La contesa dei miracoli

I miracoli, reali o presunti, stanno alla base di molti culti. Evidentemente l’essere umano è propenso naturalmente a credere a misteri, magie e forze sovrannaturali e questa sua “fede” a volte produce prodigi che la stessa scienza fatica a spiegare. Nel contempo, i miracoli sono sempre stati sfruttati dai professionisti del settore e in ugual misura non sono mai mancati i detrattori dei commerci della fede. 

Una simile contesa dei miracoli avvenne anche a Laives e si può dire che non è mai stata risolta completamente. Riassumiamo i fatti, come narrati nel 1922 da un giornale dell’epoca, la “Volkszeitung, quotidiano socialdemocratico del Tirolo”.  Come noto, nel 1553 un pio contadino ritrovò, su indicazione della Beata Vergine in persona, una statuetta di alabastro raffigurante una Pietà sepolta nel terreno in località Pietralba. Già il fatto che un uomo di nome Weissensteiner (pietra bianca) ritrovasse una statuetta di pietra bianca può considerarsi stupefacente. Nel 1561 sorse la prima chiesa e il santuario assurse a grande notorietà tra i fedeli. Nel 1716 i Servi di Maria di Innsbruck si assunsero il compito di gestire il frequentatissimo santuario. L’anno successivo avviarono la costruzione del convento che fu conclusa nel 1722. Come testimoniato da centinaia di ex-voto, la statuetta produsse miracoli pressoché quotidiani e di conseguenza aumentarono a dismisura anche le offerte a favore dei Servi di Maria. Nel 1787 un decreto di Giuseppe II pose termine al miracoloso affare. La statuetta venne trasferita nella chiesa parrocchiale di Laives.

Tuttavia, i previdenti Servi di Maria fecero circolare la voce che in realtà solo una copia della statuetta miracolosa era stata trasferita a Laives mentre quella vera continuava a “soggiornare” nella sua amata Pietralba. Il popolo dei fedeli, per non sbagliare, continuava a salire a Pietralba ma nel contempo faceva una capatina anche nella chiesa parrocchiale di Laives. Se un miracolo avveniva, nessuno poteva affermare con certezza se questo era avvenuto a Laives o a Pietralba. Nel 1838 i Serviti ottennero il permesso di ricostruire il convento ma non la restituzione della statuetta. Ma come per miracolo, anche la presunta copia di Pietralba iniziò a compiere miracoli in serie mentre a Laives la presunta statuetta originale non era da meno. Ne nacque una vera e propria contesa dei miracoli tra Laives e Pietralba che i Servi di Maria pretesero di risolvere a loro favore chiedendo la definitiva restituzione della statuetta. Il Landeshauptmann di allora, von Brandis, invitò il comune di Laives a restituire la presunta statuetta originale ma i Laivesotti opposero fiera resistenza. Sostennero infatti che la restituzione non era neppure necessaria in quanto i Servi di Maria stessi avevano dichiarato che la vera statuetta si trovava già a Pietralba. Non aveva dunque senso restituire una semplice copia della statuetta miracolosa. Al seguente ordine di restituzione di von Brandis, i Laivesotti si appellarono addirittura al governo di Vienna, allegando al loro reclamo una scatola contenente vari oggetti “miracolosi” che i pii frati avevano messo in commercio in una bottega adiacente alla chiesa. Vienna reagì stizzita alla rivelazione dell’indegno commercio e a quel punto i Servi di Maria, temendo rappresaglie già vissute in passato, ritennero opportuno desistere dalla richiesta. Ottennero da von Brandis, presente personalmente alla cerimonia, “l’incoronazione” anche della copia dichiarata ufficialmente originale della miracolosa statuetta. Il commercio riprese a fiorire mentre a Laives, sede del presunto originale, si impose una fede meno scenografica e mercantile. 

Autore: Reinhard Christanell

Lo strano caso del “remitori” 

Dalla statale che attraversa il paese di Bronzolo si può osservare un ampio promontorio compreso tra il Monte dei Giudei (praticamente il lato B del Monte Francesco di Laives), il Salto del Cavallo e, verso Aldino, il Göller. Per molti decenni, specialmente tra il XVIII e il XIX secolo, questo territorio è stato al centro dell’attività di estrazione e lavorazione del porfido. Centinaia di operai, molti dei quali provenienti dal povero Welschtirol, vi trovarono occupazione e le plote, i birfel e i smoleri di Bronzolo erano ricercati in tutta Europa.

Ai piedi del Salto del Cavallo, circa dieci metri sopra il Rio Aldino e non lontano dal vecchio  poligono di Bronzolo, si trovavano i resti di vecchi muri che un tempo erano appartenuti ad un noto eremo, le cui vicende sono state narrate anche dallo storico Emil Pasolli. 

Sembra che il luogo “sacro” sia stato definitivamente abbandonato nel periodo della riforma religiosa dell’imperatore Giuseppe II, figlio dell’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo.

Gli abitanti di Bronzolo lo chiamavano semplicemente il “remitori”, termine dialettale per eremo. Esso consisteva in due scarni locali di piccole dimensioni. Il primo veniva utilizzato come luogo di preghiera o rudimentale cappella, il secondo come abitazione dell’eremita. 

Non esistono a tutt’oggi documenti che permettano di risalire alla data di realizzazione dell’eremo; neppure i nomi degli eremiti che si sono succeduti nel corso dei decenni è noto. L’unico dato certo che riguardi l’eremo è che alla fine del XVIII secolo il comune di Bronzolo emanò una “regola” per cui all’eremita era interdetta l’attività di questua “casa per casa” come evidentemente veniva praticata in precedenza. Qualcuno, in paese, deve aver mal sopportato la vista e le visita del povero del Salto del Cavallo. In compenso, il comune di Bronzolo si assunse l’onore di elargirgli settimanalmente un piccolo obolo, una sorta di vitalizio, che gli permetteste almeno di sopravvivere degnamente.

Una seconda volta l’eremo viene citato nel testamento del curato della chiesa di San Leonardo Philipp Jakob Wertsch von Thalfeldnel 1727, che destinò all’eremo la somma di 10 Gulden per i casi di “necessità”.

La località in cui sorgeva l’eremo era particolarmente favorevole e non corrispondeva per nulla all’immagine del luogo isolato e disperso che solitamente si attribuisce al “buen retiro” di chi ha abdicato agli agi della vita terrena. Trovandosi su un piccolo promontorio non subiva neppure gli influssi malefici della malaria che allora colpiva duramente gli abitanti del paese nei periodi estivi, tanto che chi se lo poteva permettere cercava rifugio in altura, specialmente nella zona di Aldino e Monte San Pietro. 

Anche la visuale è particolarmente suggestiva e consentiva allo sguardo di spaziare in lungo e in largo per tutta la valle dell’Adige. Questo fa pensare che qui, prima dell’eremo, si sia trovato un altro insediamento ben più antico.

Inoltre, il remitori era vicino al paese. Il primo maso era distante meno di mezzo chilometro e non lontano dall’eremo passava anche la vecchia e molto frequentata strada per Aldino, che successivamente, a causa della sua proverbiale pendenza, fu spostata verso il Monte Goeller. 

Sotto la chiusa si trovava anche la vecchia Reif, dove veniva depositato il legname proveniente dai boschi del Monte Regolo e destinato al mercato italiano. Si narra che i contadini che scendevano dalla montagna trainando  i pesanti tronchi, spesso portassero un pezzo di pane o di speck all’eremita di Bronzolo. 

Autore: Reinhard Christanell

La Pietà di Laives

Nessun oggetto sacro ha mai richiamato l’attenzione dei credenti come la Sacra Immagine della Madonna di Pietralba. Il suo santuario sull’altipiano del Regglberg fu fondato nel 1553, il convento dei Padri Serviti nel 1722. Da allora, ogni anno migliaia di devoti si sono recati nel luogo del ritrovamento della misteriosa statuetta di alabastro e, per un certo periodo, anche alla chiesa parrocchiale di Laives dov’era stata trasferita.

Il 28 maggio 1887, in occasione delle celebrazioni del centenario del suo trasferimento a Laives, apparve sul giornale “Volksblatt” un lungo articolo dedicato proprio alla piccola Pietà di Pietralba. “Già nell’autunno dell’anno precedente – scrive il giornale – è stata restaurata la chiesa e nel corso di tutto l’inverno si è provveduto ad adornarla degnamente per la grande festa.” In effetti, non è difficile comprendere cosa abbia rappresentato per un paesino rurale come Laives questa celebrazione, alla quale intervennero migliaia di persone oltre alle maggiori autorità religiose e politiche del tempo. Un evento paragonabile solo alla visita dell’imperatore.
Nel 1780 morì l’imperatrice Maria Teresa e le succedette il figlio maggiore Giuseppe II, che in fatto di religione la pensava esattamente all’opposto della madre. Con le sue riforme voleva togliere gran parte del suo potere temporale alla chiesa che di fatto nei secoli era enormemente cresciuto. La sua prima iniziativa fu quella di sciogliere molti dei conventi esistenti nell’impero, e ciò senza neppure interpellare il Papa. Complessivamente chiuse oltre 700 conventi e ridusse il numero dei religiosi della metà.
Il provvedimento deve aver colpito come un fulmine a ciel sereno una terra profondamente religiosa come la nostra. La maggior parte delle persone non comprese neppure il significato del provvedimento di Giuseppe. Lo subì come una castigo divino, una carestia o una malattia inevitabile. Il 12 giugno 1782 i governatori – compreso quello del Tirolo – ricevettero l’ordine di scioglimento. A Bolzano furono chiusi i conventi dei padri domenicani e delle clarisse. In un primo momento, l’imperatore si scordò di Pietralba ma nel giugno 1787 un commissario imperiale portò il dispaccio che ordinava ai padri serviti di consegnare tutti i beni di valore e abbandonare il convento, che secondo le intenzioni di Giuseppe doveva essere raso al suolo. Si tentò di salvare almeno la Sacra Immagine. In effetti, il 21 giugno arrivò da Innsbruck il permesso di trasferire la “statuetta di pietra” di Maria nella chiesa di Laives, non senza aver consegnato prima al funzionario addetto von Spreng tutti i suoi preziosi. “L’ordine fu di eseguire tutto con la massima discrezione e in silenzio e il curato di Laives dovette impegnarsi a collocare l’immagine su un altare laterale della chiesa”, ci informa il giornale.
E così avvenne. Nella notte del 13 luglio, il curato di Laives Johann von Kolb prese in consegna una cassetta con il prezioso contenuto e la portò in camera sua. A mezzanotte e mezza abbandonò il convento e si diresse a piedi verso Laives, dove fu accolto dall’Anwalt (avvocato – il sindaco di allora) Johann Fulterer e dai consiglieri comunali Josef Sagmeister e Franz Plattner, che in seguito adornarono con una corona l’immagine e la sistemarono sull’altare laterale come ordinato.
Il 20 febbraio 1790 morì improvvisamente Giuseppe II. Il suo successore Leopoldo II restituì al paese la libertà religiosa. Perciò il 24, 25 e 26 giugno la Sacra Immagine venne finalmente collocata sull’altare maggiore della chiesa e la festa a Laives fu la più grande e magnifica mai celebrata. Da allora, ogni 26 giugno venne organizzata una processione in onore di San Vigilio, che era considerato il padre spirituale del paese.

Autore: Reinhard Christanell

Villa Viesi a Piccolongo

Percorrendo la A22 da Bolzano verso Trento, nei pressi dell’area di servizio Laimburg si noterà, seminascosta dietro la montagna e il ponte che attraversa l’autostrada, una bellissima villa a ridosso del Monte di Mezzo. Immancabilmente ci si chiede, per quale motivo un edificio di tale pregio ed eleganza, così diverso da tutte le altre costruzioni della zona, si trovi in quel punto per così dire disgraziato del territorio, tra strade, autostrade, fiume e monte. Essa sembra essere collocata lì quasi per fatalità, o per un capriccio del suo proprietario. 

Pochi sanno che la piccola località all’estremità meridionale del comune di Vadena si chiama Piccolongo / Piglon (o Piz-long, come dicono quelli del posto) e neppure sono interessati a saperlo – ma la villa, quasi un tocco di rinascimento italiano sotto duro il porfido bolzanino, desta sicuramente la curiosità che merita. Va anche aggiunto, che prima della costruzione dell’autostrada la casa godeva di una posizione certamente più felice e quasi fiabesca, immersa com’era nel verde sterminato dei meleti e vigneti della Bassa Atesina. Allora  vederla non era facile, raggiungerla poco agevole perché si doveva percorrere la strada provinciale verso Laimburg e Ora. 

La villa, che sembra appartenere ad un altro tempo e luogo, fu fatta costruire dal possidente agricolo Silvio Viesi (1866 – 1930), originario di Cles in Val di Non. Viesi aveva contribuito in maniera sostanziale a bonificare l’intera area di Piccolungo per creare la sua grande e fiorente azienda agricola. Egli fu anche deputato alla Dieta tirolese e poi fervente irredentista come quasi tutti i latifondisti della zona.

Accanto a quella di Viesi, a Vadena sorgevano le aziende dei Miori e più tardi dei Rabbiosi, che di fatto possedevano tutte le campagne tra Vadena e Ora. I Miori, originari di Rovereto, si erano insediati attorno a Birti, i Rabbiosi nella zona di Ora. Viesi occupava la fascia sotto la montagna tra Laimburg e Monte / Gmund. 

La villa di Viesi, eretta praticamente sull’argine dell’Adige, fu progettata da un noto architetto trentino, Emilio Paor (1863 – 1935). Paor aveva svolto un’intensa attività soprattutto a Trento ma non di rado veniva chiamato anche in Alto Adige. Per esempio è sua la chiesa neoromanica di Gargazzone, progettata nel 1899 ed eretta con blocchi di porfido tra il 1900 e il 1902. Anche il progetto – poi non realizzato – dell’ampliamento della chiesa parrocchiale di Scena è opera di Paor.

Alla bella villa di Viesi (qui nella foto di Sergio Perdomi) la rivista “Trentinomese” ha recentemente dedicato un articolo a firma di Roberto Pancheri. Egli descrive così la costruzione: “La villa di Piccolongo è caratterizzata dall’incastro di tre corpi di fabbrica, ciascuno con propria copertura a spioventi, tra i quali svetta una torre di tre piani. Ad essa è addossata sul lato orientale un’ariosa loggia ad arcate poggianti su colonne, cui si accede tramite una scala esterna in pietra. Sopra la loggia si estende una terrazza circondata da un parapetto traforato di gusto neorinascimentale. Le finestre hanno cornici di pietra rossa e ai piani superiori assumono fogge a monofora, bifora, trifora e quadrifora. Il terzo piano della torre è ingentilito da un elegante balconcino angolare con parapetto in ferro battuto.” Quanta grazia per questo paesino.

Autore: Reinhard Christanell

Giovinezza e i figli della terra di Vadena

Ogni epoca ha i suoi valori e i suoi idoli, ogni regime i suoi riti. Gli uni e gli altri influenzano il consenso dell’opinione pubblica – o popolo che dir si voglia. Le scene di vita quotidiana di un paese della provincia italiana possono contribuire alla conoscenza dei meccanismi che determinano nascita, vita e morte di un sistema politico.

Ma veniamo ai fatti. Il 23 gennaio 1935 – anno XII dell’era fascista – la “Alpenzeitung”, quotidiano filogovernativo di lingua tedesca diffuso dal 1926 al 1943, pubblicò nella sua rubrica “Aus Bolzano Stadt und Land” (la toponomastica era monolingue) un articolo intitolato “L’attività della federazione provinciale fascista – rapporto delle camice nere di Vadena in presenza del federale”. 

“Il federale – ci informa il cronista – ha visitato Vadena per proseguire nella sua attività ispettiva delle camice nere”. L’accoglienza dei fascisti e delle organizzazioni giovanili fu festosa e “la popolazione tutta si è radunata nella scuola del paese”. Tra le numerose autorità presenti, l’ispettore di zona Cav. Maculon, il podestà di Laives Barone Vittorio Altenburger, il parroco monsignor Zambiasi, il segretario politico Giovannini, l’ispettore amministrativo Migliucci, il segretario comunale di Laives, la fiduciaria del fascio femminile, il comandante degli avanguardisti e il maresciallo dei carabinieri. 

“Alle 20.30 in punto è arrivato il federale in compagnia del podestà di Caldaro Dr. Ravenna”, prosegue l’articolo. Al loro ingresso nella sala gremita fu intonato l’inno trionfale del Partito Nazionale Fascista “Giovinezza”. Momenti di grande emozione alle parole “Giovinezza, giovinezza, / primavera di bellezza! / Della vita nell’asprezza, / il tuo canto squilla e va!” Il federale commosso rispose con il saluto al duce.

Terminati i preamboli, il segretario politico elencò le attività del fascio nel trascorso anno XII. Il fascio di Vadena poteva contare su 39 iscritti, mentre i giovani fascisti erano 24. Tutti gli scolari facevano parte delle organizzazioni fasciste giovanili (figli della lupa e balilla), il fascio femminile vantava molte adesioni. “Il fascio di Vadena ha svolto una serie di iniziative ricadenti nei settori di sua competenza, in particolare per quanto riguarda l’attività di assistenza sociale. Inoltre – affermò il segretario politico – gli scolari di Vadena hanno espresso il desiderio che la loro scuola sia dotata di un apparecchio radiofonico e questo loro desiderio potrà senz’altro essere esaudito in quanto la radio rappresenta un importante strumento educativo e didattico”. Un po’ come la televisione e la rete internet in epoche successive. Il segretario politico concluse il suo rapporto con il saluto al duce.

Prese quindi la parola il federale. Sottolineò l’importanza di trovarsi in mezzo a tanti agricoltori che con dedizione e perizia lavorano la terra. “Il regime fascista – affermò il federale – presta grande attenzione alle esigenze del mondo rurale poiché chi ama la terra ama anche il fascismo e la patria”. Applausi.

Il federale citò quindi le gesta eroiche in guerra dei figli della terra. “Fu il duce a porre l’agricoltura al centro dell’economia nazionale”, disse. “Molti cercano di guadagnarsi il pane in città ma la vita sana e robusta si sviluppa solo in campagna”. Perciò il fascismo ha contrastato in tutti i modi la fuga dalle campagne. “Non dimentichiamo questi principi vitali e la devozione al duce”, concluse il federale. Applausi entusiasti del pubblico. In conclusone di serata, il pubblicò intonò altre canzoni patriottiche.

Autore: Reinhard Christanell

La snaida di Seit

Quando parliamo dei secoli successivi alla caduta dell’impero romano d’occidente (476) e della Völkerwanderung germanica (invasione barbarica), dobbiamo tenere conto che la documentazione riguardante la nostra regione è davvero scarsissima. 

Gli archivi trentini sul periodo precedente l’anno 1000 sono praticamente vuoti e pochissime sono anche le testimonianze dirette, se si esclude quella di Paolo Diacono e della sua Historia Longobardorum basata sui racconti di Secondo di Non. 

Non a caso si parla di un periodo “grigio”.

Eppure, la presenza di Longobardi e Bavari, di Goti e di Franchi ha lasciato segni profondi nella nostra terra: segni che però sono difficili da leggere e da interpretare. 

Il territorio longobardo, compreso in un ducato con sede a Trento (guidato dallo storico dux Evin), ricalcava più o meno quello dell’antico municipium trentino di stampo romano, che a nord aveva il suo confine “naturale” alle porte della località di Bolzano. 

Laives, che si trovava proprio sulla linea di quella frontiera – a volte di qua, a volte di là – in epoca romana dev’essere stata poca cosa se non, come molti altri paesi “retici” devastati nel 15 a.C. da Druso, come avamposto militare a presidio della strada e soprattutto dei vicini confini. 

I Longobardi, saliti fino a Trento e poi a Salorno, da dove tentarono ripetute sortite in tutta la valle dell’Adige fino a Merano, subentrarono a pieno titolo nell’organizzazione territoriale romana, e ciò anche per quel che concerne le strutture militari di confine. 

Ora è evidente che se l’ipotetico confine correva – certo non in modo lineare, perché gli antichi confini erano quanto di più contorto e a volte incoerente si potesse immaginare – tra il Virgolo, San Giacomo (Unterau) e lo stesso paese di Laives sulla sponda sinistra dell’Adige, per poi attraversare la vallata (Kaiserau) in direzione di Castel Firmiano/Formigar, vi devono essere tracce di vecchie postazioni militari di confine risalebtu a quell’epoca. 

Infatti nelle campagne tra San Giacomo e Laives esiste una vecchia torre di guardia sull’antico tracciato della strada pedemontana, la cosiddetta torre nella Dinzelleiten. 

Si tratta a tutta evidenza di una torre appartenente ad un sistema di difesa militare e di presidio del confine. 

E proprio lungo i sentieri che da San Giacomo e il Virgolo conducono al Colle e quindi a Nova (non ancora divisa in Ponente e Levante, ma certamente compresa in territorio longobardo, come dimostra il toponimo Manee che contraddistingue un quartiere del paese) deve essersi trovato il vecchio confine tra ducato di Trento e contea di Bolzano. 

E sopra l’abitato Seit è la toponomastica a indicarci un posto di confine molto importante presso la Schneiderwiese. 

Il nome suona assai singolare, in quanto è evidente che nessun sarto/Schneider si sia mai trovato in quel luogo disperso tra i boschi. 

Sembra invece che esso derivi dal termine longobardo “snaida”, che equivale a “segno di confine nel bosco”. Ciò è abbastanza certo, in quanto nel famoso editto di Rotari (una sorta di codice legislativo), si dice espressamente “signa nova id est ticlatura aut snaida in silva”. Snaida è poi stato tedeschizzato in Schneide e come tale appare in molti toponimi nel vecchio territorio longobardo, mentre è del tutto sconosciuto in quello bavaro. 

D’altronde anche Signato sul Renon deriva da snaida, essendo signaida la forma romanizzata di snaida. 

Lo stesso nome del paese di Seit potrebbe essere una deformazione del termine longobardo Waita, che significa posto di guardia. 

A Laives, in località Reif, all’imbocco della Vallarsa, potrebbe essersi trovato un altro posto di guardia romano-longobardo: infatti il nome “Reif”, nel periodo medievale attribuito soprattutto ai depositi di legname, potrebbe derivare da ripuarius, posto di guardia sulla riva del rio o a presidio di un ponte.

Autore: Reinhard Christanell

La grande processione del 1791

L’imperatore Giuseppe II è passato alla storia per aver preso di mira il potere secolare della chiesa cattolica ed aver abolito un terzo dei conventi. Tra le “vittime” ci fu anche il convento santuario dei Servi di Maria a Pietralba, che nel 1787 fu costretto a chiudere. Fu così che la sacra immagine custodita nel convento venne affidata al curato di Laives Johann von Kolb, che la portò nella chiesa parrocchiale. Qualche anno più tardi arrivò l’autorizzazione a spostare l’immagine sull’altare maggiore: e allora a Laives fu festa grande…

Maria Teresa d’Austria morì nel 1780. Entrò nella storia soprattutto per l’istituzione della scuola pubblica obbligatoria. Dei suoi 16 figli, le succedette sul trono Giuseppe II, il quale, ispirato dalle idee illuministe dell’epoca, prese di mira l’enorme potere secolare della chiesa cattolica (e soprattutto i suoi possedimenti), abolendo di punto in bianco un terzo di tutti i conventi e riducendo di due terzi il numero dei religiosi. 

Tra le “vittime” dell’illuminato imperatore anche il convento-santuario dei Servi di Maria di Pietralba, costretto, nel giugno 1787, a chiudere i battenti nonostante il gran numero dei pellegrini che lo visitavano. 

La Sacra Immagine fu affidata al curato di Laives Johann von Kolb che nella notte tra il 12 e il 13 luglio la portò in paese collocandola su un altare laterale della chiesa parrocchiale. Solo nel 1791 arrivò da Trento l’autorizzazione a spostarla sull’altare maggiore e allora a Laives fu festa grande: nei giorni tra il 24 e il 26 giugno 1791 migliaia di persone giunsero da ogni dove per assistere all’evento – peraltro ripetuto anche 100 anni dopo. 

Poiché la fotografia nacque ufficialmente nel 1839, non esistono immagini del paese né di quell’epoca né di quelle anteriori. Il pittore bolzanino Joseph Anton Cuseth fu incaricato di immortalare la grande processione del 26 giugno e il suo dipinto, ancora esposto sotto il pulpito della vecchia chiesa, rappresenta un documento di straordinaria importanza per la storia di Laives.  

Nelle didascalie sono elencati tutti i partecipanti alla processione ma ciò che ci interessa maggiormente è il “ritratto” inedito del paese alla fine del XVIII secolo.

Premesso che il pittore, per ragioni “scenografiche”, è stato costretto a tralasciare diversi edifici già esistenti, colpisce immediatamente la grazia e l’armonia di un paesino collocato nel mezzo di giardini e vigneti – insomma l’esatto contrario di quanto siamo costretti a vedere oggi. Sullo sfondo si riconoscono le due colline moreniche e la chiesetta del Peterköfele (con la nuova strada per Pietralba ultimata nel 1769) occupate dal “popolo” incaricato di accompagnare le celebrazioni con “cannonate e botti.” Ai suoi piedi la Pfleg, sede amministrativa dei Lichtenstein e poi rinomato Gasthaus; poco distante il Kalchhof. Al centro del dipinto vediamo la chiesa parrocchiale e alla sua sinistra le cosiddette “casette della chiesa” poi abbattute. 

A destra si scorge la stretta “casa del dottore” (poi demolita per fare spazio al nuovo municipio), dimora del medico condotto e, in precedenza, quando a Laives si contavano dai 20 ai 30 scolari, utilizzata anche come scuola. Sulla destra si intravede la canonica, appena sotto la “Turnertorggl” (torchio) e il Turnerhof, poi casa Visintin. A destra, sotto la chiesetta, il maso Stampfl, poi casa di Anton Ebner.

Nella parte anteriore del dipinto si riconosce il Reinischhof (Frasnelli) e il prestigioso Grosshaus/Casagrande, per oltre 130 anni di proprietà della famiglia Franzelin (che poi acquisterà anche il convento di Pietralba). 

Il fienile del Großhaus non era ancora stato ampliato e l’edicola all’angolo è nel frattempo scomparsa. Sull’altro lato della “Reichsstraße” si trova una fontana pubblica eliminata con la realizzazione del capolinea del tram.

 La vecchia Reichsstraße imboccava ancora via Damiano  Chiesa per raggiungere, nel cuore del vecchio paese, il “Kölbl” (poi “Zur Post” a partire dal restauro degli anni ‘80), che qui è ritratto solo in parte. Davanti a questo la grande casa bianca è il “Gassman” della famiglia Tabarelli ma mancano tutte le case tra questo e il Casagrande. Di notevole interesse anche i numerosi muri a secco che circondano case e vigneti: oggi purtroppo quasi del tutto scomparsi o trascurati.

Autore: Reinhard Christanell

La storia della gallina rapita

La cosiddetta “Dekadenz” viennese, ossia il lento ma inesorabile declino della monarchia asburgica, descritta magistralmente da Joseph Roth nel suo romanzo “Radetzkymarsch”, stava volgendo al tragico epilogo della grande guerra. Il destino di un impero durato più di 600 anni ma anche la vita quotidiana dei suoi cittadini erano segnati dalla rassegnazione all’ineluttabile. Ciò nonostante, ai confini dell’impero, il vecchio mondo procedeva ancora sui binari di una quotidianità tranquilla quanto monotona – non fosse stato per la presenza sempre più assillante della Kleinkriminalität ossia l’attività delinquenziale dei cosiddetti “ladri di galline” (in senso lato). Non sarà certo un caso, se proprio nel 1892, anno in cui avvennero i fatti che stiamo per narrare, lo scrittore inglese Conan Doyle pubblicò “Le avventure di Sherlock Holmes”. 

Non ci vollero invece Holmes e Watson per venire a capo di un misfatto accaduto a Laives, allora paesino di un migliaio di anime. Dalla locale riserva di caccia, riferì la Bozner Zeitung del 23.08.1892, gestita al noto imprenditore Anton Monsorno, erano sparite otto uova di anatra selvatica. 

Dopo accurate indagini, seguite alla denunzia del Monsorno, il capo della gendarmeria di Bronzolo Angelo Alverà e il messo comunale di Laives Nikolaus Kofler individuarono i responsabili del latrocinio e, soprattutto, anche gli starnazzanti corpi del reato. Per ironia della sorte, questa volta c’entrava veramente una gallina – ma l’attenzione dei detective fu rivolta non a costei bensì al suo presunto complice, tale Stefan Bernard detto Stoff di Laives, noto alle cronache.

Secondo l’accusa costui aveva sottratto le 8 uova facendole poi covare dalla suddetta gallina del suo vicino di casa, di nome Bologna. Costui, alla vista del gendarme, del messo e del Monsorno prese immediatamente le distanza dalla gallina di sua proprietà: secondo la sua versione, egli non era a conoscenza delle sue frequentazioni e attività illecite. Costei, probabilmente, si sarebbe difesa asserendo che aveva seguito unicamente il proprio istinto materno, non certo quello criminale. Ma in realtà non disse nulla, neppure quando i tre visitatori intimarono l’immediata riconsegna degli anatroccoli.

Sopravvenne il Bernard stesso, sostenendo che la gallina aveva covato le uova a sua insaputa. Poiché le sue affermazioni furono messe in dubbio, colpì con pugni e calci il gendarme il quale, per difendersi, fu costretto a puntargli sul collo la propria baionetta d’ordinanza. Quando volle mettergli le manette ai polsi, intervenne il padre del Bernard, anche lui propenso ad addossare tutte le responsabilità all’incauta gallina. 

Per essere più convincente, minacciò l’allibito gendarme con un coltello e insieme alla moglie, che gli strappò di mano la baionetta, rifilò un pugno in pieno viso al povero Alverà. Questi cadde a terra ma subito dopo, afferrata l’arma, sparò vari colpi in direzione del fuggitivo Stoff, senza tuttavia colpirlo. Il giorno seguente, Stoff si presentò spontaneamente alla gendarmeria di Bolzano per essere interrogato e quindi arrestato.

Al processo, il Bernard, ritenuto colpevole anche di altri delitti avvenuti sempre a Laives e di cui si era imprudentemente vantato nelle osterie (tra cui una truffa ai danni di una vedova e il danneggiamento di un carro che gli aveva rifiutato un passaggio), fu condannato a tre anni di carcere duro, il padre a tre mesi. 

La gallina fu assolta per insufficienza di prove.

Autore: Reinhard Christanell

Il segretario sbadato

È risaputo che in nessun luogo del mondo la pubblica amministrazione goda di buona fama. Viene descritta come lenta, inefficiente, non di rado “kafkiana”. Un’eccezione rappresentò, agli occhi della pubblica opinione, la burocrazia asburgica, ritenuta “di un’efficienza severa ma quasi perfetta”. Sarà. Certo è che nel 1873 scoppiò un scandalo senza precedenti nel paesino asburgico di Laives.
Vi erano coinvolti l’amministrazione e il segretario comunale in prima persona. Era allora Vorsteher ovvero primo cittadino Anton Kurzel, personaggio di primo piano del luogo. L’anno dopo lo sostituì l’oste Josef Ebner. Il municipio, eretto nel 1840, si trovava in via Pietralba, nella casa che dopo il 1930, quando fu inaugurato il comune nuovo, diventò la scuola elementare in lingua italiana. Li accanto si trovava anche la casa del segretario comunale.
Segretario comunale era tale Anton von Anderlan, subentrato nel 1856 a Johann Plunger, di professione chirurgo. Gli incredibili misfatti portati alla luce dagli investigatori sconvolsero padri di famiglia e rappresentanti comunali. La stampa ne parlò diffusamente.
Lo “sbadato” segretario, in carica da un ventennio, fu costretto a dimettersi seduta stante dall’incarico e finì diritto filato davanti alla corte. Il povero sindaco Kurzel non sapeva più cosa fare per rassicurare i suoi concittadini e spergiurava che lui, del grande pasticcio, non ne aveva mai saputo niente.
Il grande pasticcio ce lo descrive nei dettagli il “Tiroler Tagblatt” del 14 dicembre 1874. Una corrispondenza dettagliata dall’aula del tribunale di Bolzano sotto il titolo “Verurteilter Gemeindekassier” (tesoriere comunale condannato).
Il segretario nonché tesoriere comunale Anton von Anderlan doveva rispondere dei reati di malversazione, abuso d’ufficio e altri reati minori. Il funzionario si era dimesso dall’incarico nel giugno dell’anno precedente proprio in seguito al crac delle casse comunali. In particolare emerse dalle indagini che il von Anderlan, nel corso dei 17 anni del suo incarico, non aveva mai tenuto i prescritti libri contabili; non furono trovati né un giornale-cassa con la registrazione di entrate e uscite né tantomeno i registri relativi alle imposte erariali sugli immobili (una sorte di IMU) e alla gestione del consorzio dell’Etschleeg che gestiva le acque pubbliche. Il von Anderlan si era limitato a conservare il denaro incassato in un cassetto e a pagare le occorrenze attingendo allo stesso.
In seguito ai controlli effettuati e al deficit riscontrato, von Anderlan fu accusato di essersi appropriato della somma di 1.804 fiorini austrungarici (Florin = fl). e di aver trattenuto per uso personale un importo di 132 fl. dei complessivi 492 consegnategli dal presidente della Leeg Anton Martinelli e, infine, di aver preteso dai proprietari immobiliari di Laives negli anni dal 1871 al 1873 una tassa erariale superiore a quella effettivamente dovuta, ottenendo un illecito profitto di 44 fl.
Il von Anderlan si difese affermando di aver agito secondo coscienza e di non essersi accorto delle indebite appropriazioni. Attribuiva l’illecita condotta alla sua scarsa preparazione, all’eccessivo carico di lavoro e… all’incompetenza dei vari Vorsteher, nessuno dei quali si era mai interessato alle vicende comunali. I sindaci interpellati ammisero di non aver mai controllato il segretario o il bilancio comunale ma solo… per un eccesso di fiducia nei suoi confronti.
In sostanza, von Anderlan, tenuto conto anche della superficialità dei vari Vorsteher, fu condannato a una pena detentiva abbastanza mite di 8 mesi, che scontò interamente nel carcere di Bolzano.

Autore: Reinhard Christanell

Pietralba, Laives e i miracoli #2

Vi proponiamo la seconda e ultima parte del singolare racconto del 1847 dello scrittore e giurista tedesco Ludwig Steub (1812-1888), da cui emerge in modo colorito ed efficace la Laives dell’epoca e la vivace vita dei suoi abitanti. La prima parte narrava del contenzioso tra Laives e Pietralba della statuetta miracolosa, contenzioso che andrà avanti e verrà in qualche modo risolto… La traduzione italiana è dell’autore di questa rubrica Reinhard Christanell.

Il nostro governatore, della nobile stirpe dei conti von Brandis (…) non poté fare a meno di riconoscere il significato profondamente popolare e religioso di questa questione. Egli ammonì la comunità (di Laives) tramite il prevosto di Bolzano intimandole di consegnare la sacra immagine, tuttavia tuttavia senza successo (…) Inoltre, non si riteneva necessario procedere in tal senso trovandosi, a detta dagli esperti periti, la vera immagine ancora e sempre sul monte, mentre quella in paese altro non era che una copia e non ritenevano giusto essere privati della misera soddisfazione di poter offrire ai gottosi, ai malati di polmoni e alle altre persone che non erano più in grado di arrampicarsi sulla montagna, un santuario accessibile. Il governatore non fu affatto soddisfatto di questa risposta, e anzi considerò questa opinione più stolta che saggia e pertanto diede personalmente l’ordine di riconsegnare l’immagine.
Anziché onorare tale ingiunzione, i Laivesotti si irrigidirono con deplorevole ostinazione sulle loro posizioni e addirittura importunarono i superiori con la loro disputa dell’immagine sacra. Purtroppo, non si sa come, ne nacque anche un contenzioso del tutto profano e i Laivesotti si avvalsero di mezzi che, per il bene dei Serviti, avrebbero fatto meglio a non tirare in ballo. Infatti alla loro petizione aggiunsero una scatola contenente varie immagini, quadretti, lettere, acque benedette per bestie e umani e pure certi pani, tutti oggetti che si trovavano anche in una ben fornita bottega accanto al tempio della Santa Vergine e vi venivano venduti per il bene della stessa e dei suoi servitori. Le autorità di Vienna, consci dell’ondata di illuminismo che aveva colpito l’impero, in tali questioni di commercio di “oggetti sacri” preferivano tenere una posizione defilata e dunque travisarono l’istanza e non riconobbero affatto la rilevanza pastorale di tali articoli edificanti, – e anzi si spinsero fino al punto da domandare se tale “malcostume” perdurasse tuttora. I Serviti dovettero rendersi conto che della loro fede, della loro pietà e del loro fervore nell’onorare la vera immagine non si teneva conto a sufficienza e pertanto ritirarono “temporaneamente” la loro richiesta, non senza la speranza che anche per loro arrivasse un giorno più propizio. E tale è anche il proposito del nostro governatore; è infatti sua volontà di rendere gli onori alla copia di Laives alla testa di un battaglione di Kaiserjäger e di ricondurla con pompa guerresca a Pietralba; forse il modo migliore per ricondurre alla ragione i testardi Laivesotti.
Nel corso degli anni seguenti Sua Eccellenza non mancò di omaggiare anche l’immagine di Pietralba e con ciò le conferì una patina di autenticità che sembrò addirittura accrescere la sua brama miracolosa. Malgrado ciò neppure il cuore di Sua Eccellenza è spoglio di perplessità che troveranno risposta solamente quando l’immagine di Laives sarà riportata lassù a Pietralba e sia realmente possibile raffrontare le due immagini per individuare quella falsa. Nel frattempo, la ripresa significativa dei pellegrinaggi nella nostra terra ha contribuito non poco all’intensificarsi dei rapporti con i nostri vicini italiani. Dato il gran numero di sante messe ordinate dai pellegrini, il clero tedesco non è più in grado di esaudire tutti i desideri. Ne consegue che molte centinaia di richieste di messe si dirigono verso le terre italiane e ciò a prezzi decisamente più convenienti, dato che in quei luoghi vengono celebrate per un prezzo ribassato dal dieci e al venti percento rispetto al Tirolo tedesco. L’eccedenza è trattenuta, con gran soddisfazione dei patrioti, in mani tedesche e contribuisce in larga parte al sostentamento del nostro clero.
Qui termina il breve racconto della storia dell’Immagina Sacra dovrebbe poi provare, che in questa terra siamo ancora in grado di subordinare le cose terrene a quelle ultraterrene e di non trascurare, tra le inezie del presente, quelle eterne. Se anche il progetto ferroviario, la regolamentazione del corso dell’Adige, la questione forestale eccetera sono assurti agli onori della cronaca, ciascuno che ben ci conosca è conscio del fatto che, in mezzo a tanta confusione, possibilità e chimere, alla fin fine ci affidiamo sempre volentieri alla mano dei nostri preti per il bene della nostra salute eterna.

Autore: Reinhard Christanell