Il sistema scolastico di un Paese democratico è specchio della realtà, espressione di storia, cultura e tradizione. D’altro lato è il luogo dove si seminano parole, valori e visioni che domani – ma in parte già oggi – producono i cambiamenti necessari in una società dinamica, attenta ai bisogni e ai sogni delle persone.
Da quando, alla fine del ‘700, nel Tirolo fu introdotto l’obbligo scolastico, nei territori dell’Austria multietnica si pose il tema della lingua d’insegnamento. Soprattutto nelle zone di confine sorsero conflitti che portarono, nel secolo successivo, allo sviluppo dei nazionalismi. Il fascismo agì, come sappiamo, nell’alveo di quel paradigma politico-culturale. Solo per dire che scuola e nazionalismi/etnocentrismi hanno qualche conto in sospeso.
L’accordo di Parigi del 1946 (art. 1) prevede per i “cittadini di lingua tedesca”, “l’insegnamento primario e secondario nella loro lingua materna”. La Costituzione repubblicana dichiara (art. 6) di voler tutelare “con apposite norme le minoranze linguistiche”. Lo Statuto di autonomia recita all’art. 19: “Nella provincia di Bolzano l’insegnamento nelle scuole materne, elementari e secondarie è impartito nella lingua materna italiana o tedesca degli alunni da docenti per i quali tale lingua sia ugualmente quella materna”. L’articolo 19 è molto chiaro, ma parla di un mondo che non c’è. Già nel 1972 si dava il caso di alunni figli di famiglie miste. Oggi sono molti di più. Nel 2024 (e da decenni) le nostre scuole sono frequentate da bambini, bambine e giovani la cui lingua materna non è il tedesco né l’italiano (prescindiamo qui dalla questione ladina). L’articolo 19 nella sua formulazione non è dunque applicabile se non mettendo alla porta gli alunni di altra madrelingua. Il che, purtroppo, non è “fantascuola”.
Come mai dopo decenni, con tutta l’esperienza disponibile, l’Alto Adige non ha ancora sviluppato un sistema capace di rafforzare i ragazzi nella propria lingua e di dare loro una conoscenza effettiva della seconda lingua? È come se una certa politica avesse paura di un bilinguismo effettivo, perché la lingua rende liberi e abilita alla partecipazione. “È solo la lingua che ci fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui” (don Lorenzo Milani).
L’Alto Adige (con l’Eurac, l’Università e altre istituzioni) ha tutti i numeri e dunque il dovere di elaborare sistemi e metodi che diano ai futuri cittadini un plurilinguismo effettivo da spendere in provincia, in Europa e nel mondo. A tutti, senza anacronistiche riserve e pericolose discriminazioni.
Autore: Paolo Bill Valente