Il virus ci ha mostrato la nostra indole violenta

La guerra è lontana da noi, ma la violenza che fa esplodere i conflitti, anche i più irrazionali, è molto vicina. L’odio che produce violenza e si nutre di essa è nascosto nelle pieghe del nostro modo di comunicare e di relazionarci. La pandemia con i suoi effetti sulla psiche ha dato libero sfogo all’odiatore che si cela in ciascuno di noi.

Il virus, di cui la settimana scorsa abbiamo ricordato le vittime, non ha prodotto solo conseguenze sul fisico ma, come si è visto già all’epoca del primo lockdown, anche nell’anima delle persone. Non si tratta solo della reclusione forzata della primavera del 2020, delle quarantene, delle mascherine che rallentano il respiro. Non è nemmeno solo la conflittualità indotta dal dissenso (di pochi, tutto sommato) nei confronti delle regole e dell’obbligo vaccinale.
Il virus ha intaccato l’anima di diverse persone. Non sappiamo come e perché. Forse avevano una particolare predisposizione. Oppure stavano nascondendo la loro vera indole. Ma vediamo tutti i giorni comportamenti che non si spiegano. Persone apparentemente equilibrate e per bene che perdono il senso della misura e si lasciano andare ad atti inconsulti. Spesso violenti.
Una violenza che a volte si riversa sulla rete, dove l’odio è quanto mai di casa. Qualche giorno fa è stata presentata una campagna contro l’odio in rete dal titolo “://Digitale è reale/”. A promuoverla le istituzioni provinciali e le organizzazioni della società civile. Da giorni alle pensiline dei bus e sui media locali si vedono visi di persone coperti per metà da un’emoticon con la stessa espressione del loro volto. Un modo, è stato spiegato, “per suggerire che dietro il mondo digitale ci sono persone e sentimenti reali”.
Secondo la ricercatrice universitaria Alexandra Cosima Budabin “occorre identificare i contesti d’odio, analizzare come esso si manifesta e studiare come sia possibile interrompere queste spirali, oltre a collaborare per costruire un fronte comune contro l’odio e creare luoghi sicuri anche in rete”.
In tutto forse può essere utile la convinzione che il bene, nel virtuale e nel reale, è più forte del male, anche se spesso si vede meno e fa meno rumore.

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