La convivenza tra i gruppi è un tema? Sì. E un tabù.

L’Istituto provinciale di statistica (ASTAT) ha creato quest’anno un “panel probabilistico” dal titolo “Così pensa l’Alto Adige”, per rispondere “alle esigenze di un’informazione rapida su diverse tematiche, mantenendola affidabile e imparziale”. Dalla rilevazione dello scorso febbraio emergono considerazioni interessanti.

I risultati sono stati pubblicati la settimana scorsa in un documento dal titolo “Priorità politiche e coesione sociale”. Lo studio affronta le questioni da diversi punti di vista. Cerca di misurare la soddisfazione dei cittadini nei confronti dei servizi e la fiducia nelle istituzioni e nelle persone con compiti di interesse comune. Con numeri che devono far riflettere.
Merita considerazione l’elenco dei temi che le persone considerano importanti. Ai primi posti troviamo la salute, l’ambiente e i cambiamenti climatici, il sistema pensionistico, l’istruzione, le disuguaglianze sociali e il traffico. La sicurezza, tema molto gettonato negli anni passati, è oggi solo al settimo posto.
Un’attenzione particolare va data al fatto che oltre due terzi dei cittadini considerino la convivenza etnica un tema molto o abbastanza importante. Tra tutti gli intervistati solo il 6 per cento sostiene che la convivenza tra i gruppi linguistici non sia una questione di rilievo. Il 47 per cento ritiene che “per questo in Alto Adige si è già fatto molto”, il 40 per cento è convinto che “su questo la politica locale dovrebbe impegnarsi maggiormente” e il 7 per cento pensa che il tema c’è ma va affrontato a livello nazionale o internazionale.
Questi dati stonano non poco con il fatto che questa dimensione – le relazioni tra gruppi, lingue e culture – sia quasi scomparsa dall’agenda delle istituzioni che organizzano e animano la vita della popolazione altoatesina. In certi casi la “questione etnica” è vissuta come un tabù, è perciò negata con stizza e chi la solleva considerato un turbatore dell’ordine costituito.
Naturalmente non c’è nulla di più efficace per coltivare (e un domani far scoppiare) una bomba che negarne l’esistenza.

Autore: Paolo Bill Valente

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