La strada dedicata a Grazia Deledda

Nel quartiere Firmian, nell’angolo verso il tratto finale di viale Druso, tra viale Giacomo Puccini e via Resia si trova, tra alti edifici, via Grazia Deledda. È omaggio ad una donna piccola di statura ma grande per imponente opera letteraria, con cui diede lustro all’Italia ma si fece conoscere anche all’estero, tanto da essere insignita nel 1927 del Premio Nobel. Nata a Nuoro il 27 settembre 1871, frequentò le elementari fino alla quarta, proseguì poi con lezioni private di italiano, latino e francese. Continuò a formarsi da autodidatta, leggendo qualsiasi libro le capitasse, iniziando con i primi esercizi poetici e narrativi. A  15 anni iniziò a pubblicare novelle; il suo talento fu compreso da altri scrittori, ottenendo il sostegno di studiosi di tradizioni popolari e di critici letterari. Fu intensa l’attività letteraria giovanile, con la pubblicazione di racconti e romanzi, collaborando con riviste sarde e continentali. Il 22 ottobre 1899 si trasferì a Cagliari, dove l’11 gennaio 1900 sposò Palmiro Madesani, che divenne suo agente letterario. Ebbero due figli, Franz e Sardus.  Trasferitasi a Roma, i salotti della capitale accolsero benevoli e incuriositi la giovane scrittrice di provincia, la quale di anno in anno consolidò una crescente popolarità. I suoi romanzi incontrarono favore critico  e giusto del grande pubblico. La scrittrice intrattenne rapporti significativi con molti scrittori e artisti del tempo. Fu assidua la sua presenza nella redazione della rivista letteraria “Nuova Antologia”. Anche le vacanze a Cervia sull’Adriatico servirono a  stabilire amicizie artistiche. Fu stimata anche all’estero. Anche Maxsim Gorkij raccomandò la lettura delle sue opere. Fu memorabile il discorso di Grazia Deledda di ringraziamento per il Premio Nobel, conferitole nel dicembre 1927. Quasi dieci anni dopo il conferimento, la scrittrice morì, per un timore al seno di cui soffriva da tempo, tra il 15 e il 16 agosto 1936.

Autore: Leone Sticcotti

La strada dedicata a Max Planck

L’intitolazione a Max Planck di una via della zona industriale (quartiere Oltrisarco) è ben meritata, se si pensa alla rivoluzione che ha portato nella fisica. Era nato come Marx Karl Ernst Ludwig Planck il 23 aprile 1858 a Kiel, all’estremo nord della Germania. Già a dieci anni Planck si fece chiamare Max e non Marx. Nella primavera del 1867 la famiglia si trasferì a Monaco di Baviera, dove il giovane Planck frequentò il Gymnasium Maximilian; approfondito il principio di conservazione dell’energia, nel 1874 passò all’Università. Scelta la fisica come materia di ulteriore studio, nell’ottobre 1877 seguì a Berlino i corsi dei fisici Helmholtz e Kirchhoff. Nel corso degli studi affrontò i principi della termodinamica, il settore della fisica che studia la trasformazione delle varie forme di energia le une nelle altre. Sviluppò le idee maturate sul secondo principio della termodinamica nella tesi di dottorato, ottenendo a Nonac nel luglio 1879 un “summa cum laudem”. Dal 2 maggio 1885 fu docente di fisica teorica all’Università di Kiel. L’opera “Sul principio dell’aumento dell’entropia” spianò la strada per la sua carriera a Berlino, decisiva per i suoi studi e per il futuro della fisica. Dal 1889 al 1928 tenne la cattedra di fisica teorica alla facoltà di filosofia. Nella casa berlinese di Wangenheimstrasse 21 c’era un via vai di ospiti, scienziati, ma anche teologi, storici, filologi; Planck improvvisava anche concerti al pianoforte. Fu nel 1900 che durante le sue ricerche Planck avanzò l’ipotesi che l’energia venisse irraggiata non sotto forma di onda continua, come ipotizzato dalla fisica, ma in quantità discrete, in “pacchetti”, denominati “quanti”. Planck divenne Segretario dell’Accademia delle Scienze di Berlino e uno dei massimi esponenti ufficiali della scienza tedesca. Per la sua scoperta arrivò anche, nel 1918, il Premio Nobel. Dal 1912 al 1943 fu segretario dell’Accademia prussiana delle scienze. Distrutta la sua casa da un bombardamento aereo, Max Planck si trasferì a Gottingen, dove morì il 4 ottobre 1947.

Leone Sticcotti

La strada dedicata in “zona” a Marie Curie

Ad Oltrisarco tra le vie della zona industriale vi è via Curie Marie. Si chiamava in realtà Maria Sklodowska; era nata nel 1867 a Varsavia (Polonia), quinta di cinque figli di Wladislav e Bronislava, insegnanti.
Aspirava agli studi universitari, anche se in quell’epoca in Polonia le donne non erano ammesse a tali studi. Per far fronte alle spese degli ambiti studi a Parigi, fece per qualche anno l’istitutrice presso famiglie benestanti. Il 3 novembre 1891 entrò alla Sorbona, dove, francesizzato il nome, studiò con profitto fisica e matematica. Nella primavera del 1894 conobbe Pierre Curie; si sposarono il 26 luglio 1895. Collaborando come ricercatori, Marie Curie tenne un diario di laboratorio; voleva proseguire negli studi di Henri Becquerel sulla radioattività; passando in rassegna le sostanze che contengono uranio e che emettono raggi, misurare le emissioni; analizzando due minerali particolari, la calcolite e la pechblenda, scoprì che entrambi emettevano più radiazioni dello stesso uranio. Nei minerali analizzati si rivelarono due elementi misteriosi, il polonio, e il radio. Per l’isolamento del radio Marie dovette a lungo pesare, bollire, filtrare, analizzare tonnellate di materiale. Nel 1902 i Curie riuscirono a stabilire il peso atomico della sostanza; la scoperta aprì le porta anche a nuovi usi medici delle radiazioni. Per tale scoperta le fu conferito nel 1903 il Premio Nobel per la fisica. Nel 1909 fondò anche l’Institut du radium. Nel 1911 le fu conferito il secondo Premio Nobel, quello per la chimica. La prima guerra mondiale fu occasione per sperimentare le macchine radiologiche al fronte per la cura dei soldati feriti.
Terminata la guerra, Marie Curie fu in vari paesi, come gli Usa, tenendo conferenze: fu un trionfo. Nel 1934, pressoché cieca per l’esposizione alla radioattività e con le mani rovinate, fu un’anemia aplastica a condurla alla morte, a Passy (Francia), il 4 luglio. Dal 1995 le sue spoglie, con quelle del marito Pierre, si trovano al Pantheon di Parigi.

Autore: Leone Sticcotti

La strada dedicata a Enzo Ferrari in “zona”

Tra le via della zona industriale vi è quella che da via Alessandro Volta, attraversando via Giovanni Caproni, sbocca in via Lise Meitner: è via Enzo Ferrari. 

Enzo Anselmo Giuseppe Maria Ferrari era nato a Modena il 20 febbraio 1898. Sin da ragazzo, alla scuola e allo studio preferiva il lavoro nell’officina di carpenteria meccanica del padre.  Tra le aspirazioni di Enzo v’era quella di divenire pilota automobilistico. 

Le prime esperienze di guida le fece con l’auto di famiglia, una Diatto. A 18 anni lavorò come istruttore presso l’Officina Pompieri di Modena. Dopo brevi esperienze in aziende metalmeccaniche torinesi, trovò lavoro nella carrozzeria Giovannoni, esperienza che lo portò a divenire provetto guidatore. Trovò lavoro sicuro alla fine del 1919, ingaggiato dalla CMN, piccola impresa meccanica milanese, come assistente al collaudo. Nel 1920 iniziò a correre con l’Alfa Romeo. Sposatosi il 28 aprile 1923 con Laura Garello, nello stesso anno vinse la prima edizione del Gran Premio del Circuito dal Savio. Nel 1926 vinse a Pescara la coppa Acerbo. 

Nel 1929 fondò a Milano una squadra corse, collegata all’Alfa Romeo. Mentre gestiva lo sviluppo delle vetture Alfa, costruì un team di oltre 40 piloti, tra essi Antonio Ascari, Giuseppe Campari e Tazio Nuvolari. Continuò a correre fino alla nascita, nel 1932, del figlio Dino. 

Nel 1939 creò l’Auto Avio Costruzioni (AAC) con sede a Modena; nel 1943, per timore dei bombardamenti, la sede fu trasferita  a Maranello. 

Nel dopoguerra creò la “Scuderia Ferrari”, la sezione sportiva della casa automobilistica Ferrari. La prima gara disputata nel campionato  mondiale fu il Gran Premio di Monaco, il 21 maggio 1950, mentre la prima vittoria in Formula Uno (F1) fu il Gran Premio di Gran Bretagna del 1951 con José Froilàn González. 

Nel 1952 giunse il primo titolo mondiale di F1 con Alberto Ascari. 

Enzo Ferrari morì il 14 agosto 1988 all’età di novant’anni. Fu sepolto, accanto alla tomba del figlio Dino (1932-1956), nel cimitero di San Cataldo, a Modena.

Autore: Leone Sticcotti

La strada dedicata a Lise Meitner

Dalla lunga via Galvani si può ad un certo punto accedere ad una via più corta, parallela alle vie Gobetti e Caproni: è via Lise Meitner. Nata a Vienna il 27 novembre 1878, abolito nel 1903 il divieto per le donne austriache di frequentare il liceo e l’università, poté diplomarsi e a 23 anni iniziare gli studi in fisica, matematica e filosofia. Interessata sin da 15 anni allo studio della natura, dopo aver seguito le lezioni di Ludwig Boltzmann, si trasferì a Berlino, dove rimase per trent’anni. Alla Friedrich Wilhelm Universität seguì i corsi del noto scienziato Max Planck, divenendone l’assistente. L’incontro che segnò la sua vita fu quello che ebbe nei laboratori di fisica con Otto Hahn, un chimico esperto in radioattività. Ne nacque una collaborazione, durata decenni, di ricerca e scoperte. Nel settembre 1909 incontrò a Salisburgo Albert Einstein, venendo a sapere le novità sulla teoria della relatività e della relazione tra massa ed energia. Lo incontrò anche frequentando con altri ospiti la casa di Max Planck. Nella Prima Guerra Mondiale l’attività di Crocerossina fece crescere il suo atteggiamento negativo verso la guerra. Tornata nel 1917 al suo ruolo di scienziata, scoprì il novantunesimo elemento della tavola periodica, il Protoattinio. Divenuta nel 1919 la prima docente della Germania, fu incaricata di creare un nuovo Istituto di Fisica. Faceva fronte ai vari impegni di scienziata con la massima serietà; nel 1938, in pieno regime nazista, dovette lasciare Berlino. A Stoccolma collaborò con l’Istituto Nobel di tale città. Era in Svezia quando Otto Hahn la informò sullo straordinario impatto di neutroni su atomi di uranio. Era in vacanza in campagna quando seppe del lancio, il 6 agosto 1945, di un ordigno nucleare su Hiroshima. A fine guerra la Meitner, ormai svedese, si dedicò ad attività civili e sociali per la pace e in difesa dei diritti delle donne. Dal 1952 si dedicò all’insegnamento. Fino alla sua morte si impegnò per l’uso pacifico della fissione nucleare. Morì il 27 ottobre 1968.

Autore: Leone Sticcotti

La strada dedicata a Luigi Negrelli

Tra le vie delimitanti la Zona Artigianale di Bolzano, oltre a via Kravogl e via Galvani, vi è via Luigi Negrelli. Nato a Fiera di Primiero (TN) il 23 gennaio 1795, Luigi Negrelli mostrò presto di avere spiccate doti intellettuali; nel Ginnasio vescovile di Feltre si rivelarono le capacità nella progettazione del disegno. Con una borsa di studio poté continuare gli studi a Padova, Vicenza, Innsbruck. A ventuno anni divenne membro della Direzione distrettuale del Tirolo; si occupò con l’ingegnere Joseph Duile della regolazione del corso del Reno; intervenne anche per sistemare gli argini di Adige e Inn.   A Negrelli si deve anche la costruzione di tre chiese nel Vorarlberg. Nel 1835 fu incaricato dalla Svizzera di sovrintendere alla realizzazione della nuova rete stradale del Cantone San Gallo; si occupò anche di nuove strade montane, regolazione di torrenti, pianificazione della viabilità fluviale. Ebbe incarichi anche dal Cantone di Zurigo. A Negrelli si deve la prima ferrovia elvetica, Zurigo-Basilea. All’opera di Negrelli in campo ferroviario si affidò anche l’Austria. Fu chiamato anche in Prussia e nel Württemberg, ma anche nella Repubblica Ceca. Nel 1848,  trasferito a Verona, divenne Commissario imperiale per la ricostruzione e riorganizzazione di ferrovie, strade, ponti.  Fu nominato anche Direttore delle Pubbliche Costruzioni del Lombardo Veneto. Il Feldmaresciallo Radetzky intervenne  perché Negrelli potesse dedicarsi al progetto del Canale di Suez; dopo i vari tentativi da parte di egizi, romani, ottomani, il progetto di Negrelli, basato sugli studi scientifici partiti dal Settecento, fu  considerato a Parigi il migliore dalla “Commissione internazionale”; era migliore l’idea di un canale diretto fra Mediterraneo e Mar Rosso, senza chiuse e che sfruttava i lagni interni. I lavori iniziarono dopo la morte precoce, il 1° ottobre 1858, di Negrelli. Fu sepolto nel cimitero monumentale di Vienna.

Autore: Leone Sticcotti

La via dedicata a Michael Gaismair

Tra Via Roen e Viale Druso, si trova, non distante da piazza Tribunale, Via Michael Gaismair. Chi era e cosa fece? Nato nel 1490 a Tshöfs (Ceves), presso Vipiteno, da famiglia contadina, dopo la scuola di latino frequentò la scuola del duomo di Bressanone. Ebbe modo, dinanzi al fasto e alla sontuosità della corte vescovile, e a quanto faceva parte della vita quotidiana ecclesiale, di acquisire man mano un atteggiamento sempre più critico nei confronti del ruolo della Chiesa. Preso servizio come scritturale presso la miniera di Schwaz, divenne portavoce dei minatori, che si sentivano sfruttati, nella presentazione di una petizione all’imperatore.  Fu poi scrivano nella cancelleria di Leonhard von Völs, capitano dell’Adige. Nei sei anni di servizio apprese molto sulle lotte per il potere, su corruzione e imposture della nobiltà. Passato alla cancelleria vescovile, tra lettere  e documenti conobbe meglio la vita politica del Tirolo, con i contadini alle prese con  numerosi balzelli. Alle loro proteste fu risposto con arresti, torture, esecuzioni capitali.  Fu il caso Passler ad accendere talmente gli animi da scatenare la rivolta; condannato a morte il 9 maggio 1525, Passler fu liberato da contadini, servi e artigiani in rivolta. La rivolta si estese, con vari saccheggi a parrocchie e masi, a partire dal monastero di Novacella. Michael Gaismair riuscì a  calmare gli animi. A Merano fu convocata una “Dieta contadina”, con la redazione di un “ordinamento regionale”, una “Magna Charta per el populo minuto”. Il 12 giugno a Innsbruck centinaia di contadini chiesero all’arciduca Ferdinando una serie di concessioni.  La risposta fu l’arresto, l’11 agosto, di Gaismair; riuscì a fuggire il 7 ottobre. Riparato in Svizzera, redasse la “Tirolische Landesordnung”. Senza successo altre imprese, riparò in territorio veneziano, a servizio del Doge. Nell’agosto 1527 si ritirò in una tenuta nel padovano. C’era una taglia sulla sua testa. All’alba del 15 aprile 1532 Michael Gaismair, tratto in inganno, fu trafitto nella stalla da 42 pugnalate.

Autore: Leone Sticcotti

Il ricordo del maestro Franz Innerhofer

Piazza Franz Innerhofer: è la piazzetta tra via Ospedale e il Rettorato della Libera Università di Bolzano. Franz Innerhofer, nato a Marlengo il 18 agosto 1884, frequentò un Istituto Magistrale, dapprima a Feldkirch (Vorarlsberg), poi a Bolzano;  si diplomò a Gries nel 1903. Esercitò l’attività di maestro, molto apprezzato, a Rifiano e poi a Marlengo. Fu anche organista della chiesa di Marlengo e suonatore di grancassa nella banda musicale. Nel 1920 sposò Maria Pöder di Cermes; il 2 aprile 1921 nacque l’unica figlia, Maridl. Era il mese della tradizionale “Fiera di Bolzano”; inaugurata il 19 aprile, il programma prevedeva, per domenica 24 aprile, un corteo in costume, composto da 17 gruppi; doveva attraversare la città, partendo da via Castel Roncolo. La manifestazione, senza bandiere, non doveva avere carattere di manifestazione politica, correndo voce che si stesse pianificando un’incursione di fascisti, infatti già dalle 8 del mattino dai treni provenienti da sud ne erano scesi in centinaia, guidati dal capitano Achille Starace; li si vedevano con tanto  di mazze, pistole, bombe a mano, si udivano i loro inni di battaglia e le urla minacciose. Alle una del pomeriggio i partecipanti alla sfilata folcloristica si radunarono in via Castel Roncolo, il tutto in un clima di festa. Fu quando il corteo giunse in via della Posta che i fascisti fecero irruzione; marciavano gridando, provocando, roteando i loro bastoni; in piazza delle Erbe iniziarono a colpire la gente con i bastoni, a sparare sugli spettatori e persino a scagliare bombe a mano. Il bilancio dell’aggressione fu di quaranta feriti, ma anche di un morto; era Franz Innerhofer. Il maestro conduceva di corsa due ragazzi per via dei Vanga, per metterli al sicuro nella residenza Stillendorf;  colpito a morte da uno degli inseguitori, crollò sul secondo scalino dell’edificio. Con i conforti religiosi di Johann Nikolussi, superiore dei Sacramentini, Franz Innerhofer spirò alle 14,30.

Autore: Leone Sticcotti

La strada dedicata a Romano Guardini

Nel triangolo tra via Claudia Augusta, via Roma, viale Trento, vi è una via minore, via Romano Guardini, piccola via ma dedicata a grande uomo. Nato il 17 febbraio 1885 a Verona, Romano Guardini aveva un anno quanto fu portato a Magonza dal padre, che in tale città commerciava in pollame  e uova. A Magonza Romano frequentò il Gymnasium umanistico, a Tubinga la facoltà di chimica, a Monaco di Baviera quella di economia politica. Deciso di entrare in seminario, studiò teologia a Friburgo e Tubinga. Ordinato sacerdote il 28 maggio 1910, mentre continuava agli studi teologici svolse un’intensa attività pastorale come cappellano in varie parrocchie. Dai contatti con il movimento giovanile e con il movimento liturgico fu stimolato ad approfondire la riflessione teologica. Laureatosi a Friburgo il 15 giugno 1915, nel 1922 ottenne l’abilitazione all’insegnamento di teologia dogmatica. Nel 1923 fu pubblicato “Il senso della Chiesa”, opera che contribuì a far nascere la nuova coscienza della Chiesa. Fu nel 1923 che aprì la cattedra di “Filosofia della religione e visione cattolica del mondo” all’Università di Berlino; a Berlino Guardini svolse anche l’attività di conferenziere, predicatore, scrittore, che lo rese famoso anche all’estero. Per il suo brillante insegnamento fu molto seguito dai giovani; lo stesso Guardini guidò uno dei movimenti giovanili, il “Quickborn”, dal quale prese ispirazione il gruppo della Rosa Bianca. Importante e impegnativa opera di Guardini fu “Der Herr” (Il Signore), che uscì in italiano nel 1949. Revocata la cattedra da parte dei nazisti nel 1939, Guardini si ritirò a Mooshausen (Allgäu) presso Josef Weiger, un amico parroco. Ripreso l’insegnamento a fine guerra a Tubinga e a Monaco di Baviera, nel 1952 gli fu conferito il Premio della Pace dei librai tedeschi, nel 1962 il Premio Erasmo a Bruxelles, nel 1963 il Premio San Zeno a Verona; seguì nel 1965 la laurea honoris causa dell’Università di Padova. Romano Guardini morì il 1° ottobre 1968.

Autore: Leone Sticcotti

La strada dedicata a Vincenzo Lancia

Tra le importanti vie della zona produttiva vi è via Vincenzo Lancia, cognome che richiama alla mente la storica presenza a Bolzano dell’importante stabilimento industriale noto come “Lancia”. Vincenzo Lancia, detto Censis, era nato a Fobello (Vercelli), nell’alta Valsesia, il 24 agosto 1881. I genitori lo indirizzarono agli studi in giurisprudenza, ma Vincenzo si appassionò per i motori. Assunto dal cuneese Giovanni Battista Ceirano, Vincenzo si immerse nell’attività dell’officina, dal disegno delle vetture alla costruzione, alla riparazione. Nel 1900, con il passaggio della Ceirano alla FIAT, Vincenzo Lancia si avviò ad essere un prezioso collaudatore; per otto anni fu pilota della FIAT, con fama di guidatore più veloce di quel tempo. Il 29 novembre 1906 costituì a Torino, con Claudio Fogolin, il collaudatore della FIAT, la società in nome collettivo “Lancia e C.”. L’avventura imprenditoriale di Vincenzo Lancia iniziò con settanta dipendenti in uno stabile all’incrocio fra via Ormea e via Donizetti. Nel giro di quattro anni produsse più di 1500 veicoli divisi in quattro modelli (dal 1919 i modelli Alfa, Dialfa, Beta, Gamma). La prima vettura Lancia, il modello 51-1/8/24 HP, più noto come Alfa, trovò ampio mercato negli Stati Uniti e in Australia. Ad un certo punto Vincenzo pensò anche alla propria vita privata, infatti nell’ottobre 1922  ci fu il matrimonio di Vincenzo Lancia con la segretaria Adele Miglietti; ebbero tre figli, Anna Maria, Gianni, Eleonora. Nel 1922 fu avviata la costruzione dell’autodromo di Monza, pista famosa in tutto il mondo, ospitante tra l’altro il Gran Premio d’Italia di Formula 1. Nel 1930 con altri industriali Vincenzo Lancia fondò la “Società anonima Carrozzeria Pininfarina”, poi “Pininfarina”. A soli 55 anni Vincenzo Lancia morì per attacco cardiaco a Torino il 15 febbraio 1937. Dopo le esequie  il feretro fu trasferito al cimitero di Fobello e deposto nella tomba di famiglia. Anche Torino ha dedicato una via a Vincenzo Lancia.

Autore: Leone Sticcotti