La Repubblica italiana, per quanto “una e indivisibile”, “promuove le autonomie locali”. La Costituzione assegna particolari forme di autonomia a cinque Regioni e due Province, tra cui l’Alto Adige, ma prevede che anche le altre Regioni possano sviluppare “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”.
L’attribuzione di queste “ulteriori forme” di autonomia segue una procedura definita dall’art. 116 della Carta. Serve una legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, “la legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”. L’autonomia regionale che ne esce non può dunque che essere particolare, cioè tipica per quella Regione. In altri termini “differenziata”.
La via dell’autonomia non è un’opzione tra tante. Essa è parte dei principi fondamentali della Repubblica che (art. 5) “riconosce e promuove le autonomie locali” e “attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo”. Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni sono definiti (art. 114) “enti autonomi” con “poteri e funzioni secondo i principî fissati dalla Costituzione” i quali (art. 118) “favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.
Riassumendo. L’autonomia non è un’idea balzana della Lega o di qualche altra forza politica, ma è stata introdotta nella Costituzione dai Padri costituenti e sviluppata in seguito dal Parlamento. Essa riguarda enti e cittadini. L’autonomia in quanto tale non deve far paura. Ma i timori nei confronti di una deriva dell’autonomia “differenziata” (tanto più se alimentata da elementi ideologici o elettoralistici) possono essere giustificati.
L’autonomia, infatti, è virtuosa solo in presenza di una cultura politica fatta di alcuni elementi necessari. Il primo è l’orientamento al bene comune. L’autonomia non deve servire a favorire un gruppo (linguistico, economico, di potere …), un territorio, una popolazione, a prescindere dal resto del mondo. Essa deve essere orientata al bene comune e vincolata ai doveri (inderogabili) di solidarietà (art. 2).
Poi il senso delle istituzioni. Se permane l’idea che Stato e cittadino si debbano fare le scarpe l’uno con l’altro, l’autonomia diventa un escamotage o un trucco per tirare al proprio mulino più acqua possibile.
Infine, il principio di sussidiarietà. Ognuno deve poter fare tutto ciò che sa e può fare, demandando ai livelli superiori solo ciò che richiede necessariamente il loro intervento. Ma questo significa in primo luogo essere responsabili. Fare per primi la propria parte. Essere convinti che la politica è l’arte della costruzione – ognuno il suo pezzetto – del bene comune, ovvero del bene di tutti e di ciascuno.
Autore: Paolo Bill Valente