Tra paesaggio e mitologia

Paesaggi marini, orizzonti liberi e sconfinati e paesaggi di montagna, così come confini del nostro presente e confini mitologici sono alcuni dei temi delle opere di Karin Schmuck. Il suo approccio artistico prevede di studiare per lunghi periodi un luogo e la possibilità di conoscerlo da vicino attraverso il cammino, attraverso una conoscenza e una esperienza fisica. I suoi sono spesso paesaggi che scaturiscono da aree di transizione umane e metafisiche. Nell’idea di confine a Karin interessa la scomposizione della parola e l’ispirazione trae dal frammento “fine” e poi da “con”, ossia una separazione ma al tempo stesso una condivisione un insieme. La dicotomia e l’ambiguità sono elementi ricorrenti nel lavoro di Schmuck e ben si adatta al mezzo fotografico.

L’artista è interessata alla natura incontaminata, ai “non” luoghi a cui spesso viene data poca importanza.

Una particolare attitudine dell’artista è quella di esplorare i miti dei luoghi che visita muovendosi così fra il dato naturalistico e quello leggendario. In questi giorni le sue fotografie ma anche i suoi dipinti e oggetti d’arte sono esposti nella mostra personale intitolata INFINITY ospite della piattaforma per artisti Carte Blanche dell’Hotel Europa. Karin Schmuck è nata a Bolzano nel 1981 a Bolzano e vive e lavora a Siusi, in Alto Adige. Prima del Master in Fotografia all’Accademia di Belle Arti di Bologna, aveva studiato Pittura all’Accademia di Belle Arti di Urbino. Dal 2009 ha esposto le sue opere in diverse mostre personali e collettive e ha vinto diversi premi come il premio COMBAT e il PREMIO CARLO GAJANI. 

Autrice: Rosanna Pruccoli

ll 9 luglio ci ha lasciati Pierluigi Mattiuzzi

Meranese assai noto negli ambienti legati all’arte, alla psicanalisi, alla filosofia orientale, è stato un interessante esempio di personalità istrionica dove l’arte era molto più che immagine, colore, forma. In lui l’arte era specchio di un’anima inquieta, curiosa e libera, capace di introspezione, e terreno nel quale avevano germinato le culture orientali che, studiate a fondo e metabolizzate, in lui convivevano con tanto della saggezza occidentale. I suoi dipinti sono un difficile intrico di pensiero, fantasia, volo,  presenze, rimandi, narrazioni antiche e bisogni moderni.

Tenuto sempre in considerazione dai meranesi, nel 2015 fu scelto per la mostra dedicata ad un artista nell’ambito del trentennale delle Settimane Musicali Meranesi che trovò luogo nel Pavillon des Fleurs.

Pierluigi Mattiuzzi,  figlio di un perito industriale che si era occupato delle centrali idroelettriche in Piemonte e poi in Val Venosta era nato a Domodossola e aveva trascorso l’infanzia a Malles. A Merano aveva frequentato il liceo classico Carducci, in quegli anni una vera fucina di idee e di presa di coscienza politica e dei tempi che cambiavano oltre che delle tensioni legate al 68. Aveva poi frequentato Sociologia a Trento, noto epicentro della rivolta studentesca e delle istanze politiche più rivoluzionarie. A Merano sul “muretto” lo si vedeva spesso e la politica era il tema principale. Seguirono i nove anni in India che lo arricchirono di nuove istanze filosofiche aggiungendo alla sua già ricca personalità il fascino dello sciamanesimo.

Tutti questi trascorsi, queste esperienze, questi miti letterari e non si riverberano nelle sue tele e nei suoi colori. Importantissimi i suoi totem. Divinità, demoni, si tratta di sculture di grandi dimensioni capaci di mantenere l’effetto bidimensionale e di avere un grande impatto sul fruitore, grandi più di un uomo esse si impongono con forza nell’ambiente che le accolgono. Acrilici e resine su tavole di grandi dimensioni, affollati di segni da vedere in dettaglio per scoprire alla fine che allontanandosi il dipinto muta e il soggetto prodotto da quella moltitudine di piccolissime forme danno vita ad un importante unico essere dai caratteri apotropaici. Grandi occhi sgranati, fauci ferine, bocche digrignate e denti aguzzi. Mani e piedi si distaccano e prendono vita per qualche istante prima di ricadere nell’insieme. Sogni o incubi? Viaggi fantastici nel proprio io o negli abissi dell’umanità.

Sono sperimentazioni degli anni Ottanta i computer-graffiti che mettono in movimento le presenze dei suoi quadri al ritmo di un track musicale da lui scelto. Una ulteriore testimonianza del suo modo di vivere sempre “il qui e adesso”.

Autrice: Rosanna Pruccoli

Tanja Iarussi: archetipi, miti, presenze

Sono davvero numerosi e assai coinvolgenti i nuclei tematici della ricerca artistica di Tanja Iarussi. Fin dai suoi esordi, concluso l’Istituto d’Arte (1993) e poi l’Accademia di Belle Arti (2000), numerosi e variegati sono stati anche i linguaggi e i mezzi espressivi con cui l’artista ha affrontato nel corso degli anni il suo sfaccettato cammino artistico. La tecnica utilizzata nei suoi lavori infatti dipende e cambia a seconda di ciò che il suo progetto intende esprimere. Nei suoi lavori è possibile incontrare fili di ferro, pietre, cartapesta, reti, legni, cd, e tutto quanto possa risultare espressivo ai suoi occhi. Il suo è un percorso iniziato con la pittura su tela ma approdato ben presto alla suggestiva creazione di opere composte di garze, reti metalliche e creta dal forte impatto emozionale sul fruitore che vi percepisce un ritorno alle origini, alla terra come ventre materno di tutte le creature, come polo di attrazione ed equilibrio dal fascino ancestrale. La cornucopia foriera di doni preziosi o contenitore di sogni diviene nel trittico di Tanja il muto testimone del fluire del tempo che, nell’opera, è esemplificato da una sabbia colorata nelle tonalità del giallo del rosso e del blu. Il desiderio di coinvolgere sempre più il pubblico e renderlo partecipe dell’opera stessa ha portato l’artista a creare oggetti in cui l’intervento dell’osservatore è divenuto fondamentale per dare completezza all’opera. Né è esempio “Sognare ad occhi aperti” dove l’accensione di una luce consente all’opera di vivere di un ulteriore ed inaspettato sguardo, labile e immateriale come i sogni.  Ecografie e fotografie sovrascritte e sovra dipinte sono diventate nel suo personale linguaggio eco-pittura e foto-pittura. Di certo esse sono nuovi mezzi d’espressione con cui narrare storie, evocare ricordi, indurre emozioni. Durante il lockdown Tanja si è rivolta alla mitologia e ne ha tratto in particolare il mito del vaso di Pandora rivisitandolo e immaginandosi una chiusura del suo coperchio atta a respingere ed imprigionarvi tutto il male. Nasce così l’opera “Il fu vaso di Pandora” realizzato in cartapesta. Attualmente l’obiettivo artistico di Tanja Iarussi è una ricerca sulle trasparenze. La leggerezza eterea è il leitmotiv delle garze sottili su cui l’artista fa vivere le immagini di archetipi femminili che vanno dalla madre alla strega e all’angelo caduto ma dalla valenza positiva. In queste immagini dalla bellezza rarefatta si affacciano anche le tracce colorate di decori realizzati all’uncinetto. Essi hanno l’importanza di farsi testimone che passa di mano in mano di generazione in generazione come di un sapere tutto femminile che si perde nel torno dei secoli, e delle parentele

Autrice: Rosanna Pruccoli

Giorgioppi

È alla potente lezione di Piero della Francesca, alla sezione aurea e alla sequenza di Fibonacci che guarda costantemente il bolzanino Giorgioppi. Artista della misura, della composizione lucida, calcolata ragionata tipica degli antichi maestri del Rinascimento europeo, la sua è una ricerca inesausta dell’equilibrio, della purezza. I suoi soggetti spaziano dal ritratto al nudo, alla natura morta ma è conosciuto dai più per le sue rose perfette, algide e regali vere regine dell’universo floreale. Ma non sono da meno le più misteriose ed esotiche orchidee bianche che alla purezza rinascimentale aggiungono la linearità e un tocco tutto giapponese.
Senza mai legarsi ad un maestro Giorgioppi ha studiato alle Accademie di Milano, Firenze, Venezia e Bologna. Inseguendo però caparbiamente la propria strada, il proprio mondo espressivo rivolto, come un Giano bifronte, tanto all’oggi che al passato. Cantatore, Vedova e Pozzati i suoi maestri. Il suo lavoro d’artista è meticoloso e segue un iter d’altri tempi: inizia infatti dalla scelta della tela che si fa arrivare a metratura dal Belgio in vari spessori e grammature. E lui ad intelaiarle e poi prepararne la base e il fondo utilizzando antiche ricette rinascimentali. Per procedere poi alla composizione senza stancarsi dei calcoli necessari. Poi i colori che miscela sapientemente alla ricerca del tono più giusto. Per il collezionista la scelta è difficile: come non possedere una rosa o una melagrana ma come rinunciare ad uno dei suoi nudi preziosi e raffinati? Numerose le mostre che lo hanno fatto conoscere negli anni tanto in Italia che all’estero e importanti le critiche ricevute dai grandi nomi della critica d’arte come ad esempio Vittorio Sgarbi da cui riportiamo alcune frasi: “Stupire, meravigliare, sembrano essere gli obiettivi di Giorgioppi, il quale piace, piace oggi che non e più obbligatorio innamorarsi di tele stracciate o tagliate e che ci si può perfino compiacere di veder una cosa gradevole, al punto che la gradevolezza supera se stessa, diventando una straordinaria scenografia. E’ inutile pensare alla pittura, bisogna farla. E inutile che la pittura rappresenti una sofferenza o una tensione. La pittura deve essere supremo diletto”. E ancora: “In alcune delle sue opere più recenti, Giorgioppi sembra voler riecheggiare la tradizione dello stilleven fiammingo e olandese, con quei fiori e quei vasi di vetro trasparentissimo che non possono non ricordare gli analoghi soggetti trattati, fra gli altri, da Abraham Bruegel. […] Nonostante ciò, nessuno potrebbe negare che gli oggetti riprodotti da Giorgioppi possiedano il respiro dell’assoluto, della più pura delle dimensioni mentali”. 

Autrice: Rosanna Pruccoli

Amedeo Masetti

Appassionato d’arte Amedeo Masetti, bolzanino di nascita e meranese d’adozione, ha lavorato per anni e con energia inesausta ad affinare la propria tecnica disegnativa e coloristica. Sul piano della composizione segue le regole apprese dal maestro professionista bolzanino Giorgioppi, grande cultore ed esperto della sezione aurea. Abbandonate tutte le tecniche artistica sperimentate negli anni, si è concentrato sulla pittura ad olio che è divenuto così il suo medium. Ha studiato a fondo i grandi maestri del passato ed è giunto a creare delle copie perfette per iconografia e misure dell’opera ma, per evitare di essere male interpretato e individuato come falsario, pone degli accorgimenti come ad esempio la presa speculare del soggetto
Nel 1991 ha iniziato a partecipare a mostre e attualmente ha all’attivo un numero assai elevato fra personali e collettive in Alto Adige e nel resto d’ Italia, soprattutto nel Lazio, nel Veneto, in Lombardia e in Liguria.
L’idea di aiutare altri autodidatti a formarsi e raggiungere buoni risultati lo ha fatto collaborare con riviste nazionali che pubblicano i suoi insegnamenti sul come realizzare passo dopo passo un dipinto ad olio.
Particolarmente talentuoso nel rappresentare il movimento di un corpo umano così come di quello di un animale dove la tensione o la torsione dei muscoli raggiungono una precisione non comune, i suoi soggetti prediletti sono i cavalli singoli e in branco, il mare in burrasca e ballerine di danza classica. Ma in realtà si è cimentato nelle tematiche più varie soprattutto partecipando a mostre a tema che rappresentano per lui una interessante sfida. Così sono scaturite immagini tratte dalla Divina Commedia, o l’allunaggio e i primi passi di Neil Armstrong, o la rappresentazione della forza musica che per lui è il Jazz. E infatti anche un appassionato batterista e suona in un gruppo. Molto richiesto è anche il suo talento per la creazione di dipinti che poi diverranno la copertina di specifici romanzi.

Autrice: Rosanna Pruccoli

Creatività e sensibilità nell’arte di Elisabeth Hölzl

Meranese di nascita, Elisabeth Hölzl, ha conseguito la Maturità Classica e ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Bologna, concludendo la sua formazione artistica col diploma in Scultura. Ha approfondito la propria esperienza artistica in numerose città europee ma nel 2003 si è recata a New York con una borsa di studio e l’anno dopo all’Avana. In entrambe queste città ha trascorso un lungo periodo di osservazione e sperimentazione artistica. Sono assai numerose le mostre personali e collettive in Italia e all’estero cui ha partecipato. La carriera artistica di Elisabeth Hölzl, iniziata nei primi anni Novanta, e proseguita senza battute d’arresto in un interessante crescendo che non accenna ad interrompersi, anzi. Dotata di grande sensibilità, riesce a sorprendere il fruitore con una scelta inusuale di soluzioni creative, tecniche e materiali, lavori e idee che ne sottolineano la vivacità intellettuale. Ma a stupire è soprattutto quel tocco poetico che riesce a infondere ai suoi progetti, siano essi realizzati con fotografie, tessuti, ricami, oggetti o istallazioni, dove lo spazio e i materiali diversi dialogano tra loro. Sempre al passo coi tempi, curiosa e empatica, Elisabeth Hölzl sa vivere le complessità del suo tempo e attraversare le molteplicità degli ambienti sociali e culturali. Non di rado sono le realtà meno scontate ad attrarre la sua attenzione, il suo sguardo. 

Autrice: Rosanna Pruccoli

La pandemia come rinascita artistica: Louis Celia Zippo

“Era da qualche tempo che non mi dedicavo seriamente allo sviluppo di un progetto fotografico, quando improvvisamente la pandemia catapultò il mondo in una nuova inedita quotidianità costellata di situazioni irreali, che sentii il forte impulso di documentare. Le misure di contenimento della pandemia da Covid 19 tuttavia non consentivano che rare uscite motivate da esigenze eccezionali o urgenti”.
Così scrive Louis Celia Zippo nell’introduzione all’invito alla sua nuova mostra “De zona rubra” che prenderà il via il 20 marzo presso Im Kult a Marlengo. 

Le immagini in mostra sono depositarie della memoria delle emozioni vissute dal fotografo in quei lunghi mesi di sospensione dalla vita così come la conoscevamo e della difficoltà a relazionarsi con le persone. Si tratta di inquadrature dal taglio particolare, di istantanee di ciò che era possibile osservare come i fiori del proprio giardino, i giochi di luci e ombre sulle strade deserte, lo sbocciare in una notte del “tulipano queen of the night” che avrebbe vissuto quella unica notte e parte del giorno successivo come è nella sua natura e il suo destino. Speciale è anche la realizzazione della stampa di queste fotografie. Sono infatti in bianco e nero tranne che per alcuni piccoli elementi che sono stati dipinti a mano ad acquerello dall’artista Monika Hartl proprio come si usava un tempo quando ancora non esistevano le fotografie a colori. Le immagini sono stampate su cartoncino di cotone FineArt con bordi irregolari della ditta Hahnemühle. Quindi scatti d’artista che diventano oggetti ricercati e preziosi.

Autrice: Rosanna Pruccoli

Eva Thaler Pixner: essenza della materia e fascino delle strutture

Nata in una famiglia creativa Eva inizia presto a muoversi fra carta, matite e pennelli. Per molti anni si dedica a dipingere ad olio, a tempera e acquerello. Inizia presto ad osservare gli oggetti che la circondano restando affascinata dall’essenza materica di molto di ciò che le capitava fra le mani. E cerca di rappresentarlo. Ben presto scopre che l’incisione la tecnica che più di altre può offrirle la possibilità di esprimersi e soprattutto le consente di approfondire la sua ricerca sulla materia delle cose. Sceglie quindi con sicurezza la sua strada: l’incisione e in essa tutto quanto possa essere innovativo e sperimentale. La sua indagine iconografica si attesta su quel mondo intrigante delle strutture, delle sovrapposizioni, delle differenti materie ora lisce ore gretolose che la terra, la natura fatta di cortecce, radici, zolle, pietre le offrono. Tutto questo intreccio fatto dei soggetti di sua scelta e delle tecniche grafiche che le consentono di restituirle artisticamente la catturano, la affascinano e la tengono attiva in una ricerca inesausta.  Dalle sue opere però non sono totalmente escluse le figure umane o gli animali che di quando in quando fanno capolino nelle sue opere. I suoi occhi catturano immagini, le sue mani le trasformano in sensazioni ed emozioni da condividere col fruitore. Il mondo dell’arte la accompagna da sempre senza mai abbandonarla nel vissuto quotidiano anche se il lavoro che ha scelto è altro e altrove. Il suo è un lavoro importante nel quale trova soddisfazione e che svolge con passione. Anche la famiglia ha un ruolo assai importante nella vita di Eva ma è nell’arte che si compie il completamento della sua  interessante personalità. All’arte incisoria ha dedicato e dedica anni di formazione e approfondimento. Il suo impegno è premiato dall’apprezzamento e dal riscontro che ha ottenuto e ottiene nelle numerose mostre cui ha preso parte. 

Autrice: Rosanna Pruccoli

Le pietre d’inciampo di Gunter Demnig

Il ruolo dell’arte oggi è spesso dibattuto insieme al quesito se essa debba esprimere bellezza o piuttosto irritazione e portare il fruitore a indignarsi, discutere, riflettere. Ebbene: lo scultore Gunter Demnig ha saputo trovare la propria risposta a questi quesiti amletici, facendo della Memoria la sua opera più importante e riconosciuta. 

Nato a Berlino nel 1947 ha fatto suo il concetto del Talmud secondo cui una persona viene dimenticata solo quando si scorda il suo nome. Nel 1992 creò e posizionò la prima delle sue pietre d’inciampo nella sua città natale e a tutt’oggi sono più di settanta mila le pietre che ricordano in tutta Europa altrettante vittime della Shoah. Si tratta di pietre cubiche molto simili a sanpietrini sulla cui sfaccettatura superiore viene fissata una lamina di ottone di 10 x 10 cm, con incisi il nome, l’anno di nascita, la data e il luogo della deportazione, il luogo e la data della morte della vittima.

Il 28 marzo 2014 anche a Merano furono collocate le pietre d’inciampo. L’idea di questo importante progetto fu della scuola alberghiera Savoy che contattò e tenne i contatti con l’artista; il lavoro di ricerca così come la lista dei nomi e degli edifici che furono l’ultimo domicilio degli ebrei meranesi dove sarebbero state posizionare le pietre, fu effettuata dagli studenti di due classi del Gymme e del Gandhi che lavorarono insieme per due anni scolastici, prima presso l’Archivio storico e poi a scuola per realizzare le biografie inedite e il libro che ne scaturì. Il progetto ha avuto come obiettivo il non lasciar cadere nell’oblio tutte quelle donne, quegli uomini e quei bambini che vissero e operarono in città e la mattina del 16 settembre 1943 furono strappati dalle loro case, deportati e uccisi nei campi di sterminio del Reich.

Autrice: Rosanna Pruccoli

Bianco e oro: Le sculture di Irma Hölzl   

Bronzo e bianco, lucido e opaco, liscio e scabro, linee pure e pur sinuose, forme eleganti, altere, preziose. Queste potrebbero essere alcune delle parole chiave di una possibile lettura delle opere di Irma Hölzl. Ma le sue sculture sono molto di più, raccontano e rappresentano molto altro. Scaturite da un intenso lavoro creativo, intellettuale prima e fisico poi, esse racchiudono la passione del creare, la necessità irrinunciabile di dar vita ad una determinata entità, raffigurazione, allusione, sia essa naturalistica o solo antropomorfa, zoomorfa o completamente astratta. L’intuizione sopraggiunge insistente, fa breccia nei pensieri e va studiata, approfondita, modificata. È poi il tempo della messa in opera con i “partner” – più o meno duttili – di sempre: ferro, rete, corde, gesso, cera. E qui, come in una fucina affollata, affiorano nuove idee e si escogitano nuove soluzioni. Ed è ancora ricerca. Infine la scultura assume la sua fisionomia definitiva e come tale viene affidata al fonditore e alla sua maestria. L’attesa, coi suoi timori e la sua carica di suspense per il risultato finale, è l’ultimo atto della lunga vicenda creativa.
Le variegate sculture di Irma Hölzl rappresentano un cammino di crescita artistica e di trasformazione, sottolineano lo sviluppo di un linguaggio capace di rinnovarsi in termini di freschezza e di adattabilità al nuovo, all’oggi.

Autrice: Rosanna Pruccoli