In un suo discorso ai giovani nel lontano 1936, Josef Mayr-Nusser si chiedeva come fosse possibile che in Europa si sviluppasse una fede cieca nei leader – nel suo caso Hitler e Mussolini – mentre si era “in un’epoca piena delle più straordinarie realizzazioni dello spirito umano in tutti i campi della scienza e della tecnica”.
Il giovane Pepi Nusser contrapponeva la scienza all’ideologia e all’irrazionalità del culto del capo e delle liturgie dove il singolo individuo e la sua personalità si perdono nell’anonimità della massa. Mentre ricorre il 77mo l’anniversario del “no” di Mayr-Nusser al giuramento a Hitler (4 ottobre 1944), le sue riflessioni restano di estrema attualità. Anche noi viviamo in un’epoca di disorientamento, sempre in balia dell’irrazionalità delle emozioni, circondati da relazioni fasulle, virtuali, che a lungo andare aumentano il senso di estraneità e di solitudine.
“Intorno a noi c’è il buio”, scriveva il nostro conterraneo all’inizio del 1938. “Il buio della miscredenza, dell’indifferenza, del disprezzo, forse della persecuzione”. La testimonianza personale, per Josef, si rende necessaria perché il buio possa essere inondato di luce. “Dare testimonianza oggi è la nostra unica arma, la più efficace”.
Sul come dare testimonianza in un’epoca tragica come quella delle grandi dittature, si discute da decenni. Si tratta sempre e comunque di assumersi delle responsabilità. Di fare delle scelte non per sé stessi ma nell’ottica del bene comune.
Mayr-Nusser, il testimone, lui non ha soluzioni facili. Sa della complessità di un tempo in cui “due mondi si stanno scontrando”. Riflette: “Non si tratta, dapprincipio, di essere testimoni attraverso la parola, nemmeno attraverso l’azione. Spesso può essere più opportuno tacere; spesso anche la migliore azione può essere distorta. Ma sempre dobbiamo essere testimoni. Esserlo con semplicità e senza pretese. Ecco la più grande testimonianza!”
Autore: Paolo Bill Valente