Sono i giorni in cui si ricordano le persone che se ne sono andate. Le giornate si fanno brevi e ci si riscopre tutti “come d’autunno sugli alberi le foglie”. Ma non è ancora giunto l’inverno e la stagione offre, pur nella malinconia, meravigliosi colori e profumi che parlano di speranza. Di vita malgrado la morte.
Fin dai tempi più antichi l’essere umano, di fronte all’esperienza della morte, si è posto la domanda sul senso della vita. Tutte le culture hanno elaborato risposte, accomunate dalla persuasione che ogni vita non svanisce nel nulla quando arriva al capolinea, ma ha un prima e ha un dopo.
I nostri progenitori svilupparono il culto degli antenati, fondato sull’idea che chi ha vissuto pienamente la propria vita, chi ci ha generato fisicamente o spiritualmente, sta continuando il suo percorso altrove e non si è dimenticato di noi. Una pratica ancora oggi presente in diverse religioni tradizionali, ad esempio dell’Africa.
È innata nell’essere umano l’idea della continuità della vita, ovvero la fiducia nel fatto che le cose importanti non smettono di esserci. Così come la convinzione che, in ultima analisi, siamo chiamati solo a essere felici.
Quando, sulla via cristiana, si incontra l’espressione “vita eterna”, è proprio della felicità che si parla.
Nella sua bolla per il Giubileo della speranza, che si aprirà a Natale, papa Francesco se lo chiede: “Cosa sarà dunque di noi dopo la morte?” Se è vero che “al di là di questa soglia c’è la vita eterna”, la pienezza di vita in altro non consiste se non nell’“essere felici”. Perché “la felicità è la vocazione dell’essere umano, un traguardo che riguarda tutti”.
“Ma che cos’è la felicità? Quale felicità attendiamo e desideriamo? Non un’allegria passeggera, una soddisfazione effimera che, una volta raggiunta, chiede ancora e sempre di più, in una spirale di avidità in cui l’animo umano non è mai sazio, ma sempre più vuoto. Abbiamo bisogno di una felicità che si compia definitivamente in quello che ci realizza, ovvero nell’amore, così da poter dire, già ora: «Sono amato, dunque esisto»”.
Autore: Paolo Bill Valente