Don Flavio Debertol si è spento mentre a Trieste si teneva la 50ma Settimana sociale dei cattolici in Italia. Avrebbe voluto essere lì anche lui, come aveva sempre fatto. Per dare il suo contributo, ma soprattutto per ascoltare. Per partecipare. Proprio la partecipazione, a Trieste, diventa il “cuore della democrazia”.
“Occorre attenzione per evitare di commettere l’errore di confondere il parteggiare con il partecipare”, ha detto il presidente Sergio Mattarella nell’introdurre la Settimana sociale. Per “affrontare il disagio, il deficit democratico” è necessario ripartire ogni volta “dalla capacità di inverare il principio di eguaglianza, da cui trova origine una partecipazione consapevole. Perché ciascuno sappia di essere protagonista della storia”.
“Uno Stato non è veramente democratico”, gli ha fatto eco papa Francesco nel discorso conclusivo, “se non è al servizio dell’uomo, se non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l’autonomia della persona umana, se non è rispettoso di quelle formazioni sociali nelle quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali essa integra la propria personalità”.
Don Flavio Debertol si è spento a Bolzano mentre a Trieste risuonavano queste parole. Oltre a decenni di collaborazione in parrocchia, aveva promosso davvero lo sviluppo delle “formazioni sociali”, mettendo in particolare il lavoro al centro della propria azione. Egli stesso aveva scelto di esercitare, da prete, un lavoro “laico” (nel settore sanitario), si era impegnato nel sindacato, era assistente di ACLI e UCID ed era stato responsabile diocesano per la Pastorale Sociale e il Lavoro. Cappellano o assistente anche degli scout dell’AGESCI, della Polizia di Stato, del MASCI, dei Maestri del Lavoro e delle FS per l’Alto Adige.
“Quello che ho sempre cercato di fare”, disse don Flavio, “è stare insieme alla gente per testimoniare il dono della fede, pur con i miei difetti e presunzioni”. Convinto che l’amore (di cui Dio è la fonte) “sia una risorsa straordinaria per dare senso e pace alla vita di ogni persona, in qualsiasi luogo e situazione esistenziale essa si trovi”, “sento in me una grande spinta per promuovere la pace, la giustizia, la solidarietà nel mondo e per questi valori cerco, nel mio piccolo e per quanto riesco, di impegnarmi a livello locale e non solo”. Una vita spesa, come per molti dei delegati di Trieste, per rendere la chiesa “più evangelica e in ascolto delle sfide attuali”. O, come direbbe da capo scout, “un po’ migliore di come l’abbiamo trovata”. Buona strada don Flavio.
Autore: Paolo Bill Valente