo, arciduca d’Austria, conte del Tirolo e duca dell’Austria Anteriore – è attestato con il nuovo nome di Sigmundskron (la corona di Sigismondo). Negli anni successivi con un monumentale rifacimento il castello divenne un’importante baluardo verso l’area dell’Italia settentrionale. Succeduto nel 1439 al padre Federico IV d’Asburgo (1382-1439), detto “Federico dalle tasche vuote” o “Tascavuota”, Sigismondo (1427-1496) fu invece denominato “il Danaroso”. A differenza del padre – che sin da giovane ostentò costumi democraticissimi e non ebbe molto in simpatia la nobiltà locale – Sigismondo era amante del lusso e consapevole della propria avvenenza fisica (passò infatti alla storia anche come Sigismondo “il bello”). La vita di Sigismondo fu caratterizzata da alcuni eventi, come la lotta col principe vescovo di Bressanone, Nicolò da Cusa (1401-1464), il quale fu anche imprigionato (1460); la partecipazione alla guerra di Engadina (1499); il duello con Venezia culminato con la battaglia di Calliano (1487); la sua fallimentare politica interna, che portò alla sua abdicazione nel 1490, con la cessione del governo a Massimiliano I d’Asburgo (1459-1519). Sigismondo morì a Innsbruck il 4 marzo 1496 e fu sepolto nella cripta dell’Abbazia di Stams. Castel Firmiano appartenne man mano a diverse famiglie nobiliari; dopo la gestione dal 1976 di un ristorante, nel 1996 il castello divenne proprietà della Provincia Autonoma di Bolzano. Concesso nel 2003 a Reinhold Messner di realizzare il prospettato museo della montagna, dal 9 giugno 2006 Castel Firmiano è la sede principale del circuito museale chiamato Messner Mountain Museum.
Ogni cosa ha un suo perché! Anche in merito al quesito posto nel numero 12 di Qui Bolzano, concernente il monumentale bassorilievo di Hans Piffrader in Piazza Tribunale e le tavole esplicative di esso nella stessa piazza, si può dare, utile per i lettori, nonché per cittadini e turisti che transitano per la piazza, un chiarimento, del quale ringraziamo Hannes Obermair, dell’Eurac Research di Bolzano. Riguardo alle tavole esplicative del bassorilievo, viene precisato che i pannelli “riprendono fedelmente l’opera piffraderiana stessa che rappresenta un volto di Mussolini fortemente danneggiato e deturpato grazie – suppongo – a degli spari mirati occorsi durante la liberazione dal nazifascismo nel maggio del 1945”. Erano tempi, infatti, con molte persone dal grilletto facile. Concordiamo con Hannes Obermair, che nuovamente ringraziamo, secondo il quale si tratta di “un segno tangibile del secolo degli estremi, con una propria valenza e una dignità intrinseca, da leggere e da tener presente”.