Vittorie e sconfitte

Nei giorni scorsi l’Italia ha superato la fase dei gironi del campionato europeo di calcio dopo una vittoria, una sconfitta e un pareggio. La qualificazione agli ottavi è giunta dopo una partita, quella con la Spagna, in cui l’Italia è riuscita a toccare pochissimi palloni, tra cui purtroppo quello infilato nella propria porta dal giovane Calafiori. è lo stesso difensore del Bologna che, poi, nella successiva partita con la Croazia si è inventato al 98° minuto un passaggio a Zaccagni autore di un bellissimo gol che in un secondo ci ha trasportati dall’incubo di un eventuale ripescaggio alla qualificazione piena. Un pareggio che sa di vittoria, dunque, ma pareri unanimi nel giudicare l’Italia vista finora da brutta a bruttissima, con attaccanti di prima e seconda scelta incapaci di pungere, se è vero che finora hanno segnato nella porta avversaria solo difensori (Bastoni), centrocampisti (Barella) e un attaccante (Zaccagni) entrato nella rosa di Spalletti quasi per caso all’ultimo secondo, al posto di Orsolini.
Pur giocando male, gli azzurri sono riusciti a battere l’Albania, tutto sommato reggere l’urto nei confronti di una fortissima Spagna, e pareggiare con la Croazia che – lo ricordiamo da diversi anni fa parte dell’élite mondiale del calcio.
Vittoria? Sconfitta? Per quanto riguarda il prosieguo degli azzurri nell’Europeo staremo a vedere. Ma quanto accaduto dovrebbe farci riflettere sul significato che siamo soliti dare alla parola vittoria.
Questa parola è stata usata in questi giorni anche per commentare i risultati delle elezioni amministrative che si sono svolte in diverse importanti città italiane. Ed era stata usata qualche settimana prima per le consultazioni europee.
A mio avviso nel campo della politica la parola vittoria non dovrebbe mai essere usata, a differenza che nello sport. Chi prevale un secondo dopo viene investito del ruolo di occuparsi del bene di tutti. Così funziona la democrazia e quindi è meglio lasciare perdere subito l’idea di aver vinto su qualcuno. Per lo stesso principio non mi piace la parola opposizione, contrapposta a maggioranza. Il compito di chi non governa non può essere sempre e solo quello di opporsi. Le soluzioni condivise sono quelle più forti. Politicamente l’Unione Europea è proprio basata su questo principio. è faticoso, ma il consenso che ne scaturisce è di un’altra qualità. Oggi ne abbiamo bisogno come non mai.

Autore: Luca Sticcotti

Numeri e volti di una società diseguale

Dietro i numeri ci sono volti. Le vite. Sogni e speranze. Va ricordato ogni volta, quando si presenta un report statistico che descriva la popolazione. La tragedia accaduta all’Aluminium di Bolzano parla più di mille statistiche. Ci ricorda come si compone la nostra comunità, chi sono i concittadini, dove e come lavorano.

Diallo, Aboubacar, Mor, Sokol, Artan e Oussama. Nomi, non numeri. Persone, famiglie, vite, non elementi statistici.

Ma ora le statistiche. In Italia i cittadini stranieri residenti alla fine del 2023 erano 5 milioni e 308mila unità, quasi il 9 per cento della popolazione totale. Maggiormente presenti al Nord e al Centro, ovvero nelle regioni con un tasso più alto di benessere. Al quale benessere contribuiscono direttamente, senza però esserne i primi beneficiari. Oltre un terzo delle famiglie straniere in Italia, secondo l’Istat, vive in situazione di povertà assoluta (il dato medio, già di per sé alot, è invece di quasi il 10 per cento).

Anche l’economia dell’Alto Adige, da molti decenni, dipende dalla presenza di cittadini stranieri. Alla fine del 2022, secondo i dati ASTAT, in provincia di Bolzano si contavano persone di 147 diverse nazionalità. Si tratta di circa 52.650 donne e uomini, quasi un decimo degli abitanti. E ci sono anche coloro che nel frattempo sono potuti diventare cittadini italiani a pieno titolo, quasi 25.000 persone negli ultimi vent’anni.

Tornando ai 52.650, quasi un terzo di essi ha la cittadinanza di uno dei Paesi dell’Unione Europea. Il gruppo maggioritario proviene dall’Albania con 6.557 persone. Seguono la Germania (4.525), il Pakistan (3.756), la Romania (3.576), il Marocco (3.366) e il Kosovo (2.465). Insieme alla Slovacchia, queste comunità rappresentano la metà di tutti gli abitanti di nazionalità straniera. Esse arricchiscono la diversità culturale altoatesina, che da tempo non si limita ai tre tradizionali gruppi linguistici e alle loro articolazioni. Anche sul piano della tradizione religiosa, secondo alcune stime risulta che circa il 40 per cento della popolazione straniera residente sia di fede islamica e che più o meno il 6 per cento professi una religione orientale.

Si può facilmente capire che la situazione delle persone provenienti dall’Unione Europea, soprattutto da alcune regioni, sia ben diversa da quella di chi ha origine nei Paesi a basso reddito. Le vittime dell’esplosione all’Aluminium sono concittadini di origine senegalese, tunisina, albanese.

Autore: Paolo Bill Valente

Giorgio Moroder: un amarcord d’antan

Ne hanno parlato tutti i media, lo scorso maggio Giorgio Moroder ha ricevuto il David di Donatello alla carriera per il suo lavoro nel campo delle colonne sonore, che gli è già valso ben tre premi Academy Award. Era giusto che anche in patria il suo talento venisse riconosciuto. A modo nostro vogliamo anche noi ricordare questo autentico mito della musica che è indubbiamente il fiore all’occhiello della nostra regione in questo settore, e vogliamo farlo con qualcosa di eccezionale, legato a doppio filo con l’Alto Adige e risalente a molto prima che Moroder diventasse quel Moroder.

Correva l’anno 1959, il 7 luglio di sessantacinque anni fa per la precisione, e una trasmissione televisiva chiamata Telesquadra fece tappa nella nostra regione: si trattava di una sorta di carovana televisiva che si muoveva attraverso le zone periferiche della penisola portando le proprie telecamere laddove nessuno se le aspettava, ben prima dell’avvento di Rai3. Nelle giornate precedenti venivano fatti girare volantini per reclutare i talenti locali e far loro prendere parte alla trasmissione, che veniva poi mandata in onda il giorno successivo. Nella fattispecie la puntata altoatesina di Telesquadra fu registrata a Bressanone, presso la sala del Credito Consorziale, il 7 luglio e trasmessa l’8. Scriveva il quotidiano l’Adige nella sua uscita del 9 luglio: ”Il giovane Giorgio Moroder (all’epoca aveva diciannove anni, n.d.r.) accompagnandosi con la chitarra elettrica, ha cantato un moderno ritmo americano, stile P. Anka o Elvis Preslej (sic!), mentre la graziosa Monica Mader ha eseguito una canzonetta popolare tedesca”. Alla serata presero parte anche altri giovani, come Gianni Signorini, la dodicenne Franca Motta, Wolfgang Lucerna, gli Schuplatter di Spinga e, soprattutto, ad accompagnare i vari cantanti solisti, un complessino dell’epoca diretto dal maestro Fulvio Del Marco (che si occupava del piano) di cui facevano parte Walter Dall’Igna alla tromba, Gianni Piasenti alla chitarra, Umberto Dianese al contrabbasso, Gianfranco Filippi al sax e Renzo Boschetti alla batteria. Apprendiamo i nomi di questi ragazzi dell’epoca dal quotidiano Alto Adige che sempre il 9 luglio non esitava a scrivere: “bravissimo Giorgio Moroder in un rock’n’roll; applauditi anche i ballerini Maria Ludovica e Gabriele Torggler”, a proposito della performance del futuro hit maker gardenese. Quello che i giornali dell’epoca non sapevano è che l’amicizia e la passione comune per la musica tra Giorgio Moroder e Renzo Boschetti (di un anno più giovane) era di lunga data.

“Abbiamo frequentato insieme le scuole medie e i primi due anni delle superiori – ci racconta oggi Renzo Boschetti, professionista bolzanino in pensione–, ci siamo conosciuti in collegio a Rovereto dove a quell’epoca molte famiglie mandavano i figli per terminare le scuole dell’obbligo, abbiamo solidarizzato subito e poi ci siamo ritrovati insieme anche all’ITG, dopo il biennio io mi sono trasferito a Ferrara, dove abitava mia sorella ed ho terminato le superiori lì, prima di fare ritorno in Alto Adige. Giorgio di lì a poco si è trasferito a Monaco in cerca di fortuna.”

Negli anni delle superiori, siamo nel 1956 circa, Giorgio Moroder abitava in uno studentato nell’edificio INPS sopra la vecchia libreria Cappelli e lì si trovava proprio con l’amico Renzo per suonare insieme agli altri ragazzi che lo avrebbero accompagnato poi in quello che possiamo definire il suo debutto televisivo nel 1959. Entrambi avevano un registratorino a bobine della Geloso e facevano esperimenti, registrando quello che suonavano.

“Ricordo – prosegue Boschetti – che ci trovavamo a suonare presso lo studentato. Registravamo una prima parte su uno dei registratori, poi facevamo andare il nastro e si suonava una seconda parte in contemporanea registrandola con l’altro Gelosino e via così. Me ne sono reso conto solo tempo dopo, una delle canzoni di Giorgio che avevamo provato a registrare era Looky Looky!”

Quel brano, la cui trascrizione sulle copertine dei dischi fu talvolta Luky Luky, divenne addirittura disco d’oro nel 1970 e finì in alto nelle classifiche belghe, tedesche e svizzere!

“Dell’esibizione per il secondo canale RAI – conclude Renzo Boschetti – ricordo solo che è stata una grandissima emozione e che tra i partecipanti c’era anche un certo Cordioli, un violinista molto conosciuto e molto bravo”.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Ricordando la figura di Hans Vintler II

Caso non comune nell’odonomastica di Bolzano è la doppia intitolazione: alla famiglia Vintler è dedicata una via (tra piazzetta Madonna e piazzetta Maria Delago) e una Galleria (tra via Streiter  e via Vintler). Pare che i Vintler provenissero da Vintl (Vandoies); abitarono a Bolzano dal 1200 circa nella via appartenente ai nobili Vanga. Tra i Vintler da menzionare vi è Konrad I, deceduto nel 1356, dal quale iniziò l’albero genealogico. Suo figlio Niklas fu intorno al 1400 una delle figure principali della storia del Tirolo; ne divenne governatore nel 1392. Niklas, come i Vintler in generale, si dedicò al commercio, al prestito, all’amministrazione, al servizio dei duchi del Tirolo. Nel 1388 Niklas Vintler, al quale nel 1393 fu concesso una stemma nobiliare da Alberto III d’Asburgo (duca d’Austria dal 1365 al 1395), lasciò la casa di via Vanga; acquistato Castel Roncolo con il fratello Franz, oltre a ricostruire il castello semi diroccato, lo fece ornare di affreschi, raffiguranti la vita cortigiana del tempo e il mondo cavalleresco. Castel Roncolo, il  “maniero illustrato”, svolse anche un ruolo di centro culturale, nel quale si formò Hans Vintler II. Figlio di Hans I, fratello di Niklas, Hans Vintler II  è l’autore di “Pluemen der Tugent”, la versione tedesca, del 1411, dei “Fiori di virtù”, opera scritta intorno al 1320 e attribuita al bolognese Tommaso Gozzadini (1260-1330); l’opera, con titolo latino “Flores Virtutem”, fu stampata nel 1486. Hans Vintler II partecipò al Concilio di Costanza (1414-1418) al seguito del duca Federico IV d’Austria, con il vescovo di Bressanone Ulrich I Reichholf , con il poeta Oswald von Wolkenstein. Nel 1416 fu al servizio, come governatore e tesoriere,  di Federico IV d’Austria, detto “il Tascavuota”, duca d’Austria e conte del Tirolo. Nel 1417  fu inviato  a Venezia per concludere un’alleanza col doge Tommaso Mocenigo. Hans Vintler II morì nel 1419.

Autore: Leone Sticcotti

Pensieri di viaggio 1

Parto da Bolzano con mia madre per raggiungere la Liguria. L’A22 è sempre un terno al lotto, tra incidenti e traffico pesante, dunque per non restare imbottigliati usciamo a Egna e, seguendo pedissequamente la destra Adige, raggiungiamo Affi; è una guida più lenta, ma più rilassante agli occhi. I meleti e i vigneti sono il paesaggio dominante, con le rose a fare da sentinelle all’inizio dei filari e indicare ai contadini quando trattarli a seconda dei patogeni. Il grande Fiume è gonfissimo. Vegetazione, prati, pendici boschive esultano di un verde tonico. Rientriamo sull’A4 a Peschiera e raggiungiamo Novara per una visita a zia Linda; notiamo subito le risaie completamente allagate dalle piogge, campi di granturco e alcuni aironi nei dintorni. Anche qui il verde del paesaggio è scintillante. Dopo i convenevoli ripartiamo verso Vercelli est e imbocchiamo l’A26 fino a Genova Voltri e poi l’A10, direzione XXmiglia. Giungiamo a destinazione poco dopo le otto di sera e ci rifocilliamo grazie ai manicaretti di zia Pia. L’aria è umida, una brezza frizzante accarezza le chiome argentate degli olivi, la flora è lussureggiante, come raramente accade nella seconda decade di giugno in queste lande, soffocate dalla siccità. Stellanello, comune di poco più di 800 anime abbarbicate nella parte superiore della Val Merula, torrente o fiumana a seconda delle piogge, in piccole frazioni, sparse qua e là, ognuna con la sua chiesa, in provincia di Savona. Nei miti dei tempi antichi l’axis mundi, il pilastro del mondo, è rappresentato da un albero che unisce i tre piani della creazione, il cielo, la terra e gli inferi, e sorregge la volta celeste. Sotto la sua chioma sempreverde si incontrano le divinità per decidere le sorti del mondo. Per gli antichi popoli germanici, quell’albero era il frassino. Nella cultura islamica, invece, l’asse del mondo era costituita dall’olivo come portatore di luce e saggezza. Entrambi gli alberi, il nordico frassino e l’olivo delle terre del sud, fanno parte della famiglia delle Oleacee, a cui appartengono anche il ligustro, la forsizia, la fillirea, il lillà e il gelsomino. Un connubio non troppo azzardato dopotutto tra il germanofono Südtirol dove sono nato e la Liguria, terra natia dei miei genitori (e lo stemma municipale). Cala l’oscurità e finalmente ci prepariamo per dormire. Di notte le voci di un paesino sono le imboscate e i sibili dei gatti, l’abbaiare in risposta dei cani ognuno col suo timbro specifico, il gracidio delle rane, il frinire ritardatario delle cicale, il tintinnio delle tante campane e qualche, ormai sempre più raro, bagliore intermittente delle lucciole. 

Autore: Donatello Vallotta

Quando passeggiare per la città era regolato da norme severe

A Merano presto si sottopose il passeggio a regole ben precise stilate in una Promenade Ordnung, e si pose un guardiano a controllo e a tutela. In primis l’ordinamento imponeva l’abito da passeggio e “vietava” alle signore di indossare abiti con lo strascico o comunque lunghi fino a terra. Indicava anche la misura dell’orlo ammessa e cioè appena sopra il tacco, per evitare di sollevare nocive nuvole di polvere.

Nel XVIII secolo lo sviluppo e la larga diffusione delle cure con le acque oligominerali avevano soppiantato i bagni, di lontana origine medievale. A questo nuovo sistema terapeutico andavano poi connesse salutari passeggiate all’aria aperta, la ginnastica e il moto. 

All’inizio del XIX secolo le numerose ricerche mediche sull’efficacia delle cure termali, dei soggiorni in luoghi dall’aria salubre o dal clima secco, avevano fatto sì che si moltiplicassero i luoghi di cura, le città termali, e le stazioni climatiche. Sulla base delle nuove esigenze terapeutiche sorsero anche nuove strutture architettoniche e si svilupparono interi centri urbani. 

La gamma delle malattie e dei disturbi che inducevano l’aristocrazia a riversarsi nelle diverse città di cura era assai ampia. Il folto popolo dei turisti di cura era composto dalle prime vittime del logorio della vita moderna, i convalescenti, i sedentari come gli studiosi o gli impiegati, i malati di petto al primo o al secondo stadio della malattia, i sofferenti di mal sottile, coloro che accusavano disturbi all’apparato digerente, chi accusava disfunzioni del ricambio,i malati di idropisia, gli stitici, gli obesi, i rachitici e molti altri ancora. Le città di cura per essere tali necessitavano però di una serie di strutture anche effimere per le cure , lo svago e la ricreazione turistica. 

Comparvero così le “Wandelhallen”, colonnati cioè, sotto i quali passeggiare, all’aperto ma al riparo dalle intemperie o dai violenti raggi del sole; i padiglioni dove far zampillare l’acqua minerale, le cosiddette “Brunnenhäuser”, per consentire ad ognuno di servirsi, chiamate anche “Trinkhalle”, come nel caso di Baden Baden. 

Si moltiplicavano gli spazi di incontro si moltiplicavano per rendere sempre più piacevole il soggiorno e la cura, quindi nacquero i viali alberati, i giardini e soprattutto i parchi anzi, il “Kurpark”. In queste città, piccole o grandi, ma sicuramente alla moda, aristocratici e classi emergenti si davano appuntamento per un periodo, oltre che di cura, di svago e divertimento. Così ogni luogo si doveva munire anche di questo genere di strutture. 

Si aprirono case da gioco, sale da ballo, padiglioni per concerti e teatri. Alle iniziali architetture effimere si sostituirono costruzioni polifunzionali stabili, ossia eleganti edifici dove far convivere sia la zona per le terapie che quella per i divertimenti:  sorgeva cioè il Kurhaus. 

Passeggiate, parchi e giardini comparivano come costanti nelle località di cura d’Europa.  Parchi, giardini, e soprattutto lunghe passeggiate diventavano strutture indispensabili per attirare un folto numero di villeggianti. A Merano dunque tutto ciò andava  strutturato per goderne appieno e per farne un punto di forza della città. Sull’esempio della lunga Esplanade lungo il fiume Traun di Bad Ischl e dei percorsi di Baden Baden, Karlstadt e altre, anche a Merano lungo il torrente Passirio si costruirono le Promenade. Si trattava di un’opera che sarebbe durata nel tempo con continui prolungamenti, nuovi percorsi da intrecciare ai precedenti e che dal lungo Passirio sarebbero avanzati sempre più, inerpicandosi dolcemente sulla collina del Küchelberg per costeggiare in posizione panoramica un lato del perimetro cittadino. I lavori per il primo nucleo di passeggiate, erano iniziati a seguito della riedificazione di possenti muraglioni ad argine del torrente subito dopo lo straripamento del Passirio del 1817. Sui cosiddetti “Wassermauer”, era stato tracciato un cammino. 

I lavori per l’ampliamento delle Promenade lungo il Passirio, iniziarono nel 1860. Il comune era proprietario del terreno ma lo aveva concesso in usufrutto all’Azienda di cura e soggiorno che avrebbe provveduto alle piante alle panchine e a qualunque altra forma di abbellimento. A tale scopo in seno all’Azienda fu istituita una apposita commissione che in seguito divenne la Gärtnerei, cioè la giardineria provvista di serre e giardinieri esperti.

I parchi, dove spesso si tenevano i concerti, divennero il luoghi abituali d’incontro di nobili e avventurieri. A Merano il passeggio fra parchi e giardini e soprattutto sulle Passeggiate fu presto sottoposto a regole ben precise stilate in una Promenade-Ordnung mentre un guardiano doveva controllarne il rispetto. In primis l’ordinamento chiedeva ai cittadini meranesi di lasciare il posto a sedere agli ospiti di cura e ai turisti nelle giornate di maggior affluenza. 

Alle signore invece vietava senza mezzi termini di indossare abiti privi di strascico e comunque non lunghi fino a terra per evitare di sollevare nuvole di polvere. Ai bambini era interdetto il correre. Ai signori era vietato fumare durante i concerti. Il passaggio era vietato a persone a cavallo, ma consentito alle carrozzine degli ospiti ancora deboli e convalescenti. 

Vietato era comprensibilmente strappare fiori e piante. I percorsi per le passeggiate non erano mai abbastanza e il sindaco Putz cercava di ampliare sempre più questo patrimonio cittadino. 

Autrice: Rosanna Pruccoli

Glaciazione

Una paio di settimane fa la Fondazione Nordest ha reso noto uno studio in grado di fotografare e analizzare gioie e dolori della nostra provincia dal punto di vista economico e sociale, con un’attenzione specifica rivolta al mercato del lavoro. Com’è noto l’Alto Adige è sempre in testa alle classifiche per quanto riguarda il tasso di natalità, la qualità della vita, i servizi, la possibilità di ottenere sovvenzioni da parte degli enti pubblici e anche – appunto – le opportunità di lavoro. Ma questo non è sufficiente per mettere il nostro territorio al riparo da un fenomeno che proprio negli ultimi 2/3 anni ha iniziato a manifestarsi in maniera molto importante, ovvero la difficoltà di ingaggiare nuova forza lavoro sia per il settore pubblico che per quello privato. Il tasso di natalità superiore rispetto alla media nazionale non è sufficiente, purtroppo, a mettere al riparo la nostra provincia, troppo abituata a pensarsi autonoma (avulsa) rispetto ai territori limitrofi, rispetto alla cosiddetta “glaciazione demografica”. 

Sì, avete letto bene. Non inverno ma vera e propria glaciazione. I giovani, in provincia di Bolzano, sono comunque pochi e molti di questi pochi se ne vanno per non tornare. Per trattenerli occorrerebbe attuare delle specifiche politiche, lo sappiamo tutti, che riguardino retribuzioni, alloggi, dinamicità del mercato del lavoro, ecc. Poi occorrerebbe avere politiche per attrarre forza lavoro da fuori, ovvero dal resto del paese o dall’estero. Ebbene: la Fondazione Nordest anche su questo ha fornito dei dati interessanti, segnalando che la provincia di Bolzano a questo proposito nel nord Italia si trova al penultimo posto, a fare peggio di noi c’è solo la Valle d’Aosta, mentre i cugini trentini si trovano a metà classifica. 

L’Alto Adige rischia di trovarsi presto un’economia esclusivamente basata su un turismo in evoluzione senza freni, con tutti gli aspetti negativi che tutto ciò comporta, compresa anche qui la difficoltà di ingaggiare nuovi lavoratori. è questo quello che vogliamo? E non è solo una questione economica e di sviluppo. L’attrattività di un territorio rispetto ai giovani (e non solo ai “suoi”) dovrebbe essere una priorità assoluta, in un’ottica di costruzione di futuro. Di queste analisi e riflessioni però ne vediamo in giro davvero solo poche tracce. Un’inversione di rotta è assolutamente necessaria e cercheremo di dare anche noi, nel nostro piccolo, il nostro contributo.

Autore: Luca Sticcotti

Genocidio e antisemitismo. Onestà nelle parole e nei fatti

Sentiamo tutti i giorni termini come genocidio e antisemitismo. Raramente sono usati a ragion veduta. Più spesso sono parole pronunciate senza aver riflettuto sul loro significato e senza conoscere la storia. A volte se ne fa uso manipolatorio, magari proprio per nascondere le proprie tendenze antisemite o genocide.

Il problema nasce già dalle definizioni perché, quando si vuole confondere le acque, il fumo è sempre più utile dell’aria tersa. Non avere definizioni condivise conduce a considerare sinonimi termini come ebreo, sionista, israeliano (l’utilizzo dell’espressione “Stato ebraico” per Israele certamente non aiuta). O di considerare una guerra un atto di genocidio in sé in quanto essa si ripercuote contro “un popolo” o “un gruppo”. Dal momento poi che il concetto di genocidio entrò nel linguaggio del diritto internazionale soprattutto dopo la Shoa, è invalso l’uso perverso di associare “gli ebrei” (non solo il governo israeliano, ma “gli ebrei” tout court) a una certa idea di genocidio, così come avvenuto recentemente con la profanazione delle pietre d’inciampo.

Secondo la definizione operativa dell’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance), non da tutti condivisa, ma adottata da diversi governi, “l’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio nei loro confronti. Le manifestazioni retoriche e fisiche di antisemitismo sono dirette verso le persone ebree, o non ebree, e/o la loro proprietà, le istituzioni delle comunità ebraiche e i loro luoghi di culto”.

In base alla “Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio” del 1948, “per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale: a) uccisione di membri del gruppo [in quanto membri di quel gruppo]; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro”.

Premesso che ogni Stato e ogni “gruppo” hanno il diritto di difendersi, se attaccati, e che ognuno ha il diritto di esprimere le sue critiche rispetto ai modi con cui uno Stato o un “gruppo” si difendono, denunciando eventuali abusi, antisemitismo e genocidi sono crimini contro l’umanità. È dovere della comunità internazionale e delle sue istituzioni verificare seriamente se e dove ci siano manifestazioni degli stessi. Se ci sono, si deve intervenire, non solo fare proclami. Se non ci sono, si chiamino le cose col loro nome, perché la pace e la riconciliazione sono figlie della verità (e dell’onestà intellettuale).

Autore: Paolo Bill Valente

Lucia Frisch, la prima bolzanina citata

Nella zona industriale di Bolzano, ad un certo punto della lunga via Bruno Buozzi, dopo piazza Fiera, vi è,  parallela alla via Buozzi, una via minore, la via Lucia Frischin.  Chi era?

Si tratta della prima donna bolzanina che appare tra i nomi quasi esclusivamente maschili nel Bozner Bürgerbuch (Liber civium – libro dei cittadini di Bolzano); Lucia Frisch(in), vedova di un certo Frisch, è  registrata in tale registro nel 1590; fu investita del diritto di Inwohner, cioè residente; era il primo passo, previo il pagamento di una tassa di 25 fiorini, per ottenere la cittadinanza.

Il Bozner Bürgerbuch è un registro della prima età moderna che racchiude i nomi (5160 nominativi) dei cittadini (cives – Bürger) e degli abitanti (Inwohner) ufficialmente ammessi nella città di Bolzano. 

Il registro fu istituito nel 1551 e si conclude nel 1760. 

Il manoscritto, composto da 340 pagine, dimensioni 32:21 cm, è conservato presso l’Archivio storico della Città di Bolzano con la segnatura Hs. 2713.

Autore: Leone Sticcotti

Destinazione AOAR, il viaggiointergalattico di Mirko Giocondo

Lo avevamo annunciato qualche settimana fa, occupandoci di Lila, il video singolo postato da Mirko Giocondo su youtube per lanciare il suo imminente disco, ed oggi ci ritroviamo, dopo aver ascoltato questo autentico viaggio sonoro interstellare, a parlarne con lui.

Il nome di Mirko Giocondo non è certo nuovo per il pubblico bolzanino che lo conosce per il suo lavoro passato con Ferbegy? e Myztic Lion & The Juggernaut Nation, e per quello più recente nella Homeless Band e nella Spritz Band di Andrea Maffei: un curriculum che non lascia dubbi sulla capacità di Mirko di passare da un genere all’altro trovandosi sempre a proprio agio, sia suonando un basso elettrico, sia un contrabbasso, in jeans e camicia o in abito da orchestrale.

A tutto questo si aggiunge un’estrema vena creativa che sta alle spalle di tutta la sua produzione solista precedente e di questo progetto intitolato Aoar.

“Aoar – ci spiega subito Mirko – è un disco che innanzitutto non appartiene ad un genere. Molti cercano di dare una definizione ai loro lavori, e più la definizione è circoscritta, più possono contare su una nicchia di ascoltatori che in quella definizione si riconosce. Non è il mio caso, io ho sempre pensato che quando creo qualcosa lo faccio per trasportare chi ascolta verso un’emozione, qualsiasi essa sia, ma che sia emozione”.

Nel disco di Giocondo, la musica è realmente emozionante, concepita come un viaggio musicale attraverso una galassia immaginaria da cui il disco prende il titolo e che è anche il titolo del brano finale, quello che segna la destinazione del viaggio. Tutto è realizzato a tavolino anche se molto orchestrato, grazie all’uso di macchinari con cui vengono replicati orchestre e strumenti solisti (con l’esclusione della chitarra elettrica del bravissimo David Altieri, protagonista del brano Sunset Overdrive). Il risultato sembra una breve sinfonia, con tutti i suoi bravi movimenti, con momenti pulsanti che non possono non ricordare il tema principale di I pirati dei Caraibi ed altri più bucolici o addirittura etnici.

“Mi fa molto piacere che tu abbia citato quella colonna sonora – prosegue Giocondo, l’autore, Hans Zimmer, è un compositore tedesco che ammiro molto e che non esito a definire uno dei miei mentori. Il disco è una sorta di concept, una sera ero sdraiato per terra all’osservatorio di San Valentino, e mi sono reso conto di quanto il mondo che c’è attorno e sopra di noi ci renda piccoli e insulsi. Da allora ogni volta che guardavo il cielo, che vedevo le stelle, mi sono detto che prima o poi avrei messo in musica tutto questo. Il brano iniziale, Under The Yellow Points, si riferisce proprio a questo, i punti gialli sopra di me sono le stelle da cui tutto è cominciato e che ha portato la mia fantasia su questa galassia che ho battezzato Aoar e che sta al termine di tutto. Il succo è che se tu stai immaginando qualcosa, solo per il fatto che lo immagini, questo qualcosa esista, e per me è stato così con la galassia Aoar.”

La composizione dei brani è poi venuta rapidamente, come se Mirko fosse stato preso da una sorta di febbre del viaggio intergalattico e musicale al tempo stesso, dove la musica è il mezzo di trasporto attraverso le galassie. 

“Anni fa ho comprato il mio primo sintetizzatore e ho cominciato ad esplorare questo mondo dalle possibilità sonore infinite. Per anni ho composto musica al pianoforte riempiendo spartiti e andando nei vari studi cercando di realizzare i miei progetti: ad esempio, per ottenere l’effetto di un’orchestra che non sarei mai riuscito ad avere a disposizione ho portato in studio cinque violinisti e ho fatto registrare tre volte la stessa partitura, costruendo poi l’orchestra nel mio studio di casa. E lo stesso ho fatto con i fiati, le percussioni e gli altri archi. Stavolta ho usato invece parecchi sintetizzatori, cercando di ottenere lo stesso effetto. Mi sono concentrato maggiormente sulla scrittura. Oltre a David Altieri, nell’ultimo brano ho coinvolto un produttore emergente, Simone Olivetti, che mi ha aiutato nel mettere insieme il mio studio, e che ha arrangiato e messo una parte vocale sulla composizione finale, quella che intitola il disco, presente quindi in due differenti versioni, una strumentale ed una cantata”.

Autore: Paolo Crazy Carnevale