“Il mondo ingiusto l’hanno da raddrizzare i poveri e lo raddrizzeranno solo quando l’avranno giudicato e condannato con mente aperta e sveglia come la può avere solo un povero che è stato a scuola”. Lo scriveva don Lorenzo Milani negli anni ‘50. Ma “i poveri”, oggi, negli anni ’20 del terzo millennio, ci vanno a scuola?
Dal rapporto statistico presentato questa settimana a Roma da Caritas Italiana risulta che i due terzi (65,9 per cento) delle persone che si rivolgono a un Centro d’ascolto in cerca di aiuto non sono andati oltre la terza media. Un dato analogo (62,4) vale per le diocesi del Nordest, cui appartiene l’Alto Adige. Se qui aumenta la quota dei “laureati poveri” è perché si tratta di cittadini stranieri che non riescono a far valere il proprio titolo di studio.
Ciò che emerge da questi numeri è una correlazione tra “povertà” e livello di istruzione. La mancata scolarizzazione, la cosiddetta povertà educativa – definita come “la privazione da parte dei bambini, delle bambine e degli/delle adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni” – causa impoverimento.
Don Milani metteva in guardia già tanti anni fa: “Una scuola che seleziona distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo d’espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose”. E i ragazzi di Barbiana, nella loro Lettera a una professoressa, scrivevano: “Se si perde loro (gli ultimi) la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.
L’Agenda 2030, che ha come primo obiettivo di “porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo”, al punto numero 4 vuole garantire “un’educazione di qualità, inclusiva, equa, e promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti”, poiché “un’istruzione di qualità è la base per migliorare la vita delle persone e raggiungere lo sviluppo sostenibile”.
Le due cose – buona scuola e buona vita – sono strettamente legate. Ammoniva don Lorenzo: “Quando avete buttato nel mondo d’oggi un ragazzo senza istruzione avete buttato in cielo un passerotto senza ali”.
Autore: Paolo Bill Valente