L’ultima corsa del tram

Il 30 dicembre 1948 Il giornale “Volksbote” pubblicò la notizia dell’ultima, malinconica corsa del tram tra Bolzano e Laives.

A quanto risulta, le due vetture erano deserte, i soliti passeggeri notturni si erano già ritirati nelle loro abitazioni. Non ci furono manifestazioni di “congedo” ma in cuor loro i Laivesotti erano sicuramente tristi. Infatti, per molti decenni gli abitanti di Laives avevano sognato di avere a disposizione una propria linea tranviaria che li collegasse comodamente alla città capoluogo. Le automobili non erano ancora molte e per gli spostamenti quotidiani verso l’ospedale, i mercati o gli uffici amministrativi bolzanini spesso non rimanevano che la bicicletta o il carretto trainato da un mulo. Sembrava, quello del tram, un sogno impossibile ma poi, nei primi anni trenta del XX secolo, il sogno si avverrò e di fronte al ristorante “Casagrande” venne finalmente inaugurato il capolinea del tram. La sala d’attesa era sistemata nella vicina casa Koch dove oggi si trova la tabaccheria Barbon. Ai margini del piazzale di sosta, che fungeva anche da officina, c’era una piccola edicola che negli anni successivi si trasferì nei locali lasciati liberi dalla sala d’attesa. 

Dunque, dopo neppure un ventennio, la linea tranviaria fu sacrificata – così si disse –  “al progresso”, ai tempi moderni e alle necessità della nuova era industriale. In prospettiva, un errore clamoroso. 

Scrisse il giornale: “Quest’anno abbiamo un natale verde, neppure sulle montagne più alte c’è traccia di neve. Le temperature miti dell’autunno, a quanto sembra, continueranno anche durante l’inverno. Le viti avrebbero urgente bisogno della bianca coltre protettiva per ripararsi dal freddo. Il lungo periodo di siccità sta già causando problemi all’approvvigionamento dell’acqua potabile.” Come si vede, i cambiamenti climatici non sono una “conquista” dei nostri tempi. Dopo questa lunga premessa “climatica”, che evidentemente gli stava molto a cuore, il cronista annunciò che “il 23 dicembre è stata definitivamente chiusa la linea tranviaria tra Bolzano a Laives. Una vecchia struttura molto apprezzata è dunque scomparsa. La linea Bolzano – Gries fu inaugurata 41 anni fa, quella tra Bolzano e Vurza nel 1914. La strada tra Vurza e Laives doveva essere percorsa a piedi o su qualche carro di passaggio. Nell’anno 1931 fu costruito anche il tratto tra Vurza e Laives e da allora Laives e Bolzano erano collegate completamente tramite la linea tranviaria.”

Prosegue l’articolo: “Il mezzo moderno dell’autobus ha dunque sostituito il tram. In questa sede siano ringraziati i dipendenti del tram, che hanno svolto il loro servizio con dedizione esemplare e gentilezza, aiutando gli anziani a salire e scendere dalle carrozze. Diversi dipendenti del tram sono passati alla SASA, che ora svolge il servizio di trasporto in città e tra le due località. Ma siamo certi che molte persone e in particolar modo gli anziani stiano già rimpiangendo il vecchio tram, che era diventato una parte essenziale della vita quotidiana del paese. Ma i nostri tempi richiedono la modernizzazione dei servizi di trasporto e perciò non resta che adeguarsi.”

Un altro giornale, il “Dolomiten”, il giorno 24 dicembre pubblicò la notizia che “finalmente il vecchio tram è andato in pensione. La sua morte non è stata facile. Fino all’ultimo momento non era certo che il nuovo servizio di autobus fosse pronto. L’avvio fu rinviato per diverse volte e molti sostenitori del tram cercavano di rallentarlo. Una volta mancava l’autobus di scorta, che la SASA doveva avere nel proprio parco macchine, un’altra le necessarie autorizzazioni della motorizzazione civile. Finalmente, a mezzanotte, dopo l’ultima corsa, il tram è definitivamente rientrato nel deposito e oggi, dalle cinque di mattina, sono in sevizio i nuovi autobus della SASA.” 

Autore: Reinhard Christanell

Il sogno della ferrovia in paese

Un tempo, Laives era nota in tutta la Regione soprattutto per il clima insalubre. Nei mesi estivi i cittadini della vicina Bolzano evitavano accuratamente il paesino ai piedi del Montelargo e gli stessi Laivesotti non disdegnavano i “freschi” in luoghi di montagna come Nova Ponente e Monte San Pietro. Non tutti se li potevano permettere ma erano comunque molte le famiglie che portavano in altura la famiglia e bestiame. In autunno, il rischio di ammalarsi di malaria diminuiva e allora si riscendeva a valle. 

Anche i collegamenti viari tra Laives e Bolzano erano pessimi se non disastrosi. Prima dell’arrivo della ferrovia, non c’erano che i carri o i “postali”: ma la strada era talmente dissestata e pericolosa che solo chi doveva urgentemente spostarsi la percorreva. Certo, ogni giorno si sentiva il frastuono delle ruote dei carri trainati da buio che svolgevano il servizio di trasporto merci tra il porto fluviale sull’Adige e i mercati bolzanini ma questi, con i loro carichi pesanti, non facevano che peggiorare lo stato della strada.

Oltre all’arrivo della ferrovia a metà 800, fu la regolazione del corso dell’Adige a migliorare considerevolmente la situazione. A tal proposito, il 5 febbraio 1896 il giornale “Bozner Nachrichten pubblicò una lunga “Correspondenz” da Laives, che ben ci illustra la situazione in paese. Sorprendente la scoperta che in quel periodo ci si illudesse veramente che la linea ferroviaria appena inaugurata potesse essere spostata verso il paese per consentire in tal modo a Laives di ottenere collegamenti migliore e, addirittura, di diventare un centro sciistico.

“Il nostro paese – scrive il giornale – era malfamato tanto che chiunque ha certamente sentito parlare della temuta “morte di Laives” ovvero della febbre malarica che ha infestato per secoli il paese. Fino a quarant’anni fa, questa grave malattia era temutissima in Bassa Atesina ma oggi, grazie a Dio, la situazione è radicalmente cambiata grazie alla regolazione del fiume Adige. I terreni paludosi attraversati dalle lente acque del fiume sono stati trasformati in suolo fertile in cui cresce la vite di uva fragola che consente agli agricoltori di godere di un reddito sicuro. Anche la situazione del traffico è migliorata di molto: fino a dieci anni fa, nessuno avrebbe intrapreso una gita da Bolzano a Laives ma oggi la situazione è cambiata anche in questo senso. Nei giorni festivi e nelle belle domeniche primaverili e estive centinaia di escursionisti di entrambi i sessi visitano Laives, alcuni giungono in ferrovia, altri in sella ai cavalli e altri ancora per pedes apostolorum. Musicisti, sportivi, pittori e letterati si dirigono con piacere verso l’albergo Pfleg del signor Ebner. È un vero peccato che invece non si realizzino i sogni degli sciatori, sport che viene praticato anche dai giovani bolzanini. Il fatto che la Südbahn attraversi la valle e la stazione si trovi ad una notevole distanza dall’imbocco della Vallarsa, impedisce a questi sportivi di raggiungere comodamente le pendici montane. E purtroppo bisogna aggiungere, che il sogno dei cittadini di Laives di vedere spostata la linea ferroviaria sotto la montagna, in modo da avere finalmente la stazione in centro o addirittura ai piedi del Montelargo, pare definitamente spento. Anche i 3000 pellegrini che annualmente partono da Laives per raggiungere Pietralba dovranno continuare a recarsi dalla lontana stazione ferroviaria fino all’imbocco della Vallarsa a piedi. Siamo convinti che una fermata all’imbocco della Vallarsa sarebbe una vera e propria fortuna non solo per Laives e i turisti che la visitano ma anche per la vicina Bronzolo.”

Autore: Reinhard Christanell

Il “Made in Italy” del ventennio

Di recente sono tornate di moda certe idee “autartiche” (o sovraniste, come si chiamano adesso) in vari settori della vita pubblica: dalla lingua, che si pretende pura e priva di espressioni prese in prestito da altre lingue, all’alimentazione, rigorosamente made in Italy (o “fatta in Italia”, per usare l’italiano), dal lavoro alle questioni per così dire “demografiche”.  Senza voler trarre in alcun modo conclusioni affrettate, la memoria storica ci riporta inevitabilmente ai tempi in cui simili “parole d’ordine” andavano per la maggiore.

In questa sede ci limitiamo a parlare di agricoltura, anzi di verdura. Il territorio del comune di Laives è stato formato dall’opera di tre corsi d’acqua: i due fiumi, Adige e Isarco, che nei millenni hanno dato vita all’enorme palude tra il Monte di Mezzo e il conoide su cui sorge il paese e il Rio Vallarsa, che dopo l’ultima glaciazione ha trascinato a valle il materiale che ha formato il conoide stesso. Come si sa, la zona era nota per le febbri malariche che colpivano la popolazione specialmente nel periodo estivo e non a caso si parlava di “Leiferer Tod”, la morte di Laives. Il primo intervento per migliorare la situazione fu la regolazione del corso del fiume Adige ad opera dell’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo, che permise il recupero di molti ettari di terreno agricolo e rese più sicura l’intera valle. Successivamente, nel corso dei decenni, molte zone furono sottoposte ad opere di bonifica che a loro volta contribuirono ad aumentare i terreni coltivabili a frutteto o vigneto – e, ovviamente, a verdura.

Diversi interventi sono avvenuti negli anni trenta del secolo scorso. Spesso queste lodevoli operazioni da parte dei locali agricoltori sono state strumentalizzate a fini propagandistici dal regime fascista allora al potere in Italia. Non mancavano le cerimonie in cui venivano premiati gli umili eroi della verdura, del grano o delle pannocchie di granturco. Il 16 giugno 1934 la “Alpenzeitung” pubblicò un articolo in cui si celebrava la bonifica di “diverse centinaia di ettari di terreno” a Laives. Il 22 novembre 1938 fu invece la volta della premiazione degli agricoltori di Laives che si erano specializzati nella coltivazione di verdura, in questo caso invernale. Non era questa una novità per Laives, poiché da sempre molti agricoltori locali rifornivano la vicina città capoluogo di verdura. Tra le autorità presenti, il giornale cita “S.E. il Prefetto, il Federale, il Podestà di Bolzano, il Presidente dell’Unione Agricoltori On. Miori, il Direttore dell’Unione Agricoltori, il Comandante dei Reali Carabinieri di Laives, il Segretario Provinciale del Dopolavoro”.

Davanti al municipio si erano radunate le organizzazioni giovanili, la banda musicale e la popolazione. Nella sala consigliare si erano invece raccolti gli agricoltori premiati. Il primo discorso fu quello del Dr. Pozzi, direttore dell’Unione Agricoltori. Sottolineò l’importanza della coltivazione della verdura e gli ottimi risultati raggiunti dai coltivatori locali. Anche il Prefetto si congratulò per il lavoro svolto: la verdura coltivata a Laives era di vitale importanza per la vicina città capoluogo e auspicò che sempre più agricoltori di Laives si dedicassero anche in futuro a questa essenziale attività. Scroscianti applausi dei presenti. Si passò quindi alle premiazioni. Un diploma fu consegnato a Ferrari Giulia, Comperini Giulia e Hilpold Giuseppina. 100 Lire furono il premio per Furlani Pietro, Janeselli Ennio e Perathoner Maria.75 Lire andarono a Pfeifer Giuseppina, Mittermaier Maria, Bettini Mario, Gottardi Rosa e Paoli Maria. 50 Lire furono il premio di Curti Mario, Defranceschi Anna, Rizzi Maria, Comper Roberto, Seppi Anna e Vincenzi Stefania. Di 25 Lire dovettero infine accontentarsi Buratti Egidio, Dallago Giovanna, Foppa Giuseppina, Festi Maria, Tezzele Erna, Revolti Maria e Pifferi Stefania. Al termine della cerimonia, il Federale invitò tutti i presenti ad alzarsi per il rituale saluto al Duce.

Autore: Reinhard Christanell

Quando arrivò la strada ferrata

A metà del XIX secolo, la costruzione di nuove linee ferroviarie occupò la maggior parte dei governi europei. Perfino nei lontani Stati Uniti il cavallo di ferro era assurto a protagonista della conquista dei vasti territori del selvaggio West. Due binari di ferro avevano risolto un problema atavico dell’umanità: ora spostarsi comodamente e in tempi rapidi era cosa alla portata di tutti.

Anche in Tirolo e nelle altre province dell’impero asburgico fervevano i lavori. L’intento era quello di costruire una fitta rete di collegamenti tra Trieste e Verona, Milano e Como, Verona, Trento e Bolzano fino a Innsbruck. Ovviamente i governi non avevano in mente soltanto la comodità dei cittadini ma anche le loro esigenze militari. La velocità, anche in questo campo, si era impadronita del genere umano e, a quanto pare, non l’avrebbe più abbandonato.

Sulla “Bozner Zeitung” del 19 aprile 1856 apparve in prima pagina un articolo dal titolo “Die lombardisch-venetianischen Staatseisenbahnen” (Le ferrovie statali del regno Lombardo-Veneto – parte dell’impero fino al 1859) in cui si annunciò la costruzione di nuove linee per 355 km. Inoltre, era in programma la costruzione di una linea tra Verona, Bolzano e Innsbruck. 

L’idea della cosiddetta linea del Brennero risaliva a qualche decennio prima.Nel 1836 era stato pianificato il collegamento tra Kufstein, Innsbruck, il Brennero e Bolzano. Nel 1858 fu inaugurato il tratto tra Kufstein e Innsbruck, nel 1859 quello tra Trento e Verona. Tra Trento e Bolzano i binari furono posati l’anno successivo e la linea fu inaugurata il 16 maggio 1859. La valle dell’Adige era quindi percorribile da Verona a Bolzano. Poi, con la costruzione del ponte di Cardano, venne finalmente completata l’opera e il 25 luglio 1867 un treno percorse per la prima volta l’intera distanza tra Innsbruck e Bolzano.Il 23 agosto partì da Bolzano l’ultima diligenza per Innsbruck. Pochi anni dopo, anche il trasporto fluviale sull’Adige cessò la sua attività secolare. Nel 1866 il Veneto passò all’Italia e il punto finale della Südbahnasburgica divenne Ala. 

Per la costruzione della linea tra Bolzano e Trento fu necessario espropriare diversi terreni. La stessa “Bozner Zeitung”pubblicò l’elenco completo dei proprietari interessati dal provvedimento. Per quanto riguardava il territorio di Laives, il primo nome del lungo elenco è quello dello stesso comune, rappresentato dal Gemeindevorsteher (sindaco) Franz Gerber, cui veniva espropriata la cosiddetta Stierwiese, il campo del toro. Facile immaginare chi in precedenza pascolasse su quel prato. A Johann Pattis e sua moglie Barbara Gottardi venne espropriato un campo denominato Fuchserau, evidentemente collegato all’antico maso Fuchser. Sempre nella Fuchserau dovettero cedere i loro terreni Peter Franko e Dominik Komper, oltre a Franz von Ferrari di Bronzolo. Peter Pfeifer cedette un terreno  paludoso e Josef Pircherdel maso Goldegger un terreno nei pressi del Landgraben.  Johann Gerber del “Thurmer” cedette la Burgerwiese (di maso Burger), Franz Gerber la Flascherwiese del maso Flascher. Furono espropriati anche Anton Franzelin, noto oste del Casagrande, e ancora Franz Gerber di un campo in località Raut (oggi Curti). Josef Pircher dovette cedere anche la Aspmaierwiese, Peter Zeole Johann Grumerla Giesenwiese. Anche alcuni nobili furono espropriati, tra cui Ludwig von Biegeleben, i von Malfer di Ora, Karl von Zallinger di Bolzano, Guidobald von Thun. A Teresa Kurzl, erede di un’agiata famiglia del luogo, fu espropriato un terreno detto Weisshaus dell’omonimo maso.

Così l’antica linea postale Innsbruck – Roma – Napoli, introdotta da Johann Taxis nel 1489, divenne soltanto un ricordo per i nostalgici dei bei tempi andati.

Autore: Reinhard Christanell

Il veterano Micheletti

Eugen / Eugenio Micheletti era nato nel 1859 a Laives e all’epoca dell’intervista rilasciata alla “Alpenzeitung” (12 febbraio 1937) aveva compiuto la veneranda età di 78 anni. La foto sbiadita in bianco e nero pubblicata sul giornale ci mostra un viso fiero e allegro con un folto barbone bianco. Ricorda, il buon Eugenio, il famoso Popeye o Braccio di Ferro. In testa porta il caratteristico berretto dei vigili del fuoco.

Micheletti racconta di essere stato per oltre 57 anni membro del locale corpo dei vigili del fuoco. In quanto tale, era un dei più vecchi esponenti del corpo a livello provinciale. Era entrato nei vigili del fuoco di Laives all’età di 21 anni, nel 1880. All’epoca Laives era un piccolo paesino rurale alle porte di Bolzano e contava qualche decina di case e un migliaio di abitanti. I vigili del fuoco erano stati fondati un anno prima da Alois Ebner e Micheletti era stato tra i suoi primi membri insieme a Josef Ebner, Peter Pfeifer, Franz Scandella, Dominikus Niedrist, Daniel Negri, Johann Abram e Caesar Curzel. 

“Quand’ero giovane – racconta Micheletti – era un onore fare parte dei vigili del fuoco, e tutti i ragazzi del paese ambivano a tale carica. Ovviamente l’equipaggiamento a nostra disposizione si limitava a pochi attrezzi che riuscivamo a recuperare in campagna, a qualche scala e dei secchi.” Grazie alla sua dedizione e forza fisica, indispensabile per azionare manualmente le pompe, Micheletti divenne pompista responsabile e tale rimase fino al 1931. Divenne quindi membro onorario del corpo e in suo onore fu celebrata una grande festa. 

L’intervento più importante ricordato da Micheletti fu il devastante incendio che aveva colpito il paese di Egna nella Bassa Atesina alla fine del vecchio secolo. “Tutti i pompieri dei paesi vicini erano accorsi e con i mezzi allora a nostra disposizione ci recammo anche noi di Laives a Egna. Quando arrivammo, tutto il paese sembrava avvolto dalle fiamme e pochi credevano di riuscire a salvare qualcosa. Un forte vento aveva contribuito a diffondere le fiamme e inoltre c’era in quel periodo una notevole carenza di acqua. Per molte ore azionai le nostre pompe manualmente finché anche gli ultimi resti dell’incendio non furono domati. Fu un vero miracolo riuscire a dominare quel fuoco e portare in salvo la popolazione. Ci vollero decine e decine di uomini volontari e noi di Laives fummo sempre in prima fila. Non potrò mai dimenticare quel terribile incendio.”

Poi Micheletti ricorda gli altri interventi a cui aveva partecipato a Laives e nei paesi vicini di Bronzolo e Vadena. Spesso i pompieri di Laives venivano chiamati anche a Bolzano. “I pompieri di oggi sono tutti bravissimi ragazzi – racconta – ma certo loro sono facilitati nel loro compito dall’attrezzatura che hanno a disposizione. Quando risuona l’allarme salgono in macchina e raggiungono la sede del corpo in pochi minuti – sorride Micheletti – mentre noi dovevamo correre a piedi o in bicicletta o andare in cerca dei cavalli che pascolavo nei campi. Una volta sul posto basta azionare il motore delle pompe che così possono svolgere il lavoro di molti uomini.”

Ricordiamo che la prima pompa a motore fu acquistata nel 1923, il primo autoveicolo nel 1928. Nel 1929, sotto la guida del comandante Josef Koch, fu allestito il primo vero magazzino al pianterreno della canonica in via Pietralba, dove rimase per diversi decenni prima di stabilirsi in un caseggiato alle spalle del vecchio municipio.

Autore: Reinhard Christanell

I masi di Valseit

Un elenco di quaranta masi risalente al 1589 ci informa che all’epoca i quartieri di Laives erano il Paese / Dorf, Praitenberg (Montelargo), Puecha (Monte Francesco), in der Au (masi) e Sissa (Pineta). Non compaiono nella lista i 19 masi ancora esistenti di Seit, altra storica località appartenente al comune, e quelli di Unterau o Schinte (S. Giacomo), che evidentemente godevano di una certa autonomia ecclesiastica. 

Come il resto del territorio comunale, anche la frazione di Seit apparteneva fin dal XIII secolo alla giurisdizione di Gries, emanazione diretta della vecchia contea di Bolzano. Anche a livello parrocchiale, Seit faceva parte della curia di Bolzano fino al XVIII secolo. In quel periodo, a S. Giacomo e Seit furono istituite le prime “Exposituren” o filiali. 

I masi di Seit ancora rimasti nel IXX secolo sono invece compresi nella lista di Richard Staffler degli anni cinquanta, che ne elenca tutti i proprietari noti, da quelli attuali fino al periodo medievale, a cui risalgono le prime notizie certe. Ciò che avvenne prima, purtroppo, rimane per sempre racchiuso nel mondo del mistero.

È interessante il fatto che il nome di Seit come lo conosciamo oggi (per non parlare della versione italiana La Costa del 1940, pressoché inutilizzata) in origine suonava diversamente. Scorrendo l’elenco dei proprietari di maso Weingartner, uno dei più antichi e a lungo di proprietà dei conti Thun, si scopre che nel 1727 si parlava di Seith, mentre un secolo prima il luogo si chiamava Seidt. Nel 1493 viene invece citato il maso Weingartner a Valseit, e con questo nome probabilmente ci avviciniamo molto alla forma originaria. Anche nel caso del maso Fritscher (in origine Frötscher) troviamo un’indicazione interessante: nel 1519 è citato un maso Fritscher “auf Mana”, con riferimento al quartiere “longobardo” Manee di Nova Ponente, che probabilmente comprendeva anche Seit e il Colle e arrivava nel fondovalle fino a S. Giacomo – dove pure esiste un maso che richiama questo toponimo. Questo “Mana” è un chiaro riferimento agli arimanni longobardi, che nel VII e VIII secolo occupavano il territorio e i masi. Proprio sopra Laives, che apparteneva ai Bavari insediati a Bolzano, correva la linea di confine tra i due regni bavaro e longobardo e Seit era un avamposto del ducato di Trento al confine con la marca bavara. Dal maso Köhl in località Schneiderwiesen (da snaida, cippo di confine) veniamo a conoscenza del fatto che “i proprietari dei masi Köllen (Köhl), Tschufanerl, Mueller, Pichler, Ausserebner, Weingartner, Frötscher e Schluntner possiedono un bosco comune in località Patschada di Seit”. Anche questo Patschada è un nome pieno di fascino che riporta a quel tempo poco esplorato in cui gente bavara e longobarda si contendevano il territorio. 

Nel 1569 troviamo il nome Seyt, ricavato certamente da un originario Valseit, poi trasformato in Vasseit e Faseit. In un documento del 1406, tra i masi appartenenti alla circoscrizione di Gries, compare, accanto a “am Ekk, ze Prunn, zem Verstern, auf dem Stayn, ab Campney, im Puchach” eccetera anche “auf Vasseyt”. Sono citati anche il Fliesser e “Schlunthof ab Vaseyt”. A tal proposito va comunque ricordato che sono frequentissimi i toponimi retico-etruschi introdotti dalla particella Vul, più tardi romanizzata in Val. Ludwig Steub sostiene che anche il nome di Bolzano derivi da un originario Vulsana.

Risale dunque al XV secolo la forma attuale di Seit per Vasseyt, derivante dalla caduta della sillaba iniziale Va-. Secondo Otto Stolz, il termine deriverebbe dal latino “fossa” mentre altri studiosi parlano di un generico “prato erboso arido”: tutte interpretazioni quantomeno fantasiose.

Autore: Reinhard Christanell

La visita del prefetto Podestà

Sua Eccellenza Agostino Podestà era prefetto di Bolzano dal febbraio 1940, XVIII dell’era fascista. Nato a Novi Ligure nel 1905, aveva aderito al fascio da sedicenne e partecipato alla marcia su Roma. Si laureò in fisica e dopo diversi incarichi di prestigio fu nominato prefetto di Arezzo e quindi di Bolzano. Qui succedette al noto Giuseppe Mastromattei, che per otto anni aveva guidato la politica di italianizzazione dell’Oberetsch / Alto Adige. 

Il 28 luglio 1941, una domenica, il prefetto Podestà, a sua volta appassionato di bagni di folla, visitò ufficialmente Laives. Al di là dei toni trionfalistici e patriottici, il resoconto della visita apparso sul quotidiano di regime “Alpenzeitung” ci restituisce un quadro interessante del paese nel ventennio. “Besuch der Exzellenz des Präfekten in Laives” titolò a caratteri cubitali il giornale, che nel sottotitolo elencò i punti salienti della visita: “Visita alle strutture pubbliche; visita ad aziende agricole; raduno della popolazione davanti al municipio”. Sulla foto di rito, le autorità si fecero immortalare davanti a un enorme VINCERE! dipinto sul muro di una casa. 

Scrisse poi il giornale: “Domenica Sua Eccellenza ha visitato il popoloso paese di Laives, dove è stato accolto dagli abitanti entusiasti, che hanno manifestato la loro fede fascista e la consapevolezza della grandezza dell’epoca presente”. Non poco. Laives, pur trovandosi alle porte di Bolzano, non aveva perso il suo carattere agricolo e gli abitanti “hanno trasmesso al prefetto la loro entusiastica adesione al regime e la soddisfazione per le sue vittorie eroiche”. Prima di raggiungere il centro del paese, il prefetto era stato accolto trionfalmente da una schiera di Dopolavoristi impegnati in una gara ciclistica. Oltre 1000 persone salutarono il prefetto all’ingresso del paese, tra cui le “forze fasciste di Laives, le donne fasciste, gli invalidi, i giovani fascisti e i balilla”. In compagnia delle autorità locali, tra cui il parroco e il segretario del fascio, il prefetto si recò alla casa del fascio, dove lo accolsero i feriti di guerra. “La casa del fascio non è più sufficiente per la popolazione di Laives”, scrisse il giornale, “che in poco tempo è passata da 4000 a 8000 unità”. C’era la necessità di costruirne una nuova. Successivamente, il prefetto visitò la ditta Rabbiosi a sud di Laives, la Cassa di Risparmio e l’azienda agricola di Vittorio Perathoner e Giacomo Comperini, situate nelle vicinanze della stazione ferroviaria.

Nel frattempo la popolazione si era radunata davanti al nuovo municipio. Dopo il doveroso saluto al duce, vennero elencate le opere pubbliche eseguite di recente: la pavimentazione della via Pietralba costata 117.000 Lire, della via D. Chiesa, costata 70.000 Lire, della via Roma per un importo di 40.000 Lire. Per la via Campi erano state investite 1200 Lire. Cinque appartamenti erano stati ristrutturati e l’ambulatorio medico e il consultorio erano stati sistemanti. La scuola elementare aveva avuto in dotazione un impianto microfonico. Complessivamente, investimenti per 336.000 Lire. “750.000 Lire saranno stanziati per la condotta dell’acqua potabile”, concluse il giornale “e inoltre si attende la costruzione di una nuova scuola con almeno 20 classi per un importo di 2 milioni di Lire. È in programma anche un cinema con 1500 posti a sedere”.

Dopo aver ricordato i trionfi della marina nazionale, il prefetto lasciò Laives per incontrare nuovamente i Dopolavoristi. Una giornata trionfale.

Autore: Reinhard Christanell

La Kongrua del curato di Laives

Per garantire ai curati, parroci e cappellani impegnati nelle parrocchie dell’impero austro-ungarico un “minimo vitale”, a partire dal XVIII secolo e precisamente con la riforma di Giuseppe II fu introdotta la cosiddetta “Kongrua”, chiamata anche “portio canonica”. 

Con legge del 28 aprile 1724 si stabilì che le nuove parrocchie fossero dotate di una portio canonica o kongrua a carico dell’erario. Insomma, i sacerdoti che non disponevano di un reddito minimo annuo avevano diritto a vedersi integrato lo stesso dall’amministrazione pubblica. Il minimo vitale fu inizialmente fissato in 300 Gulden. Ovviamente si discusse molto sui cespiti che dovevano essere considerati reddito e quali no: ma questo non riguarda la nostra storia. Particolarmente dibattuti erano i cosiddetti diritti di stola bianca o nera, ossia le somme spettanti al prete per la celebrazione di matrimoni, battesimi e funerali. In quanto introiti incerti erano inizialmente esclusi dal computo della congrua.

Altro tema rilevante era ovviamente l’ammontare della congrua spettante al prete. I parroci e curati “autonomi” (selbständig) avevano diritto ad un importo maggiore, gli ausiliari, dipendenti da un’altra curazia o parrocchia, ad uno minore. Giuseppe II ritenne il mantenimento del clero un compito dello stato, per cui istituì un apposito fondo religioso che doveva elargire agli aventi diritto le somme spettanti. Nel 1840 si stabilì che gli introiti da stola dovevano essere computati solo se superiori ai 50 fiorini, mentre gli “Inzerten” come offerte e lasciti vari non venivano conteggiati.

Un caso curioso che destò un certo scandalo fu quello del curato e cittadino onorario di Laives Thaddäus von Elzenbaum, che nel 1892 intentò causa al Ministero del culto e della pubblica istruzione per vederrsi riconosciuti arretrati di “kongrua” per un ammontare complessivo di 738 fiorini. Il curato fu difeso dall’avvocato viennese Viktor von Fuchs, il Ministero dal cavaliere Johann von Spaur. Gli anni oggetto della contestazione andavano dal 1887 al 1892 e oltre all’importo il curato chiese gli interessi del 5%. Il tribunale accolse la sua richiesta e il Ministero fu costretto a pagare.

Secondo la difesa del curato, egli aveva diritto all’integrazione del minimo vitale in quanto le prebende a suo favore esistenti nella parrocchia di Laives ammontavano complessivamente a 441 fiorini annui. Il Ministero, al contrario, ritenne che l’integrazione non gli spettasse in quanto il suo atto di nomina lo qualificava come ausiliario della parrocchia madre di Bolzano e la stessa curazia di Laives era stata istituita nel 1710 come “sede distaccata” della parrocchia bolzanina. 

Il curato contestò in toto l’esposizione del rappresentante del Ministero. Sostenne infatti che il proprio decreto di nomina prevedeva l’esercizio delle sue funzioni in piena autonomia, come confermato anche dalla nota del principe-vescovo di Trento. In altre parole, egli era autorizzato a celebrare battesimi, matrimoni e funerali e teneva sotto la propria esclusiva responsabilità i registri delle nascite, morti e matrimoni. Inoltre il curato curava personalmente la corrispondenza con tutte le istituzioni statali e ecclesiali e il fatto che fosse tenuto a osservare obbedienza al parroco di Bolzano non era da considerare una limitazione delle sue funzioni. 

La sentenza, come detto, accolse in toto la tesi del curato von Elzenbaum e gli riconobbe, secondo la legge del 1885, una kongrua di 600 fiorini annui, l’equivalente di 9288 € attuali.

Autore: Reinhard Christanell

Il calzolaio e la battuta del papa

Benché il Tirolo meridionale fosse una regione a vocazione agricola e profondamente clericale, nei primi anni del XX secolo l’industrializzazione si fece strada anche da queste parti. Nacquero quindi, accanto ai partiti politici ispirati alle idee cristiano-sociali, anche quelli legati al mondo del lavoro e quindi alla socialdemocrazia. 

Il partito socialdemocratico tirolese era legato al movimento sindacale che si batteva per la riduzione degli orari di lavoro (si lavorava fino a 16 ore al giorno) e all’aumento dei salari, che in molti casi non permettevano una sopravvivenza dignitosa. Insomma, nulla di nuovo sotto le stelle. A Bolzano, il movimento socialdemocratico aveva la sua sede in una casa di via Dante acquistata dal birrificio Blumau. Durante il fascismo, l’edificio fu requisito e occupato dai militari in camicia nera. Non fu mai più restituito ai legittimi proprietari – neppure a guerra finita.

I socialdemocratici avevano un proprio giornale, la “Volkszeitung”, pubblicata dal 1892 al 1957. Ovviamente, anche allora la battaglia politica si svolgeva su tutti i fronti e il giornale “rosso” contribuiva a modo suo. Nell’edizione del 4 maggio 1907 pubblicò un articolo dedicato a un curioso e divertente fatto di cronaca avvenuto a Laives. 

In un noto locale pubblico del paese era in corso una riunione del partito cristiano – sociale. Oratore ufficiale tale Rienzl, candidato al Consiglio dei comuni. Al termine del suo discorso, il politico invitò la sala a intonare un “Evviva” all’imperatore asburgico. “Hoch soll er leben” (lunga vita all’imperatore) urlarono i presenti.

Sull’onda dell’entusiasmo, l’oratore ritenne doveroso proporre ai presenti un uguale trattamento per il papa, all’epoca Pio X.  “Hoch soll er leben”, strillarono sussiegosi i ferventi cristiano-sociali laivesotti, “lunga vita al papa”. 

Non appena la frase fu pronunciata e il silenzio ripristinato, un “maestro calzolaio del posto – scrive il giornale – nella sua ingenuità” aggiunse all’auspicio per il sommo pontefice un blasfemo “und dick soll er werden” (e che ingrassi bene) che ovviamente paralizzò la sala. Qualcuno rise sotto i baffi, altri fissarono imbarazzati l’autore dell’oltraggio. 

Il calzolaio rimase imperturbato e con il sorriso sulle labbra al suo posto. Allora il parroco di Laives gridò indignato allo scandalo. Mai nessuno si era permesso di ingiuriare in questo modo il Santo Padre. Pretese l’immediata espulsione dalla sala del calzolaio. Nessuno si mosse ed anche il calzolaio rimase immobile. 

Il sacerdote si rivolse quindi a una “singola persona” fidata chiedendo che eseguisse il suo ordine e “buttasse fuori dal locale” l’autore dell’imperdonabile offesa. L’uomo abbassò il capo e fece finta di non aver sentito. Evidentemente, il calzolaio non era l’unico “infiltrato” presente in sala. Commento finale del giornale: per fortuna il calzolaio era una persona stimata e benvoluta in paese, dove evidentemente non erano presenti solo fanatici che in altre località seguivano ciecamente i diktat dei “padroni”, altrimenti l’episodio poteva finire davvero male per il povero calzolaio. E per fortuna anche, conclude il giornale, che il divertente episodio non possa essere addebitato dai cristiano-sociali a un socialdemocratico ed essere utilizzato come argomento in campagna elettorale. 

Comunque, la prudenza non è mai troppa, concluse l’articolo – che ai curiosi lettori non rivelò il nome del simpatico calzolaio.

Autore: Reinhard Christanell

Laives e l’ospedale di Bolzano

Proprio di fronte all’ingresso del Duomo di Bolzano si trovava l’ospedale di Santo Spirito. L’edificio fu realizzato nel 1271 ed era gestito dagli Ospedalieri di Santo Spirito. Nel corso dei secoli, l’ente acquistò molti beni immobili, alcuni dei quali anche a Laives. Dopo gli Ospedalieri, la struttura passò in mano al Comune di Bolzano, di cui facevano parte anche Dodiciville, Gries e il comune rurale di Laives.

A Nel 1854 venne inaugurato il nuovo ospedale in via Ospedale e la vecchia struttura fu ceduta alle Imperial-Regie Poste e Telegrafi. Ancora oggi il palazzo è di proprietà di Poste Italiane. Per quanto riguarda Laives, la cui popolazione faceva riferimento a questa struttura sanitaria, rimase nel comitato di gestione anche dopo il suo distacco dal comune di Bolzano. A tal proposito, nel 1909 ebbe luogo a Bolzano una concitata seduta del consiglio comunale, chiamato a deliberare proprio su una proposta del comune di Laives. Laives pretendeva di togliere la qualifica di ente di diritto pubblico all’ospedale, rendendolo di fatto accessibile  soltanto ai residenti nei comuni che da sempre ne fruivano. La riunione, come riporta la “Bozner Zeitung” dell’8 luglio 1909, ebbe luogo il 7 luglio e fu presieduta dal sindaco Julius Perathoner. Il sindaco comunicò ai consiglieri che il rappresentante di Laives nel comitato di gestione aveva proposto la “privatizzazione” dell’importante struttura sanitaria, da secoli al servizio dei cittadini della provincia. Gries e Dodiciville si erano associate alla proposta di Laives e soltanto il rappresentante di Bolzano si era opposto a questa eventualità. Laives chiedeva la privatizzazione per evitare il sovraffollamento. Bolzano, invece, riteneva che questa non era nell’interesse della città in quanto la privatizzazione avrebbe tolto all’istituzione lo stato di ente di pubblica utilità e quindi la possibilità di richiedere il pagamento delle prestazioni ai ricoverati “esterni”. In tal modo, i degenti non trasportabili, che dovevano essere accolti per legge, non avrebbero dovuto pagare nulla e i costi sarebbero ricaduti sul bilancio pubblico. Inoltre, sottolineò Perathoner, i comuni favorevoli alla proposta non avevano colto il carattere “benefico” dell’istituzione, che doveva soccorrere tutti i bisognosi senza distinzione di residenza. All’epoca venivano ricoverati 90.000 pazienti l’anno, di cui 48.000 erano residenti fuori città. Intervennero nel dibattito vari consiglieri e il consigliere Pattis sostenne, non a torto, che Laives aveva avanzato questa proposta per procrastinare i necessari lavori di ampliamento dell’ospedale, che ovviamente comportavano dei costi anche per quel paese. Insomma, Laives aveva il braccino corto. Il sindaco comunicò che il progetto per l’ampliamento era già stato approvato con eccezione del reparto per malattie infettive, mentre Laives e Dodiciville si erano espresse favorevolmente unicamente per la costruzione dell’ala dedicata alle suore infermiere. Alla fine, il ricorso di Laives fu respinto e l’ospedale rimase una struttura accessibile a tutti. In chiusura di seduta, i consiglieri concedettero all’unanimità un – meritato – mese di ferie al sindaco. Un’usanza, purtroppo, caduta in disuso.

Autore: Reinhard Christanell