Darsi il giusto valore

Tanti anni fa si è ripromesso di non smettere mai con il rap. Si ritrova quindi ad essere un rapper di mezza età con ancora tanta passione, entusiasmo e con poco tempo per fare tutto quello che vorrebbe fare. Fa parte di quella cerchia di 3 o 4 persone a Bolzano che hanno contribuito in maniera importante a creare una scena hip hop sul territorio, organizzando tantissimi eventi e concerti e pubblicando tantissima musica.

La cosa di me che mi piace di più.

Sono una persona educata.

Il mio principale difetto.

Tendo a parlare troppo. In passato sapevo ascoltare di più. Ci sto lavorando.

Il mio momento più felice.

La nascita delle mie figlie.

Da bambino sognavo di diventare..

Un pilota di aerei militari.

La mia occupazione preferita.

Fare freestyle (improvvisare rap in rima sulla musica).

Il mio piatto preferito.

La pizza.

Non sopporto…

I bambini, quando sono maleducati (e di conseguenza i loro genitori).

Sono stato orgoglioso di me stesso quella volta  che…

Ho saputo gestire e metabolizzare una brutta situazione personale.

L’ultima volta che ho perso la calma.

Non me la ricordo. La perdo raramente.

La prima cosa che faccio al mattino.

Sveglio mia moglie, le mie figlie e poi vado in bagno.

Il mio film preferito.

A Brox tale.

Il superpotere che vorrei avere.

Non dover dormire.

La disgrazia più grande.

La morte di Fabio, uno dei miei più cari amici. Oltre ad avermi insegnato a fare rap, la sua storia mi ha insegnato altre cose molto più importanti.

La cosa che apprezzo di più del luogo in cui vivo. 

La convivenza italiani-tedeschi. Sono da sempre un sudtirolese italiano molto orgoglioso.

Amo il mio lavoro perché…

Difficilmente mi annoio, conosco molte persone interessanti e ho un bellissimo rapporto con colleghi e colleghe.

L’errore che non rifarei.

Essere troppo autocritico. Con molte difficoltà ho imparato ad esserlo di meno. Sto provando a insegnare alle mie figlie a darsi il giusto valore.

Il mio motto.

C’è di peggio.

La massima stravaganza della mia vita.

Non sono stravagante di natura. Forse il fatto di fare ancora rap a 41 anni. Percepisco che per molte persone sia una cosa strana.

Del mio aspetto non mi piacciono…

I capelli bianchi. Mi invecchiano più del dovuto.

Fare quello che non c’è

Qui Intervista a Sergio Camin. Nato nel 1950 a Bolzano, vive e lavora a Ville di Fiemme, Varena (TN), e cerca da più di cinquant’anni di far convivere l’attività pittorica e grafica con la progettazione di luoghi narrativi e di interventi d’arte pubblica e di comunicazione sociale. Iscritto all’ordine dei giornalisti, ha collaborato con giornali e riviste, sua la rubrica “Visti dal Basso” sul quotidiano Alto Adige.

La cosa di me che mi piace di più.

Probabilmente, se me lo fossi chiesto qualche anno fa, avrei risposto la speranza. Adesso c’è molto meno, ma, mai aver paura delle contraddizioni. Mi è rimasta una cosa un po’ diversa che potremmo chiamare entusiasmo, nel senso che non spero, ma ci provo.

Il mio principale difetto.

Beh, sicuramente l’entusiasmo.

Il mio momento più felice.

Svegliarmi la mattina e ritrovare Claudia, un rapporto senza recite, senza finzioni e quella cosa straordinaria che è il sentirsi interi, completati.

Da bambino sognavo di diventare…

Io da bambino non ho mai sognato di diventare, da bambino ero di volta in volta indiano, cowboy, guerriero e non a caso si diceva “facciamo che io ero…”

La mia occupazione preferita.

Il mio lavoro, l’artista, e la cosa è un po’ complessa da far capire agli altri. La prima volta mi è successo a 26 anni, all’inaugurazione di una mia mostra a Mantova. La signora elegante aveva una faccia seria e mi chiese “Belli, ma di lavoro lei che cosa fa?”. Ecco: questo facevo e faccio.

Il luogo dove vorrei vivere.

Quello dove vivo, un paese piccolo con i boschi. Il turista vado a farlo in città.

Sono stato orgoglioso di me stesso quella volta che…

È successo raramente, ma ricordo l’ultima. Fila in autostrada, immobili, dietro di me una Ford grigia, 20 minuti, sempre immobili, tutti meno la Ford che mi tampona con forza. Sono uscito dalla macchina e mi sono limitato a chiedergli “Perché?”.

Tre aggettivi per definirmi.

Basso, vecchio e curioso.

Amo il mio lavoro perché…

È pensare e fare quello che non c’è, il comunque possibile o forse perché è soltanto un altro modo di raccontare.

L’ultima volta che ho pianto.

Ieri, pensando a un amico che non c’è più. Credo che piangere faccia bene, che ci aiuti quanto il ridere o l’urlare, per le emozioni non bastano solo le parole.

L’oggetto a cui sono più legato.

È un cavalletto, pesante, professionale, l’ho ancora in studio, un regalo di mio padre ai miei vent’anni. Non aveva molti soldi mio padre e sicuramente l’aveva pagato tanto, mi disse “Ricordati sempre chi vorresti essere.”

La mia maggiore paura.

Dimenticarmi le parole di mio padre.

Superpotere pazienza

Qui Intervista a Oswald Stimpfl, classe ‘46, nato a San Genesio dove i genitori si sono trasferiti nel periodo della guerra, ed è cresciuto a Bolzano. Escursionista (ancora) instancabile, percorre in lungo e in largo – a piedi, in bici, con gli sci e le pelli di foca, con le racchette da neve – l’Alto Adige e le province limitrofe. Nelle sue guide – ne ha scritte una cinquantina – vuole rendere partecipi i lettori delle sue esperienze, che abbracciano gastronomia, vino, arte, cultura ed escursionismo.

La cosa di me che mi piace di più.

La curiosità.

Il mio momento più felice.

Se la felicità è la somma dei momenti belli, io li sto ancora sommando.

Da bambino sognavo di diventare…

Maestro come mio padre.

La mia occupazione preferita.

Studiare le mappe per pianificare viaggi e gite. E poi sfogliare e leggere libri di storia,

Il luogo dove vorrei vivere.

Sto bene San Genesio presso Bolzano, è il posto migliore per me.

Il mio piatto preferito.

Sono un appassionato di dolci:              tiramisù.

Non sopporto…

Le critiche inguistificate.

Per un giorno vorresti essere…

Una donna, forse così potrei capirle meglio.

Nel mio frigorifero non manca mai…

Il vino rosso locale schiava, mi piace berlo fresco.

Se fossi un animale sarei…

Un rapace, per planare e osservare il mondo dall’alto.

Sono stato orgoglioso di me stesso quella volta che…

Quando ho tenuto tra le mani il primo libro che ho scritto.

Dove mi vedo fra dieci anni.

Vista la mia età, penso in periodi di tempo più brevi.

L’ultima volta che ho perso la calma.

Non voglio ricordarmelo, lo reprimo.

Tre aggettivi per definirmi.

Irrequieto, curioso, socievole.

La prima cosa che faccio al mattino.

Accendere la radio.

Il mio film preferito.

A perfect day di Wenders.

Il superpotere che vorrei avere.

La pazienza.

Il mio sogno ricorrente.

Sto guidando la macchina in discesa e i freni non funzionano.

Il mio ultimo acquisto.

Un’auto elettrica.

Cosa apprezzo di più del luogo in cui vivo?

Il panorama, la vicinanza alla città, i vicini simpatici.

L’errore che non rifarei.

Vendere la Bianchina Cabriolet d’epoca.

Onestà e impulsività


Avrebbe voluto fare il medico ma alla fine si è laureato in scienze politiche e si è dato al giornalismo. In Rai ha ricoperto ruoli al massimo livello, sia sul piano giornalistico che gestionale. Vagabondo e irrequieto, dagli amici è stato definito “l‘uomo più pendolare del mondo“. Divenuto vedovo troppo presto ha poi sposato Elena, piena di vita e di futuro. Vive con lei e la sua Beatrice tra Salò e Ortisei.

La cosa di me che mi piace di più.

Il continuo tentativo di essere  – il più possibile – intellettualmente onesto. E magari non solo intellettualmente.

Il mio principale difetto.

L’impulsività. Anzi no: prendere decisioni senza valutarne le conseguenze a medio-lungo termine. Scusate sono stato impulsivo.

Il capriccio che non mi sono mai tolto.

Devo essere onesto. Me ne sono tolti tanti e non posso proprio lamentarmi. Certo ci sono sempre altri capricci che vorresti toglierti, ma sarebbe davvero un capriccio di troppo.

Il luogo dove vorrei vivere.

La Sardegna. È un vero luogo del cuore. L’unico dove mi sento quasi sempre in pace con me stesso e dove ho vissuto e vivo momenti di grande intensità con gli amici e le persone care e carissime. Anche con chi non c’è più.

Non sopporto…

Arroganti, intolleranti, violenti, superbi senza averne titolo, tirchi, piccoli ras. È scontato ? Ma è così. 

Per un giorno vorrei essere…

Il capo dell’opposizione. Per tentare di spiegare alla medesima che per fare opposizione concreta occorre conoscere il Paese e le sue trasformazioni, abbandonando posizioni arcaiche e ideologiche e piccole ambizioni personali.

Sono stato orgoglioso di me stesso quella volta che…

Quella volta che ho portato allo scoperto e denunciato un affaraccio sporco, da parecchi denari, nella Azienda dove ho lavorato tutta la vita. Ha funzionato, ma poi – sia chiaro – me l’hanno fatta pagare. E tanto. Ma va bene così. 

Tre aggettivi per definirmi.

Curioso, disponibile, presuntuosetto. La nostra Bea, 14 anni, mi definisce “sapientino”.

L’errore che non rifarei.

Dimettermi dalla direzione del Telegiornale. Anzi “dei telegiornali”. Ne dirigevo due contemporaneamente. Alla base c’erano concrete ragioni familiari, ma, ancora una volta, sono stato troppo impulsivo. 

La persona che ammiro di più.

Senza retorica: mio padre Arturo Chiodi, grande giornalista, partigiano cattolico, “uomo libero e coerente” come lo ha definito qualche tempo fa il Presidente Mattarella. 

Banane e… Argentina


E’ nato a Bolzano dove ad un certo punto è tornato, dopo aver trascorso infanzia e adolescenza tra Mestre, Milano, Argentina e Sardegna. Da sempre è attivo nel settore della tutela dell’ambiente e ultimamente si occupa di sostenibilità, cercando di intrecciare spunti da discipline diverse come la sociologia, l’economia, la psicologia, per cercare di capire dove i termini della sostenibilità si siano incagliati. 

Il mio principale difetto.

L’insicurezza.

Il mio momento più felice.

L’attesa del Natale quando ero bambino; è un livello di felicità che poi raramente si tocca nella vita.

Da bambino sognavo di diventare…

Un maestro di scuola elementare..

Il capriccio che non mi sono mai tolto.

Tornare in Argentina dove ho trascorso la mia infanzia.

La mia occupazione preferita.

Leggere libri.

Il mio piatto preferito.

Banana, cruda chiaramente.

Non sopporto…

Non riuscire ad avere ragione.

Per un giorno vorrei essere…

Il mio supereroe di quando ero bambino: Paperinik.

Il mio sogno ricorrente.

Non ne ho ma spesso nei miei sogni mi accompagnano cani.

La cosa che apprezzo di più nel luogo in cui vivo.

La facilità con cui si passa dalla città alla natura, e la cura del territorio.

Amo il mio lavoro perché…

No, il mio lavoro non lo amo, lo apprezzo e mi dà soddisfazione ma l’amore è un sentimento che volgo altrove.

L’errore che non rifarei.

Sugli errori che ho fatto ho imparato che “con gli occhi di ieri oggi farei lo stesso”.

La persona che ammiro di più.

Dino Sommadossi direttore del festival Drodesera, della biblioteca di Dro e mio capo durante il servizio civile a Dro.

L’ultima volta che ho pianto.

Piango spesso, quando mi emoziono, davanti a un film o sentendo una poesia, del resto pianse Serse per la sconfitta della sua armata, e Alessandro pianse sulle spoglie dell’amico ucciso. .

Il mio motto.

Più che un motto è un ammonimento: “facevano tutto per il domani, ma il domani non arrivava mai”.

La mia maggiore paura.

Essere abbandonato da tutti..

Se fossi un animale sarei….

Probabilmente uno dei cani da strada che compaiono nei miei sogni

Il mio primo ricordo.

In braccio a mio papà davanti alla vasca che era (ed è ancora li) all’ingresso dell’Alumetal (oggi NOI Techpark).

Sei corde per la vita

Chitarrista, compositore, produttore e insegnante di chitarra, Andreas Unterholzner si è esibito con la band “Underwood” e ha scritto brani originali. Ispirato dalla musica proveniente dal resto del mondo spesso si esibisce da solo. Ha pubblicato un suo album intitolato “Soloworks Vol. I”.

La cosa che mi piace di me.
La voglia di fare ancora un milione di cose.


Il mio momento più felice.
Lo sono i momenti in cui scopro la felicità nella semplicità dell’essere.


La persona che ammiro.
La mia mamma.


Un libro sull’isola deserta.
Le storie del grande fiume di Sauro Tronconi.


La mia occupazione preferita.
La musica.


Il paese dove vorrei vivere.
Sto benissimo in Italia, ma sarebbe bello trascorrere metà dell’anno in paesi sempre diversi e l’altra metà in Italia, in primavera ed estate.


Non sopporto…
Le truffe di ogni tipo.


Per un giorno vorrei essere.
Vicente Amigo, per sapere com’è suonare in modo divino.


La mia paura maggiore.
L’amarezza.


Nel mio frigo non manca mai…
Un bel pezzo di parmigiano.


Se fossi un animale sarei.
Un gatto castrato obeso e coccolone.


Mi sono sentito orgoglioso quando…
Quando con i Symphonic Winds ho composto e suonato il mio primo pezzo per orchestra.


Il mio motto.
Woasch eh… Olter… weiter geahts.


Il capriccio che non mi sono mai tolto.
Una Alfa Romeo.


Il giocattolo che ho amato più.
Il Lego.


I miei poeti preferiti.
Hermann Hesse, Rumi, Khalil Gibran, Pablo Neruda.


I miei pittori preferiti.
Pablo Picasso, Salvador Dali, Friedensreich Hundertwasser.


Il dono di natura che vorrei.
Essere ordinato e coerente.


Dico bugie solo…
Quando provo a non avere conflitti inutili.


Dove mi vedo fra dieci anni.
Possibilmente sano di mente e di corpo, a fare quello che faccio adesso con la stessa dedizione con qualche grammo in più di esperienza.


L’ultima volta che ho perso la calma.
Provando ad infilare un filo in un ago.


Da bambino sognavo…
Di diventare uno stuntman.

Redattrice: Rosanna Pruccoli

Un giorno senza pensieri


Qui Intervista a Alessandro Visintini. Bolzanino con origini gardenesi-napoletane-istriane ha sempre avuto base qui viaggiando per il mondo per studio e lavoro. Ha due figli di 30 e 25 anni. Durante 44 anni e 5000 concerti nell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento ha sviluppato anche altri interessi. Dopo il pensionamento è attivo come Maestro 5. Dan di Judo e insegnante di Karatè. Il suo laboratorio di liutaio è a Meltina, dove vive assieme alla moglie Daniela e due segugi. 

La cosa di me che mi piace.

La capacità di adattamento.

Il mio principale difetto.

La testardaggine.

Il mio momento più felice. 

Vedere i figli sistemati ed autonomi. 

La mia occupazione preferita.

Costruire violoncelli.

Il luogo dove vorrei vivere.

Il profondo nord. 

Non sopporto.

L’incoerenza.

Per un giorno vorrei essere…

Senza pensieri.

Se fossi un animale sarei…

Un bradipo.

Tre aggettivi per definirmi.

Ansioso, empatico, disponibile.

Il mio film preferito.

Provaci ancora Sam.

Il superpotere che vorrei avere.

Risolvere i problemi.

Il mio ultimo acquisto.

Attrezzi per liuteria.

Cosa apprezzo di più del luogo in cui vivo.

La natura e la simpatia dei miei concittadini.

Amo il mio lavoro…

Perché mi mette a confronto con le mie capacità.

L’errore che non rifarei.

Rinunciare ad una opportunità.

La persona che ammiro di più.

Mio padre.

Il mio motto.

Avere fiducia.

Del mio aspetto non mi piace…

La pancia.

Il mio primo ricordo.

Mio fratello in braccio, appena nato.

Astronauta o pensionato


Bolzanino classe 1976, Ivan Marini ha studiato sassofono, strumentazione per banda e direzione di banda. Insegna sassofono alla scuola Archimede di Bolzano e dirige l’orchestra della scuola, ma gli piace anche suonare strumenti diversi, aggiustarli, comporre e arrangiare musica. Da quindici anni dirige la banda Mascagni di Bolzano.

La cosa di me che mi piace di più.

Quando mi decido a darmi da fare, le cose mi vengono piuttosto bene.

Il mio principale difetto.

L’analfabetismo nei rapporti sociali (per fortuna qualcuno ancora mi sopporta…).

Il mio momento più felice.

Sono marito felice e padre orgoglioso di due figlie, la risposta è scontata!

Da bambino sognavo di diventare…

Astronauta o pensionato. Ripensandoci oggi, da piccolo non capivo molte cose!

Il capriccio che non mi sono mai tolto.

Spendere senza pensarci su.

Le mie occupazioni preferite.

Lavorare, perché i miei lavori mi piacciono. E soprattutto ridere con la mia famiglia!

Il luogo dove vorrei vivere.

In una casa di legno costruita con le mie mani.

Non sopporto…

Mentitori, millantatori e imboscati. E molti altri…

Per un giorno vorrei essere…

Un mago.

Se fossi un animale sarei…

Un gufo.

Sono stato orgoglioso di me ogni volta che…

Ho imparato qualcosa di nuovo.

Dove mi vedo fra 10 anni.

A studiare.

Tre aggettivi per definirmi.

“Orso” non è un aggettivo, ma lo metto. Poi testone e ritardatario. E autocritico.

Il mio film preferito.

Per piangere: “ET”, il primo film visto al cinema. Per ridere: “The Blues Brothers”.

I superpoteri che vorrei avere.

Volare, diventare invisibile e saper dire di no.

La disgrazia più grande.

Soffrire da soli.

L’errore che non rifarei.

Ce ne sono molti, purtroppo tendo a collezionare rimpianti. Ciò che li accomuna è un mix micidiale tra lentezza e incoscienza.

Del mio aspetto non mi piace…

Praticamente nulla, ma va bene così.

Sognare a occhi aperti

Qui Intervista a Alessandro Gatti, designer, esperto di branding e comunicazione. Gatti vive a Fiè alla Sciliar; si è formato alla Scuola del libro di Urbino e all’Accademia di Belle Arti di Venezia dove ha studiato con Emilio Vedova e Ennio Chiggio. A Bolzano ha cofondato lo studio Doc, di cui è il direttore creativo. Fra i suoi progetti più interessanti va ricordata l’installazione multimediale permanente di piazza Magnago a Bolzano intitolata “Autonomiae”. 

La cosa che mi piace di me.

Che sono curioso.

Il mio principale difetto.

Dopo un po’ mi annoio.

Il mio momento più felice.

Quando è nata Sara. Mia figlia.

La persona che ammiro.

Sonia, la mia compagna, perché è sempre felice.

Un libro sull’isola deserta.

Due. Antonio Tabucchi “Notturno indiano” e “Di chi sono le case vuote?” di Ettore Sottsass.

La mia occupazione preferita.

Essere occupato.

Il paese dove vorrei vivere.

Piuttosto una città: Berlino, che è come un paese. Sto bene quando sono lì.

Il mio piatto preferito.

Tagliatelle fatte in casa. Sono marchigiano!

Non sopporto…

La maleducazione, l’ingiustizia, la violenza e chi vuol fare la guerra.

Per un giorno vorrei essere.

Lenny Kravitz.

La mia paura maggiore.

Annoiarmi.

Nel mio frigo non mancano mai.

Il lievito e le bollicine.

Mi sono sentito orgoglioso quando…

…è uscita una pizza perfetta dal forno a legna.

Il mio motto.

Evvai!

Il giocattolo che ho amato di più.

Il Lego.

Il mio poeta preferito.

Ungaretti.

I miei pittori preferiti.

Jannis Kounellis, perché in fondo era un grande pittore. Pino Pascali, sorprendente. Enzo Cucchi, visionario. Sigmar Polke, meraviglioso. Katharina Grosse, colore. 

Il dono di natura che vorrei.

Adattarmi.

Dico bugie solo…

In palestra.

Dove mi vedo fra dieci anni

In giro.

La mia musica preferita.

Quella di Peggy Gou.

Il colore che preferisco.

Oltremare.

Da bambino sognavo…

…a occhi aperti. E poi disegnavo. Forse mi è sempre piaciuto fare il designer.

Autrice: Rosanna Pruccoli

Arte, cultura e musei

Qui Intervista a Nicole Abler. È giovanissima ma è già assai nota in tutta la provincia. Per la sua formazione ha ottenuto il bachelor in storia dell’arte presso l’Università di Vienna, la laurea magistrale in Cultural Management presso la facoltà di economia all’Università di Bologna e l’Exchange Program “Culture, Policy and Management” presso la City University di Londra. 

La cosa che mi piace di me.

La mia energia ed autenticità.

Il mio principale difetto.

La mia impazienza.

Il mio momento più felice.

Il Natale da bambina con i miei genitori e i nonni, seduti insieme ad un tavolo, ridendo e scherzando.

La persona che ammiro di più.

Mia mamma, la mia eroina, perché è sempre al mio fianco e mi dà forza in ogni momento della mia vita.

Un libro sull’isola deserta.

“It’s not how good you are, it’s how good you want to be” di Paul Arden.

La mia occupazione preferita.

Fare la curatrice storico artistica.

Il mio piatto preferito.

Spaghetti allo scoglio.

Non sopporto…

Le persone false.

Per un giorno vorrei essere…

Michelle Obama, donna intelligente, dal carattere forte e con stile.

La mia paura maggiore.

La solitudine.

Nel mio frigo non manca mai…

Una bottiglia di vino bianco.

Se fossi un animale sarei…

Un’aquila.

Mi sono sentita orgogliosa…

Alla mia festa di laurea: la mia famiglia stava applaudendo, mentre i professori mi consegnavano il diploma.

Il mio motto.

Punta sempre alla luna, male che vada avrai camminato fra le stelle.

Il capriccio che non mi sono mai tolta.

Il dolce dopo cena.

Il giocattolo che ho amato di più.

Il coniglietto che mi hanno regalato alla mia nascita.

Il dono di natura che vorrei.

La spensieratezza.

Non sopporto…

L’egocentrismo.

Dico bugie solo…

Quando la verità farebbe troppo male.

Dove mi vedo fra dieci anni.

Felice ed orgogliosa, avendo realizzato alcuni sogni ed obiettivi.

Il colore che preferisco.

Il rosso, forte e luminoso.

L’ultima volta che ho perso la calma.

Ieri, ma ho cercato di non farlo notare.

Da bambina sognavo…

Di diventare attrice e vincere l’Oscar a Hollywood.

Autrice: Rosanna Pruccoli