All’inizio di aprile del 1998 fu rimossa per sempre la sbarra collocata al valico del Brennero quasi ottant’anni prima. È trascorso un quarto di secolo. Quel passo fu reso possibile dall’attuazione degli accordi di Schengen, con l’apertura delle frontiere tra i paesi firmatari, nella prospettiva dell’unificazione e integrazione europea.
Gli attuali presidenti di Nord e Sudtirolo e i loro predecessori di allora si sono dati appuntamento sullo spartiacque, il primo di aprile, per una rimpatriata celebrativa della ricorrenza. Sembra che venticinque anni fa si sia trattato essenzialmente di “rendere più invisibile l’ingiusto confine del Brennero”. E di dilatare la collaborazione transfrontaliera tra i territori del vecchio Tirolo. Tutto vero.
Ma gli accordi di Schengen non si limitano alla regione stretta tra Borghetto e Kufstein. Il superamento delle frontiere riguarda l’Europa intera, con tutte le sue sfide cui il Tirolo, terra di confine, anzi terra sul confine, è chiamato a contribuire. Ricordando sempre che questa regione è nata proprio a causa del confine (geografico) con il compito, la missione, di garantire una comunicazione sicura tra Nord e Sud dell’Europa. Non solo tra Bolzano e Innsbruck.
Forse da tener pure presente che la rimozione della sbarra sul passo non è stata sufficiente a cancellare i confini tracciati nelle teste.
Le divisioni interne, soprattutto in Alto Adige, non sono certamente svanite. Per molti versi si sono consolidate, come dimostra il disorientamento che ci prende ogni volta che si vanno a toccare certi nervi scoperti, come quelli della lingua e della scuola.
Il modello altoatesino sviluppatosi negli ultimi trent’anni non è forse fondato su confini invisibili (e ingiusti?) tra le persone, tra i gruppi, su monopoli e rapporti ancillari, su cooptazioni e ostracismi, frontiere mentali e culturali tracciate secondo le vecchie categorie dell’epoca nazionalistica?
Si aggiunga, per dirla tutta, che i vecchi confini interni tra stati europei non sono svaniti nel nulla (e ogni tanto, ad esempio nella crisi migratoria del 2015, vengono persino ripristinati), ma sono stati solo spostati ai margini di quella che si vorrebbe una “fortezza europea”, come ben sanno i migranti che, quando hanno fortuna, approdano distrutti sulle nostre spiagge. Quello non è un confine linguistico né politico. È il confine (ingiusto?) tra il mondo dei ricchi e il mondo dei poveri.
Autore: Paolo Bill Valente