Le Dolomiti sono il luogo della felice contraddizione. Monti fatti di mare e conchiglie. Colori cangianti. Sguardo aperto a diversi orizzonti. Una lingua che si articola in più parlate. Apparente anomalia nella narrazione del monolite tirolese. Tanto che per raccontarla servono saghe di re e principesse, di nani e di rose.
Tutti sanno che i colori chiari dei Monti Pallidi sono frutto dell’azione dei salvani, che raccolsero raggi di luce lunare, ne fecero un tessuto col quale rivestirono le cupe rocce. Perché lo fecero? Per consentire alla principessa della Luna, sposa del figlio del re, di scendere sulla terra senza soccombere ai toni ombrosi e bui dei graniti alpini. È altresì noto che al crepuscolo i Monti Pallidi si tingono per qualche minuto di rosa. Sono i fiori di re Laurino. Il giardino delle rose pietrificate (Rosengarten) torna a risplendere, per un istante, a ricordare giorno per giorno le cose antiche, la magnificenza e la bellezza di questi anni. I tempi in cui la principessa Dolasilla, figlia del re dei Fanes, combatteva con frecce ricavate dal canneto del lago d’Argento, finché i Fanes non si ritirarono nelle caverne con le loro marmotte, in attesa di giorni migliori.
Miti e leggende sono solo miti e leggende, ma custodiscono in sé qualcosa che rivela l’intreccio tra popoli, persone, animali, territori, rocce, alberi e fiori. I ladini stessi sono una presenza culturale che sa di leggenda, nel cuore di una terra e di una storia che non hanno mai saputo bene dove collocarli. Il tentativo di reprimerne la specificità è in qualche modo rappresentato dalla statua di re Laurino soggiogato da Teodorico, esposta come un monito, o un trofeo, nella piazza del Potere, a Bolzano.
Le leggende ladine saranno candidate a patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. Il professor Pier Luigi Petrillo, che ha il compito di seguire l’iter, conferma che si tratta di elementi vivi, vissuti come preziosa eredità dalla gente dolomitica, capaci di agire in termini di cultura, di valori e di rapporto col territorio. Una consapevolezza che “ha bisogno di essere portata alla luce”.
In un mondo in cui tutto è ricondotto alla materia e al caso, è bello poter riconoscere l’anima, culturale, come un patrimonio comune, insostituibile, perché capace di dare vita, senso – e colore – alla materia.
Autore: Paolo Bill Valente