Genocidio e antisemitismo. Onestà nelle parole e nei fatti

Sentiamo tutti i giorni termini come genocidio e antisemitismo. Raramente sono usati a ragion veduta. Più spesso sono parole pronunciate senza aver riflettuto sul loro significato e senza conoscere la storia. A volte se ne fa uso manipolatorio, magari proprio per nascondere le proprie tendenze antisemite o genocide.

Il problema nasce già dalle definizioni perché, quando si vuole confondere le acque, il fumo è sempre più utile dell’aria tersa. Non avere definizioni condivise conduce a considerare sinonimi termini come ebreo, sionista, israeliano (l’utilizzo dell’espressione “Stato ebraico” per Israele certamente non aiuta). O di considerare una guerra un atto di genocidio in sé in quanto essa si ripercuote contro “un popolo” o “un gruppo”. Dal momento poi che il concetto di genocidio entrò nel linguaggio del diritto internazionale soprattutto dopo la Shoa, è invalso l’uso perverso di associare “gli ebrei” (non solo il governo israeliano, ma “gli ebrei” tout court) a una certa idea di genocidio, così come avvenuto recentemente con la profanazione delle pietre d’inciampo.

Secondo la definizione operativa dell’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance), non da tutti condivisa, ma adottata da diversi governi, “l’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio nei loro confronti. Le manifestazioni retoriche e fisiche di antisemitismo sono dirette verso le persone ebree, o non ebree, e/o la loro proprietà, le istituzioni delle comunità ebraiche e i loro luoghi di culto”.

In base alla “Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio” del 1948, “per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale: a) uccisione di membri del gruppo [in quanto membri di quel gruppo]; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro”.

Premesso che ogni Stato e ogni “gruppo” hanno il diritto di difendersi, se attaccati, e che ognuno ha il diritto di esprimere le sue critiche rispetto ai modi con cui uno Stato o un “gruppo” si difendono, denunciando eventuali abusi, antisemitismo e genocidi sono crimini contro l’umanità. È dovere della comunità internazionale e delle sue istituzioni verificare seriamente se e dove ci siano manifestazioni degli stessi. Se ci sono, si deve intervenire, non solo fare proclami. Se non ci sono, si chiamino le cose col loro nome, perché la pace e la riconciliazione sono figlie della verità (e dell’onestà intellettuale).

Autore: Paolo Bill Valente

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