Ancora una volta Bolzano blocca il traffico per dare spazio alle bici e alla sensibilizzazione sul loro utilizzo. Più di quattromila bolzanini hanno partecipato alla classica iniziativa di Bolzanoinbici. Ecco alcune foto della giornata di domenica 9 ottobre, realizzate dalla redazione di COOLtour.
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Computer che generano immagini mai viste
Immaginate di essere un pubblicista che, per una consegna importante, debba realizzare una fotografia di un astronauta a cavallo sulla luna. Invece di organizzare un complesso set fotografico, apre il proprio computer, digita “immagine fotografica di un astronauta a cavallo sulla luna”, aspetta 90 secondi, e ottiene alcune fotografie che mostrano la scena richiesta, sceglie quella che gli piace di più, e la integra nel manifesto pubblicitario da consegnare. In realtà non stiamo parlando di un futuro recondito, ma del presente, in particolare di un sistema di intelligenza artificiale chiamato DALL-E, sigla con significato tecnico ma anche pensata per rimandare, non a caso, a Dalì. DALL-E è in grado di produrre immagini plausibili mai viste a partire da una descrizione testuale. La versione attuale di DALL-E, chiamata DALL-E 2, non è direttamente accessibile al grande pubblico: può essere provata iscrivendosi a una lista di attesa, essendo attualmente in fase di test. Si può comunque curiosare su come funziona questo prodigio della tecnica visitando il sito https://openai.com/dall-e-2/ (dove troverete proprio l’esempio dell’astronauta), oppure provare liberamente un fratello minore (in effetti meno sofisticato) di DALL-E, chiamato DALL-E mini, accessibile al sito https://www.craiyon.com.
DALL-E in realtà ha molteplici capacità. Ad esempio: genera immagini secondo stili diversi in base alle indicazioni date, quindi al posto di “immagine fotografica” si può specificare “disegno a pastelli” o ancora “nello stile di Andy Warhol”. O ancora, può ricevere due immagini diverse per crearne una nuova che in qualche modo “combina” il contenuto delle due, ma anche variazioni stilistiche della stessa immagine. Vi lasciamo, per oggi, con la curiosità di approfondire un po’ questo tema, che cercheremo poi di analizzare più in profondità e di demistificare, per capire dove sta la meraviglia, ma anche dove stanno i limiti profondi, di questa tecnologia.
Autore: Marco Montali
Una paese capace di guardare alle generazioni future
Si attribuisce spesso ad Alcide Degasperi una frase che egli riprese dal teologo americano James F. Clarke: “Un politico guarda alle prossime elezioni; uno statista guarda alla prossima generazione. Un politico pensa al successo del suo partito; lo statista a quello del suo paese”. Un invito, in democrazia, per ogni cittadino.
Alla vigilia dell’importante appuntamento elettorale che coinvolge anche la nostra provincia, molti si chiedono in base a quali parametri poter fare una scelta oculata. Al di là della distinzione forse non del tutto appropriata tra “politico” e “statista”, pensare alle prossime generazioni è certamente un criterio significativo. E non vale certo solo per il voto di domenica, ma per ogni scelta (anche del singolo cittadino) che abbia delle conseguenze.
“Dobbiamo disegnare e iniziare a costruire, in questi prossimi anni, l’Italia del dopo emergenza”, ha detto Sergio Mattarella nel febbraio scorso, all’inizio del suo secondo mandato come Presidente della Repubblica. “È ancora tempo di un impegno comune”, ha continuato, per rendere questo Paese più forte, “ben oltre le difficoltà del momento”. E ha dato alcuni precisi orientamenti.
“Un’Italia più giusta, più moderna, intensamente legata ai popoli amici che ci attorniano. Un Paese che cresca in unità”. Un’Italia “in cui le disuguaglianze – territoriali e sociali – che attraversano le nostre comunità vengano meno”. “Un’Italia che offra ai suoi giovani percorsi di vita nello studio e nel lavoro per garantire la coesione del nostro popolo. Un’Italia che sappia superare il declino demografico a cui l’Europa sembra condannata”.
“Un’Italia che tragga vantaggio dalla valorizzazione delle sue bellezze, offrendo il proprio modello di vita a quanti, nel mondo, guardano ad essa con ammirazione”. “Un’Italia impegnata nella difesa dell’ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi, consapevole delle responsabilità nei confronti delle future generazioni”.
“Una Repubblica capace di riannodare il patto costituzionale tra gli italiani e le loro istituzioni libere e democratiche”. “Rafforzare l’Italia significa, anche, metterla in grado di orientare il processo per rilanciare l’Europa, affinché questa divenga più efficiente e giusta; rendendo stabile e strutturale la svolta che è stata compiuta nei giorni più impegnativi della pandemia”.
“L’apporto dell’Italia non può mancare: servono idee, proposte, coerenza negli impegni assunti”. Buon voto e buon impegno a tutti noi.
Autore: Paolo Bill Valente
La grande processione del 1791
L’imperatore Giuseppe II è passato alla storia per aver preso di mira il potere secolare della chiesa cattolica ed aver abolito un terzo dei conventi. Tra le “vittime” ci fu anche il convento santuario dei Servi di Maria a Pietralba, che nel 1787 fu costretto a chiudere. Fu così che la sacra immagine custodita nel convento venne affidata al curato di Laives Johann von Kolb, che la portò nella chiesa parrocchiale. Qualche anno più tardi arrivò l’autorizzazione a spostare l’immagine sull’altare maggiore: e allora a Laives fu festa grande…
Maria Teresa d’Austria morì nel 1780. Entrò nella storia soprattutto per l’istituzione della scuola pubblica obbligatoria. Dei suoi 16 figli, le succedette sul trono Giuseppe II, il quale, ispirato dalle idee illuministe dell’epoca, prese di mira l’enorme potere secolare della chiesa cattolica (e soprattutto i suoi possedimenti), abolendo di punto in bianco un terzo di tutti i conventi e riducendo di due terzi il numero dei religiosi.
Tra le “vittime” dell’illuminato imperatore anche il convento-santuario dei Servi di Maria di Pietralba, costretto, nel giugno 1787, a chiudere i battenti nonostante il gran numero dei pellegrini che lo visitavano.
La Sacra Immagine fu affidata al curato di Laives Johann von Kolb che nella notte tra il 12 e il 13 luglio la portò in paese collocandola su un altare laterale della chiesa parrocchiale. Solo nel 1791 arrivò da Trento l’autorizzazione a spostarla sull’altare maggiore e allora a Laives fu festa grande: nei giorni tra il 24 e il 26 giugno 1791 migliaia di persone giunsero da ogni dove per assistere all’evento – peraltro ripetuto anche 100 anni dopo.
Poiché la fotografia nacque ufficialmente nel 1839, non esistono immagini del paese né di quell’epoca né di quelle anteriori. Il pittore bolzanino Joseph Anton Cuseth fu incaricato di immortalare la grande processione del 26 giugno e il suo dipinto, ancora esposto sotto il pulpito della vecchia chiesa, rappresenta un documento di straordinaria importanza per la storia di Laives.
Nelle didascalie sono elencati tutti i partecipanti alla processione ma ciò che ci interessa maggiormente è il “ritratto” inedito del paese alla fine del XVIII secolo.
Premesso che il pittore, per ragioni “scenografiche”, è stato costretto a tralasciare diversi edifici già esistenti, colpisce immediatamente la grazia e l’armonia di un paesino collocato nel mezzo di giardini e vigneti – insomma l’esatto contrario di quanto siamo costretti a vedere oggi. Sullo sfondo si riconoscono le due colline moreniche e la chiesetta del Peterköfele (con la nuova strada per Pietralba ultimata nel 1769) occupate dal “popolo” incaricato di accompagnare le celebrazioni con “cannonate e botti.” Ai suoi piedi la Pfleg, sede amministrativa dei Lichtenstein e poi rinomato Gasthaus; poco distante il Kalchhof. Al centro del dipinto vediamo la chiesa parrocchiale e alla sua sinistra le cosiddette “casette della chiesa” poi abbattute.
A destra si scorge la stretta “casa del dottore” (poi demolita per fare spazio al nuovo municipio), dimora del medico condotto e, in precedenza, quando a Laives si contavano dai 20 ai 30 scolari, utilizzata anche come scuola. Sulla destra si intravede la canonica, appena sotto la “Turnertorggl” (torchio) e il Turnerhof, poi casa Visintin. A destra, sotto la chiesetta, il maso Stampfl, poi casa di Anton Ebner.
Nella parte anteriore del dipinto si riconosce il Reinischhof (Frasnelli) e il prestigioso Grosshaus/Casagrande, per oltre 130 anni di proprietà della famiglia Franzelin (che poi acquisterà anche il convento di Pietralba).
Il fienile del Großhaus non era ancora stato ampliato e l’edicola all’angolo è nel frattempo scomparsa. Sull’altro lato della “Reichsstraße” si trova una fontana pubblica eliminata con la realizzazione del capolinea del tram.
La vecchia Reichsstraße imboccava ancora via Damiano Chiesa per raggiungere, nel cuore del vecchio paese, il “Kölbl” (poi “Zur Post” a partire dal restauro degli anni ‘80), che qui è ritratto solo in parte. Davanti a questo la grande casa bianca è il “Gassman” della famiglia Tabarelli ma mancano tutte le case tra questo e il Casagrande. Di notevole interesse anche i numerosi muri a secco che circondano case e vigneti: oggi purtroppo quasi del tutto scomparsi o trascurati.
Autore: Reinhard Christanell
Letterature oltre i confini: Anita Pichler
Se la letteratura sudtirolese del Novecento è in gran parte legata alle vicende storiche che hanno segnato un territorio conteso, a una comunità rurale che ha subito traumatiche lacerazioni e a una convivenza forzata, una delle sue voci più originali e controverse ha saputo dare alla propria opera un più ampio respiro e farle pertanto acquisire notorietà anche al di là dei ristretti confini della Heimat. Forse per essere stata il riflesso di un’esistenza errabonda e inquieta, in perenne transizione e intersezione tra due lingue e culture, la multiforme ancorché scarna produzione letteraria della meranese Anita Pichler (1948-1997) si è sempre sottratta a un’immediata collocazione di genere o a etichette di mercato, suscitando nei lettori reazioni del tutto contrastanti. I suoi libri – racconti, saghe rivisitate, romanzi ibridi, collage di impressioni e meditazioni – sono infatti un invito ad addentrarsi nella contraddittorietà dei sentimenti umani, nello spaventoso e affascinante mistero che è l’esistenza. Davanti a una lingua capace di sovvertire le tradizionali tecniche narrative e sempre aperta a una lettura a più piani, anche la critica letteraria si è divisa tra entusiastiche ricezioni e sferzanti, talvolta feroci giudizi, sin dal romanzo d’esordio, oggi finalmente disponibile in versione italiana per i tipi di Edizioni alphabeta Verlag e grazie alla pregevolissima traduzione di Donatella Trevisan.
Haga Zussa – pubblicato in edizione originale nel 1986 dalle prestigiose edizioni Suhrkamp – ha come protagonista una donna alla ricerca di sé, la cui vita è punteggiata di relazioni evanescenti e di lavoretti saltuari. Distribuendo questionari porta a porta, un giorno si accorge di aver smarrito le chiavi di casa, e così torna in uno dei tanti appartamenti che ha visitato, dove riconosce, nella donna invalida che l’ha già accolta in precedenza, una persona che mai avrebbe voluto rivedere in vita sua. L’ombra che riappare improvvisamente dal passato la costringe a un confronto serrato con situazioni e figure a lungo represse e negate, e la cui riaffiorante memoria, nutrita di presente, genera ulteriore turbamento, ma anche nuovi percorsi da intraprendere, dove però la trappola del caso è sempre pronta a scattare.
Insieme alla sua protagonista, Anita Pichler sembra interrogarsi appunto sulle “coincidenze”, ossia su quegli eventi casuali “senza i quali nessuna sopravvivenza è possibile”, modellando una raffinatissima prosa poetica – quasi un brano musicale – e componendo uno scenario polifonico dove, tra atmosfere perennemente sospese, mondi interiori vengono smembrati e ricombinati per cerchi concentrici.
Haga Zussa, insieme ai precedenti Le donne di Fanis (2020), Di entrambi gli occhi lo sguardo (2018) e Come i mesi l’anno (2016) – edizioni oggi disponibili anche in unico cofanetto acquistabile online sul sito dell’editore – è il coronamento di un progetto editoriale che vuole offrire al lettore italiano un percorso letterario, quello di Anita Pichler, di straordinaria originalità e ricchezza stilistica.
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Franz von Defregger
Verso le pendici del Guncina, a collegare viale Principe di Savoia a via Michael Pacher vi è la via Franz von Defregger. Va ricordato che a Franz von Defregger era dedicata, dal 1906 al 1929, l’attuale via Leonardo da Vinci. Fu nel 1946 che gli fu dedicata la via nel quartiere di Gries. Franz Defregger, figlio di contadini, era nato il 30 aprile 1835 nel maso di famiglia, l’Ederhof, a Stronach, allora parte del comune di Dölsach, nel Tirolo orientale; già da ragazzo mostrò forte inclinazione per l’attività artistica, tanto che, morto il padre, nel 1860 vendette il maso e, dopo alcuni mesi ad Innsbruck, si recò a Monaco di Baviera per frequentarvi l’Accademia di Belle Arti. A Monaco fu allievo del pittore Karl Theodor von Piloty. I quadri di Defregger, con soggetti preferiti tra ritratti, scene di vita quotidiana e quadri di soggetto storico, in particolare sulla resistenza antifrancese in Tirolo nel 1809, ebbero presto successo di pubblico. Dal 1878 al 1910 Franz Defregger fu docente di pittura storica all’Accademia di Belle Arti di Monaco. Nel 1883 per i suoi meriti fu elevato al rango nobiliare, per cui da allora il suo cognome divenne “von Defregger”. Ottenne premi e importanti onorificenze, come nel 1878 quella del Regno di Baviera, la Medaglia dell’Ordine di Massimiliano per le Scienze e le Arti. Oltre ad avere la residenza a Monaco, la Defregger-haus, Defregger ne fece costruire una a Bolzano negli anni 1879-1880 su progetto dell’architetto civico di Bolzano, Sebastian Altmann; è “Villa Defregger”, in via Weggenstein, dove il pittore soggiornava due volte l’anno. I rapporti con Bolzano e l’Alto Adige gli diedero spunto per i suoi quadri, tra ritratti, pitture di genere, composizioni storiche; un esempio, San Giuseppe dipinto sull’altare maggiore della chiesa di Frangarto. Franz von Defregger, il cui catalogo comprende oltre 1100 opere, morì a 85 anni a Monaco di Baviera il 2 gennaio 1921; fu sepolto nel Nordfriedhof di Monaco.
Autore: Leone Sticcotti
Un gradito ritorno: i misteri di Scandalo e Redenzione
Da qualche settimana ha fatto a sua comparsa in rete sotto forma di download gratuito il nuovo disco di un duo particolarmente underground, nato da ben due costole dei famigerati Klakson, band bolzanina dalle molteplici potenzialità e dalla genialità mai sufficientemente decantata, nonostante negli anni novanta abbiano ricevuto apprezzamenti sulla stampa nazionale di serie A, approdando persino sulle pagine di una nota rivista musicale americana.
Due costole, si diceva, visto che Scandalo e Redenzione altro non sono che BG e PS (non necessariamente in quest’ordine).
Postcards of The Hangin’ – che come tradizione del gruppo madre ruba il titolo al verso di una canzone di Bob Dylan – è un piccolo delizioso affresco di musica acustica composto quasi nella sua totalità di brani firmati da PS nel suo inconfondibile stile ben radicato nelle molteplici forme della musica d’oltreoceano che Scandalo e Redenzione hanno ben masticato, assaporato, deglutito e digerito, tanto che i brani di questo disco potrebbero provenire benissimo da una produzione d’oltreoceano.
“Le varie influenze del genere Americana – ci racconta PS, che abbiamo raggiunto telematicamente nel suo eremo di Notthingham, la poco ridente città britannica in cui risiede da una ventina d’anni – sono ben evidenti in Postcards Of The Hangin’, come d’altronde erano evidenti in molti dei pezzi con i Klakson: bluegrass, outlaw country, tex mex. E quindi tutta la tradizione della frontiera, che ci tiriamo dietro almeno dai tempi in cui abbiamo registrato Cinco de Mayo, a fine anni ottanta.”
Comunque, a parte la matrice borderline, nel disco non vanno dimenticati pezzi come Day After Day, Head in the Clouds, o When I Am Done With Working, perché non si tratta solo di occasionali omaggi al genere di una volta, addirittura quasi dei primi inizi, ma anche di prospettive diverse a tutto quello che sta loro attorno. Se esistono western swing o Seldom Scene (band bluegrass particolarmente cara al PS, n.d.r.), per dire, è solo perché, in quel momento, erano tasselli di quello che qualcuno, probabilmente uno di noi, ha definito stile Klakson.”
A differenziare un disco come questo dai tanti di genere che circolano sulle due sponde dell’Oceano Atlantico è poi la particolare poetica di PS, assolutamente caratteristica e spesso illuminata da rime genialmente inarrivabili, “You’re eating enchilada, I say niente, You say nada, it’s all about tostada and guacamole, I drive the autostrada while you’re talkin’ yadda yadda, I cry inside and I’m looking for ravioli” cantano i nostri in All the Way To Yucatan, svelando così uno sense of humor degno del miglior Frank Zappa sposato con sapienza alla musica della frontiera.
“Le sortite di Scandalo e Redenzione – prosegue PS – si sono fatte più frequenti, anche se non ci siamo mai esibiti in pubblico con questo nome, da quando Matita, il chitarrista dei Klakson, si è trasferito in Val di Non. Solitamente Scandalo e Redenzione facevano cover e infatti c’è un omaggio inconscio a questa vena nelle tre bonus track poste alla fine del disco, anche se in due casi si tratta di cover dei Klakson. Comunque, dopo la trasformazione del chitarrista Matita in gnomo della Val di Non, Scandalo e Redenzione sono rimasti l’unico sbocco per la creatività sia di Scandalo che di Redenzione, anche se, è giusto dirlo nessuno sa chi, tra me e BG sia Scandalo e chi Redenzione. Io vorrei che, come nella storia di Spartacus, ciascuno dei nostri ascoltatori si alzasse in piedi dichiarando: ‘Io sono Scandalo, io sono Redenzione!’ Perché il linguaggio sarà anche la casa dell’essere, ma il linciaggio (evidente il riferimento al titolo del disco, n.d.r.) è lo sgabuzzino del malessere.”
Nonostante l’uso di qualche aiutino tecnologico, per altro mai invadente o eccessivo, Postcards Of The Hangin’ si fa apprezzare per i suoni acustici cristallini che PS può sviscerare mentre BG lo sostiene con la sua acustica ritmica che suona come una batteria: “Ci sono chitarre e anche un mandolino – spiega PS –. Ho suonato un paio di chitarre economiche, inclusa una affidabilissima Squier Telecaster da circa 100 euro. Ma la mia preferita è stata una Ibanez acustica, anche quella economicissima alla quale poi ho limato molto a caso il ponte.” Il disco è scaricabile all’indirizzo web:
stefanopredelli.wixsite.com/klakson
Autore: Paolo Crazy Carnevale
Andreas Hofer
Grandi polemiche dopo l’annuncio del cast del remake in live action del grande classico Disney “Le avventure di Andreas Hofer”, che vedrà come protagonista Will Smith. Molti sostengono che la scelta non rispetti il personaggio tradizionale, altri accusano il politically correct dando libero sfogo a commenti e insulti razzisti. Non rimane che aspettare l’uscita del film, immaginandoci già la scena in cui Andreas Hofer tira uno schiaffo a Napoleone.
Autore: Roberto Tubaro
Frittata dolce sbriciolata con mirtilli neri
INGREDIENTI
140 g farina
100 ml latte
100 ml panna
4 tuorli d’uovo
½ b. zucchero vanigliato
40 g mandorle sbucciate e grattugiate
1 C liquore al mirtillo nero
4 albumi d’uovo
1 p. sale
40 g zucchero
200 g mirtilli neri
Olio per friggere
burro per saltare
zucchero a velo per spolverizzare
PREPARAZIONE
Mescolate la farina, il latte, la panna, i tuorli, lo zucchero vanigliato, le mandorle e il liquore al mirtillo nero fino ad ottenere una pastella liscia.
Sbattete gli albumi con il sale, montate poi a neve con lo zucchero e amalgamate delicatamente alla pastella.
Riscaldate un po’ d’olio in una padella grande, versatevi la pastella, cospargete con mirtilli neri e dorate la parte inferiore, poi voltate l’omelette e fate altrettanto.
Infine mettete la padella nel forno preriscaldato e terminate la cottura dell’omelette.
Poi fate a pezzetti (strapazzatela) l’omelette con due forchette.
Spolverizzate con un po’ di zucchero a velo, aggiungete un po’ di burro e saltate brevemente sulla piastra cosicché lo zucchero caramellizzi.
Disponete su piatti riscaldati, spolverizzate con lo zucchero a velo e il gioco è fatto.
Cottura: 5 minuti circa, forno statico a 180 gradi circa.
SUGGERIMENTI
Potete accompagnare la omelette ai mirtilli neri anche con una composta di mele, pere, mele cotogne o altre. Al posto della panna potete usare del latte; tuttavia con la panna la omelette sono più raffinate.
La fiaccola della pace
La Staffetta Ventimiglia-Trieste è un evento che si è svolto per celebrare i 150 anni dalla fondazione degli Alpini: le 23 tappe hanno portato la fiaccola della pace, accesa durante l’Adunata nazionale di Trento del 2018, a coprire l’intero Arco alpino. Ecco alcune immagini della tappa meranese scattate, dagli organizzatori del “Progetto 150”.