La libertà di espressione è riconosciuta e tutelata dalla Costituzione: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Ma c’è qualcosa che vale più di questo diritto. La verità dei fatti, ad esempio. E soprattutto: la dignità della persona.
Con una sentenza pubblicata pochi giorni fa la Corte di Cassazione ha confermato che “il diritto alla libera manifestazione del pensiero … non può essere ritenuto equivalente, o addirittura prevalente, sul fondamentale principio del rispetto della dignità personale degli individui”. Il caso si riferisce al ricorso di un partito politico che aveva definito “clandestini” le persone richiedenti protezione internazionale. Espressione falsa, discriminatoria e diffamatoria.
La libertà di espressione è un diritto fondamentale conquistato col sangue. Proprio per questo va trattato con alto senso di responsabilità. Ci sono almeno tre modi per offendere la libertà di espressione.
Il primo è quello di negarla. Ciò avviene nei sistemi totalitari, nelle dittature, dove esprimere la propria opinione, ma anche solo fare onestamente il lavoro di giornalista, porta a conseguenze penali, a persecuzioni e persino alla morte.
Il secondo modo consiste nell’abusare di questo diritto. Ciò accade quando si ritiene di poter dire qualsiasi cosa, senza prima verificare che si tratti della verità (o sapendo che non lo è). Un conto sono le opinioni, altro l’uso distorto dei fatti raccontati in modo falso e tendenzioso. Oppure la pratica, sempre subdola, delle mezze verità per screditare qualcuno, per distruggerlo, per guadagnare voti o lettori.
Il terzo modo, infine, è quello di farsi scudo proprio dell’articolo 21 per dire “liberamente” bugie, mezze verità, allo scopo di diffamare il prossimo. Questa pratica, data la sacralità del diritto di espressione, equivale a una bestemmia. La “libertà” di dire qualsiasi cosa non è libertà, ma arbitrio, abuso, violenza, reato.
Autore: Paolo Bill Valente