Quale normalità?

L’interrogativo è tutt’altro che filosofico. Negli ultimi giorni tutti noi, a un anno dall’inizio della pandemia, abbiamo cominciato a chiederci in cosa consista ormai la consuetudine. Il concetto di normalità, di solito, ha una doppia accezione. Da un certo punto di vista ci conforta come un mantello protettivo, ma da un altro la normalità la rifuggiamo per la noia che spesso la accompagna. Ma in quest’ultima fase della nostra vita i parametri di riferimento sono così cambiati che siamo stati costretti a riformulare i nostri riferimenti. Cos’è normalità? Il ritorno di una crisi di governo dopo la media consolidata di un anno e mezzo? Il reincarico allo stesso presidente del Consiglio? I dati pressoché costanti dei contagi da Coronavirus? L’impossibilità di utilizzare il nostro amato linguaggio non verbale a causa della mascherina? L’incertezza ormai “normale” di non sapere quando tutto questo finirà e — soprattutto — se si tratterà di una fine “definitiva”?
Una cosa possiamo senz’altro affermarla: a essere diventata davvero normale (ovvero stabile e costante) è solo l’incertezza. Con essa abbiamo dovuto per forza imparare a convivere.
C’è chi ci riesce meglio e chi peggio. A questo proposito, nei giorni scorsi ha suscitato in me particolare inquietudine l’allarme lanciato dal primario di geriatria a Merano. Il dottor Christian Wenter ha parlato degli anziani come di una generazione traumatizzata e in larga parte chiusa in casa da quasi un anno. Diversi studi hanno recentemente indicato la solitudine come un importante fattore di rischio per l’insorgenza di molte malattie.
Insomma: gli anziani sono vittime doppiamente designate. Com’è noto, sono infatti protagonisti della maggior parte dei decessi e coloro che riescono a sopravvivere — è proprio il caso di dirlo — soffrono di una solitudine che non fa solo male allo spirito ma anche al corpo. Per questo è importante che tutti noi ci prendiamo a cuore gli anziani. Spesso una telefonata, un sorriso e due chiacchiere da un balcone all’altro, così come un aiuto per la spesa, possono contribuire a salvare una vita.
Pensiamoci tutti e diamoci da fare.

Autore: Luca Sticcotti – Direttore del giornale

“Realtà paesana, problematiche cittadine” 

“Laives? No grazie!”: con questo titolo “rubato” alla campagna contro l’energia atomica, il periodico degli studenti universitari sudtirolesi “Skolast” pubblicò un articolo piuttosto critico sul comune di Laives e le prospettive della sua gioventù.

Correva l’anno 1991. Il ’68 e il ’77 barricadieri erano un lontano ricordo, qualche protagonista di quel periodo storico era rientrato nei ranghi “dell’arco costituzionale”, altri si erano definitivamente persi. La militanza politica giovanile aveva ammainato bandiera e il futuro delle nuove generazioni era tutto da inventare. L’autore del testo, Ugo Pozzi, sintetizzo così la situazione sociale della cittadina: “Realtà paesana, problematiche cittadine”.  Ormai da qualche decennio Laives, che dal 1985 poteva fregiarsi del titolo di città dovuto a una crescita demografica abnorme, si trascinava un problema “esistenziale”  per così dire grosso come una casa. Grazie ad una politica urbanistica a dir poco generosa e alla contestuale “chiusura” della città di Bolzano imposta dall’allora potente assessore Benedikter, il paese continuò a lievitare in modo sciagurato. Gli abitanti crescevano di anno in anno, non c’era campo o vigneto che non cadesse nelle mani degli speculatori edilizi bolzanini e locali – che peraltro non hanno mai smesso di comportarsi da padroni del vapore. Intere vie erano nate o nacquero in quegli anni: via Marconi, via Andreas Hofer e Galizia, via Nazario Sauro, la zona 46 (ex-Fuchser) e così via. Gli abitanti passarono dai 5000 del dopoguerra ai quasi 15000 degli anni ‘90.  Un salto nel buio, uno choc identitario che nessuna realtà sociale può superare indenne.  Scriveva giustamente Pozzi: “Infatti, al di là del volume sociale del comune, che si aggira all’incirca sulle 15-16000 unità, la mentalità è ancora fortemente agricola o più propriamente paesana. Bar alla sera e chiesa alla domenica sono le attività principali della popolazione, attività queste che nascondono problemi da sobborgo metropolitano come la violenza, la delinquenza giovanile e la droga tra tutte”. In effetti, se lo strato più antico della popolazione continuava a vivere come sempre, seguendo i riti e i ritmi della vita contadina, i nuovi arrivati, “spaesati” nel verso senso della parola, stentavano ad integrarsi. Del resto, non bisogna dimenticare che questa non era la prima violenza demografica che questo luogo subiva: basti ricordare che nel 1823 contava 736 abitanti e 95 case, viveva di agricoltura e di quel che offriva l’economia legata alla navigazione sull’Adige. Nel 1900 gli abitanti erano già 2513, l’immigrazione dal Welschtirol e da alcune zone lombardo-venete avevano stravolto le fondamenta sociali del paese. Il fascismo diede il colpo di grazia alla vecchia Laives, che in breve tempo raddoppiò gli abitanti. Furono soprattutto operai della zona industriale di Bolzano a insediarsi in paese. Ma il vero botto alle strutture sociali avvenne dagli anni ‘70 in poi: pur conservando il nucleo contadino di epoca asburgica, Laives divenne la classica località di periferia – con tutte le conseguenze. Scrisse ancora Pozzi: “Non a caso Laives è uno dei principali mercati per il traffico di stupefacenti altoatesino. Sembra addirittura che la droga vada da Laives a Bolzano e non viceversa! Coinvolti in questa spirale senza fine sono chiaramente i giovani che mal si adattano alle paesane abitudini e cercano in tutti i modi l’evasione”.  Tra le mancate “possibilità di evasione” Pozzi cita: “Niente cinema, niente locali adatti dove poter suonare o ritrovarsi al di là del circolo “FENALC” inadatto a soddisfare le sempre maggiori richieste e in procinto di abbattimento”.

E allora? Laives si trasforma in dormitorio, le grida dei giovani, “che reclamano sempre più un luogo proprio ove poter finalmente vivere la propria vita con modalità meno conformistiche e alienanti” incontrano un comune “sordo che mena il can per l’aia citando a intervalli regolari il progetto Laives 2000 comprendente una stupenda casa della cultura”. 

“Sarà utile che il comune di Laives pensi a tutto ciò e tenga conto che in futuro ci potrà essere qualcuno che dirà basta …” conclude l’articolo Pozzi. Forse non sapeva che prima o poi anche il disagio si trasforma in normalità.

Autore: Reinhard Christanell

Infinite forme bellissime

Nei giorni scorsi mi è capitato di assistere dal vivo ad una delle tappe di Futuradio, la Festa di Radio 3 Rai, per il secondo anno ospitata dal teatro Comunale di Bolzano. Nel bellissimo teatro studio per un paio d’ore il pubblico presente ha potuto assistere ad un incontro intitolato “Infinite forme bellissime”, una conversazione a più voci per raccontare come la scienza abbia cambiato in profondità la nostra percezione del mondo e di noi stessi nell’ultimo secolo, e quanto sia importante farne un patrimonio culturale sempre più condiviso per guardare al futuro.
Nel corso del dialogo trasmesso in diretta radiofonica nazionale, si è passati dall’infinitamente grande con l’astrofisica e scrittrice Licia Troisi, all’infinitamente piccolo con il fisico del CERN Guido Tonelli, mentre con Telmo Pievani, filosofo della biologia, i fortunati presenti e gli ascoltatori hanno potuto scoprire come, nel bel mezzo di questi due estremi, si siano evolute le “infinite forme bellissime” della vita celebrate da Charles Darwin. In particolare la conversazione con Telmo Pievani è partita dal suo ultimo libro intitolato “Tutti i mondi possibili”, dedicato alla storia vera di una giovane studentessa di ingegneria meccanica che nel 1976 lesse un libro dello scrittore e poeta Jorge Luis Borges e da questa esperienza ne scaturì l’ispirazione che le fece vincere il Nobel per la chimica nel 2018. Dunque l’immaginazione che diventa stimolo per la scienza. Ma sappiamo anche quanto la scienza sia ormai da secoli un veicolo straordinario per la creatività e l’invenzione artistica e letteraria. Un insegnamento, questo, davvero importante per tutti coloro che tendono a mettere in contrapposizione questi due mondi invece intrinsecamente legati.
A fare da collante all’incontro radiofonico, condotto in maniera magnifica dai giornalisti del programma Radio 3 Scienza, naturalmente è stata scelta la musica, e nello specifico quella basata su uno strumento immaginifico come il theremin, affidato a due ottimi interpreti come Vincenzo Vasi e Valeria Sturba.
Personalmente sabato scorso al teatro studio mi sono sentito davvero a casa, essendo io tecnico di formazione superiore divenuto poi giornalista e musicista. Ma sono sicuro che anche molti voi lettori avreste apprezzato, per cui vi segnalo che il podcast del programma si trova su Rai Play Sound, a disposizione di tutti gli interessati, quale ottimo esempio di come possa essere utile e stimolante il servizio pubblico radiotelevisivo.

Autore: Luca Sticcotti

“Bolzano può essere un riferimento per tecnologia e ricerca”


Con la nuova Facoltà di Ingegneria, unibz è sempre più vicina al mondo delle aziende e delle start-up e diventa il principale attore del NOI Techpark. Tra i focus della Facoltà: automazione, robotica e intelligenza artificiale. 850 giovani studieranno, faranno ricerca e si formeranno a un passo dall’ecosistema dell‘innovazione.

Una facoltà universitaria che è nata con l’obiettivo di trasformare l’Alto Adige – territorio che è delizia dei milioni di turisti che lo visitano ogni anno per le sue bellezze paesaggistiche e naturalistiche – in una sorta di Silicon Valley della tecnologia, bilingue e a cavallo tra mondo culturale e produttivo mediterraneo e dell’Europa centrale. “Vogliamo che l’Alto Adige sia riconosciuto come un punto di riferimento a livello nazionale non solo per qualità della vita e dei servizi turistici ma anche per l’innovazione tecnologica e la ricerca al servizio di questo valori. La nuova collocazione della Facoltà nel Parco Tecnologico è la premessa ideale”, afferma il preside della Facoltà di Ingegneria, prof. Andrea Gasparella. Lo abbiamo intervistato per conoscere meglio le ambizioni della comunità scientifica che da poche settimane ha iniziato a lavorare nella nuova struttura didattica e di ricerca a Bolzano Sud. 

Preside Gasparella, la Facoltà di Ingegneria ora avrà sede in un nuovo campus a Bolzano Sud. Cosa rappresenta questo passo per la Facoltà stessa, per l’università di Bolzano e anche per il territorio?

La Facoltà, che già era un interlocutore per il territorio sia dal punto di vista dell’offerta formativa, sia dal punto di vista delle attività di ricerca e di terza missione (le attività di trasferimento del sapere accademico alla popolazione e al tessuto economico del territorio di riferimento, ndr.), ora è immediatamente e fisicamente associabile a un luogo e a un edificio “iconico”, se così possiamo definire l’avveniristica costruzione che ci ha accolto. Ci aspettiamo che adesso l’interazione con i portatori di interesse sia più facile perché il campus aiuterà la percezione che ci sia un interlocutore in grado di occuparsi di tutte le tematiche in ambito ingegneristico. 

I vostri portatori di interesse sono solo le aziende o anche l’amministrazione pubblica?

Abbiamo percepito una grande attenzione da parte dell’amministrazione pubblica che ha voluto e  stimolato l’istituzione di questa Facoltà. Lo si comprende anche dalla dotazione infrastrutturale e di risorse economiche messe a disposizione. Ovviamente le aziende, in primis quelle del territorio che chiedono di essere accompagnate e avviare progetti per restare competitive, così come tutti i soggetti coinvolti a vario titolo nello sviluppo tecnologico, rappresentano il partner naturale per una Facoltà di Ingegneria. 

Ci può fornire alcuni esempi?

Ce ne sarebbero tanti ma sicuramente le collaborazioni con il Covision Lab – che si occupa di computer vision e machine learning – o quelle con la rete di imprese associate nella Automotive Excellence Südtirol o, ancora, con Alperia o con l’Azienda Sanitaria per restare in ambito pubblico, sono emblematiche della natura delle interazioni che stiamo ricercando. Infatti queste ed altre forme di collaborazione hanno reso possibile l’istituzione e il finanziamento di alcune cattedre straordinarie, oppure hanno il potenziale per sviluppare iniziative di ricerca di lungo termine a servizio del territorio. Assoimprenditori e le associazioni di categoria (Artigiani) o delle professioni (Ingegneri, ma anche architetti, periti e geometri) sono partner importanti che hanno seguito e sostenuto le nostre iniziative e ai quali vorremmo poter restituire ancora molto. 

Nell’Euregio, esistevano già la Facoltà di Scienze tecniche a Innsbruck e quella di Ingegneria a Trento che garantivano un’ottima formazione. Perché i figli delle famiglie altoatesine interessati alle materie tecniche dovrebbero iscriversi alla locale Facoltà di Ingegneria?

Siamo fortemente convinti che la formazione trilingue sia un valore aggiunto per ogni laureato e lo renda, assieme alle competenze tecniche accumulate, assolutamente competitivo su un mercato del lavoro che si estende, praticamente, dal confine con la Danimarca al Mediterraneo. Molti dei docenti di unibz vengono da altre università e quindi hanno portato qui anche l’esperienza maturata altrove, ma esiste anche una generazione di ricercatori e docenti cresciuti accademicamente qui, che in parte ci faranno conoscere altrove, in parte continueranno a rafforzarci. Ci stiamo sviluppando in direzioni diverse dalle università vicine specializzandoci in settori che ci caratterizzano andando a coprire ambiti di competenza che non sono rappresentati vicino a noi. Ma stiamo anche investendo su formati didattici esperienziali, anche grazie a infrastrutture di laboratorio uniche per dotazioni e varietà, che prepareranno in maniera molto più efficace e versatile i nostri laureati alle sfide che li aspettano. Siamo certi che saranno i protagonisti del futuro della regione e non solo. 

Quali sono le “anime” della nuova Facoltà?

Sono quella informatica, con un focus significativo sugli sviluppi dell’intelligenza artificiale, quella dell’ingegneria elettronica e dell’informazione, con un focus sulle tecnologie digitali e le applicazioni dell’AI, e quella dell’ingegneria industriale ed energetica, con un focus sui processi industriali e sull’efficienza nell’uso delle risorse e sulle rinnovabili, e quindi sulla sostenibilità. In queste aree cerchiamo di definire una nostra connotazione, perché siamo convinti che ciò che possiamo offrire sia diverso da quello che si trova nelle università vicine.

Il nuovo edificio quali opportunità in più offrirà agli studenti?

Il campus riunisce tanti laboratori sotto uno stesso tetto e ciò facilità le collaborazioni tra discipline diverse oltre al fatto che questi laboratori non vengono usati solo per la ricerca ma anche dagli studenti. Contiamo di proseguire nello sviluppo di un’offerta didattica sempre più orientata alla formazione di tipo esperienziale, organizzando l’attività educativa in maniera tale che la parte di apprendimento teorico e quella di applicazione pratica convivano e confluiscano in un percorso coerente e ciclico fatto non solo di “sapere”, ma anche di “saper fare”.

Che spinta può dare l’integrazione del campus nel parco tecnologico agli studenti e ai laureati?

Per una Facoltà come la nostra, la collocazione nel NOI è un’opportunità davvero unica perché avvicina le attività di ricerca e le attività didattiche con gli studenti alle aziende. Credo che poi costituisca un impulso anche allo sviluppo del parco tecnologico stesso perché gli studenti possono collaborare con le startup e, una volta terminati gli studi, diventare loro stessi fondatori di nuove iniziative e, così, essere protagonisti del futuro imprenditoriale del territorio. La sinergia farà bene ad entrambe le comunità: quella di unibz e quella del NOI Techpark. 

Ci sarà spazio anche per iniziative di formazione continua e di diffusione della cultura scientifica tra la popolazione?

Sì, ci sono alcune iniziative che ci vedono già attivi. Sul versante della formazione, i master universitari orientati ai professionisti, come quello in Fire Safety Engineering, che riscuotono un ottimo successo. Riteniamo che la Facoltà possa diventare un riferimento non solo per chi inizia l’università ma anche per chi, una volta laureato, ha bisogno di aggiornare e perfezionare le proprie competenze e quindi può ritornare all’università portando già un certo bagaglio di esperienze e, al tempo stesso, acquisirne di nuove, più specialistiche. Sabato 11 gennaio, infine, prevediamo una mattinata di porte aperte per la cittadinanza per scoprire il nuovo edificio e le aree di ricerca della Facoltà.

(inserzione pubblicitaria)

Sradicare ogni forma di povertà. Obiettivo lontano


Il primo degli obiettivi per uno sviluppo sostenibile della cosiddetta Agenda 2030 (lanciata nel 2015) consiste nello “sradicare la povertà in tutte le sue forme e ovunque nel mondo”. Siamo a fine 2024 e la povertà è ben lontana dall’essere sradicata. Anche nel ricco Alto Adige “la povertà è un grave problema sociale”.

In Alto Adige nel luglio 2021 La Giunta ha approvato ufficialmente la Strategia di sostenibilità “Everyday for Future”. “La povertà e l’emarginazione sociale”, dice il documento, “esistono anche in regioni ricche come l’Alto Adige. La lotta a questa povertà e una cultura economica e del consumo che non favorisca, bensì riduca la povertà in altri paesi, sono parte integrante di un comportamento sostenibile”.

Domenica 17 novembre sarà la “Giornata mondiale dei poveri”. Esattamente un mese prima si è celebrata la “Giornata internazionale per l’eliminazione della povertà”. Per l’occasione era stato redatto e sottoscritto un “manifesto interistituzionale” con cui “le associazioni altoatesine dei settori del lavoro, dell’istruzione, della cultura, dell’economia, del sociale e dell’ambiente si assumono la responsabilità comune di sconfiggere la povertà”.

Anche in provincia di Bolzano, si scrive, “la povertà è un grave problema sociale”, perché “mette a rischio il futuro delle persone colpite e la coesione so­ciale. Prevenire e combattere le povertà è un compito trasversale perché le povertà hanno molte cause ed effetti”.

Il Manifesto si articola in cinque punti: porre fine alla povertà ovunque e in tutte le sue forme; consolidare i valori nella società, come la libertà e la dignità delle persone; rafforzare le relazioni interpersonali; garantire pari opportunità per tutti, indipendentemente dall’origine, dall’età, dalla religione, dalla visione del mondo, dalle condizioni men­tali o fisiche; soddisfare i bisogni primari tra i quali la sicurezza, il cibo, l’abbigliamento, le relazioni sociali, la salute, la formazione e un ambiente integro.

Tutte le organizzazioni firmatarie del Manifesto sono d’accordo di partire dando vita a una rete di contrasto permanente alla povertà.

Autore: Paolo Bill Valente

Lukas Insam Trio: metti una sera a Egna

Ci sono dei gruppi musicali la cui forza e il cui groove si scatenano particolarmente durante i concerti, e ci sono certe serate in cui i concerti sembrano destinati a segnalarsi particolarmente per una serie di magiche circostanze che possono dipendere dal mood, dall’atmosfera del locale, dall’attitudine dei musicisti a far crescere e sviluppare un brano nel bel mezzo dell’esecuzione. È quello che è accaduto non molto tempo fa al Lukas Insam Trio, una formazione che riduttivamente potremmo definire rock blues, facendo però un torto ai suoi musicisti la cui matrice, pur partendo da un certo modo di suonare rock blues, va sviluppandosi in altre direzioni imprevedibili.

Si tratta nella fattispecie di un concerto tenutosi al Music Club di Egna, una piccola realtà locale di culto, dove si suona per il piacere di fare musica.

“Suoniamo insieme dal 2010 – ci spiega Lukas Insam, titolare della formazione – anche se a volte c’è qualche cambio nella line up, e in questo live, oltre a me, ci sono comunque gli altri due componenti originali, Davide Ropele alla batteria e Nico Aldegani alle tastiere. Quando il Music Club ci ha invitati, proponendoci di registrare la serata, abbiamo accettato volentieri anche perché l’idea di avere una registrazione da poter usare come demo non ci dispiaceva affatto. Già mentre suonavamo ci siamo resi conto che non stava venendone fuori una serata qualunque, ma quando Fabrizio, il fonico del Music Club mi ha passato la registrazione sono rimasto sbalordito. Da lì a decidere di pubblicare il concerto, affidandoci all’etichetta che si era occupata dell’uscita su Spotify del nostro disco di studio, il passo è stato breve”.

Insam ha provveduto all’editing e al mix del concerto, facendo poi fare il master a Londra, così ora, col titolo di The Live Session, il concerto è disponibile online, con tutto il feeling che si libera dall’incontro tra i tre musicisti. Il repertorio gira attorno a brani più o meno noti di matrice, rock, blues e pop, il tutto condito da una capacità di improvvisare del trio che rimanda piacevolmente allo stile di gruppi come l’Allman Brothers Band, pur con una strumentazione ridotta in cui il basso è suonato da Aldegani usando l’organo Hammond, permettendo così di avere nel contempo un importante tappeto sonoro e la base ritmica su cui Insam può spaziare con la sua chitarra.

“Stilisticamente – prosegue il chitarrista (e cantante) – penso di avere la presunzione di essere in controtendenza rispetto alle altre band. Un po’ perché ci piace dilatare i brani e farli crescere, lievitare nel corso dell’esecuzione, mentre il trend attuale è basato su brani che devono durare poco perché i fruitori non sono portati a dedicare troppo tempo all’ascolto di una canzone. E poi, in particolare mi sento lontano dalla moda delle tribute band, che fanno un repertorio basato su un solo artista o gruppo. Il tutto magari con gran dispiego di scenografie e mezzi. A me interessa un approccio più diretto, più essenziale. Sono fatto così, suono quello che mi piace e non sono mai sceso a compromessi. È il mio modo di essere, può funzionare può non funzionare, ma sono così”.

A giudicare dal numero di concerti che il gruppo effettua, e non entro gli angusti confini di un Alto Adige assai limitante per chi vuol fare musica e non solo per diletto, i fatti sembrano dar ragione a Insam e al trio che continuano ad andare avanti per la loro strada, suonando nelle occasioni più disparate. E non è tutto, c’è anche in cantiere un progetto con musica originale inedita, progetto slittato per poter sfruttare il fresco live di Egna.

“Sarà un EP con canzoni scritte da me – conclude Insam – e sarà sempre in versione online, perché purtroppo i CD non li compra più nessuno. Ma non escludo che magari possa fare la pazzia di pubblicarlo in vinile, cosa che mi sarebbe piaciuto fare già per questo live. Magari anche solo un 45 giri con un paio di brani. Chissà. La copertina c’è già, ed è opera, come quella del disco dal vivo, di Matteo Groppo, un fotografo di cui apprezzo molto il lavoro”.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

“Peripherica”: il lato nascosto dell’Alto Adige 

Il titolo è “Peripherica”, e si annuncia come un viaggio alla scoperta dello spazio suburbano: è la mostra d’arte organizzata nella sala espositiva di via Pietralba 29 a Laives dai centri giovanili Fly di Laives e Aslago di Bolzano, che porta i visitatori da Bronzolo a Laives passando per Pineta San Giacomo fino ad Aslago, rivelando un agglomerato urbano caratterizzato da fascino industriale, architettura urbana, un’intensa rete di trasporti e una società multiculturale. 

// Di Luca Masiello

L’esposizione è il risultato di una collaborazione tra i due centri giovanili ed è stata promossa da Andreas Bertagnoll (centro giovanile Fly) e coordinata insieme a Peter Holzknecht (centro giovanile e culturale Bunker) e Francesca Cantele (Hospiz). 

“Peripherica” si concentra sulla città satellite di Laives e sui suoi dintorni comprendendo l’intero bacino d’utenza periferico a sud di Bolzano. 

L’obiettivo è quello di creare un’immagine non convenzionale dell’Alto Adige, lontana dal verde dei prati alpini, dai laghi turchesi, dalle colline ondulate e dalle pareti calcaree verticali. 

Otto artisti visivi utilizzano varie forme espressive come la fotografia, la pittura, il disegno, il video, il suono, l’installazione e la letteratura ed esplorano nelle loro opere lo spazio abitativo suburbano. I visitatori possono aspettarsi una performance, un’installazione sonora e una lettura che completeranno l’esperienza dell’esibizione in modo speciale.

Il finissage avrà luogo il 23 novembre, giorno in cui sarà possibile vivere la mostra un’ultima volta. Si aprirà con una passeggiata urbana ad anello intorno alla galleria e si concluderà con un evento di serigrafia dal vivo. Quest’ultimo evento produrrà dei souvenir che i visitatori potranno  portare con loro come ricordo. Nella serata dello stesso giorno, il collettivo “Urbanospective”, proporrà una serata di musica elettronica nel centro giovanile Fly, situato di fronte: qui, arte, musica e comunità si fonderanno insieme. La mostra “Peripherica” promette dunque un esame multistrato e sfaccettato dei cambiamenti dinamici e delle sfide dello spazio suburbano di Laives e dintorni. Il tema sarà presentato e interpretato in modi diversi, particolari, non certo consueti. Tutti gli interessati all’arte e i visitatori curiosi sono caldamente benvenuti ad intraprendere questo viaggio artistico di scoperta. Per farlo, possono recarsi alla sala espositiva di via Pietralba 29 il mercoledì ed il venerdì dalle ore 16 alle 19, ed il sabato dalle ore 10 alle 12 e dalle ore 16 alle 19. L’entrata è libera.

Ecco i nomi degli artisti che prendono parte alla esposizione “Peripherica”:
Moritz Brunner (serigrafia – pittura di paesaggio);
Francesca Cantele – Sir Gulliver (installazione video interattiva);
Peter “Kompripiotr” Holzknecht (viaggio audio interattivo);
Silvestro Geier (pittura);
Sophie Morelli (fotografia);
Max Silbernagl (letteratura);
Jörg Zemmler (installazione letteraria).

Autore: Luca Masiello

L’adunata del Battaglione Edolo

Sono trascorsi vent’anni da quando si chiusero definitivamente quei cancelli e il Reggimento Addestramento Reclute “Edolo”, di stanza nella città del Passirio dal 1953 al 2004, venne sciolto. Nei giorni scorsi un migliaio di penne nere è tornato a Merano per ricordare con grande nostalgia i tempi della naja. 

// Di Enzo Coco

Non erano in divisa, ma il Cappello alpino in testa c’era e c’erano anche quegli occhi curiosi e a volte smarriti di chi rivede una città dopo tanti anni. C’erano anche le famiglie, mogli e figli che quando loro erano reclute alla Caserma Rossi, erano di là da venire. Sono gli ex del Battaglione e poi Reggimento Edolo che – per decenni, fino al 2004 – sono passati per quella caserma di via Palade per svolgere l’addestramento o anche per restarci per tutta la ferma di leva.  

Per un fine settimana li abbiamo visti sciamare di nuovo per le vie della città. Questa volta con i capelli grigi ma l’immancabile penna sul cappello, venuti a Merano per ricordare un anniversario tutto sommato triste, quello della chiusura del loro Reggimento. 

Quelli dell’Edolo, chiamato così dal nome del paese in provincia di Brescia, venivano principalmente da questa zona e dalla Bergamasca. Per celebrare la ricorrenza si è costituito un comitato spontaneo che -in sinergia con la sezione Ana di Bolzano e con il patrocinio del Comune, della Provincia e del Comando Truppe Alpine – ha dato vita all’evento meranese. 

L’esibizione del carosello della Fanfara della Brigata Orobica la sera di sabato e poi domenica la sfilata da piazza della Rena per le vie del centro fino all’ippodromo, sono stati i momenti salienti di questo ritrovo a metà tra il nostalgico e il gioioso. Per gli ex c’è stata anche la possibilità di una brevissima visita proprio dentro la “loro” caserma. A piccoli gruppi moltissimi sono stati accompagnati in quella che era la piazza d’armi con attorno le palazzine del comando, delle camerate e dello “spaccio truppa”, nomi che per i giovani di oggi risuonano strani, ma che per quei commilitoni hanno significato un pezzo di vita. 

Lo “spaccio” era il luogo del ristoro e del rifornimento, una sorta di bar – emporio per la truppa. Qui c’erano anche le cabine telefoniche tanto agognate e si potevano comprare i gettoni a sacchetti perché dalle gettoniere era un problema poterli prendere: servivano molte monete. Poi vennero le schede telefoniche e la cosa migliorò molto. Per loro c’era un signore, un maresciallo in pensione che con grande pazienza e disponibilità si metteva ad un tavolino dello spaccio e distribuiva gettoni e schede a tutti. 

All’ora della libera uscita lasciavano la caserma Rossi e invadevano con allegria e buonumore le vie di Merano e i molti locali pubblici che con la chiusura del reggimento hanno certamente perso buona parte del loro business. Pizzerie, bar, specialmente quelli che avevano i telefoni pubblici per chiamare casa “a scatti” (perché con i gettoni ti dovevi portare dietro il famoso sacchetto), rosticcerie dove comprare da mangiare qualcosa che era sempre meglio del rancio in caserma (ma poi era vero?). 

Molte le voci raccolte tra questi “reduci” speciali, non da una guerra per fortuna, ma dall’aver prestato servizio militare con il cappello d’alpino alla “Rossi”. Potente sentirle direttamente dallo loro voce inquadrando i due QR presenti in questa pagina che vi portano ai due videoservizi realizzati per l’occasione.  La 50ª (detta “la Balda”), la 51ª(“la Veloce”) e la 52ª (“la Ferrea”) con la 110a compagnia mortai hanno sfilato orgogliosamente per la città precedute dia loro vessilli fino all’ippodromo dove si è svolta una sentita cerimonia accompagnata dagli struggenti canti del Coro Alpino Orobica e dalla rispettiva banda che si è prodotta con grande successo anche nel carosello di piazza delle Terme. Un particolare saluto è venuto dal sindaco, il caporale Dario Dal Medico che ha ricordato con commozione il suo servizio militare proprio alla “Rossi” esprimendo un sentimento di affettuoso ricordo ed allo stesso tempo portando il saluto del primo cittadino di Merano alla manifestazione.

LA STORIA

Formato a Milano nel 1886, il Battaglio ne Edolo inquadra tre compagnie, la 50ª , la 51ªe la 52ª. Una parte del battaglione partecipa nel 1896 alla guerra d’Eritrea. Viene inviato nel 1911 in Libia, dove resta fino al 1914; nel 1915 è nella zona del Passo del Tonale, in Val Daone e nella Conca del Montozzo. Nel 1916 opera sull’Adamello e al Tonale e nel maggio 1918 assieme ai battaglioni “Mandrone” e “Cavento” conquista la Cima Presena. Viene inviato nel 1939 in Spagna, ma vi arriva a conflitto concluso. Tornato in Italia partecipa alle operazioni del fronte occidentale e nel 1940 è inviato in Grecia nella zona del Ponte di Perati e gli viene conferita una medaglia d’oro. Nel luglio del 1942 è trasferito al seguito del 5º reggimento sul fronte russo, dove con la “Tridentina” è ingaggiato nella difesa di Bassowka.
Alto è stato il sacrificio in vite umane del battaglione nella fase della ritirata, nelle battaglie di Nikitowka e Nikolajewka, e anche in questo caso riceve una medaglia d’oro. Rientrato in Italia si posiziona in Alto Adige, dove il 10 settembre 1943 viene sciolto, e molti dei reduci vengono fatti prigionieri dai tedeschi e internati in Germania. Il 1º gennaio 1946 rinasce inquadrato nel 6º Reggimento alpini a Brunico e il 15 marzo 1953 ritorna a far parte del 5º Reggimento, della Brigata Alpina Orobica. Composto dalle storiche 3 compagnie, dal 1952 si aggrega la 110ª compagnia mortai. Nel 1975, con la riforma dell’esercito, rimane battaglione indipendente di addestramento reclute della Brigata Orobica. 

Nel 1991, con lo scioglimento della Brigata Orobica, passa alla Tridentina e il 13 settembre 1997 viene elevato a reggimento con la denominazione di 18º Reggimento Addestramento Reclute “Edolo”, nella cerimonia di febbraio 1998 (comandante di reggimento Col. Peratoner e comandante di battaglione T. Col. Schenk). Alle dirette dipendenze del Comando Truppe Alpine, il reggimento inquadra due compagnie, la 50a e 51a, ereditate dal battaglione.
Come per gli altri reggimenti dedicati all’addestramento truppe, le reclute venivano addestrate per un mese, dopo di che avveniva il giuramento in piazza, a Merano, sede del reparto. 

Il 30 settembre 2004 con la conclusione del regime di leva il 18º Reggimento viene sciolto presso la caserma Rossi di Maia Bassa di Merano ed anche il battaglione Edolo dopo 100 anni di storia cessa di esistere, con l’ultimo comandante il colonnello Walter Segata.

Autore: Enzo Coco