Ricorre in questi giorni l’anniversario della scomparsa di Alexander Langer. Nei giorni scorsi ha avuto luogo, per iniziativa del comune di Bolzano, l’intitolazione ufficiale del ponte pedociclabile che sull’Isarco collega viale Trento alla ciclabile retrostante il Lido di viale Trieste: ponte Langer. Un programma, una visione.
Nelle sue “dieci parole per la convivenza” Langer sottolinea proprio l’importanza di mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera”. Occorrono, dice, “traditori della compattezza etnica”, ma non “transfughi”. “In ogni situazione di coesistenza inter-etnica si sconta, in principio, una mancanza di conoscenza reciproca, di rapporti, di familiarità”. Per questo hanno un ruolo estremamente importante “persone, gruppi, istituzioni che si collochino consapevolmente ai confini tra le comunità conviventi e coltivino in tutti i modi la conoscenza, il dialogo, la cooperazione”. Alex Langer scriveva queste cose, che possono apparire ovvie (ma non lo sono affatto), nell’Alto Adige di oltre 25 anni, mentre a poche centinaia di chilometri, nei Balcani, divampavano guerre sanguinose a matrice etnica. Nulla è facile. Le attività comuni richiedono “una tenace e delicata opera di sensibilizzazione, di mediazione e di familiarizzazione, che va sviluppata con cura e credibilità”. Fondamentale è che qualcuno, nelle società plurietniche, “si dedichi all’esplorazione ed al superamento dei confini: attività che magari in situazioni di tensione e conflitto assomiglierà al contrabbando, ma è decisiva per ammorbidire le rigidità, relativizzare le frontiere, favorire l’inter-azione”. “In ogni comunità etnica”, concludeva Langer i suoi pensieri, si devono valorizzare “le persone e le forze capaci di autocritica, verso la propria comunità: veri e propri ‘traditori della compattezza etnica’, che però non si devono mai trasformare in transfughi, se vogliono mantenere le radici e restare credibili”.
Autore: Paolo Bill Valente