Una delle conseguenze del drammatico conflitto in Israele e Palestina è il riemergere di atteggiamenti antisemiti. Azioni e pensieri contro gli ebrei – identificati tout court con uno Stato e un governo – vengono giustificati dalla violenta reazione di Israele al violento attacco sferrato lo scorso 7 di ottobre.
La guerra scatenata da Hamas è oggi circondata dalle stesse forme di disinformazione, mistificazione, strumentalizzazione e populismo emozionale che nella storia hanno caratterizzato il propagarsi dell’odio antiebraico. Un fenomeno millenario rispetto al quale la cultura occidentale non è stata ancora capace di dire la parola “fine”.
Migliaia di vittime civili innocenti, centinaia di migliaia di profughi palestinesi e israeliani, ostaggi di ogni età pagano il prezzo, ancora una volta, di dinamiche di potere malate, frutto di sistemi coloniali e postcoloniali, dei nuovi imperialismi, di un’economia e di una politica che uccidono, quando antepongono il profitto e il potere alla dignità umana.
Gli ebrei, anche da parte di illustri uomini di Chiesa, furono considerati per secoli indegni di abitare un proprio Paese, essendo essi il “popolo deicida” costretto per questo ad andare “ramingo per il mondo, incapace di trovare la pace di una patria” (Agostino Gemelli, 1939).
Nell’autunno di 85 anni fa il Regno d’Italia approvava quelle “leggi razziali” che, tra i provvedimenti attuati, vide l’espulsione dal territorio nazionale degli “ebrei stranieri”, spesso famiglie fuggite da territori nei quali erano brutalmente perseguitate. A seguito di queste misure la fiorente comunità ebraica di Merano fu ridotta al lumicino.
Il Manifesto della razza (luglio 1938) affermava (art. 9) che “gli ebrei non appartengono alla razza italiana” e che essi “rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli italiani”.
La cacciata degli ebrei da ogni territorio – fino alla soluzione finale attuata nella Shoà – è il principale motivo per cui nel 1948 nacque lo Stato di Israele. Una vittoria che è al tempo stesso la tragica sconfitta dell’idea di fratellanza umana. Certamente non la guarigione definitiva di una patologia che non ha radici in Palestina/Israele, ma (soprattutto) altrove.
Autore: Paolo Bill Valente