Nei giorni 2 e 3 giugno del 1946, proprio 75 anni fa, gli italiani furono chiamati al referendum che avrebbe dovuto decidere la forma dello Stato: monarchia o repubblica. Nelle province orientali e in Alto Adige (salvo Bassa Atesina e alta Anaunia) non si votò perché i confini non erano ancora del tutto definiti.
Alle urne furono ammesse per la prima volta (in un’elezione di livello nazionale) le donne. Il referendum istituzionale ebbe come esito la nascita della Repubblica italiana, ragione per cui la ricorrenza è celebrata ogni 2 giugno.
Repubblica è una parola che deriva da “res publica” che in latino significa “cosa pubblica”, ovvero “ciò che appartiene al popolo”. La “res publica” contiene tutte quelle cose – le istituzioni, le leggi, gli interessi, i diritti, il territorio – che in qualche modo spettano ai cittadini visti come singoli e come collettività. Se “repubblica” è la cosa di tutti, non significa che tutti possano approfittarne e prenderne a piacimento, ma soprattutto che ognuno è chiamato a dare il suo contributo. A dare/fare e poi prendere la sua parte.
Fin dall’inizio la Costituzione scritta e approvata dall’Assemblea votata il 2-3 giugno 1946, parla di diritti e doveri. Di diritti insieme ai doveri. “La Repubblica – dice l’articolo 2 – riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
Questi diritti-doveri e principi sono l’esercizio della sovranità, la solidarietà, la pari dignità delle persone, il lavoro, le autonomie (in un’ottica di sussidiarietà), la tutela delle minoranze, la libertà religiosa, l’ecologia, la tutela dello straniero e il diritto d’asilo, il ripudio della guerra, la libertà personale, la libertà di pensiero e di associazione, la famiglia, la salute, la scuola, l’iniziativa economica e altro ancora, il tutto nell’ottica del bene comune.
Autore: Paolo Bill Valente