Glaciazione

Una paio di settimane fa la Fondazione Nordest ha reso noto uno studio in grado di fotografare e analizzare gioie e dolori della nostra provincia dal punto di vista economico e sociale, con un’attenzione specifica rivolta al mercato del lavoro. Com’è noto l’Alto Adige è sempre in testa alle classifiche per quanto riguarda il tasso di natalità, la qualità della vita, i servizi, la possibilità di ottenere sovvenzioni da parte degli enti pubblici e anche – appunto – le opportunità di lavoro. Ma questo non è sufficiente per mettere il nostro territorio al riparo da un fenomeno che proprio negli ultimi 2/3 anni ha iniziato a manifestarsi in maniera molto importante, ovvero la difficoltà di ingaggiare nuova forza lavoro sia per il settore pubblico che per quello privato. Il tasso di natalità superiore rispetto alla media nazionale non è sufficiente, purtroppo, a mettere al riparo la nostra provincia, troppo abituata a pensarsi autonoma (avulsa) rispetto ai territori limitrofi, rispetto alla cosiddetta “glaciazione demografica”. 

Sì, avete letto bene. Non inverno ma vera e propria glaciazione. I giovani, in provincia di Bolzano, sono comunque pochi e molti di questi pochi se ne vanno per non tornare. Per trattenerli occorrerebbe attuare delle specifiche politiche, lo sappiamo tutti, che riguardino retribuzioni, alloggi, dinamicità del mercato del lavoro, ecc. Poi occorrerebbe avere politiche per attrarre forza lavoro da fuori, ovvero dal resto del paese o dall’estero. Ebbene: la Fondazione Nordest anche su questo ha fornito dei dati interessanti, segnalando che la provincia di Bolzano a questo proposito nel nord Italia si trova al penultimo posto, a fare peggio di noi c’è solo la Valle d’Aosta, mentre i cugini trentini si trovano a metà classifica. 

L’Alto Adige rischia di trovarsi presto un’economia esclusivamente basata su un turismo in evoluzione senza freni, con tutti gli aspetti negativi che tutto ciò comporta, compresa anche qui la difficoltà di ingaggiare nuovi lavoratori. è questo quello che vogliamo? E non è solo una questione economica e di sviluppo. L’attrattività di un territorio rispetto ai giovani (e non solo ai “suoi”) dovrebbe essere una priorità assoluta, in un’ottica di costruzione di futuro. Di queste analisi e riflessioni però ne vediamo in giro davvero solo poche tracce. Un’inversione di rotta è assolutamente necessaria e cercheremo di dare anche noi, nel nostro piccolo, il nostro contributo.

Autore: Luca Sticcotti

L’Europa siamo noi

I dati del Rapporto Italia 2024 di Eurispes resi noti nei giorni scorsi parlano chiaro: in politica solo il presidente Mattarella viene considerato affidabile dalla maggioranza del Paese (60,8% dei consensi, +8,6% rispetto al 2023). Molto più indietro si collocano il parlamento (33,6% in leggera crescita rispetto al 2023), i partiti nel loro complesso (29,85%) e i sindacati. 

Consensi più alti, ma comunque inferiori a Mattarella, li ottengono l’Arma dei Carabinieri (68,8%), la Chiesa Cattolica (52,1%), scuola (66%) e sistema sanitario (58,3%). Ma si dà il caso che queste quattro istituzioni non sono preposte a governarci, nella nostra democrazia rappresentativa.

è dunque al presidente della Repubblica che devo ricorrere, nel mio intento di spronarvi a partecipare al voto che, l’8 e il 9 giugno, ci consentirà di eleggere i 75 rappresentanti italiani nel parlamento europeo. 

Recentemente il presidente della Repubblica ha affermato che “le dinamiche geo-politiche in Europa hanno conferito rinnovato slancio al processo di completamento dell’Unione”, aggiungendo che oggi il mondo ha bisogno di “pace, stabilità, progresso, e l’Unione Europea è chiamata a dare risposte concrete alle aspirazioni di quei popoli che guardano al più imponente progetto di cooperazione concepito sulle macerie del secondo conflitto mondiale”.

Il presidente della Repubblica ha poi aggiunto: “L’Europa è, allo stesso tempo, sia il frutto dei processi di riconciliazione tra Paesi che durante la Seconda Guerra Mondiale avevano combattuto in schieramenti contrapposti, sia l’acceleratore delle indispensabili composizioni delle divergenze, retaggio del passato, e che abbiamo dimostrato di saper superare per costruire un effettivo e duraturo futuro di pace”.

Nel suo discorso Mattarella ha ripercorso la storia europea recente, sottolineando la volontà europea di liberarsi dai retaggi di un passato caratterizzato da innumerevoli guerre.

Il presidente ha concluso affermando che è “questo il momento di realizzare le speranze e le aspettative nutrite dai nostri popoli per decenni, l’impegno costante per una democrazia basata sui diritti dell’uomo e sulle libertà fondamentali, la prosperità attraverso la libertà economica e la giustizia sociale nonché un’uguale sicurezza per tutti i nostri Paesi”.

L’Europa è dunque la nostra vera àncora in una prospettiva di pace e prosperità, personale e dei popoli. Partecipiamo quindi al voto europeo, per riaffermarlo.

Autore: Luca Sticcotti

Autogol

Meritoriamente nelle ultime settimane le forze dell’ordine hanno effettuato un lunga serie di controlli sul nostro territorio, nell’ottica di un aumento del livello di sicurezza e di prevenzione della microcriminalità. Com’è noto si tratta di un’esigenza sentita da una larga parte dei residenti e tale bisogno si è riverberato anche nelle scelte di consenso che hanno portato alla formazione del nuovo governo provinciale, protagonista tra l’altro oggi di una solida sintonia con Roma.
In merito a ciò non posso però non rilevare l’accrescimento di una contraddizione di fondo nel nostro sistema volto a prevenire e reprimere i reati, ovvero le condizioni in cui versa la casa circondariale di Bolzano. Si tratta di una situazione non solo vergognosa – una macchia nel quadro idilliaco che siamo soliti dipingere nella descrizione della nostra terra – ma anche e soprattutto controproducente. A cosa serve incrementare i controlli e, di conseguenza, anche gli arresti, quando non sappiamo poi dove metterli, i detenuti? E, poi, se le persone che priviamo della loro libertà le mettiamo in un carcere orrendo – a Bolzano, lo ricordiamo, si trovano solo detenuti per reati minori – come possiamo pensare che una volta usciti (cioè presto) non compiano più reati?
Forse giova ricordare quello che dice la nostra Costituzione, in merito. Innanzitutto si ricorda che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”, ma poi si aggiunge significativamente che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Non è buonismo, è realismo! I problemi sociali non si risolvono (solo) facendo controlli con telecamere e pattuglie, se poi la detenzione assomiglia al collocamento di coloro che commettono reati in una sorta di sgabuzzino, del quale si chiude la porta per non pensarci più. La chiave – lo dice la Costituzione e lo dicono ancor di più lo stato di diritto, il nostro sistema democratico e le convenzioni internazionali – non si può e non si deve buttare. E quindi la chiave, quella vera, non può che essere quella di porre finalmente come prioritaria l’individuazione di una struttura, anche solo provvisoria, dove collocare qui e ora i detenuti. Senz’altro è più urgente fare questo, piuttosto che dare una nuova casa a Ötzi, non credete?

Autore: Luca Sticcotti

Un lavoro “giusto”

A cinque anni di distanza dalla rilevazione effettuata su questo tema nel 2019, l’Istituto altoatesino per la promozione dei lavoratori, promosso dai sindacati, ha nuovamente chiesto a un gruppo rappresentativo di dipendenti di tutte le età in Alto Adige quali siano i fattori decisivi nella scelta di un posto di lavoro.
Ebbene: i criteri più importanti sottolineati dai dipendenti altoatesini sono una retribuzione dignitosa, mansioni interessanti e una buona atmosfera lavorativa.
In particolare, il salario di base, cioè lo stipendio senza benefici aggiuntivi che potrebbero potenzialmente cambiare nel tempo, è stato identificato come l’elemento più decisivo. E questo risultato non sorprende, hanno osservato gli esperti che hanno realizzato l’indagine, se si considera che i lavoratori dipendenti in Alto Adige devono spendere una parte significativa del loro reddito per le spese di base come l’affitto, le bollette e il cibo.
L’alto costo della vita e la diminuzione della capacità di risparmio lasciano poco spazio ad altre considerazioni. Eppure, non si tratta solo di una questione di salari adeguati al costo della vita.
Anche altri elementi, infatti, sono molto gettonati: se è vero che lo stipendio base ha ricevuto una valutazione compresa tra 8 e 10 dal 79% degli intervistati (i partecipanti dovevano valutare gli elementi indicati su una scala da 1, poco importante, a 10, molto importante), lo è anche il fatto che pure il contenuto del lavoro e i rapporti con i superiori e i colleghi hanno ottenuto quote elevate (76%). Questo dimostra che gli altoatesini non sono affatto indifferenti alla loro spinta interiore e all’ambiente di lavoro. Insomma: a contribuire alla qualità della vita concorrono anche un lavoro interessante e un buon clima di lavoro.
In questa settimana abbiamo celebrato la festa dei lavoratori che, lo ricordiamo, è stata istituita in ricordo dello sciopero del 1866 che, negli Stati Uniti, portò per la prima volta all’istituzione della giornata di otto ore lavorative. Al di là dei diritti e dei doveri sul posto di lavoro, è dunque sempre più importante considerare la necessità che l’attività lavorativa sia “integrata” all’interno della nostra vita, vista la sua importanza e il suo “peso”.

Autore: Luca Sticcotti

Le nonne attiviste

11 anni fa, in occasione del 25 aprile, ebbi l’occasione di conoscere Estela De Carlotto, leader prima delle madri e poi delle nonne di Plaza de Majo. Mi colpì moltissimo la sua storia di estrema determinazione, durata decenni, alla ricerca di giustizia per l’assassinio di sua figlia, vittima desaparacida della dittatura argentina, e poi di notizie suo suo nipote dato all’epoca forzatamente in adozione. Un nipote poi miracolosamente ritrovato, l’anno successivo, grazie al test del DNA a cui si sottopose volontariamente, ormai 36enne.
La battaglia delle donne argentine mi ha ricordato in questi giorni un’altra battaglia, che ha visto protagoniste 2500 anziane signore svizzere (età media 74 anni) che si erano rivolte alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) perché si ritenevano danneggiate per le politiche sul clima del loro paese.
Siamo abituati a pensare che la militanza per il clima sia soprattutto una questione di giovani, Greta Thunberg in testa, ma evidentemente non è così. Particolarmente significativo è poi il fatto che la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia dato ragione a questo stuolo di nonne “alpine”, autodenominatesi “Anziane per il clima”. è stata la prima volta che un tribunale internazionale ha detto che uno stato è obbligato a raggiungere gli obiettivi sul clima stabiliti dai trattati internazionali. La sentenza non avrà conseguenze pratiche immediate, ma l’Ufficio federale di giustizia svizzero ha detto che la studierà per stabilire quali azioni debbano essere prese dalla Svizzera per il futuro e intanto la Corte ha ordinato allo stato svizzero di pagare 80mila euro per coprire le spese legali dell’associazione. I paesi che riconoscono la Corte europea per i diritti dell’uomo sono impegnati a dare esecuzione alle sue decisioni, ma la Corte lascia generalmente loro ampia libertà nella scelta delle misure con cui farlo. Nonostante questo, la decisione è stata comunque definita “storica”. Non solo è la prima in cui il tribunale internazionale dà ragione ai ricorrenti sul cambiamento climatico, ma influenzerà anche gli approcci adottati da altri tribunali internazionali e dai tribunali nazionali dei singoli paesi europei su casi analoghi, che negli ultimi anni sono diventati piuttosto frequenti come forma di attivismo climatico.

Autore: Luca Sticcotti

Cordialità

Più passa il tempo e più ho la sensazione che la parola cordialità e il suo significato tendano ad essere considerati un retaggio del passato. Quasi come se nelle nostre consuetudini non ci siano più le condizioni e lo spazio per la cortesia, condita da gentilezza e affabilità, associata magari ad un atteggiamento amichevole. Questo vale sia per il nostro modo di porci nei confronti delle persone che incontriamo per la prima volta, che per la nostra quotidianità fatta di relazioni con conoscenti, colleghi, clienti, parenti e… amici.
Continuo a domandarmi perché questo accade. In teoria a tutti noi fa piacere avere a che fare con persone ben disposte nei nostri confronti, no? Si tratta evidentemente di un quesito di non facile soluzione; avremmo bisogno di una schiera di sociologi, psicologi, pedagogisti, eccetera eccetera, per cercare di trovare una soluzione a questa domanda.
Nel mentre non ci resta che apprezzare il comportamento delle persone – per fortuna ancora molte – che, nonostante tutto, si ostinano ad essere cordiali con noi, magari nei momenti più inaspettati, ovvero quelli più… importanti.
La cortesia e quindi la cordialità, come sappiamo, sono le premesse fondamentali per l’amicizia.
Così come la gentilezza, la disponibilità, la sincerità, l’attenzione a non prevaricare gli altri. Fondamentali sono anche la mitezza e la mansuetudine, categorie caratteriali e di comportamento forse ancora più in crisi nella nostra società, rispetto alla cordialità.
Un altro aspetto che si collega alla cordialità è l’atteggiamento gioviale e affettuoso, come sappiamo un po’ meno diffuso nel nostro territorio rispetto ad altri luoghi dove talvolta ci troviamo a transitare più o meno di frequente nella nostra vita.
Se davvero apprezziamo (ancora) la cordialità delle persone, non possiamo che trovarci poi a riflettere sul nostro modo di porci nei confronti degli altri. Un atteggiamento accogliente, aperto, non invadente e giudicante, a mio avviso fa bene anche al corpo. Non essere sempre sulla difensiva comporta senz’altro qualche pericolo rendendoci in parte vulnerabili, ma in compenso spesso un nostro sorriso, gratuito, e un gesto gentile e inaspettato, possono davvero creare le migliori condizioni per far scattare quegli attimi di serenità di cui tutti noi in definitiva abbiamo davvero un grande bisogno.

Autore: Luca Sticcotti

Padri

Il 19 marzo 2024 è stato occasione per tornare su due temi, uno religioso e l’altro eminentemente sociale. Per quanto riguarda l’aspetto religioso si è nuovamente parlato della proposta di rendere festiva a tutti gli effetti la ricorrenza di San Giuseppe, patrono dei tirolesi, resa ufficiale l’anno scorso attraverso una mozione approvata in consiglio provinciale. L’impegno della giunta provinciale di “introdurre il 19 marzo come festività nel settore pubblico e privato entro i prossimi tre anni, avviando un confronto diretto con i/le rappresentanti della Chiesa, della società civile e del mondo politico al fine di valutare le modalità più consone per celebrare degnamente a livello locale la festa di San Giuseppe” è rimasto tale. L’idea di introdurre un nuovo giorno festivo evidentemente, seppur sulla carta affascinante, non riscuote grande entusiasmo in una società abituata da tempo a soprassedere anche sul riposo domenicale, in molti settori lavorativi.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, laico, da molti versanti è giunta la richiesta di rivedere l’attuale normativa che riguarda il congedo di paternità, estendendone sia l’obbligatorietà che la durata. L’idea è quella di responsabilizzare, finalmente, sia i padri che i loro datori di lavoro nonché la società tutta, rispetto al ruolo paterno, in continua evoluzione nel proprio significato rispetto alla tradizione ma quindi ancora più “urgente” da riaffermare e rilanciare. A chiederlo è giustamente soprattutto l’universo femminile, ma sono sempre di più anche i maschi a rivendicarlo, consci dell’importanza della paternità, come esperienza di vita.
Dando il mio piccolo contributo personale posso dire di aver sperimentato personalmente l’utilità e il profondo significato del congedo di paternità, da me a suo tempo richiesto e ottenuto non senza fatica, tra l’altro a un datore di lavoro che avrebbe dovuto dimostrare da questo punto di vista una grande sensibilità: la chiesa cattolica. I giorni magici trascorsi a casa con i miei figli e con mia moglie resteranno per sempre impressi nella mia memoria come pietre miliari non solo della mia famiglia, ma del mio stesso percorso umano. Mi sento di consigliare questa scelta a tutti coloro – troppo pochi oggi, purtroppo – che scelgono di diventare padri. Scommettendo in prima persona sulla costruzione del futuro di tutti noi.

Autore: Luca Sticcotti

Una scuola che accoglie

“La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.”
Non è la prima volta che richiamiamo in questo spazio l’art. 34 della Costituzione. Ma lo facciamo perché nei giorni scorsi, in maniera “scomposta”, nella nostra provincia si è parlato di nuovo di scuola sollevando il “problema” legato alla presunta non opportunità che taluni bambini si iscrivano a talune scuole. Ad essere messo in discussione, secondo alcuni, sarebbe il diritto dei bambini di taluna madrelingua di poterla apprendere in maniera adeguata, vista la presenza nella medesima scuola e nelle medesime classi di bambini con insufficienti conoscenze di base nella medesima madrelingua di riferimento della scuola stessa.
Ad essere richiamato in queste situazioni è soprattutto (ma non solo) il diritto (sacrosanto e sancito dallo statuto di autonomia) dei bambini di madrelingua tedesca, di poter frequentare una scuola che abbia come riferimento la lingua della loro minoranza nello stato italiano, nella fattispecie il tedesco standard. Il problema è che il sistema scolastico altoatesino, così com’è stato finora, mostra la sua inadeguatezza e tutte le sue contraddizioni, alla luce dell’art. 34 della Costituzione. Che fare se delle famiglie di lingua italiana iscrivono i loro figli alle scuole di lingua tedesca? E se a farlo sono famiglie con background migratorio, magari appena giunte sul territorio? Insomma: la scuola di lingua tedesca deve poter godere in qualche modo di un sistema di sicurezza per evitare iscrizioni “spurie”?
Dal punto di vista politico e normativo si tratta di un problema di difficile soluzione, stante l’attuale sistema scolastico altoatesino. Specie se la questione viene vista sempre dal punto di vista degli adulti, ovvero i genitori, gli insegnanti, i politici, e così via. Invece ad essere messi in primo piano in questa vicenda dovrebbero essere messi i veri protagonisti della scuola, ovvero i bambini. Ma tutti i bambini presenti nel nostro territorio. Ripeto: tutti, non solo una parte di loro. Tutti i bambini infatti hanno il diritto di sentirsi accolti, socializzare tra pari e iniziare la propria costruzione di sé, nella scuola prescelta dai loro genitori. Sia che essa sia quella dell’“altra madrelingua” che quella di una madrelingua che in ogni caso non è la loro. Ogni opzione volta a ipotizzare un “rifiuto” da parte della scuola nei confronti di un bambino, non può che essere vista come un fallimento del nostro sistema politico, sociale e formativo.

Autore: Luca Sticcotti

Verde pubblico e verde privato

Com’è noto i patrimoni naturali più importanti di cui godiamo nel nostro territorio alpino sono due: l’acqua e il verde. 

In merito alla gestione idrica abbiamo fatto già in passato alcune riflessioni, domandandoci come ci dovremo muovere negli anni venturi per poter disporre, ancora, dell’acqua a noi necessaria per i consumi potabili, l’irrigazione in agricoltura e – dulcis in fundo – il tentativo di preservare la neve per il turismo invernale. Si tratta di un tema di strettissima attualità, visto che stiamo vivendo ormai come normalità in febbraio minime di temperatura nettamente al di sopra lo zero non solo nei fondovalle ma pure a 1500 metri di quota. Per non dire delle massime che ormai superano tranquillamente i 20 gradi a Bolzano, nella Valle dell’Adige e in Bassa Atesina, ma si tengono sopra i 10 gradi con continuità anche in prossimità delle stazioni a valle degli impianti di risalita. 

Del fabbisogno idrico con ogni probabilità torneremo a parlarne, vista l’imminenza della stagione più calda che quest’anno rischierà ancora una volta di superare i record finora registrati. 

In merito alla gestione del verde a mio avviso però un altro è il ragionamento che andrebbe fatto, e una volta per tutte. Siamo infatti stati abituati, finora, a pensare inesauribile il nostro patrimonio, anche se recentemente la tempesta Vaia e la piaga del bostrico sono valsi come come un campanello d’allarme. Forse allora è il momento che ci si fermi tutti a riflettere sull’importanza di cominciare a ripensare il nostro atteggiamento nei confronti del patrimonio boschivo, smettendo di ampliare ulteriormente gli attuali impianti di risalita viste le previsioni di cambiamento del clima che metteranno in difficoltà lo sci alpino negli anni venturi per lo meno fino ai 2.500 metri di quota.

Com’è noto, poi, il verde viene usualmente classificato anche come, pubblico, privato ed agricolo. 

Ecco: a mio avviso andrebbero organizzati quanto prima degli stati generali perché forse non ci possiamo più permettere di avere nei fondovalle un verde in larghissima parte monopolizzato da monocolture intensive, tra l’altro molto restie limitare l’uso dei persticidi, non solo a ridosso ma addirittura “nei” centri urbani. Insomma: non solo nel capoluogo ma specialmente in esso, urge ripensare al verde agricolo convertendone per lo meno una parte in verde pubblico e spazi per uno sviluppo urbano che dia prospettiva e respiro allo sviluppo complessivo e ordinato delle nostre comunità.

Autore: Luca Sticcotti

Coesione sociale

Nei giorni scorsi, con un po’ di fatica, è stato eletto il nuovo governo della Provincia. Le criticità nel merito della coalizione che si è venuta a creare sono molteplici e non saremmo i primi ad evidenziarle. Non ci resta dunque che augurare buon lavoro alla nuova giunta e al suo vecchio (e nuovo) presidente. A tutti noi infatti conviene che la politica riesca a trovare, anche solo in parte, i bandoli della matassa che si è venuta a creare. 

La società altoatesina negli ultimi anni ha trovato modo di sfrangiarsi a più livello, come abbiamo avuto già modo di segnalare. Quindi a nostro avviso il migliore augurio che possiamo e dobbiamo fare alla nuova giunta provinciale è quello di riuscire a segnare qualche punto sul tema della coesione sociale che, a nostro avviso, è uno dei prerequisiti fondamentali per tentare di risolvere la maggior parte dei problemi che abbiamo. 

Cos’è? In sociologia il termine coesione sociale indica l’insieme dei comportamenti e dei legami di affinità e solidarietà tra individui o comunità, tesi ad attenuare in senso costruttivo disparità legate a situazioni sociali, economiche, culturali, etniche. Da quando questo concetto è stato elaborato per la prima volta, poco più di un secolo fa, come principali fattori di questa dinamica sono stati identificati prima la religione e poi il lavoro. Successivamente hanno preso piede altri due principi, ovvero quello del consenso diffuso in merito al rapporto tra individuo e società e il senso di solidarietà. Una cosa è chiara: per poter realizzare una solida coesione sociale sono necessari alcuni requisiti, innanzitutto materiali, come occupazione, casa, reddito, salute, educazione, che devono essere garantiti per tutti. Il secondo requisito fondamentale è rappresentato dall’ordine e dalla sicurezza sociale. Il terzo elemento della coesione è la presenza di relazioni sociali attive con la creazione di una rete di scambi di informazioni, supporto, solidarietà e credito. Il quarto requisito è il coinvolgimento di tutti nella gestione delle istituzioni, che consolida il senso di identità e di appartenenza a una collettività. Tali requisiti basilari, indicatori di progresso civile, sono fondamentali per la creazione di relazioni favorevoli tra individui di una stessa comunità.

Insomma: occorre unire, invece che insistere su vecchi e nuovi motivi di divisione. Non credete?

Autore: Luca Sticcotti