Chiunque ha commesso abusi (di potere innanzitutto) deve essere chiamato a risponderne e per quanto possibile a risarcire le vittime. Mentre è in vita, non da morto. I morti non si possono difendere e la difesa è un diritto inviolabile. Essere in pace con se stessi per accompagnare, nella pace vera, vivi e morti.
Pochi giorni fa nel comunicato per il decesso di un sacerdote, la diocesi ha deciso di mettere in evidenza che “nel suo servizio nella pastorale giovanile vi sono state anche zone d’ombra: con la sua condotta travalicante ha ferito giovani persone”. Un atto di “trasparenza”, è stato detto.
Si è spiegato che d’ora in poi quando ci saranno state “segnalazioni” se ne darà comunicazione. Ma il generico accenno a “zone d’ombra” e a “condotte travalicanti” è davvero una parola chiara e trasparente? O non è forse il suo contrario? Trasparenza è dare informazioni in modo completo e congruo. Sono stati commessi dei reati? Sono stati presi dei provvedimenti disciplinari? I superiori sono intervenuti per tempo e in modo adeguato? Le vittime sono state accompagnate e risarcite? Formulata così quella frase è solo un giudizio sommario, senza possibilità di appello. Ma soprattutto: il comunicato di un decesso non è una sentenza (che spetta a un giudice) né il giudizio sulla vita di un uomo (che spetta al Padreterno).
Mettere alla gogna una persona appena morta scolpendo parole di biasimo nel marmo del suo epitaffio è una scelta della cui valenza pastorale (e giuridica) si può dubitare. Assomiglia troppo a una diffamazione (postuma). Sa poco di verità. Non se ne capisce davvero il senso, proprio nell’ottica della dignità delle persone, anche quelle ferite. Un cadavere non si può difendere né può chiedere perdono. L’eccesso di zelo nel trattamento di un abuso rischia di trasformarsi a sua volta in abuso. Diritto e diritti non si possono separare. Punire qualcuno per dare un messaggio ad altri appartiene a culture giuridiche non compatibili con la tradizione cristiana.
Che cosa leggeremo nel prossimo necrologio? Che quel parroco ha tenuto male i conti della parrocchia o non ha pagato le tasse? Che non è stato un bravo padre? Che a volte è venuto meno ai propri voti? Che si è servito di un ruolo di potere? Che ha raccontato qualche bugia? Che ha usato un linguaggio non rispettoso di gruppi minoritari? Anche in questi casi ci sono condotte travalicanti, zone d’ombra, abusi e persone ferite.
Non sono sicuro che noi che scriviamo i comunicati siamo tutti davvero senza macchia. Con quale autorità (e autorevolezza) evidenziamo le ombre della vita di una persona, proprio nel giorno in cui essa si presenta al tribunale di Dio? “Chi di voi è senza peccato”, direbbe quel Giudice rivolgendosi al pubblico in aula, “scagli la prima pietra”. Requiescant in pace.
Autore: Paolo Bill Valente